Rivista Anarchica Online
L'esercito e il Friuli
Il terremoto del 6 maggio '76 ed il "bis" di settembre hanno creato al centro del Friuli un buco
triangolare i cui vertici sono Udine, Pordenone, Tolmezzo. Sono fuggiti tutti e chi non poteva ha
passato l'inverno nelle tende e nelle baracche. La maggior parte ha trovato rifugio sulla costa, negli
alberghi e nelle roulottes, il resto è disperso per l'Italia o all'estero dai parenti emigrati anni prima.
I soliti triti discorsi ufficiali dei primi giorni, da cui traspariva un trionfalismo stridente rispetto alla
carenza caotica dell'organizzazione, hanno lasciato il posto alla rassegnazione impotente dei
sopravvissuti. Intanto stampa e televisione alimentavano con la solita ipocrisia la 'gara di
solidarietà'pescando a piene mani episodi macabri-commoventi da dare in pasto alla curiosità
'addolorata', quasi morbosa, della solita orda di impiegati occhialuti, mamme-che-sanno-cosa-vuol-dire, maestre-suore, ecc, mentre le prime voci di protesta di chi vedeva e viveva ancora una volta una
realtà così ingiusta venivano coperte dal coro ben orchestrato di "Vogliamoci bene". Alla fine il
silenzio e il deserto. Un'area enorme spazzata via, sgombra.
Qualcuno però non si è mai allontanato dal Friuli nemmeno durante il terremoto: i soldati. Nelle loro
caserme a volte inagibili già prima del terremoto sono rimasti al loro posto, perlomeno quelli che non
sono morti o feriti durante il terremoto.
La facciata 'efficiente' così bene messa in mostra durante il terremoto, doveva essere mantenuta ad
ogni costo: così i reparti che hanno partecipato all'opera di 'ricostruzione' sono tornati tutti nelle loro
caserme, come se lì il terremoto non fosse passato.
Nessuna caserma è stata dichiarata inagibile dalle Commissioni del Genio Militare, a parte quella di
Gemona che è crollata completamente. Le vistose crepe che ornavano i muri, non erano per gli
"esperti" che lesioni alle "strutture secondarie": del resto, con celerità insolita, sono state quasi tutte
coperte dal completo reintonaco delle palazzine... per poi ricomparire dopo due settimane.
L'ovvio malumore dei soldati è stato represso con il solito giro di vite, con tutti i mezzi a disposizione
dei comandanti: ricatto delle licenze, lavori ingrati, punizioni, applicazione alla lettera del
Regolamento del 1947, trasferimenti dei più attivi, minacce più o meno esplicite. Tutto ciò fa parte
della quotidiana routine di tutte le caserme d'Italia, dove il braccio di ferro fra soldati e comando si
risolve spesso con arresti, punizioni o trasferimenti.
Il terremoto è stato per alcuni una manna: non solo per l'esercito, ma anche per l'industria, che già
si prepara colonizzare questa area 'liberata' con l'avallo dello Stato e del commissario straordinario
Zamberletti, il cui motto è "Ricostruire ad ogni costo". Il che vuol dire carta bianca alla speculazione
industriale selvaggia, visto che non si sa bene per chi altro ricostruire dato che sono andati via tutti.
Vuol dire anche ricostruire senza nessun concetto urbanistico che tenga conto delle esigenze sociali
ed esistenziali, bensì sovvertendo i termini del discorso dove l'industria si trova ad essere il punto
focale del paese e non viceversa e dove il paese diventa escrescenza dell'industria stessa come fattore
contingente e non determinante. Ciò naturalmente a completo discapito di chi ripopolerà il paese
stesso. Ma torniamo alle caserme. 'L'efficiente organizzazione' tanto vantata durante i giorni del sisma
ha mostrato di fare acqua da ogni parte, una volta terminato il suo compito straordinario. Materiale
andato perduto, disorganizzazione cronica e passiva, caserme inagibili, carenza tecnica, queste le
caratteristiche di un esercito mangia-soldi sempre preoccupato di salvaguardare la sua faccia di
cartapesta di parte sana ed efficiente della nazione invece avviata verso il caos. Il solito discorso: c'è
un terremoto? Ecco l'esercito! C'è uno sciopero degli ospedalieri? Ecco l'esercito! C'è un governo
debole? Ecco l'esercito.... Il tutto sulla pelle e sulle spalle dei soldati di leva che ogni giorno vedono
aumentare la rabbia e l'impotenza, abbandonati sempre di più a se stessi come una delle tante
scialuppe della nave che affonda.
Un libertario in divisa (Gemona)
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