Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 7 nr. 57
maggio 1977


Rivista Anarchica Online

Pianificazione decentralizzata e qualità della vita
di Riccardo Pozzi

Autogestione e territorio

Concludiamo il nostro programma sull'autogestione del territorio trattando tematiche attuali proprie di una società industrializzata pienamente sviluppata, prendendo lo spunto dalle proposte teoriche dei fratelli di Goodman e di Bookchin, che appartengono alla corrente della pianificazione decentralizzata, sulla falsariga del pensiero kropotkiniano. Essi danno soluzioni parziali, seppure interessanti, alle contraddizioni della società capitalista. I primi avendo fiducia in una grande trasformazione dell'organizzazione del territorio e della produzione su basi democraticistiche e rilevando come lati negativi, nell'attuale organizzazione sociale, solo gli effetti e non le cause e proponendo quindi, come soluzione, solo dei modelli teorici. Il secondo pensando che una cultura alternativa sia sufficiente a trasformare radicalmente la società.

I fratelli Goodman, Paul e Percival, possono essere inseriti nella corrente dei post-kropotkiniani in urbanistica. Nella loro opera principale "Communistas" propongono uno schema di comunità decentrata in cui si realizzi l'integrazione tra agricoltura e industria e che sia un primo momento di superamento del conflitto città-campagna.

Prima della fase propositiva vengono analizzati e considerati tutti i tentativi tendenti allo stesso risultato come la città-giardino, la città lineare di Soria Y Mata, le città satelliti e così via.

"Mentre per Howard le case così protette erano vicine alle fabbriche e pianificate in correlazione con esse, le entità che oggi chiamiamo città-giardino sono fisicamente isolate dalle loro industrie e anzi pianificate in modo del tutto indipendente" (1).

La città lineare per gli autori "evita gli alti affitti e la congestione della città, ha un facile accesso e minimizza l'invasione di foreste e campagne, che incominciano subito al di là dell'ultima strada fuori dell'autostrada" (2).

La città-satellite non viene considerata come momento di integrazione ed autonomia, è una risposta al continuo espandersi di periferie dormitorio anonime e alienanti e rimane sostanzialmente "... una vera città economicamente indipendente da un centro, e quindi dalla sua superstrada, ma progettata come fosse integrale e autosufficiente" (3).

I problemi, dunque, anziché semplificarsi si moltiplicano. Anche l'esempio di comunità italiana di Olivetti viene considerato e se ne evidenziano le sue forme paternalistiche e il continuum dell'industria anche nella vita sociale e privata dei suoi abitanti.

"L'idea di una paternalistica città mono-aziendale, dove un'industria e il suo imperatore forniscono alloggi e vita comunitaria ai propri operai, risale come minimo alla New Lawark di R. Owen (circa 1800) e ne abbiamo un esempio contemporaneo nell'Ivrea di Olivetti in Italia. Scopo di Owen era quello di risanare una società malata e di sollevarne lo stato d'animo, ed egli prospettava, come sembra fare anche Olivetti, una specie di socialismo cooperativo" (4).

Vengono poi considerati gli esempi e le realizzazioni dei paesi socialisti: la città lineare sovietica e le proposte di schema per integrare agricoltura e industria e superare il conflitto città-campagna. Il primo problema si risolverebbe non con l'autosufficienza rurale, ma portando la città alla campagna; il secondo ha due aspetti: il decentramento regionale dell'industria e l'industrializzazione dell'agricoltura. Per la Cina le linee di tendenza sarebbero un'industrializzazione senza urbanizzazione, decentrando il più possibile e fornendo i contadini di una tecnologia moderna su piccola scala e organizzando tutti i milioni di cinesi in modo militare, con caserme per residenza e caserme per mangiare, per "lavorare come se si combattesse e vivere in modo collettivo" (5).

Ma veniamo adesso ai temi più strettamente kropotkiniani. Il primo problema da risolvere per la costruzione e lo studio di nuove comunità, in cui non si ritrovino i contrasti degli attuali raggruppamenti territoriali è l'integrazione tra industria e agricoltura.

"L'integrazione di agricoltura e industria è anche una risposta all'incombere di carestie e di casi di emergenza immediati (...). I cinesi, lo abbiamo visto, mirano ad una industrializzazione pesante senza urbanizzazione (...). L'integrazione di occupazione agricola e industriale tramite la creazione di centri per operai impegnati in occupazioni non agricole dove essi possono produrre parte del loro mantenimento, deve diventare una politica nazionale permanente" (6).

Da questi presupposti segue la proposta di piccole unità decentrate e autonome. "L'integrazione di fabbrica e di fattoria ci porta all'idea di regionalismo e alla relativa autonomia regionale. Quelli che seguono ne sono gli elementi principali: a) agricoltura diversificata quale base dell'autosussistenza e, come conseguenza, piccoli centri urbani (200mila abitanti); b) un certo numero di centri industriali mutuamente dipendenti in modo che una parte importante dell'economia nazionale sia fermamente controllata (...); c) queste industrie debbono svilupparsi attorno alle risorse regionali agricole, estrattive e di energia" (7).

L'idea di pianificazione che i due fratelli propongono si basa principalmente su quattro punti:

1 - "Una relazione più stretta tra gli ambienti personali e produttivi, facendo sì che la puntualità sia cosa ragionevole invece che disciplinaria, e introducendo fasi di produzione a casa e in piccole botteghe e, viceversa, trovando appropriati usi tecnici per quelle relazioni personali che si è finito per considerare improduttive.

2 - Un ruolo per tutti gli operai a tutti i livelli della produzione del prodotto; per i lavoratori esperti un intervento diretto nel progetto del prodotto e nel progetto e conduzione delle macchine; e per tutti una voce politica in base a ciò che essi meglio conoscono, cioè la loro specifica attività, nell'economia nazionale.

3 - Uno schema di lavoro elaborato su basi psicologiche e morali, nonché tecniche, per dare ad ognuno l'impiego più gratificante in un ambiente differenziato.

4 - Unità relativamente piccole dotate di relativa autosufficienza, così che ogni comunità possa entrare in un contesto più vasto con una sua solidarietà e indipendenza di punti di vista.

Questi principi sono mutuamente interdipendenti" (8).

Tutto questo inserito in un regionalismo autosufficiente: "Tali regioni potrebbero essere molto armonicamente sviluppate non già importandovi l'intera struttura della tecnologia avanzata (come si fa attualmente) ma tramite quel tipo di simbiosi agricolo-industriale che abbiamo descritto, basandosi sempre sulle risorse proprie e sviluppate da soli" (9).

Anche se l'opera dei fratelli Goodman si può inserire nel filone della pianificazione antiautoritaria e mutualizzatrice, vi si può trovare una buona dose di genericità. Queste proposte, infatti, possono essere inserite dovunque e comunque; manca quel soggetto politico al quale queste proposte sono rivolte. Sono tutti progetti che tendono sì a cambiare la faccia attuale del territorio e della produzione, ma che ripongono una eccessiva fiducia in una graduale trasformazione e confidano nella innata democraticità americana. Tutto questo viene concesso al proletariato che non fa niente per conquistarselo e imporlo. La lotta politica e la lotta di classe rimangono sempre alla finestra.

Al contrario Murray Bookchin, sempre appartenente alla corrente della pianificazione decentralizzata, dice che l'integrazione tra industria e agricoltura, in una nuova struttura comunitaria, si raggiunge per mezzo dell'uomo come soggetto politico che concretizzi le proprie esigenze tramite profonde trasformazioni rivoluzionarie della società. Bookchin ha fiducia in un uso alternativo della tecnologia e ritiene che le trasformazioni sociali possono avvenire solo con l'apporto delle masse, e confida particolarmente nella controcultura come strumento diffusore di ideologie alternative al sistema. "Premessa del piano, prima di ogni progetto, è una cultura opposta a quella prevalente - una cultura che esalta la collettività invece dell'isolamento, il possesso comune delle risorse invece del possesso privato e della tesaurizzazione, l'autonomia invece della dipendenza dalle leggi del mercato borghese, le relazioni fraterne e l'aiuto reciproco invece dell'egoismo e della competizione" (10).

Come proposta finale del suo lavoro l'autore ripropone i punti salienti di un piano fatto a Berkeley da un gruppo di Architettura democratica (People's Architecture), dal Sindacato Inquilini e da una Cooperativa di consumatori. Il motore di questa operazione è ancora una volta la controcultura che in U.S.A. ha avuto una reale funzione di rottura col sistema. "Chiedendo una fusione degli ideali astratti di liberazione sociale con quelli di liberazione personale, tentando di dar vita a relazioni intime comuniste e libertarie, indispensabili per creare una società veramente emancipata, lavorando per annullare l'influenza del consumismo sull'individuo e sulle sue relazioni con gli altri individui, sottolineando la necessità di un'espressione spontanea della sessualità, della sensibilità umana, attaccando le gerarchie ed il potere in tutte le forme ed i modi in cui si manifesta, infine lottando per produrre comunità nuove, decentrate, basate su una prospettiva ecologica capace di unire gli aspetti migliori della vita urbana e di quella rurale, portando avanti tutte queste esigenze, la controcultura dà l'espressione moderna della grande corrente storica dei sogni e delle aspirazioni umane" (11).

I due tipi di proposte considerate si contrappongono metodologicamente alle realizzazioni pratiche-organizzative nella Spagna rivoluzionaria. È sulla base della collettività, del federalismo, dell'autogestione, che si realizza concretamente una società egualitaria. La collettività come unità base dell'intera società, con la sua struttura federalistica permette il collegamento tra le varie entità, collegamento che diventa automatico, diretto.

Abbiamo finalmente un insieme di entità autonome, decentrate e collegate organicamente tra di loro. La struttura autogestionale ha il suo fulcro nell'assemblea delle varie collettività: è lei che prende le decisioni e ha la possibilità di revocarle in ogni momento.

(6. - fine)

(1) P. e P. Goodman, Communistas, Bologna, 1970, p.49.

(2) Ibidem, p.54.

(3) Ibidem, p.61.

(4) Ibidem, p.85.

(5) Ibidem, p.102.

(6) Ibidem, p.117-118.

(7) Ibidem, p.201-202.

(8) Ibidem, p.197-198.

(9) Ibidem, p.272.

(10) Murray Bookchin, I limiti della città, Milano, 1975, p.146.

(11) Ibidem, p.148.