Rivista Anarchica Online
Riscoperta dei consigli
Esperienze di autonomia operaia alla fabbrica S. Andrea di Trieste
La FMSA si è inserita nella lotta generale dell'autunno '69 con
una notevole partecipazione della sua base
operaia per numero e continuità d'azione. La lotta, diretta da un comitato unitario di base, era
condotta
secondo una articolazione per reparti e trovava la sua manifestazione più viva in molte uscite
dalla
fabbrica. Alla chiusura dello scontro generale si apriva una vertenza aziendale durata parecchi mesi.
Durante questo
periodo si è posta la necessità, per i lavoratori, di superare la semplice unità
d'azione esaltando l'unità
naturale della base e rendendola stabile anche nella forma organizzativa. Su questa spinta, ed in
parallelo con le lotte della primavera '70, sorgeva nella FMSA un giornale,
stampato in sede sindacale ma con articoli scritti dai lavoratori. Il giornale "Critica sociale" era
portato avanti da un gruppo di operai e impiegati iscritti ai tre sindacati,
e quindi costituiva di per sé una prima forma di unità al di là della
lotta. Questo giornale incontrava la naturale ostilità di coloro che fino ad allora avevano
mantenuto il
monopolio della informazione in fabbrica, soprattutto quando questi si accorsero che il giornale
era
seguito nelle officine. La segreteria del sindacato CCdL iniziava una vera e propria campagna
diffamatoria, culminata in episodi
di intolleranza. Ad un certo punto alcuni elementi della redazione venivano indicati alla direzione
aziendale come pericolosi estremisti, volendo conseguire con ciò il doppio effetto di isolarli dalla
base e
di sottoporli alla repressione padronale. Questi fatti hanno generato una tensione sufficiente per
rompere i vecchi schemi del sindacalismo nella
coscienza dei lavoratori più giovani e impegnati nelle lotte. La CCdL, tramite i suoi fiduciari,
dopo aver tirato i freni nella lotta, si preparava a contrastare le elezioni
del consiglio di fabbrica, chieste ripetutamente nelle officine. Ma si trattava di una lotta inutile contro il
tempo, contro un esperimento che ormai assumeva dimensioni nazionali. Solo la mancanza di
informazione ed un falso concetto di patriottismo potevano bloccare il processo di maturazione in alcuni
lavoratori. Nel febbraio '70 in una assemblea generale veniva decisa all'unanimità l'elezione dei
delegati
di reparto su scheda bianca. Nella settimana seguente le elezioni registravano una alta partecipazione in
tutte le officine. Il consiglio di fabbrica sorge nel periodo delicato del passaggio alla GMT, (Grandi
Motori Trieste) e si
è subito trovato di fronte ad una impostazione autoritaria dei rapporti con i nuovi dirigenti.
L'esperienza
ha insegnato agli operai che nelle fabbriche nuove la produzione è ottenuta con un maggior
sfruttamento
dell'uomo. Nessuno quindi si fà illusioni di miglioramenti sostanziali finché prevale
questa logica: profitto-sfruttamento. L'utilità del consiglio si rivelerà nel rendere
consapevoli di ciò tutti i lavoratori e nel prepararli ad
affrontare in prima persona i problemi tecnici e organizzativi della produzione ed i problemi politici che
sorgono dalle vita in fabbrica.
Consigli e comitati di sciopero
Le lotte contrattuali dell'autunno '69 hanno riportato all'attenzione dei lavoratori il tema dei consigli
di
fabbrica; è stata una riscoperta (ricordiamo che in Italia i consigli sono sorti per la prima volta
nel 1919)
non casuale, infatti queste lotte hanno determinato, per contenuti e partecipazione, una notevole tensione
politica delle masse lavoratrici. Alcuni obiettivi uscivano dalla semplice contrattualistica aziendale per
assumere un carattere egualitario sul piano sociale (parità normativa operai-impiegati), oppure
una
affermazione di maggiore libertà in fabbrica (diritto di assemblea). Nelle fabbriche
più avanzate la discussione sui metodi di lotta e sugli obiettivi si è fatta estremamente
critica, coinvolgendo le strutture sindacali, giudicate inadeguate e cercando collegamenti con le lotte
esterne alla fabbrica (scuola e quartiere). La generalizzazione di alcuni obbiettivi (diritto alla casa e rifiuto
dei ghetti operai; trasporti e sfruttamento dei pendolari; nocività in fabbrica e assistenza sanitaria
che tratta
l'uomo come una merce; infortuni e ritmi di lavoro) ha condotto ad una indubbia crescita politica del
movimento operaio, ad un atteggiamento di massa più consapevole di fronte allo sfruttamento
nel suo
insieme (fabbrica - repressione - stato). Le discussioni sorte in questo periodo hanno investito anche
le forme organizzative del movimento. Era
fin troppo facile constatare l'insufficienza delle strutture sindacali aziendali, capaci solo di gestire un
contratto, ma prive di iniziativa e quindi nella impossibilità di rispondere efficacemente alle
manovre
padronali e incapaci di dare uno sbocco politico alle lotte. Tutto ciò rischiava di provocare, come
nel
passato, l'isolamento del movimento operaio ed il freno ad una crescita di massa nelle fabbriche. In
questa situazione si rendeva necessario un cambiamento delle strutture e degli uomini. Un avvio al
cambiamento veniva dato con la costruzione dei comitati unitari di sciopero, eletti dalla base nelle
assemblee. In questi comitati venivano a trovarsi elementi iscritti e non iscritti al sindacato. Venivano
quindi superate all'atto pratico le divisioni fra tessere sindacali e le diffidenze verso gli elementi non
sindacalizzati. Nel passato questi comitati avevano svolto un ruolo limitato soltanto ai periodi di
sciopero, e quindi si
erano sciolti, per lasciare il passo alle strutture tradizionali. Nella autunno '69, invece, per il clima
particolare che si era creato e per una più approfondita impostazione critica (favorita da un
prolungato
confronto con alcune posizioni degli studenti) oltre all'impegno nella lotta di nuove categorie (impiegati
e tecnici), si era verificata una impostazione autonoma di alcuni comitati nei riguardi del sindacato, e
un'esigenza di rendere stabili e generalizzate le nuove strutture. La maggior circolazione di
informazioni (possibilità di stampare volantini, maggiore mobilità degli
studenti nel collegamento di più fabbriche, giornali di fabbrica sorti durante le lotte) ha fatto
sì che alcuni
esperimenti non restassero più isolati, ma venissero discussi nelle assemblee, picchetti e in tutte
le
occasioni di incontro date dalla lotta. Vi è una lentezza iniziale della massa ad impadronirsi
di una idea, ma quando questa diventa oggetto di
discussioni quotidiane, allora risulta altrettanto difficile distogliere la massa da quell'obiettivo. I
comitati, iniziati come un esperimento, adesso si rivelano come gli elementi principali della lotta, come
centri di iniziativa, di coordinamento e di informazione. Un elemento che affiora immediatamente da
questa situazione è l'unità organica raggiunta a livello di base. Una unità sorta
da una naturale forma di
collaborazione nella lotta. Elemento questo che fà apparire assurde le divisioni imposte dalle
tessere
sindacali. Chi lavora e lotta assieme ad altri come lui non ha certo alcun interesse che lo divide da
questi. I tempi dell'unità e della costruzione dei nuovi organismi si saldano dunque in modo
permanente e, per
il loro contenuto politico, devono incontrare la diffidenza delle burocrazie sindacali e l'ostilità dei
padroni.
Caratteri originali dei consigli
L'analisi dei comitati unitari fatta nelle riunioni, nelle assemblee e nella stampa di base ha condotto
ad un
confronto naturale con le esperienze del passato; veniva così riproposto il tema dei consigli e la
loro
attualità. Il passaggio dai comitati unitari ai consigli è avvenuto in seguito ad un
allargamento della rappresentanza
garantito a tutti reparti (compresi gli uffici). Cioè ogni reparto o gruppo omogeneo elegge un
certo
numero di rappresentanti, scelti su scheda bianca anche fra i non iscritti. Alcune fabbriche si erano
già
spontaneamente poste su questa linea. La scadenza contrattuale ha poi imposto una certa
omogeneità alle
varie esperienze. Sui consigli è poi calata tutta una serie di norme (elezioni degli esecutivi,
incompatibilità, materiale di
competenza, congelamento delle commissioni interne e loro assorbimento nel consiglio) che dovrebbero
definire i compiti ed i rapporti con le strutture sindacali. Cerchiamo ora di esaminare quali sono le
innovazioni introdotte con i consigli, per capire quali sono le cose importanti da difendere e conservare
e quali possono essere i pericoli di involuzione e di assopimento dei consigli. a) La struttura unitaria
del consiglio provoca un abbattimento delle divisioni sindacali all'interno della
fabbrica ed un nuovo atteggiamento verso i lavoratori non organizzati. b) Il consiglio, in quanto
è formato dalle rappresentanze di tutti i reparti, ricalca l'organizzazione di
fabbrica, cioè affonda le sue radici nell'unità data dall'organizzazione della produzione.
In questo senso
il consiglio non è una semplice riunione di lavoratori salariati, ma è un insieme organico
di produttori.
Dunque si tratta di una forma di unità politica naturale (e non di alleanze). c) Il consiglio
può avvalersi della esperienza e della collaborazione di tutti i reparti, quindi può
realizzare
la conoscenza del processo produttivo fra tutti i lavoratori. d) Dalla conoscenza generale della
produzione il lavoratore può passare alla critica consapevole delle
attuali forme di gestione, e alla proposta di forme alternative. A questo punto il lavoratore
può pensare
alla autogestione in termini concreti e lavorare per prepararla. e) Un funzionamento
corretto del consiglio può promuovere una vera democrazia di base (principio
della rotazione degli incarichi) e consente di superare il distacco fra una avanguardia impegnata e la
massa dei lavoratori, rendendoli tutti partecipi delle iniziative e delle scelte. In tal senso il consiglio
può diventare una vera scuola di lavoro collegiale. f) Il consiglio dovrebbe
consentire il superamento delle visioni corporative all'interno della fabbrica
(mestiere, qualifica e categoria), formando nei lavoratori una visione più ampia del loro rapporto
diretto di produzione. Questo potrebbe essere il carattere di educazione politica del
consiglio. g) Infine il consiglio, come strumento politico, dovrebbe incanalare le lotte secondo
una strategia politica
che superi la visione salario-prezzi. È chiaro infatti che lottare periodicamente in
questo sistema
economico, senza attaccarne il meccanismo di distribuzione del reddito, significa conseguire false vittorie,
subito assorbibili dalla manovra congiunta del padronato e del governo (aumento dei ritmi e dei prezzi
e decreti economici che colpiscono la classe lavoratrice). Un tipo di lotta che non si colleghi alle esigenze
generali della classe è perdente in partenza ed espone il lavoratore ad una serie di ricatti, alla
reazione e
all'isolamento. È inutile scioperare per un aumento della paga oraria se poi il lavoratore
(cioè colui che produce tutto)
non può decidere nulla sulla distribuzione complessiva del prodotto, se poi continuerà
a trovare le case
troppo care, le spese per il vitto troppo alte, forti trattenute sulla busta paga, se poi sarà soggetto
ad una
continua discriminazione sociale, se egli potrà essere denunciato come sovversivo in base ad un
codice
fascista. È questo il compito più grosso del consiglio, quello di far maturare il livello
politico delle lotte e di farle
uscire dal chiuso della fabbrica.
Pericoli di involuzione dei consigli
Fin dal loro sorgere in forma spontanea, i gruppi di base, i comitati unitari ed i consigli hanno
incontrato
l'ostilità aperta del sindacato. Quando il lavoratore obbedisce alle direttive calate dall'alto si dice
che è
"organizzato"; quando incomincia a pensare con la sua testa e si dà una propria organizzazione
lo si
accusa di essere sovvenzionato da organismi anti-operai. In molte fabbriche piemontesi e lombarde
è stata
organizzata dai sindacalisti la "caccia allo studente" che andava a "corrompere" i buoni operai con
volantini estremisti. Questi atteggiamenti hanno messo in chiara luce tutti i difetti del sindacalismo portato
avanti da un gruppo di professionisti. Questi si erano convinti di essere i soli a possedere la verità
sulla
classe operaia, e volevano tenerla avvolta nell'ovatta per paura che si contaminasse. Questi
"compagni" che accettano il dialogo con gli studenti ma senza le critiche e senza il libero
confronto, fanno la figura di vecchi preti di campagna (buoni solo a pascolare un gregge
di anime), anche
se usano nascondersi dietro a grandi mantelli rossi. Per il collegamento fra le nuove forme di
democrazia di base e la spinta unitaria, i consigli hanno
incontrato anche l'ostilità delle parrocchie sindacali a livello aziendale. In questi casi il sindacato
che aveva
la maggioranza in fabbrica temeva di vedere diminuito il suo peso in un consiglio troppo allargato. A
questo punto occorre ricordare che all'interno del sindacato non sono mancate le tensioni fra i nuovi
quadri, usciti dalle lotte dell'autunno, ed i vecchi rappresentanti che cercavano di tirare i freni. Queste
tensioni non sono cessate con la creazione dei consigli. Molti della "vecchia guardia", quando hanno
capito di non potersi opporre ai consigli, si sono riservati di insabbiarli nel futuro, assegnando a questi
organismi delle funzioni laterali e prive di incidenza sulla politica sindacale generale. Naturalmente
anche da parte padronale non sono mancate le resistenze e le ostilità aperte ai consigli (il
cui solo nome rievoca per le dinastie industriali un periodo scottante ed è comunque sinonimo
di
pericolosi esperimenti). Le direzioni aziendali temevano di veder compromessi i buoni rapporti intessuti
dopo tanti anni con le vecchie commissioni interne. I gruppi dirigenti vedevano svanire, per il momento,
la loro possibilità di manipolazione e di "civile" dialogo con la controparte. A questi pericoli
di nascita dei consigli se ne aggiungono altri che diventano evidenti nella fase successiva
del funzionamento e sono: a) il pericolo che il consiglio diventi una semplice emanazione del
sindacato nella fabbrica, e non una
espressione autonoma dei lavoratori. Con questo il consiglio si ridurrebbe ad un semplice parlamentino
dove verrebbero discusse le decisioni già prese dalle segreterie e dai direttivi sindacali. In questo
caso il
consiglio si trasforma in un organo per raccogliere in maniera più efficace il consenso della
base. b) Vi è poi il pericolo che il consiglio tenda a rinchiudersi nei problemi aziendali,
trascurando di
intervenire in tutti quei settori che condizionano la vita del lavoratore (informazione, istruzione,
condizioni sociali, coordinamento tra lotte di fabbrica di quartiere e di scuola). In questo modo il
consiglio rinuncerebbe alla crescita politica, restando un organo privo di iniziativa e limitandosi a
svolgere il lavoro delle commissioni interne. c) Un ultimo pericolo è quello di credere
che la nuova organizzazione sia una formula magica, in grado
di risolvere tutti i problemi dei lavoratori. Un consiglio di fabbrica ben addomesticato potrebbe in futuro
essere ben visto anche dai padroni, che magari lo inviterebbero ad una cogestione morale, pur di
assicurarsi una maggiore tranquillità. Il sistema sa compiere delle formidabili trasformazioni, e
riesce ad
assorbire col tempo anche una spinta genuina di classe, facendo delle piccole concessioni per mantenere
intatto l'apparato di sfruttamento.
Conclusioni
Un giudizio sui consigli per essere fondato deve tenere conto delle condizioni in cui sono sorti e del
clima
in cui operano. Durante l'autunno '69 c'erano le condizioni per una nascita spontanea dei consigli
ed un clima di lotte
estese a molti settori industriali, quindi condizioni che potremmo definire buone per l'esperimento dei
consigli. Oggi il rallentamento delle lotte ed i loro frazionamento in vertenze aziendali, genera un clima
diverso: si parla di una fase di regolamentazione dei consigli, di mancanza di iniziativa e di
insabbiamento.
Certo in questo periodo i consigli corrono maggiori pericoli di integrazione e di distacco dalla
base. Occorre però ricordare che il vuoto politico lasciato dalla vecchia organizzazione
sindacale è enorme. Occorre passare dalla fase dei comizi a quella della libera discussione.
Passare dagli attivisti che facevano
la spola tra officina e commissione interna alle assemblee di reparto. Occorre passare dal volantino
misterioso e retorico ad una stampa di fabbrica fatta per informare ed educare e fatta dagli stessi operai.
Occorre saper rinunciare alla demagogia nelle assemblee e agli interventi concertati. Ci sono delle
abitudini sindacali che vanno semplicemente estirpate. Ma è certo che i risultati del lavoro dei
consigli si
faranno attendere. Per anni i lavoratori sono stati organizzati con metodi da gregge, non possiamo
pretendere di compiere in un sol giorno miracoli politici. Il compito più difficile per i consigli
comincia ora, quando essi sono chiamati ad esprimere la potenzialità
del lavoro collegiale di base e a generare iniziative politiche senza false paure e senza attendere
direttive
dall'alto. I lavoratori devono però prevedere che il loro obiettivo futuro sarà
quello di gestire direttamente sia la
produzione che la distribuzione domani quando saranno rimossi gli ostacoli del capitale e della divisione
del lavoro.
Un compagno della F.M.S.A.
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