rivista anarchica
anno 48 n. 427
estate 2018




Armenia/
Tra sterminio e Ararat

Attraverso vari incontri culturali ho potuto conoscere altri lettori della rivista “A”, come Paolo Cossi e Paolo Cognetti, con cui condivido anche la vita di montagna e la ricerca della natura selvaggia.
Dopo quasi tre decenni dedicati alla ricerca e alla divulgazione sobria, non risonante dei grandi network e mass-media, è per me un piacere raccontare in sintesi alcune vicende e scoperte da me fatte in zone precluse alla ricerca e all'alpinismo, in quanto zone militari. Il grande Monte Ararat (Masis per gli armeni), è un vulcano spento alto 5165 metri posto sul confine tra Turchia, Armenia ed Iran. I suoi versanti nord-orientali sono coperti da ben undici ghiacciai e da circa un secolo esso non fa più parte dell'Armenia, ma della Turchia. Tuttavia è l'unico monte simbolo per l'intera immensa diaspora armena, come se fosse ancor posto entro i confini nazionali.
Per gli armeni l'Ararat rappresenta la patria perduta, la rinascita dell'uomo dopo il diluvio biblico, lo vedono dalla capitale Yerevan e non lo possono raggiungere a causa della mancanza di passaggi doganali tra Armenia e Turchia, chiusi dopo la guerra del Nagorno nel 1992. Le sorgenti del Tigri e dell'Eufrate nascono dalle sue pendici, la coltura del vino, le prime lingue scritte, tutto partì da quella zona oltre 5000 anni addietro.

Monte Ararat (Turchia) - Il ripido canalone
che conduce al ghiacciaio con i resti lignei

Nelle loro ampie tende
Molti anni or sono, un anziano archeologo lombardo mi chiese di dargli una mano nella ricerca di resti lignei sui ghiacciai della montagna, pagandomi le spese, e confidando nella mia esperienza alpinistica ed esplorativa. All'epoca vi erano scontri a fuoco con i membri del PKK curdo all'ordine del giorno, sulle pendici mediane dell'Ararat e lo stesso Öcalan era dislocato a circa tremila metri di quota con 400 guerriglieri curdi, uomini e donne, ben armati.
A quel tempo il rischio di essere sequestrati già prima di aver raggiunto i ghiacciai era reale, e gli arresti con successivi maltrattamenti anche da parte dell'esercito turco dislocato sul monte non erano affatto rari. Ciò nonostante decisi di affidarmi all'amicizia di un vecchio pastore di pecore curdo molto povero, e di salire la zona mediana della montagna durante la notte, evitando così d'esser avvistato. Inutile dire che nelle prime spedizioni, oltre a non trovar nulla, spesso dovevo ridiscendere da versanti opposti a quelli della salita, per via di scontri a fuoco o di rastrellamenti militari.
Negli anni i pastori curdi, spesso di origini armene, mi protessero e accolsero nelle loro ampie tende poste sin oltre i 3000 metri, in cui dormii e mangiai al ritorno dalle mie ricerche che sovente erano solitarie. I curdi di quei luoghi miseri vivono in maniera anarchica rispetto alle istituzioni militari e politiche locali turche. Dapprima, in qualità delle loro usanze nomadi non controllabili, venivano chiamati “turchi di montagna”. Oggi sono divenuti “turchi dell'est”. Ma di turco essi hanno poco, a parte la cittadinanza. Lingue, dialetti, festività e costumi sono curdi, e non turchi. A volte non mandano a scuola i bambini per evitarne l'obbligo di imparare la lingua turca, e durante il servizio militare che dura due anni, molti fuggono dall'esercito o si suicidano a causa del duro trattamento loro inflitto dai superiori in quanto minoranza etnica. Il loro passaporto contiene un segnale che permette alle dogane di identificarli in quanto curdi, e con tale stratagemma per loro diviene difficile uscire dai confini nazionali per lavorare.
Sin dai primi anni alcuni curdi mi parlarono di migliaia di morti sopratutto madri e bambini armeni, e in seguito, pur rischiando essi stessi l'arresto, mi condussero in zone impervie della montagna a documentare e raccogliere resti, oggetti e foto di tale triste passato. Trovai chiese distrutte, villaggi abbandonati, oggetti d'uso comune, macine da grano in pietra, grotte con migliaia di resti umani sgozzati nel 1915.

Monte Ararat (Turchia) - Il gregge di pecore
dell'autore dell'articolo, a circa 3000 metri

Il Grande Male”
Per anni continuai a documentare con foto, film e notizie raccolte dai pastori, ciò che portò alla “sparizione” sul monte spesso per sgozzamento o decapitazione, di circa 200.000 armeni, di cui il mondo non parlò! Quando anni dopo iniziai a proiettare e presentare mie pubblicazioni nella stessa Armenia, in alcuni atenei o a Parigi nella folta comunità armena, notai la meraviglia dei presenti, nel venire a conoscenza che una grossa parte del loro storico popolo antico era scomparsa sulle pendici e negli anfratti del loro sacro monte Ararat.
Il negazionismo turco che parte sin dall'insegnamento scolastico è continuato per decenni nel colpevole silenzio Europeo, prima all'epoca del genocidio e dopo con la mancata divulgazione postuma degli atroci eventi. “Il Grande Male”, come gli armeni chiamano il primo genocidio della storia moderna, non fu causato dalla differenza religiosa tra cristiani armeni e musulmani turchi. Il triumviro al potere del Partito dei “Giovani Turchi” progressista come almeno voleva presentarsi al popolo, vide nell'alta cultura espressa in ogni campo dagli armeni e dai greci, un potenziale pericolo. Essi avevano sviluppato i commerci in ogni dove, dalle flotte di navi che arricchirono Venezia, ai grandi musicisti, poeti e scrittori in Turchia, all'avanzata agricoltura in Anatolia, allo sviluppo di tecnologie in vari settori, quali l'edilizia. Ed infatti la prima fase del genocidio partì dai vertici culturali ed economici del Paese: a Costantinopoli vennero arrestati i primi 1200 notabili per essere poi torturati e strangolati, per divenire subito dei “desaparesidos”, i cui resti furono occultati alle famiglie.
Per continuare la mia ricerca anche sui resti dell'arca, dovetti acquistare un gregge di pecore con una famiglia curda di radici armene che negli anni crebbe. Con tale sistema permisi a loro di vivere un po' meglio, e a me di pagarmi le spedizioni con la vendita di alcuni agnelli e lana e di mimetizzarmi meglio con i pastori. Devo aggiungere che negli ultimi anni, la silente persecuzione e impoverimento delle popolazioni curde ha portato anche alla chiusura dei pascoli sulle pendici dell'Ararat.

Il diritto a idee diverse
Tale inasprimento ha tolto il cibo alle greggi, unico mezzo di sostentamento dei pastori. Con una serie di conferenze ho potuto inviare denaro per acquistare fieno che ha permesso di mantenere in vita gli armenti durante i rigidi inverni.
Dopo molti anni riuscii a trovare delle grosse porzioni di legno antico conservato nei ghiacci ad oltre 4300 metri, calandomi nei crepacci. Sono gli unici pezzi di legno di fattura umana ritrovati sull'Ararat, e alcune datazioni e studi sulle essenze hanno riportato all'epoca del diluvio e alle zone mesopotamiche di cui narrò la Genesi e l'Epopea di Gilgamesh.
Le successive esposizioni di immagini e materiale in due mostre a Venezia e le varie conferenze in diverse nazioni hanno permesso di divulgare anche le culture armena e curda, nonché le sofferenze di due popoli di origini indoeuropee antichissimi, che sfociarono in quasi 1.800.000 morti nel 1915, ed in altre centinaia di migliaia di curdi deceduti negli anni successivi a causa del freddo e delle privazioni inferte dal regime di Ataturk.
Una parte di me continua a vivere con tali popoli amici, e la ricerca di far luce su tali eventi del passato e del presente a noi vicini, credo possa spingere le future generazioni a saperne di più e ad impegnare le loro energie affinché tali popoli privati delle loro terre, famiglie e sopratutto della libertà di idee diverse, possano un giorno avere almeno una parte di ciò che spetta loro.

Azad Vartanian
www.noahsark.it

Leggere (e vedere) l'Armenia

“Armenia misteriosa”
nuovi sentieri editore

“Tevah, il mistero delle due arche”
nuovi sentieri editore

“Il soave suono del duduk”
nuovi sentieri editore

“I Fiori santi dell'Ararat”
nuovi sentieri editore fumetti storici

“Ararat, la montagna del mistero”
di Paolo Cossi ed. Hazard

“Medz Yeghern, il Grande Male”
di Paolo Cossi ed. Hazard documentari

“Ararat, la montagna misteriosa”
regia di Roberto Soramaè




Pesaro/
Cucine in Movimento

Si è tenuta a Pesaro, dal 18 al 20 maggio, la terza edizione del Festival delle Cucine in Movimento. “Dopo essere stato ospitato in due grandi realtà come “Eat The Rich” a Bologna nel 2016 e “CSO Forte Prenestino” a Roma nel 2017, il Festival approda in una classica, piccola realtà di provincia. Pesaro è solo apparentemente tranquilla e “pacificata”: le contraddizioni sociali non faticano ad emergere nonostante i tentativi, da parte dell'amministrazione comunale, di conferirle l'immagine di ridente cittadina costiera.”
È una Pesaro non “pacificata”, come scrivono gli organizzatori dell'incontro, quella della Spazio popolare autogestito Malarlevèt (che in pesarese significa educato male), erede dello storico centro sociale Oltrefrontiera, insediato negli anni Ottanta in un ex-asilo della città e che, dopo varie vicissitudini, è stato chiuso nel 2016 dall'Amministrazione comunale.
Ora al Malarlevèt il comune ha “concesso” uno spazio nell'estrema periferia della città. Edizione quindi difficoltosa, che ha visto i gruppi di lavoro svolgersi al Malarlevèt e il momento pubblico aprirsi invece al Parco cittadino Miralfiore, con una affluenza e visibilità decisamente penalizzate.
Sempre interessanti gli spunti di discussione, che prevedevano il ragionamento sulla filiera alimentare (in programma anche la presentazione dell'ultimo libro di W. Bukowski col suo Santa crociata del porco), e sull'argomento sempre attuale del rapporto tra “Organizzazione delle cucine, sostenibilità e conflittualità politica”, tema quanto mai attuale, visto lo stretto legame tra apertura di spazi sociali, vertenze politiche e cibo: la dialettica e l'autofinanziamento nei movimenti spesso passa per piatto e bicchiere.
Gli altri tavoli: l'“antispecismo, corpi ed ecologia politica”, e “lo sfruttamento del lavoro nella produzione di cibo e nel mondo della ristorazione”. Argomento importante, quest'ultimo, per gli organizzatori, con forte presenza del collettivo studenti della campagna Basta Alternanza e di alcuni militanti di Potere al Popolo, che ci dicono della vita dei più giovani pesaresi come spesso impegnati nel periodo estivo in massacranti turni nella ristorazione e macchina alberghiera della costa adriatica, e parlando della loro città sottolineano una presenza pesante dei Fast food: “Fast food che, oltre a proporre cibo scadente, hanno ora anche il vantaggio di avere mano d'opera gratuita, con la scusa della formazione.
A Pesaro si paventa inoltre la comparsa di un presidio di Eataly in pieno centro storico, in un locale che finora è stato utilizzato per attività sociali e culturali.
In programma anche la presentazione del libro di Laura Castellani “Essere contadine”. La giovane autrice, e non è sempre facile trovare un punto di vista di una donna anche nel mondo della nuova piccola agricoltura bio, è nota per le sue riflessioni sulle politiche di affidamento del patrimonio agricolo pubblico. Il legame tra abitazione, terreno e rete sociale è individuato da Castellani come nodo fondamentale per poter riorganizzare la vita su territori di latifondo che lo Stato (vedi la recente asta della Banca delle Terre agricole, nel 2017) pare avere ben poco interesse a mutare in terreni di agricoltura residenziale e non industriale.

Francesca Palazzi Arduini




Jesi (An)/
Libri con le ruote

L'archivio-biblioteca del Centro Studi Libertari di Jesi nasce dall'esigenza del gruppo anarchico locale di rendere disponibili documenti e libri per cercare di mantenere viva e libera la memoria collettiva per l'arricchimento culturale, sociale e politico; interamente autogestito e fruibile fin dall'apertura del CSL nel 1985 (riattivando il locale Circolo Studi Sociali del 1944-45), viene continuamente alimentato dalle donazioni di compagni e compagne che ritengono opportuno collettivizzare il sapere per renderlo accessibile agli altri.
Ad oggi conta più di 11.000 titoli, senza conteggiare i documenti e la pubblicistica.

L'archivio, suddiviso in emeroteca e fondi archivistici, è disponibile per consultazioni, mentre la biblioteca fornisce in prestito anche i libri che sono presenti in distribuzione, entrambi sono divisi in sezioni (Anarchica, Saperi, Memoria, Biblioteca Circolante) con le relative sotto-sezioni, consultabili online con l'opac libertario OLA (http://ola.bida.im).
La sezione Biblioteca Circolante comprende testi di qualsiasi genere che possono essere presi e/o scambiati, ovviamente la quantità e varietà dei libri dipenderà da chi contribuisce al ricambio di questi senza esaurire la riserva libraria.
In pratica è BookCrossing senza l'aspetto burocratico che concerne tale circuito.
Da giugno apertura estiva il sabato dalle 17.30.

Centro Studi Libertari di Jesi
Via Pastrengo 2A (Jesi - An)
cslfabbri@gmail.com




Piove di Sacco (Pd)/
Primo maggio anarchico

Anche quest'anno, ringraziando dio pluvio, siamo riusciti a organizzare e portare a termine la festa del I° maggio. Abbiamo scelto la stessa “location” degli altri anni perché è un boschetto con annesso casone (antica abitazione della campagna veneta), dove si può stare tranquilli, discutere, ascoltare musica, far giocare i bambini senza paura e stare in compagnia senza essere disturbati da vicini o persone indesiderate.

Piove di Sacco (Pd) - Primo Maggio anarchico
promosso dall'Ateneo degli Imperfetti di Venezia-Marghera

Il “Coro degli Imperfetti” e il gruppo “Berretto Frigio” hanno dato una connotazione politica alla festa, entrambi con canzoni di lotta e di Anarchia interpretate e arrangiate in diversi modi. Poi il gruppo “I fioi de na volta” (I ragazzi di una volta) gruppo di simpatizzanti, ha alleggerito la festa coinvolgendo in canti e balli i partecipanti.
La festa è stata innaffiata da buon vino (senza esagerare) e cibi a volontà condivisi, da e fra tutti, come è prassi in una società libertaria. Tutti hanno collaborato sia alla preparazione sia al disbrigo dell'area con i tavoli e le sedute.
Grande successo hanno avuto la bancarella dei libri e la proposta di stampe d'autore in vendita per finanziare i lavori di ristrutturazione dell'Ateneo. Come è noto, spinti dalla speranza che la sede dell'Ateneo continui ad essere una fonte di ricerca e produzione del pensiero anarchico, la casa è stata acquistata confidando nella partecipazione di tutti.

Diego Gastaldi



Addio Soazza bella


foto di: Daniela Zarro

Soazza (Svizzera), 5 maggio 2018 - Soazza è un paesino quasi in fondo alla valle Mesolcina, nel cantone dei Grigioni. Altezza sul mare: 623 metri. Nell'ospitale casa di Edy e Daniela nonché sede de Les Milieux Libres Edizioni, un sabato pomeriggio la redazione di “A” si è incontrata con alcune anarchiche e anarchici per impostare un dossier sul passato e il presente del movimento anarchico e delle attività libertarie nella Svizzera italiofona cioè nel canton Ticino e in parte di quello dei Grigioni. Chi fosse interessato al progetto contatti direttamente edy.zarro@bluewin.ch.