rivista anarchica
anno 48 n. 423
marzo 2018




L'arpa di Raoul

Intervista a Raoul Moretti

Capita, alle volte, di imbattersi in uno strumento e nel suo “suonatore” che riescono a sgretolare la “gessatura” a cui sono stati sottoposti dalle gerarchie e dai generi musicali e dai “criptocomusici” che scompongono le anime e le vibrazioni del suono e di chi le produce per relegarle a ruolo di icone e immaginari collettivi, per vendere un prodotto invece che provare a esaminare quanti mondi dialogano in un unico tessuto sonoro.
Nel caso specifico, lo strumento è un'arpa e il suo “suonatore” è Raoul Moretti, una sorta di scultura sonora (la definizione sarebbe piaciuta molto al maestro Sciola...) che è l'alchemica fusione di un corpo sonoro e di un “corpo pensante” in perenne dialogo con il circostante (pubblico, spazio, tema, stati d'animo) e che riverbera suoni e atmosfere che da sempre si insinuano nella umana e complessa ricerca evolutiva e si agitano sul confine dell'animo profondo dell'animale uomo che, come sappiamo, troppo spesso, in una faticosa quanto sterile ed inutile rappresentazione dell'io, si lascia ingabbiare, anzi, incasellare nella tana-trappola del genere ad uso e consumo delle masse da educare e dei rispettivi cattivi maestri che dirigono il traffico dei saperi. Come si sta dentro il branco musicale cercando di essere pecora nera per non assimilarsi, lo chiediamo all'“ingenuo” Moretti.

G.F.

Raoul Moretti - È stato un processo naturale se si considera il proprio strumento come un puro mezzo espressivo nella continua ricerca di se stessi come individuo e come artista. Se poi razionalizzo e mi guardo alle spalle nel percorso fino a qui in qualche modo il costume da pecora nera me lo hanno visto addosso: arpista uomo in un universo femminile, unico nella classe di Conservatorio e all'epoca uno dei pochi non solo in Italia per quanto riguarda l'arpa classica; uno dei primi ad adottare un'arpa elettroacustica e a portarla in mondi musicali e luoghi diversi da quelli dove ti aspetteresti di trovarla, creando un ponte tra colto e popolare; ed ora negli ultimi anni impegnato in un percorso esplorativo delle potenzialità sonore ed espressive dell'arpa elettrica, scevro comunque da obiettivi prettamente commerciali.

Gerry Ferrara - Alla stregua di questo primo ragionamento, ritieni dunque importante, legittimo, definirti artista “non convenzionale”. Non metti in conto, quindi, il rischio di essere anacronistico, ruffiano, un po' naïf insomma...
Alla luce di quanto detto, la definizione “non convenzionale” mi è stata attribuita da non ricordo più chi, e qualche anno fa non mi dispiacque, anche perché, in un mondo arpistico che era ancora molto ingessato e lo è ancora in parte, rappresentava un buono spunto per la comunicazione, aspetto che conta oggi molto. Poi sono d'accordo con te, come ogni definizione, dopo un po' inizi a sentirla anacronistica, limitante, forse anche ruffiana. Sarebbe bello definirsi solo con nome e cognome e stop: questo sono io e mi sono ritrovato ad imbracciare questo strumento per raccontare qualcosa, anziché una penna un pennello o altro.

Torniamo al concetto di animale umano, alla sua natura e al suo profondo che deve arginare la deriva delle troppe sollecitazioni esterne e soprattutto dalle dogmatiche imposizioni che schiacciano... quando e come ti sei accorto che la tua espressività e la tua voce erano tra le corde di un'arpa.
L'approccio con lo strumento è stato del tutto casuale e per andare oltre i limiti che mi sono ritrovato dalla formazione classica, da cui ho però avuto la necessaria disciplina e tecnica, ho dovuto usare altri “trucchi” per scardinare tali blocchi mentali. Ho utilizzato quindi il pianoforte, strumento del quale non avevo la stessa padronanza, e che non mi trasmetteva tale sudditanza, ho fatto teatro e danza, lavorando sui miei limiti, fino a quando ho sentito che l'arpa poteva diventare il mio mezzo espressivo e che poteva rappresentarmi. E questo processo artistico si è sempre affiancato dal confronto e condivisione con altri colleghi musicisti ed artisti, che sono stati preziosi partner per tratti di strada più o meno lunghi e che hanno ampliato i miei orizzonti.

Sarebbe troppo facile chiederti le fonti di ispirazione e i punti di riferimento per il tuo percorso, raccontaci magari in che modo ti sei smarcato da facili accostamenti e quale la chiave di lettura personale per provare ad interagire con l'affascinante e iconografico mondo dell'arpa per trasmettere il tuo linguaggio e la tua visione sonora.
Anche in questo caso è un percorso che è fluito in maniera naturale e che ha attinto dalla propria formazione musicale, dal background di ascolti, dagli incontri e confronti, dalle lunghe sessioni notturne di fluire sonoro suonate per il puro piacere, dalle chiacchierate importanti, dal sentire delle proprie reazioni e vibrazioni interiori. Ci sono ovviamente “modelli”, ovvero artisti in tutti i campi che piacciono particolarmente, dalla pittura al cinema, dal teatro alla musica, ed anche per il mio strumento colleghi di cui ammiri la tecnica, la padronanza, l'espressività, la composizione, il percorso artistico, etc.
Peraltro non mi sono mai sottratto al confronto con l'iconografia dello strumento, la sua storia e le sue tradizioni popolari, su cui ho anche prodotto una tesi di laurea. Ma ci sono elementi fulcro che in qualche modo danno una lettura personale e rappresentano la cifra stilistica, e sono la fascinazione del suono come elemento di partenza e la narrazione: sono sempre stato attratto dalla modalità di emissione del suono, quindi una particolare attenzione a questa tecnica, che poi in termini più ampi ha portato alla ricerca con l'utilizzo dell'elettronica e l'accostamento timbrico inedito con altri strumenti. E tramite il suono volere comunque sempre raccontare qualcosa: un concetto, un'immagine, uno stato d'animo, una storia.

Attraverso le parole di Gaber e Luporini

Arpa classica, arpa elettrica, Harpscapes, Harpness, una sorta di Homo Sa(r)piens e dei suoi paesaggi sonori che hanno avvicinato ai tuoi mondi molti artisti che, grazie alla tua “illogica” forma d'arte, sono riusciti a sfatare il luogo comune dell'arpa come “totem” di granitiche rappresentazioni dando vita a collaborazioni e progetti innovativi e originali. Raccontaci alcune di queste collaborazioni.
L'utilizzo dell'arpa in questa chiave espressiva rappresenta sempre una sorpresa per gli altri musicisti, che non conoscono le potenzialità. Le collaborazioni sono state tante, ma riallacciandoci a quanto detto precedentemente ricordo: Vibrarpa (ancora attiva) per l'inedito abbinamento arpa e vibrafono con Marco Bianchi, che ha portato ad inventare e scrivere un repertorio che non esisteva, aprendo una strada del tutto nuova; Blue Silk con il chitarrista Matteo Giudici, per l'esplorazione sonora, la tessitura compositiva e l'interazione con differenti arti, dalla pittura al teatro, dalla danza alle installazioni; con Nichelodeon di Claudio Milano, che affidando all'arpa una centralità nel doppio album Bath Salts mi ha fatto vedere nuovi orizzonti e mi ha dato la possibilità di collaborare con musicisti incredibili; con la fantastica violoncellista Julia Kent, con cui spero nuovamente di condividere i nostri mondi sonori. Rimanendo alle collaborazioni con cantanti quelle con Beppe Dettori ed Essential Duo con Tullia Barbera mi hanno portato ad esplorare le potenzialità dello strumento nel linguaggio pop, in parte anche più mainstream.
Il teatro è stato una grande palestra per la produzione di musiche di scena dal vivo e non: da quelle con la Coop. Attivamente di Como, di cui sono stato uno dei fondatori, fino a quelle con il Teatro Piccolo di Milano e con la splendida attrice Isabella Carloni fino agli ultimi reading-performance con il poeta Andrea Melis.

Raoul Moretti
(foto di Fabrizio Massidda)

Incontrando nuovi compagni di viaggio

Ti ho definito “ingenuo” e “illogico”, citazioni gaberiane che hanno un senso preciso nella tua scelta di muoverti “da solo” con...
Eh sì, parlando di teatro e di interazione con la parola arriviamo ad un progetto che mi rappresenta fortemente in questo ultimo periodo, insieme a quelli “da solo” Harpscapes e Harpness. Parliamo di “Sto bene, proprio ora, proprio qui”, rivisitazione delle tematiche gaberiane che condivido con te e di cui ti sono profondamente grato. Abbiamo trovato una chiave personale per raccontare noi stessi attraverso le parole di Gaber e Luporini, quella fase di teatro-canzone, in cui hanno saputo così profondamente fotografare l'animale uomo, e lo spettacolo è diventato anche il nostro specchio con cui ci mettiamo a nudo con le nostre debolezze e contraddizioni, una seconda pelle sulla cui superficie riverberano di volta in volta gli stati d'animo che risalgono dalla profondità, con i quali ingenui ed illogici attraversiamo la vita.

Non convenzionale anche nella scelta di “andare a sud”, come era naturale fare fino a qualche decennio fa, per cercare una terra dove il tempo e lo spazio per ricominciare (cito Faber) fossero prerogative irrinunciabili. E sei approdato in terra sarda. Qui, hai trovato naturale collocazione dei tuoi “istinti arpici” innestando sul territorio (ormai da tre anni) le tue sedimentazioni e i tuoi viaggi e le tue molteplici esperienze nel mondo “intellettualmente popolare” (spero l'ossimoro sia di tuo gradimento) tradotte con un festival delle arpe da mondo. Raccontaci...
Sì, dopo aver trovato io casa a Sud, doveva trovare casa anche l'idea di un format di festival che avevo in mente e che nasceva dalle partecipazioni in giro per il mondo a vari festival dell'arpa ed dall'incontro con fantastici musicisti. Un festival che doveva fondarsi sull'ospitalità e sulla condivisione di esperienze tra artisti, sull'interazione con il territorio, su eventi vari e diffusi e incontri con le scuole, seguendo le linee guida finalizzate a mettere maggiormente in luce la tradizioni dell'America Latina ed i progetti innovativi legati all'arpa. Così è nato Arpe del Mondo, grazie a piccoli finanziamenti istituzionali, l'appoggio di qualche ambasciata, una fitta rete di supporto locale e la preziosa produzione dell'Ente Concerti Città di Iglesias, che ha dato casa al festival. Anche questo festival ha contribuito a dare dell'arpa una visione non stereotipata e con eventi diffusi, dai balconi agli orti botanici, dalle scuole ai teatri, ha raggiunto un'ampia fetta di pubblico che non conosceva questo strumento.

In qualche misura, anche inconsapevole, sei una sorta di odierno cantastorie... quale storia, luogo, stato d'animo, vorresti raccontare con la tua arpa per provare ad armonizzare (chiudo citando ancora il Sig. G.) “uno spazio vuoto che va ancora popolato”.
Se continuerò ad usare l'arpa come un mezzo espressivo continuerò anche in qualche modo a raccontare me stesso, in quanto me stesso quindi l'uomo con le sue mille contraddizioni, attraversando stati d'animo, incontrando storie che mi suggestioneranno e vorrò raccontare, esplorando mondi sonori che mi emozioneranno. E citando un altro cantautore (Fossati), “la voglio fare tutta questa strada fino al punto esatto in cui si spegne”, incontrando nuovi compagni di viaggio con cui condividerla e qualche anima (cento o un milione chissà) che si rispecchierà nel nostro lavoro.

Un dubbio rimane, l'arpa sarà di destra o di sinistra?

Contatti:
www.raoulmoretti.it
https://www.facebook.com/UnconventionalHarpist/

Gerry Ferrara