Rivista Anarchica Online
Pianificazione decentralizzata e qualità della vita
di Riccardo Pozzi
Autogestione e territorio
Concludiamo il nostro programma sull'autogestione del territorio trattando tematiche attuali proprie
di una società industrializzata pienamente sviluppata, prendendo lo spunto dalle proposte teoriche dei
fratelli di Goodman e di Bookchin, che appartengono alla corrente della pianificazione
decentralizzata, sulla falsariga del pensiero kropotkiniano. Essi danno soluzioni parziali, seppure
interessanti, alle contraddizioni della società capitalista. I primi avendo fiducia in una grande
trasformazione dell'organizzazione del territorio e della produzione su basi democraticistiche e
rilevando come lati negativi, nell'attuale organizzazione sociale, solo gli effetti e non le cause e
proponendo quindi, come soluzione, solo dei modelli teorici. Il secondo pensando che una cultura
alternativa sia sufficiente a trasformare radicalmente la società.
I fratelli Goodman, Paul e Percival, possono essere inseriti nella corrente dei post-kropotkiniani in
urbanistica. Nella loro opera principale "Communistas" propongono uno schema di comunità decentrata
in cui si realizzi l'integrazione tra agricoltura e industria e che sia un primo momento di superamento del
conflitto città-campagna.
Prima della fase propositiva vengono analizzati e considerati tutti i tentativi tendenti allo stesso risultato
come la città-giardino, la città lineare di Soria Y Mata, le città satelliti e così via.
"Mentre per Howard le case così protette erano vicine alle fabbriche e pianificate in correlazione con
esse, le entità che oggi chiamiamo città-giardino sono fisicamente isolate dalle loro industrie e anzi
pianificate in modo del tutto indipendente" (1).
La città lineare per gli autori "evita gli alti affitti e la congestione della città, ha un facile accesso e
minimizza l'invasione di foreste e campagne, che incominciano subito al di là dell'ultima strada fuori
dell'autostrada" (2).
La città-satellite non viene considerata come momento di integrazione ed autonomia, è una risposta al
continuo espandersi di periferie dormitorio anonime e alienanti e rimane sostanzialmente "... una vera
città economicamente indipendente da un centro, e quindi dalla sua superstrada, ma progettata come
fosse integrale e autosufficiente" (3).
I problemi, dunque, anziché semplificarsi si moltiplicano. Anche l'esempio di comunità italiana di Olivetti
viene considerato e se ne evidenziano le sue forme paternalistiche e il continuum dell'industria anche
nella vita sociale e privata dei suoi abitanti.
"L'idea di una paternalistica città mono-aziendale, dove un'industria e il suo imperatore forniscono
alloggi e vita comunitaria ai propri operai, risale come minimo alla New Lawark di R. Owen (circa 1800)
e ne abbiamo un esempio contemporaneo nell'Ivrea di Olivetti in Italia. Scopo di Owen era quello di
risanare una società malata e di sollevarne lo stato d'animo, ed egli prospettava, come sembra fare anche
Olivetti, una specie di socialismo cooperativo" (4).
Vengono poi considerati gli esempi e le realizzazioni dei paesi socialisti: la città lineare sovietica e le
proposte di schema per integrare agricoltura e industria e superare il conflitto città-campagna. Il primo
problema si risolverebbe non con l'autosufficienza rurale, ma portando la città alla campagna; il secondo
ha due aspetti: il decentramento regionale dell'industria e l'industrializzazione dell'agricoltura. Per la Cina
le linee di tendenza sarebbero un'industrializzazione senza urbanizzazione, decentrando il più possibile
e fornendo i contadini di una tecnologia moderna su piccola scala e organizzando tutti i milioni di cinesi
in modo militare, con caserme per residenza e caserme per mangiare, per "lavorare come se si
combattesse e vivere in modo collettivo" (5).
Ma veniamo adesso ai temi più strettamente kropotkiniani. Il primo problema da risolvere per la
costruzione e lo studio di nuove comunità, in cui non si ritrovino i contrasti degli attuali raggruppamenti
territoriali è l'integrazione tra industria e agricoltura.
"L'integrazione di agricoltura e industria è anche una risposta all'incombere di carestie e di casi di
emergenza immediati (...). I cinesi, lo abbiamo visto, mirano ad una industrializzazione pesante senza
urbanizzazione (...). L'integrazione di occupazione agricola e industriale tramite la creazione di centri
per operai impegnati in occupazioni non agricole dove essi possono produrre parte del loro
mantenimento, deve diventare una politica nazionale permanente" (6).
Da questi presupposti segue la proposta di piccole unità decentrate e autonome. "L'integrazione di
fabbrica e di fattoria ci porta all'idea di regionalismo e alla relativa autonomia regionale. Quelli che
seguono ne sono gli elementi principali: a) agricoltura diversificata quale base dell'autosussistenza e,
come conseguenza, piccoli centri urbani (200mila abitanti); b) un certo numero di centri industriali
mutuamente dipendenti in modo che una parte importante dell'economia nazionale sia fermamente
controllata (...); c) queste industrie debbono svilupparsi attorno alle risorse regionali agricole, estrattive
e di energia" (7).
L'idea di pianificazione che i due fratelli propongono si basa principalmente su quattro punti:
1 - "Una relazione più stretta tra gli ambienti personali e produttivi, facendo sì che la puntualità sia cosa
ragionevole invece che disciplinaria, e introducendo fasi di produzione a casa e in piccole botteghe e,
viceversa, trovando appropriati usi tecnici per quelle relazioni personali che si è finito per considerare
improduttive.
2 - Un ruolo per tutti gli operai a tutti i livelli della produzione del prodotto; per i lavoratori esperti un
intervento diretto nel progetto del prodotto e nel progetto e conduzione delle macchine; e per tutti una
voce politica in base a ciò che essi meglio conoscono, cioè la loro specifica attività, nell'economia
nazionale.
3 - Uno schema di lavoro elaborato su basi psicologiche e morali, nonché tecniche, per dare ad ognuno
l'impiego più gratificante in un ambiente differenziato.
4 - Unità relativamente piccole dotate di relativa autosufficienza, così che ogni comunità possa entrare
in un contesto più vasto con una sua solidarietà e indipendenza di punti di vista.
Questi principi sono mutuamente interdipendenti" (8).
Tutto questo inserito in un regionalismo autosufficiente: "Tali regioni potrebbero essere molto
armonicamente sviluppate non già importandovi l'intera struttura della tecnologia avanzata (come si fa
attualmente) ma tramite quel tipo di simbiosi agricolo-industriale che abbiamo descritto, basandosi
sempre sulle risorse proprie e sviluppate da soli" (9).
Anche se l'opera dei fratelli Goodman si può inserire nel filone della pianificazione antiautoritaria e
mutualizzatrice, vi si può trovare una buona dose di genericità. Queste proposte, infatti, possono essere
inserite dovunque e comunque; manca quel soggetto politico al quale queste proposte sono rivolte. Sono
tutti progetti che tendono sì a cambiare la faccia attuale del territorio e della produzione, ma che
ripongono una eccessiva fiducia in una graduale trasformazione e confidano nella innata democraticità
americana. Tutto questo viene concesso al proletariato che non fa niente per conquistarselo e imporlo.
La lotta politica e la lotta di classe rimangono sempre alla finestra.
Al contrario Murray Bookchin, sempre appartenente alla corrente della pianificazione decentralizzata,
dice che l'integrazione tra industria e agricoltura, in una nuova struttura comunitaria, si raggiunge per
mezzo dell'uomo come soggetto politico che concretizzi le proprie esigenze tramite profonde
trasformazioni rivoluzionarie della società. Bookchin ha fiducia in un uso alternativo della tecnologia
e ritiene che le trasformazioni sociali possono avvenire solo con l'apporto delle masse, e confida
particolarmente nella controcultura come strumento diffusore di ideologie alternative al sistema.
"Premessa del piano, prima di ogni progetto, è una cultura opposta a quella prevalente - una cultura che
esalta la collettività invece dell'isolamento, il possesso comune delle risorse invece del possesso privato
e della tesaurizzazione, l'autonomia invece della dipendenza dalle leggi del mercato borghese, le relazioni
fraterne e l'aiuto reciproco invece dell'egoismo e della competizione" (10).
Come proposta finale del suo lavoro l'autore ripropone i punti salienti di un piano fatto a Berkeley da
un gruppo di Architettura democratica (People's Architecture), dal Sindacato Inquilini e da una
Cooperativa di consumatori. Il motore di questa operazione è ancora una volta la controcultura che in
U.S.A. ha avuto una reale funzione di rottura col sistema. "Chiedendo una fusione degli ideali astratti
di liberazione sociale con quelli di liberazione personale, tentando di dar vita a relazioni intime comuniste
e libertarie, indispensabili per creare una società veramente emancipata, lavorando per annullare
l'influenza del consumismo sull'individuo e sulle sue relazioni con gli altri individui, sottolineando la
necessità di un'espressione spontanea della sessualità, della sensibilità umana, attaccando le gerarchie ed
il potere in tutte le forme ed i modi in cui si manifesta, infine lottando per produrre comunità nuove,
decentrate, basate su una prospettiva ecologica capace di unire gli aspetti migliori della vita urbana e di
quella rurale, portando avanti tutte queste esigenze, la controcultura dà l'espressione moderna della
grande corrente storica dei sogni e delle aspirazioni umane" (11).
I due tipi di proposte considerate si contrappongono metodologicamente alle realizzazioni pratiche-organizzative nella Spagna rivoluzionaria. È sulla base della collettività, del federalismo,
dell'autogestione, che si realizza concretamente una società egualitaria. La collettività come unità base
dell'intera società, con la sua struttura federalistica permette il collegamento tra le varie entità,
collegamento che diventa automatico, diretto.
Abbiamo finalmente un insieme di entità autonome, decentrate e collegate organicamente tra di loro. La
struttura autogestionale ha il suo fulcro nell'assemblea delle varie collettività: è lei che prende le decisioni
e ha la possibilità di revocarle in ogni momento.
(6. - fine)
(1) P. e P. Goodman, Communistas, Bologna, 1970, p.49.
(2) Ibidem, p.54.
(3) Ibidem, p.61.
(4) Ibidem, p.85.
(5) Ibidem, p.102.
(6) Ibidem, p.117-118.
(7) Ibidem, p.201-202.
(8) Ibidem, p.197-198.
(9) Ibidem, p.272.
(10) Murray Bookchin, I limiti della città, Milano, 1975, p.146.
(11) Ibidem, p.148.
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