rivista anarchica
anno 48 n. 423
marzo 2018




Due tipologie di conversione


1.
Nel suo accurato tentativo di indagine sull'inquieta figura di Shaul, o Paolo, di Tarso, vissuto nel primo secolo (d. C.) e presumibilmente morto intorno all'anno 63, Riccardo Calimani mette innanzitutto in evidenza come, sia in quello che con una certa approssimatezza possiamo chiamare “medio oriente” che nella penisola italica – e segnatamente in Roma –, il cristianesimo ha trovato un brodo di cultura ideale per sorgere e, poi – piuttosto rapidamente – per imporsi. In particolare, Calimani pone l'accento sul culto del sovrano, su alcune caratteristiche delle religioni misteriche e sulla filosofia stoica. Il politeismo cominciò a perdere parte del suo fascino con l'affermazione, in età imperiale, di un “panteismo solare” che promuoveva l'idea di una “supremazia di una sola divinità astrale” – idea che, ovviamente, venne utilissima allorquando Augusto, per consolidare il proprio potere, cominciò a farsi chiamare, prima, divi filius (nel 40 a. C.) e, poi (nel 27 a. C.), Augustus, che, in pratica voleva dire più divino che umano. Nelle varie religioni misteriche orientali già si prevedeva pasti sacri, ovvero assunzioni di cibi elevati a simboli di Dio, nonché riti iniziatici che favorivano la “purificazione” di un “ corpo” all'interno del quale l'anima non poteva
che essere sofferente. L'idea della “salvezza” di quest'anima una volta “liberatasi” del corpo prese così piede in alternativa a quella, più rassicurante ancora (almeno nei casi fortunati) che, con l'anima, sarebbe anche risorto il corpo. Un esempio portato da Calimani è quello del dio Attis, passibile di “essere sacrificato come offerta di propiziazione per la gente e per i suoi peccati e che sarebbe risorto per una vita eterna”. La stessa filosofia stoica, infine, cui si ispirarono Posidonio, il suo allievo Cicerone, Seneca, Plinio ed Epitteto contribuì a creare un clima etico in cui il premio alla virtù e il rifiuto del “piacere puramente edonistico” diventano il paradigma più idoneo per la convivenza sociale. Seneca, in particolare, nel De beneficiis, “si sforza di gettare le basi della fratellanza umana” e invita espressamente alle “buone azioni” come indispensabile complemento delle virtù. Insomma, tra l'a. C e il d. C, gli elementi di continuità non mancano e, volendo, ce n'è a iosa.
Va da sé, allora, che, tra le tante affinità, non si possa ignorare quella tra ebraismo e cristianesimo – e non a caso il libro di Calimani si intitola Paolo l'ebreo che fondò il cristianesimo. A pensare a quante vite sono state malamente stroncate in nome di una differenza tra queste due religioni si rimane sgomenti: fino a che punto può giungere l'idiozia umana e via rigirando il coltello della storia in una piaga collettiva.

2.
Così, tanto per ricordare come sono andate le cose – fino all'“altro ieri”. Il “Corriere della Sera” dell'11 gennaio 1939 relaziona del discorso di padre Agostino Gemelli – l'omaggiatissimo fondatore dell'Università Cattolica di Milano –, il giorno prima, all'Università di Bologna, commemorando Guglielmo da Saliceto, e dice che “il pubblico presente aveva sottolineato con particolari applausi quando l'oratore aveva espresso il pensiero della Chiesa nei riguardi degli ebrei, ed aveva fustigato severamente coloro che, oltre frontiera, seguivano la politica della mano tesa”. Riportando, altresì, quella che Ernesto Rossi definì la “patetica conclusione del frate francescano”: “Tragica, senza dubbio, e dolorosa la situazione di coloro che non possono far parte, e per il loro sangue e per la loro religione, di questa magnifica Patria; tragica situazione in cui vediamo, una volta di più, come molte altre nei secoli, attuarsi quella terribile sentenza che il popolo deicida ha chiesto su di sé e per la quale va ramingo per il mondo, incapace di trovare la pace di una Patria, mentre le conseguenze dell'orribile delitto lo perseguitano ovunque e in ogni tempo”.

3.
Roberto Carusi, noto attore teatrale ormai in pensione ma ugualmente attivo e partecipe del mondo, abita a Milano nei dintorni di via Padova, una zona ad alta concentrazione di immigrati che lo chiamano “zio” – che, come titolo di rispettoso merito, lo conosco perché è riservato anche a me, nel mio quartiere. In cerca di lapidi care, Carusi si attarda a Musocco, nel Cimitero Maggiore, e immagina di scrivere una lettera ai suoi genitori. Ne scaturisce un amabile libretto di sobrietà esistenziale, Cattolico di ventre ebreo, che, mentre sommessamente testimonia di un'epoca ormai trascorsa, è l'occasione per far emergere i nodi cruciali di quella riserva di dolorosa incertezza che l'autore definisce come “mitologia familiare”. Tutti quanti ne abbiamo una, con la quale dobbiamo fare i conti – non facili, come quelli che dobbiamo fare con qualsiasi mitologia. La lacuna – l'omesso, il mancante, il rimosso, il cancellato –, infatti, caratterizza la narrazione mitologica. Deputata a sedare le nostre ansie, a conferirci un passato affidabile alla meno peggio, ci richiede implicitamente di sospendere la nostra incredulità e ci trascina in avanti, sempre e comunque, accontentandosi di una coerenza minore, di un racconto dove numerosi restano gli spazi bianchi e dove non tutte le parole hanno davvero un significato.
La mitologia familiare di Carusi deve sopportare, allora, i silenzi relativi alla “conversione” della nonna e della mamma – “fatte cattoliche” per sentirsi più a loro “agio” con “il resto della famiglia” –, il tacitato orrore di tre zie “ammazzate ad Auschwitz”, pianti improvvisi e non giustificati agli astanti, vaghezze in ordine a parenti dispersi, discorsi interrotti a danno tanto della logica quanto della relazione in atto.
Fra il detto e il non detto della crescita dei figli, ci sono anche gli estremi della compatibilità tra una mamma “convertita” ed un padre, figlio di un anarchico di Carrara, poco incline ai rituali della religiosità esibita – un “babbo” con il suo “consueto sguardo arguto” solidalmente unito ad una “mamma” con il suo “inconfondibile sorriso”. Ci si chiede, dunque, cosa li abbia tenuti assieme e ci si risponde, ovviamente, che – a differenza di quanto accaduto nel rapporto tra cristiani ed ebrei – l'amore può far superare qualsiasi barriera culturale. Ma, intrufolandosi nei ricordi più e meno disordinati di Carusi, ci si imbatte in una figura demiurgica come quella di David Maria Turoldo (1916-1992), “il tormentato ed entusiasta frate poeta”, antifascista scomodo per la Chiesa ed orgogliosamente cosciente delle necessità della lotta di classe. Come nel Gesù ebreo zelota ipotizzato da Samuel Brandon, fede e ribellione in Turoldo vengono forzate ad una loro complementarità inducendo a pensare che, così come, a suo tempo, hanno costituito il rapporto tra un uomo e una donna, più tardi hanno informato di sé anche chi da questo loro rapporto è nato.

4.
Mentre i motivi della “conversione” della mamma di Carusi sono chiari o comunque del tutto comprensibili nonostante quel minimo di opacità che sempre si deve concedere ad ogni comportamento umano, i motivi della “conversione” di Shaul Paolo – motivi che l'avrebbero fatto diventare poi “San Paolo” – lo sono molto meno. Il destro – a suo dire – glielo diede la famosa caduta da cavallo sulla via per Damasco: “Udii dal cielo una voce che mi diceva in ebraico” (si noti la lingua e, soprattutto, il fatto che lui la faccia notare) “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Ma, come sottolinea Calimani insieme ad altri, “se Paolo si 'convertì' da qualcosa a qualcos'altro, certamente non fu dall'ebraismo al cristianesimo”, perché Paolo “continuò ad essere ebreo sino al giorno della sua morte” – constatazione di un fatto che “molti cristiani di oggi preferiscono trascurare e che molti studiosi ebrei trovano esasperante”. Rispolveratosi e rendendosi conto di essere ancora tutto intero, rispondendo alla “chiamata”, Shaul Paolo “non ebbe affatto la sensazione di cambiare religione, di convertirsi, ma piuttosto quella di servire Dio con lo stesso zelo su una sponda ebraica differente, magari attraverso un cambiamento di setta ma pur sempre nell'ambito di una fedeltà di fondo alla tradizione ebraica”. La seconda Lettera ai Corinzi (11,22) lo conferma.
La rabbia indotta dalle contraddizioni, allora, cresce. Tanto sangue sparso, un conflitto che perdura nei secoli, originato da qualcosa che risulta inaccessibile – tradizioni narrative zeppe di lacune che, intangibili perché sacralizzate, provano a parlarci di persone che, mitologie per accondiscendenti complici e benevoli, della persona non hanno più addosso alcunché o, comunque, se mai l'hanno avuto, non hanno più quei requisiti minimi affinché noi le si possa considerali tali.

Felice Accame

Nota
Paolo, l'ebreo che fondò il cristianesimo di Riccardo Calimani è stato pubblicato da Mondadori nel 1999 e riedito nel 2017. Le citazioni sono tratte dalle pagine 17, 30, 35-39, 141, 155-159. Cattolico di ventre ebreo di Roberto Carusi è stato pubblicato da Mursia, a Milano, nel 2017. Gesù e gli zeloti di Samuel Brandon, il cui sottotitolo è Il cristianesimo sovversivo prima di Paolo (e non è un caso se lo cito in questa circostanza), è stato pubblicato, da Rizzoli, a Milano nel 1983 e riedito da Pgreco, a Milano, nel 2014.