rivista anarchica
anno 48 n. 427
estate 2018





Dietro la parola condivisione

In informatica condividere significa mettere a disposizione di chi ha le competenze un'opera, o una porzione di un artefatto digitale, creato dal proprio ingegno. Perché farlo? Perché in questo modo si può imparare e insegnare che cos'è il bello (o anche l'utile) dal punto di vista del codice. Condividere ha a che fare con la Comunità, ma come vedremo i modi della condivisione sono cambiati in base al mutarsi delle comunità digitali.
La condivisione informatica comincia negli anni Settanta e Ottanta limitatamente a poche persone; all'inizio degli anni Novanta la pratica si diffonde quando vengono immessi sul mercato i primi personal computer; in seguito viene formalizzata metodologicamente, diventando parte di un movimento politico, con il free software; poi le viene dato il nome di economia del dono, con il passaggio commerciale ll'open source e, da ultimo, si trasforma in sharing economy, quando viene completamente messa a profitto su scala globale con l'avvento dei media sociali.
Le pratiche di condivisione sono nate assieme all'informatica. Come abbiamo detto condividere significa in origine fare qualcosa di importante: mettere in comune un artefatto del proprio ingegno1. Il metronomo storico della condivisione nelle sue molte vicissitudini è il sistema operativo Unix, l'ispiratore di GNU/Linux, nato alla fine degli anni Sessanta nei laboratori Bell presso l'AT&T, società telefonica americana, da programmatori che lo avevano pensato e scritto nel tempo libero. Ma una famosa causa antitrust contro la AT&T vietò alla società di entrare nel settore dell'informatica. Unix dunque venne distribuito (praticamente per caso e a un prezzo simbolico) a buona parte delle istituzioni universitarie, le quali si ritrovarono ad avere un sistema operativo comune (completo di codice sorgente!), ma senza alcun supporto da parte del produttore. In poco tempo si creò spontaneamente una rete di collaborazioni coordinata dall'Università di Berkeley. Questo fu il primo grande momento di condivisione. Personaggi chiave del mondo informatico2 hanno sperimentato con estrema autonomia nel periodo tra gli anni Settanta e Ottanta dando vita ai principali protocolli di comunicazione di rete3 e alla suite di protocolli di rete TCP/IP che sono l'ossatura digitale della Rete. Nessuno dei quali è brevettato o soggetto a copyright.

Il movimento del Free Software

Nel frattempo, la suddivisione di AT&T in tante piccole società favorì logiche biecamente commerciali nella distribuzione di Unix. AT&T chiuse il codice e iniziò a distribuirlo solo compilato, innalzando notevolmente i costi delle licenze e impedendo la pratica delle patch4.
Nel 1982 ebbe inizio la storia delle diverse versioni commerciali di Unix, legate ai singoli produttori di hardware, che differenziando anche solo di poco la propria versione, riuscivano a stare sul mercato. Sulla scia di questo esempio, le università e i laboratori di ricerca cominciarono a regolamentare l'accesso ai codici e adottarono manovre di riservatezza e chiusura, facendo sottoscrivere ai coder accordi di non divulgazione che sostanzialmente li espropriavano delle loro creazioni. Da una situazione di scambio e libera circolazione dei saperi nei laboratori di ricerca, l'epoca d'oro degli hacker negli anni settanta, si andava verso la chiusura dei codici.
Fu in questo periodo che Stallman intraprese la sua battaglia politica, la quale portò fra le tante cose anche alla formalizzazione della condivisione come fondamento del software libero. Stallman si dedicò a scrivere codice per un sistema operativo libero, avviando nel 1984 il progetto GNU (GNU's Not Unix, un acronimo ricorsivo in stile hacker): “L'obiettivo principale di GNU era essere software libero. Anche se GNU non avesse avuto alcun vantaggio tecnico su Unix, avrebbe avuto sia un vantaggio sociale, permettendo agli utenti di cooperare (condividere N.d.R), sia un vantaggio etico, rispettando la loro libertà”. Nel 1985 fondò la Free Software Foundation (FSF), un'organizzazione senza fini di lucro per lo sviluppo e la distribuzione di software libero: i software del progetto GNU sarebbero stati rilasciati sotto la General Public License (GPL), licenza scritta da Stallman che rese de facto un applicativo libero, accessibile a tutti, modificabile e distribuibile in qualsiasi modo, purché accompagnato da codice sorgente.
Il Movimento del Free software avviato da Stallman aveva raccolto negli anni Ottanta e Novanta tutti gli hacker che si contrapponevano al mercato dei brevetti e del copyright, coniando la parola copyleft, permesso d'autore. Il copyleft serve a condividere pubblicamente i codici sorgenti e rende inalienabili e virali le libertà del Free Software. Ma non esiste un sistema operativo se non esiste un kernel, il cuore pulsante che collega l'hardware al resto.
È qui che entra in gioco Linus Torvalds, il quale inaugura un metodo di sviluppo rivoluzionario: condividere i codici ancor prima che siano completi in modo che tutti possano mettervi mano e migliorarli, fino alla versione da rilasciare. Linus aveva spontaneamente dimostrato che per ottenere un risultato migliore, quando si è svincolati da istituzioni premianti è necessaria l'adesione a un complesso di valori capaci di coniugare il coinvolgimento comunitario e la passione tecnica. Pubblicare i codici sorgenti prima ancora che l'applicativo fosse terminato, chiedendo immediatamente un feedback ai propri pari, agli individui che si ritengono in grado di comprendere e collaborare a qualsiasi livello, rappresentava un processo nuovo e non privo di rischi, ma ebbe un successo tale da cambiare la storia dell'informatica e introdurre un nuovo modo di concepire il mercato del digitale: lo sviluppo comunitario.

Le aziende, un alleato pericoloso

Nel momento in cui le potenzialità della condivisone come metodo irrompono sulla scena dando alla luce il kernel Linux accadono alcune cose: Stallman e la Free Software Foundation sono impreparati (il loro progetto di Kernel, HURD diventa obsoleto). Assume protagonismo immediato Eric Raymond, fino ad allora semplice membro del movimento, che coglie al volo l'opportunità battezzando il nuovo approccio con il nome di Bazar e divenendone una sorta di padre teorico5.
Le ricadute politiche principali saranno che il nuovo sistema operativo prenderà il nome GNU/Linux, poiché interamente realizzato con la Free Software Foundation, la quale a sua volta accetterà e metterà in pratica il metodo di Linus in tutto il resto dei progetti. In contemporanea si avvierà, anche dietro impulso di Raymond (e soprattutto dell'editore O'Reilly), un nuovo gruppo separato: l'Open Source Initiative che cambiando nome e modificando i propri propositi in senso commerciale servirà su un piatto d'argento alle grandi aziende l'idea di sviluppo comunitario.
È importante sottolineare che negli anni Novanta aprire, condividere, rendere pubblici i codici degli applicativi significava andare incontro a una cerchia non particolarmente vasta di persone, più che altro singoli sviluppatori e piccole comunità che in questo modo potevano chiamare a raccolta altri per ricevere supporto. Ciò che si condivideva erano soprattutto le competenze. Inizialmente le aziende guardarono con sospetto questi cambiamenti, salvo poi accorgersi che con la giusta strategia di comunicazione, sostenendo lo sviluppo comunitario e mantenendo le licenze aperte, potevano godere del lavoro gratuito di molte persone di talento e moltissimi fiancheggiatori appassionati (pacchettizzatori, betatester, scrittori di documentazione). La battaglia contro il software chiuso aveva trovato nelle aziende un alleato pericoloso, perché interessato a sfruttare competenze ed entusiasmo.
Nell'ambiente dell'opensource si comincia così a sostituire la parola condivisione con economia del dono sempre con l'intento di rendersi amichevoli al mondo degli affari (la parola economia ha a che fare col denaro) e cooptare quanto più lavoro gratuito possibile (si manifesta come dono, quindi gratuitamente). Ma come fa un dono, che è qualcosa di spontaneo e dunque eminentemente facoltativo e sporadico, a diventare sistema economico? Come spiega Marcel Mauss, uno dei fondatori dell'etnologia francese6, l'economia del dono era, per le comunità antiche che la praticavano, un rigido sistema di obblighi estremamente vincolante. Non c'entra davvero nulla con la libertà di donare, come e quanto si vuole, per motivi che prescindono dalla sopravvivenza e dallo status sociale. Economia del dono è stata una locuzione di passaggio per sostenere con un linguaggio semplice e mistificatorio che fosse possibile superare il capitalismo a sinistra, nella voga del capitalismo senza proprietà proposta dai guru della sharing economy7.
Nessuno ha più bisogno delle nostre competenze, ciò che conta è mettere in produzione l'interezza del nostro vivere. Nella piramide degli informatici il tentativo è stato quello di farli lavorare gratuitamente, tentativo per altro fallito; ma con gli utenti della rete non possiamo nemmeno più parlare di “lavoratori” o di “lavoro”, quantomeno non in senso classico. Come abbiamo approfondito nei nostri libri, si tratta piuttosto di aver scoperto come mettere a profitto una nuova materia prima: il piacere di esprimersi e il desiderio di comunicare degli umani.

Ippolita
www.ippolita.net

  1. Quando “condividiamo” un file su una piattaforma, invece, stiamo solo spostando una cosa da un posto a un altro. Certo questo “spostare cose” genera l'interezza della fiducia in un sistema che ricava enormi profitti, ma non ha nulla a che vedere col produrre con le proprie mani qualcosa di bello.
  2. da Vinton Cerf a Richard Stallman, fino a Tim Berners-Lee, insieme a molti altri.
  3. SMTP, quello che usiamo ancora adesso per la posta elettronica, HTTP che ci permette di navigare via web si veda Ippolita, Open non è Free, edizioni Eleuthera.
  4. Letteralmente una “toppa” ovvero una modifica effettuata al codice per farlo funzionare alla svelta: “patchare” un programma significa quindi “metterci una pezza”.
  5. da cui il suo celebre libro The Cathedral and the Bazaar del 1997.
  6. che per primo usa questa locuzione per descrivere alcune organizzazioni dette primitive, si veda in tal senso il potlach dei nativi americani del nord est.
  7. In questo quadro, il mercato della tecnologia di massa allargherà la sfera di cooptazione all'interezza degli utenti della rete, inventandosi il concetto di crowdsourcing.