Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 239
ottobre 1997


Rivista Anarchica Online

Viva il mercato

Ringrazio Filippo Trasatti per la pacatezza della sua risposta alla mia lettera su Walter Block e sull'anarco-capitalismo, benché - lo ammetto - i l'avessi non poco sfruculiato. Non ho nulla da ribattere là dove c'è differenza di opinioni e d'impostazione culturale: tutte le idee sono legittime e non sento l'esigenza di convertire a tutti i costi gli interlocutori. Tuttavia, mi pare fondamentale che il dissenso non si basi su incomprensioni sui presupposti di fatto, altrimenti il dialogo è tra sordi.
Confermando il taglio della mia lettera precedente, andrò per punti:
a) La proprietà. Dice Trasatti: "si dicono anarchici sia quelli che proclamano 'le tasse sono un furto', sia quelli che preferiscono ribadire 'la proprietà è un furto'; e non par dubbio c'egli si collochi tra i secondi". Rilevo però che Proudhon, dopo aver affermato che la proprietà è un furto (ma in realtà nn era proprio così), si convinse con il tempo (percorso condiviso da molti marxisti sconvolti dalle vicende sovietiche) che la proprietà è, al contrario, il miglior baluardo della libertà contro le pretese assolutistiche del potere; anzi, più la proprietà è a sua volta assoluta, meglio riesce a svolgere tale funzione di garanzia (Théorie de la proprieté, in Oeuvres complètes, Paris, 1866, vol. 27, pp. 37, 134-138, 189-212).
b) La tassazione. A parte ciò, l'alternativa tasse/proprietà, così come posta da Trasatti, mi pare carente. Non capisco, cioè, perché chi tra gli anarchici sostiene che la proprietà è un furto dovrebbe accettare che lo Stato possa punire quel "furto" attraverso la confisca violenta su larga scala. Derubare i ladri, è vero, non è reato (lo diceva anche Rothbard, che difendeva i campesinos contro i latifondisti), ma vi conviene correre il rischio di legittimare, in nome dell'anti-proprietarismo, il mega-apparato della minaccia organizzata, al solo scopo di fare un dispetto a bottegai e liberi professionisti (come se tra i tartassati non vi fossero i lavoratori dipendenti, depredati dallo Stato dei 2/3 del loro salario)? Il pericolo è quello che, per punire la classe dei proprietari (ma tutti siamo proprietari di qualcosa, almeno del nostro copro), finiate con il perdere di vista l'assai più potente superclasse (i politici, i burocrati, i finanzieri con loro collusi), in grado di disporre a piacimento delle risorse, confiscate in nome della "solidarietà", e poi utilizzate, per dirne una, in molto patriottiche "missioni di pace". Trasatti ha mai letto Bruno Rizzi, o anche solo I nuovi padroni - Atti del convegno internazionale di studi sui nuovi padroni, Edizioni Antistato, 1978? Non perdete la Vostra memoria storica. Per favore!
c) Il concetto di mercato. E' questo uno dei punti più delicati, con riferimento al quale v'è più rischio di incomprensioni per mancanza di linguaggio comune. Trasatti ribadisce le proprie critiche all'"economicismo" di Block, evoca lo spettro dell'homo oeconomicus e contesta l'affermazione secondo la quale tutte le relazioni umane possono essere descritte come scambi sul mercato. In realtà, proprio a pag. 7 Block non dice che tutte le relazioni sono scambi economici, ma semplicemente che sono scambi. Ha mai provato Trasatti a intrattenere una relazione sentimentale senza mai "dare" nulla all'amata (o all'amato)? Chiedendo, pretendendo solo, non si riceve nulla dagli altri, nemmeno nel più puro amore. E infatti le relazioni amorose si instaurano e durano se il sentimento è reciproco, ergo se vi è "scambio". L'amore è "scambio" non meno della prostituzione: al più sarà diverso nei due casi l'oggetto dello scambio, ma nemmeno questo darei per scontato. Trasatti sembra ignorare quei filoni del pensiero economico - soprattutto la Scuola Austriaca, i cui postulati sono stati portati alle più coerenti conseguenze proprio da Murray N. Rothbard - secondo i quali l'affermazione "tutto è economico" ha un significato esattamente opposto a quello da lui temuto. Quando i libertarians affermano che ogni libera relazione umana è relazione di mercato, non intendono affatto negare spazio a valori diversi da quelli monetari, tutt'altro: l'idea è che qualunque scelta individuale, anche non monetariamente misurata (ad esempio: andare a fare una passeggiata; coltivare gerani; ecc.) abbia valore anche "economico" per chi la compie. E ciò perché, per gli austriaci, il profitto è psichico e i beni hanno valore (soggettivo) in quanto in grado di svolgere un determinato servizio immateriale: procurare l'appagamento psichico ricercato dall'agente (M.N. Rothbard, Man Economy and State, Auburn, 1962, p.10). Ad esempio, direbbe un "austriaco", se io provo più appagamento psichico nello scrivere questa lettera, piuttosto che nell'acquisire un cliente da un milione di lire, vuol dire che scrivere questa lettera ha per me più valore che non il fatto di guadagnare un milione di lire. Sarebbe questo il nostro "economicismo"? Peccato che Trasatti non abbia notato il passo in cui quel cattivone di Block se la prende con il vero economicismo deteriore, quello della politica economica pubblica, che impone con la forza le proprie scelte, sicché non è in grado di ricomprendere nel PIL (o PNL) i giudizi soggettivi di valore e di benessere, quali i benefici da passeggiata, da contemplazione poetica, ecc: "E se il PNL, come risultato scende, tanto peggio per il PNL" (pag. 32). In conclusione, "mercato" non è che una sintesi linguistica per indicare la rete delle relazioni umane volontarie, consensuali e non violente, quale che sia il loro particolare contenuto.
d) L'individualismo metodologico. A quanto mi consta, nessun individualista metodologico (da Weber a Menger, da Mises ad Hayek e a Rothbard) ha mai negato l'importanza della storia o delle relazioni "sociali": negare come irreali e mistificatorie le astratte nozioni collettivistiche (come "comunità", "stato", "governo", ecc) non significa affatto proporre il modello di uomini isolati alla Robinson Crusoe, ma solo sottolineare che qualunque relazione interpersonale è appunto interpersonale: sono i singoli a darvi vita e tolti i singoli non resta più nulla. Pensate a un gregge di 50 pecore: non abbiamo qui 51 soggetti, le 50 pecore più il gregge, ma solo 50 soggetti: le pecore. Tant'è vero che, ove le 50 pecore muoiano, con esse viene meno anche il gregge, dimostrando così che questo non ha vita autonoma rispetto a ciascuna delle singole pecore che lo compongono. La società, dunque, non esiste, se non come composto di singoli individui (non a caso l'individualismo metodologico si accompagna al cosiddetto metodo compositivo: l'opposto dell'atomismo esasperato). Che poi sui singoli gravino sistemi di valori, condizionamenti, ecc. è un dato di fatto, che non giustifica però alcuna interferenza per indurre i singoli a comportarsi in modo diverso da come le loro libere preferenze richiedono. A ognuno il diritto di tenersi, se lo desidera, i propri condizionamenti. L'individualismo metodologico è poi strumento importante per comprendere la natura dello "Stato", che non è un'entità mistica, ma una sommatoria di uomini ben individuati che, in nome della credenza della legittimità del loro dominio, esercitano il potere sugli altri: anzitutto - si convinca Trasatti - confiscando le loro risorse, in mancanza di che non vi sarebbe "Stato" alcuno.
e) Il lavoro. Mi sorprende che Filippo Trasatti sia convinto che per un anarco-capitalista l'uomo è libero se lavora. Questa, sinceramente, non l'avevo mai sentita; credevo, infatti, che l'uomo fosse libero per natura e che lavorare o no, e quanto, fosse una tra le libere opzioni possibili. Filippo, per piacere, togliti dalla testa che l'anarco-capitalista sia assetato di denaro e di profitto: ti assicuro che gli anarco-capitalisti che conosco hanno in comune molte cose (ad esempio, siamo tutti un po' strambi), ma non certo quella di essere "ricchi" o freneticamente impegnati nella corsa al denaro, come l'Alberto Sordi de Il vedovo.
f) Il denaro. Noi siamo invece assetati della libertà di perseguire quel profitto psichico di cui parlavo sopra; e il denaro è solo uno degli strumenti possibili per ottenerlo, e nemmeno il più importante. Vogliamo perciò combattere qualunque istituzione (in primis lo Stato, ma anche una "comune anarchica", se è il caso) la quale pretendesse di imporci scale di valori e di preferenze diverse da quelle che ciascuno di noi si è dato. Occorre poi considerare che, come mi ha fatto notare l'amico Carlo Lottieri, la spersonalizzazione monetaria delle relazioni economiche inter-individuali è oggi a sua volta frutto della coercizione monopolistica dello Stato, il quale impedisce la libera concorrenza tra monete, ossia la libera concorrenza tra mezzi di scambio anche diversi da quelli della moneta unica statale (in attesa dell'orwelliana moneta unica europea, e poi magari mondiale).
g) L'anarchia. Mi piace concludere ribadendo che l'anarco-capitalismo non è che anarchia e basta. Spero che non pretendiate il monopolio del termine e vi abituiate all'idea che noi facciamo, a tutti gli effetti, parte del movimento anarchico, nel quale "individualisti" e "collettivisti" si sono sempre confrontati e scontrati. Quanto a me, se sono "anarco-capitalista" piuttosto che "anarchico", è perchè penso che senza il rispetto integrale dei diritti individuali non avremmo alcuna anarchia, ma solo dispotismi comunque camuffati e denominati ("comunità", "municipalità", "collettivo", ecc). Il mercato è l'unico sistema di decisione pubblica rispettoso dei diritti individuali, in cui nessuna minoranza è costretta a seguire le sorti della maggioranza; il che non si può dire delle decisioni "democratiche" e a maggioranza di entità collettive ad appartenenza obbligatoria, quali sono non solo lo Stato, ma anche le comunità più o meno mutualistiche della tradizione anarchica europea. A tale proposito mi ha piuttosto scioccato la lettura di un volume che penso vi sia caro, il numero di Volontà 4/90 Il diritto e il rovescio, in cui vedo con orrore tratteggiato quello che per alcuni di voi è il "diritto anarchico". Penso in particolare all'intervento di Thom Holterman, dove si parla senza arrossire di "regole obbligatorie per tutti", di "coercizione sociale" e simili. Brrrrrr. Confrontate queste terrorizzanti prospettive con il ben più raffinato, dal punto di vista libertario, pensiero giuridico di David Friedman e seguaci. Poi ne riparliamo.
Saluti anarchici

Fabio Massimo Nicosia (Milano)