   
                 
                 
                  Quasi incontri (II) 
                Proseguo sulla rotta intrapresa nel numero 
                  scorso raccontando dei miei quasi incontri – uno è 
                  roba di questi ultimi tempi, l'altro prende spunto da un appuntamento 
                  mancato più di trent'anni fa. Sono occasioni cominciate 
                  e lasciate lì, incontri forse troppo brevi per poterli 
                  chiamare tali e che mi hanno lasciato dentro una voglia grande 
                  e ricorrente di essere ripresi e migliorati e approfonditi. 
                  Trovo che le occasioni avessero bisogno di attenzione maggiore 
                  di quella che sono riuscito a rastrellare, e spero che queste 
                  pagine siano una scusa buona per ritrovarsi, stringersi ancora 
                  le mani, raccontarsi meglio.  
				La valigia dei suoni 
		        Arrivo dai bambini con la mia valigia rossa piena di strumenti, 
                  loro già la conoscono e fremono perché io la apra. 
                  La faccia di un bimbo emozionato, curioso e pieno di voglia 
                  di fare è una meraviglia che riempie di energia e mette 
                  sempre di buonumore. 
                  Apriamo la valigia, tiriamo fuori tamburelli, piccole percussioni, 
                  sonagli, flauti a coulisse, lamine, piattini, xylofono, nell'entusiasmo 
                  che cresce. E poi tiro fuori lei, la preferita, la campana tibetana. 
                  I bambini hanno un sacco di reazioni ben visibili quando ascoltano 
                  questo suono ancestrale, silenziosi e a bocca aperta. Tremano 
                  emozionati, si placano come al suono di una ninna nanna, chiudono 
                  gli occhi, e ovviamente vogliono provare a suonarla. 
                  Un'ora di gioco, sperimentazioni solitarie e collettive, 
                  piccole conduction, suoni, rumori, canti e sussurri, piani e 
                  forti. Sorrisi, sfoghi di energia. Gioia e divertimento. Senza 
                  insegnare nulla, solo guidandoli nelle loro sperimentazioni 
                  e offrendo loro la possibilità di piccole/grandi esperienze. 
                  Alla fine non vogliono farmi andare via, e anche io resterei 
                  con loro per ore: sento il grande sorriso che ho stampato in 
                  volto. 
                  Per me è il modo più bello di essere “insegnante 
                  di musica”: quello di far scoprire loro come suonare, 
                  semplicemente suonando insieme, prima ancora di insegnare delle 
                  tecniche. Trasmettere entusiasmo e passione, prima di imparare 
                  a fare una scala o leggere un pentagramma. 
                  Ascoltare il silenzio prima di suonare. 
                  Suonare, prima di imparare a suonare. 
                   
                  Vi ho già detto degli Improvvisatori di Valdapozzo (vedi 
                  “A” 417) - alla presentazione del cd lo scorso 
                  luglio sono stato invitato anch'io addirittura come nuovo acquisto 
                  dell'orchestra così ho potuto incontrare di persona grande 
                  parte dei miei nuovi compagni musicisti, da Luca Serrapiglio 
                  e suo fratello Andrea a Stefano Radaelli sassofonista curioso 
                  di come parlo (vedi 
                  il numero scorso di “A”).  
                  Luca Serrapiglio, dunque - una frequentazione di curiosi molto 
                  molto curiosi, lui è uno che gira per giri tutti suoi, 
                  un percorso dentro e fuori dalle righe disegnate sulle mappe 
                  abituali. Un percorso lungo ed un accumulo importante di studi 
                  ed esperienze (danza, centrosociale, conservatorio, insegnamento, 
                  banda e jazz per dire qualchecosa) ma noto che lui mette sul 
                  suo sito una discografia breve introvabile nei negozi ed una 
                  biografia che è un elenco di persone a cui è riconoscente. 
                   
                  “Tra le altre cose sono un musicista, un improvvisatore, 
                  uno che suona e che scrive musica” – è così 
                  che si presenta, Luca è roba da appassionati. Io lo conoscevo 
                  appena appena anzi quasi per niente, non l'avevo mai incontrato 
                  prima: mi aveva parlato di lui Nicola Guazzaloca che mi aveva 
                  anche passato un paio di cd con Luca dentro, poi avevo letto 
                  le note che Luca aveva scritto a proposito del progetto dell'orchestra 
                  degli Improvvisatori - parole che mi avevano velocemente preso 
                  all'amo perché, se pur provenienti dalla bocca di un 
                  musicista che sapevo essere di formazione accademica (per un 
                  misto personale di esperienza e pregiudizio mi aspettavo un 
                  po' di polvere e di ruggine mentale), erano invece agitate il 
                  giusto e ricche anzi ricchissime di quell'entusiasmo che anima 
                  certi sperimentatori che mi piacciono.  
                
                 Incontrandolo di persona, anche se per qualche ora soltanto, 
                  standoci un po' insieme ed ascoltandolo suonare dal vivo penso 
                  di aver potuto comprendere meglio la sua idea di libertà 
                  - che è un posto grande, immenso, senza confini, un posto 
                  che assomiglia al mio che tengo dentro ai sogni. Come mi sono 
                  trovato bene sprofondato nella sua musica, a sguazzarci dentro, 
                  a respirarla, come la sua musica mi ha fatto viaggiare. Vedere. 
                  Immaginare. Arricchire, ecco: da Valdapozzo sono ritornato a 
                  casa arricchito di un'esperienza importante. Mi sono ritrovato 
                  presto a riflettere sulla fortuna di questo incontro, e proprio 
                  per questa fortuna e per tutti i motivi che ho cercato di riassumere 
                  nelle righe precedenti mi ritrovo in grande difficoltà 
                  a segnalare qui e adesso dei dischi. A un certo punto non è 
                  neanche più una questione di bravura, bravura come la 
                  si intende comunemente cioè, e non mi basta affatto stare 
                  qui a raccontarvi di quanto questo e quello e quell'altro sono 
                  bravi - perché bravura è altro e non la si misura 
                  in termini di velocità destrezza palestra funambolismo, 
                  non mi va proprio di farlo.  
                  Di Luca Serrapiglio mi ha preso la persona nel suo complesso: 
                  certo suona in una maniera che non è abbastanza chiamare 
                  strabiliante, ma l'emozione che ne ho ricavato è ben 
                  più ampia, e non si ferma ad un disco o al musicista. 
                  Nella mia testa per tradurla in parole faccio fatica a staccare 
                  il Luca che suona e crea meraviglie dal Luca che era impegnato 
                  a sistemare la stanza per accogliere tutti quando arriviamo 
                  a Valdapozzo, dal Luca conduttore sguardo magnetico che si mette 
                  in contatto telepatico coi suoi compagni musicisti e succede 
                  che il suono gli si materializza intorno, dal Luca che porta 
                  alla cena collettiva serale il cibo che ha preparato e cucinato, 
                  dal Luca con cui mi ritrovo a parlare a raccontarmi a ragionare, 
                  a lanciare cime dalla mia barca alla sua riva e lui che le lancia 
                  a me, dalla sua barca alla mia riva. 
                  Dimenticate tutte le divisioni, i generi e sottogeneri e sottosottogeneri 
                  musicali, dimenticate le etichette e le specializzazioni, dimenticate 
                  come fate a distinguere quelli bravissimi quelli bravi e quelli 
                  meno bravi: chiamatelo a suonare, apritegli le porte, spalancatele, 
                  svitate le serrature dalle porte, togliete anche le porte dai 
                  cardini... 
                   
                  Contatti: www.lucaserrapiglio.com 
				 I 
                  35 anni di Radio Libertaire  
		        Ci sono stato una volta soltanto e direi grossomodo una trentina 
                  d'anni fa, nella sede di rue Amelot, invitato da Bart Plantenga 
                  - uno dei collaboratori di allora che però poi sono rimasto 
                  lì ad aspettare per ore, chissà dove e come si 
                  sarà perso. Ma magari avevo sbagliato io, forse era per 
                  un altro giorno o un altro momento mica è da escludere 
                  - comunque con Bart non ci si è più scritti, penso 
                  abbia cambiato casa (ne ho avuto conferma da un veloce giro 
                  in rete), poi comunque di lì né in radio né 
                  in libreria ci sono più passato. Per dire, mica è 
                  così facile per me prendere su e andare a Parigi.  
                  L'occasione mancata con Bart mi è ritornata in mente 
                  perché per festeggiare il recentissimo 35esimo compleanno 
                  Radio Libertaire ha pubblicato una raccolta in formato misto 
                  (dieci pezzi su vinile, altri sette su compact disc): salta 
                  velocemente all'occhio e all'orecchio che è una di quelle 
                  raccolte organizzate come si faceva una volta, una di quelle 
                  iniziative cui ci si aggrega ed affolla intorno non tanto per 
                  affinità di stile quanto per un sentire comune, per tutto 
                  un insieme di ragionamenti e simpatie. Le forme espressive musicali 
                  sono senz'altro distanti ma sono proprio le loro differenze 
                  a costruirne la ricchezza: l'insieme risulta essere un indefinibile 
                  e inspiegabile e magico “molto di più” di 
                  una compilation di singole canzoni da consumare separatamente. 
                  Per dare l'idea forse migliore brano d'apertura non poteva essere 
                  che “La Marseillaise en Créole” dei Lo'Jo, 
                  collettivo girovago di musicisti saltimbanchi mimi ballerini 
                  etc. attivo dai primi anni Ottanta. Il gruppo, fondato da Denis 
                  Péan, cambia continuamente formazione e orientamenti 
                  spaziando dal jazz zingaro contaminato coi suoni nordafricani 
                  alla chanson francese più tradizionale così come 
                  la conosciamo da questa parte delle Alpi, una specie di folk 
                  immaginario dai mille odori e mille colori.  
                  E nonostante le Alpi, ficcate lì in mezzo a separare 
                  lingue musiche pensieri canzoni e poesie, cosa che sanno fare 
                  con mestiere (dico per me, 'sta cosa con Alessio Lega non gli 
                  funziona), fra gli altri partecipanti trovo qualche nome in 
                  cui ignorantone sono inciampato pure io vecchio punkettaro anglofilo 
                  - per dire, Jo Dahan che suonava il basso con i Mano Negra, 
                  il bluesman malgascio Tao Ravao (se magari vi capita di fare 
                  un giro su YouTube soffermatevi su alcuni spezzoni dal vivo 
                  irresistibili), e due vecchie conoscenze di quando ero ragazzo 
                  cioè lo sperimentatore Jean François Pauvros e 
                  gli Urban Sax, ciascuno un'isola ideale per un naufragio felice. 
                   
                   
                  Info al link dell'etichetta www.visalelabel.fr 
                  e ovviamente su radio-libertaire.net. 
                 
                 Marco Pandin 
                  stella_nera@tin.it 
				  
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