Rivista Anarchica Online
Dietro Gorby ancora Lenin
di Andrea Papi
Di fronte alla generale simpatia di
cui gode il leader sovietico Gorbaciov, bisogna ricordare come, da
sempre, dietro le presunte istanze libertarieggianti del socialismo
di stato si nascondano tattiche sempre più sottili per la
conservazione del potere. Ma in URSS esistono anche movimenti
che potrebbero turbare i sogni neo-leninisti dei tecnocrati di Mosca.
"Tutto il potere ai soviet, la
terra ai contadini".
La vecchia parola d'ordine legata al
più grosso evento rivoluzionario di questo secolo, la
rivoluzione russa, mi ritorna alla mente ogni qualvolta sulla stampa
nostrana leggo qualcosa che parla degli avvenimenti che si stanno
verificando in Unione Sovietica, sia che si tratti della perestrojka
o delle dichiarazioni di Gorbaciov, o ancora dei problemi economici e
politici che l'assillano. L'enorme quantità di informazioni
interpretative su ciò che sta avvenendo in casa russa,
inevitabilmente e istintivamente mi riporta a quello slogan ormai
storicizzato.
A quasi settantadue anni di distanza
dal mitico ottobre del '17, Gorbaciov, come allora Lenin, afferma di
voler affidare ai soviet e ai contadini le sorti della tanto
decantata perestrojka, la serie di riforme che dovrebbero rialzare le
sorti compromesse dell'impero sovietico. L'affinità tra i due
momenti, pur così diversi, risiede nella visione teorica che
dà il senso a questa adesione al metodo consiliarista e alla
gestione proprietaria dei contadini nelle campagne.
Nel '17 infatti, per i bolscevichi che
se ne appropriarono, il famoso slogan rappresentò una scelta
essenzialmente tattica, dettata dalla necessità di estorcere
il consenso delle masse in rivolta al fine di prendere il potere. Non
fu mai un riconoscersi nei principi dell'autogestione, che pure erano
alla base di quella meravigliosa creazione spontanea di popolo che
furono i consigli dei soldati, degli operai e dei contadini, i soviet
appunto. Per i bolscevichi, questi erano soltanto strumenti utili
all'insurrezione, a patto che venissero completamente diretti e
gestiti dal partito. Già dal marzo del 1907, nel
progetto di risoluzione per il V congresso del POSDR, dal
significativo titolo "Le organizzazioni operaie apartitiche e la
corrente anarcosindacalista in seno al proletariato", Lenin fra
l'altro scriveva: "Se il lavoro socialdemocratico tra le masse
del proletariato viene impostato in modo giusto, solido e largo,
simili istituzioni possono in realtà risultare superflue".
(Lenin, Opere Complete, vol. XII, pag. 129).
Nella sua rigorosissima "Storia
dei Soviet", Oskar Anweiler fa vedere con molta chiarezza come
nel 1905, quando scoppiò la prima rivoluzione repressa poi
dallo zarismo, durante la quale per la prima volta apparvero i
soviet, il partito bolscevico fosse antisovietico. Una posizione che
aveva un senso e una sua coerenza. I bolscevichi infatti erano
perfettamente consapevoli che i consigli, sorti spontaneamente come
pura creazione popolare, erano mezzi antigerarchici di democrazia
diretta, funzionali per la loro natura all'autogestione più
completa. Per un partito come quello di Lenin, che dichiaratamente
perseguiva la presa del potere e assolutisticamente considerava
rivoluzionario solo ciò che riusciva a guidare e gestire,
autoconsiderandosi l'unico legittimo interprete della coscienza
rivoluzionaria delle masse, il discorso autogestionario non poteva
che essere d'impiccio.
Da Lenin a Gorbaciov
Fu la genialità politica di
Lenin a capire che, quando nel febbraio del '17 scoppiò la
rivoluzione che affossò lo zarismo, se non si fosse collegato
ai soviet, unico momento di decisionalità in cui si
riconoscevano le masse in rivolta, il suo partito avrebbe avuto vita
molto breve. Scortato da un treno blindato dei servizi segreti
tedeschi, Lenin giunse dalla Svizzera dove si trovava al momento
dello scoppio insurrezionale e, con le famose "Tesi del 4
aprile", fece approvare la sua scelta di impossessarsi
strategicamente della parola d'ordine "tutto il potere ai soviet
e la terra ai contadini", che fino ad allora era stata
patrimonio degli anarco-sindacalisti e dei massimalisti, mentre il
suo partito vi era stato contrario.
Fu una scelta tattica, completamente
strumentale, dettata dalla necessità di usare i soviet per
impossessarsi del potere. Una volta installatisi al Palazzo d'Inverno
nell'ottobre del '17, Lenin e i dirigenti del suo partito portarono
avanti un'opera sistematica di svuotamento politico dei soviet, di
centralizzazione dittatoriale, di controllo assoluto e asfissiante su
tutto il corpo sociale, massacrando ogni manifestazione ed ogni voce
che fosse diversa dalle decisioni del comitato centrale. Il resto è
noto.
Oggi Gorbaciov, inventore e interprete
principale della perestrojka, riprende in pieno, aggiornandolo, il
tatticismo leniniano; afferma che bisogna ridare dignità ai
soviet e la terra ai contadini. Oggi come allora, tenendo conto dei
cambiamenti fondamentali che la storia ha segnato e sedimentato, sia
i soviet che la gestione proprietaria contadina vengono riproposti
quali strumenti funzionalizzati alle esigenze del partito che, sempre
secondo Gorbaciov, deve rimanere il vero interprete della politica e
il riferimento privilegiato della decisionalità. Oggi come
allora è il partito che deve trionfare, non la gestione
antigerarchica dal basso, che invece rappresentò il senso e la
reale richiesta delle masse insurrezionali sia nel '5 che nel'17.
Dopo settantadue anni di gestione
assolutistica, carichi della criminale esperienza staliniana, il
bilancio è pesante. La Russia è pressata da un'economia
allo sfascio, da una burocrazia asfissiante che vive sulla massima
corruzione, da un distacco netto tra la dirigenza politica e la gente
che ne subisce le decisioni. Nell'88 i raccolti agricoli sono stati
inferiori di 16 milioni di tonnellate rispetto all"87, mentre la
produzione industriale è enormemente insufficiente a coprire
la domanda interna, nonostante l'aumento del 4,4% del prodotto
nazionale lordo. Il ministro sovietico Boris Eltsin, durante
un'intervista pubblicata nel n. 0 di Avvenimenti, con una frase
significativa rende bene il livello produttivo legato alla crisi
economica in URSS: "La nostra industria leggera ha prodotto per
anni milioni di scarpe; ma è rimasto sempre un sogno comprare
scarpe belle". L'autorità istituzionale bolscevica,
assurta al potere usufruendo dell'insurrezione rivoluzionaria del
'17, secondo la filosofia che tutto doveva essere deciso e
controllato dalla gerarchia del partito unico, in pochi decenni ha
prodotto un mostro burocratico opprimente che, oltre a non risolvere
i problemi, ne ha creati di nuovi fino al limite
dell'irreversibilità. Ma ora è apparso il "salvatore
delle patria", Gorbaciov, il tecnocrate intelligente. Propone la
perestrojka, silura i burocrati conservatori e corrotti, si accorda
con Reagan per la denuclearizzazione, a sorpresa annuncia all'ONU la
riduzione di 500.000 uomini delle forze armate dislocate nei paesi
del Patto di Varsavia, fa approvare dal parlamento una nuova legge
elettorale che tende a rilanciare la partecipazione del corpo sociale
e ad aprire la strada a un pluralismo politico non pluripartitico,
vuole ridurre le ingerenze del partito comunista per aumentarne
l'influenza e il prestigio ormai quasi inesistenti. Un piano
intelligente, ma che nasce con qualche falla. La nuova legge
elettorale appena varata viene già contestata dai gruppi
informali, che ne denunciano il bluff di una falsa e apparente
democrazia atta solo a rilegittimare subdolamente il partito.
Nelle campagne la situazione agricola
non mostra sostanziali miglioramenti, come pure la penuria di generi
alimentari e di vario tipo continua a caratterizzare i negozi,
assediati da lunghe file ormai proverbiali di persone.
Il KGB è con lui
A proposito è interessante il
punto di vista di Hélène Carrère d'Encausse, una
delle maggiori sovietologhe sulla scena mondiale, espresso in
un'intervista pubblicata dall'Europeo dei 6/10 febbraio. "È
sbagliato considerare il gorbaciovismo un fenomeno originale, un
prodotto dei nostri tempi. In realtà risponde a necessità
impellenti, sempre più cogenti, anno dopo anno, dalla morte di
Stalin, dalla fine del dispotismo assoluto". Hélène
Carrère ipotizza che Gorbaciov sia stato mandato al potere
dall'establishment sovietico per funzionare meglio? Ma i
miglioramenti che deve porre in campo non devono in alcun modo
mandare a pezzi né il sistema a partito unico né la
comunità sovietica. Non a caso, se la parte conservatrice del
partito gli è contro, ha però dalla sua l'esercito e il
KGB che, riformato a suo tempo da Andropov, è ora composto da
un corpo d'élite. Gorbaciov insomma, più che l'uomo
buono e gentile che ci hanno propinato i mass-media occidentali, "è
il solo uomo in grado di permettersi riforme di grande portata e
indispensabili alla sopravvivenza dell'URSS".
Ma nulla è scontato, definitivo
o definito, deciso dall'alto. La società russa è in
movimento e può riservare sorprese agli scacchisti politici
del Cremlino. Anche oggi, come fu dopo la presa del Palazzo d'Inverno
nel '17, il richiamo ai soviet è un grosso bluff, come pure la
terra ai contadini attraverso quella specie di mezzadria di stato
voluta da Gorbaciov. L'inganno potrebbe cominciare a svelarsi, quale
ennesimo tentativo di ristrutturazione bolscevica.
Significative le parole di Poltoranin,
ex-direttore di "Moskovskaia Pravda" ora messo da parte,
pubblicate sul Manifesto del 26 novembre '88 nell'ambito di
un'intervista: "I contadini si riuniranno quando decideranno
loro, non quando glielo comanderà qualcuno dal centro... noi
vogliamo motivare la gente, non demotivarla. Non vogliamo reinventare
il capitalismo, ma mettere le basi di un socialismo che non sia quel
sistema proprietario gerarchico di stato che abbiamo avuto finora".
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