rivista anarchica
anno 47 n. 418
estate 2017






Il silenziatore delle parole

Nel linguaggio scientifico era definito un “modulatore di frequenza mentale”. Un dispositivo che, grazie all'innesto di una memoria artificiale, permetteva di conversare amabilmente, dirottando altrove i pensieri. Lui preferiva chiamarlo il silenziatore delle cazzate. Un tizio ti parlava, e tu potevi ignorarlo senza darlo a vedere, perché le giuste risposte e le doverose pause erano affidate a una specie di pilota automatico della conversazione, una segreteria telefonica della mente che registrava gli impulsi dell'interlocutore ed elaborava in tempo reale le corrette reazioni vocali ed espressive. Al termine della conversazione, la segreteria si azzerava, pronta a neutralizzare nuovi scocciatori.
Gli era bastato un intervento di routine: un'applicazione sottocutanea per espandere i confini del pensiero. Da uno a duplice. Così stava accadendo in quel momento. Si sentiva fluttuare nelle proprie fantasie, nonostante un collega lo stesse sommergendo da dieci minuti di sfoghi e risentimenti. Parlava di una donna con cui aveva una relazione, e ogni tanto si addentrava nell'insidioso terreno dei rapporti di lavoro, lasciandosi andare a confidenze velenose su direttori e sottoposti.
Lui si sentiva al sicuro. Il pilota automatico non tradiva le attese. Era riservato, cauto, sempre attento a dare risposte neutre, non compromettenti, sufficientemente comuni per non destare il sospetto di un trucco. Grazie al silenziatore di cazzate, si poteva finalmente respirare nell'aria avvelenata di quotidianità. Troppe persone, ogni giorno, commettevano gli stessi errori, dimentichi dell'esperienza, quasi volessero dimostrare a se stessi che ogni miglioramento era inutile. Lui invece aveva impresso una svolta alla sua vita. Poteva abbandonarsi a un sogno a occhi aperti, mentre l'altro parlava, parlava...
Raggiungere un rifugio mentale.
Immaginare il posto più lontano del mondo che sapesse stupire e rendere superflua tutta quella situazione.
L'isola di Pasqua.
Migliaia di chilometri di separazione dalla terraferma. Un luogo ancestrale, carico di mistero, lontano dagli abissi della mediocrità, dalle superbombe e dalle celle, dai tranelli del successo e dall'inutile fardello del lavoro. Altre fantasie arrivavano, mentre il collega mitragliava parole...
Su quell'isola, immaginava, la rete e i suoi tentacoli social erano paragonabili a un cartone animato visto da lontano...
Se ne stava beatificato in quella visione di fuga quando la voce molesta del collega irruppe con la violenza di un martello gettato sopra un cristallo. E i suoi pensieri andarono in frantumi.
<...e dunque, dimmi, che cosa dovrei fare? Non credi sia un bel problema? Che dici? Un vero dilemma.... Su, dai, dimmi che ne pensi>
Mentre quello incalzava, lui tentò di rovistare nella segreteria mentale per riprendere il filo della conversazione, ma la memoria artificiale era intasata, al limite della capacità, sconfitta dalla loquacità di quel tizio che adesso reclamava risposte.
<Allora? Ti sei imbambolato?>
<Eh?>
<Ma sei scemo? Ti ho parlato per dieci minuti di una situazione gravissima e tu fai quella faccia da ebete. Patrizia, dicevo. Che cosa dovrei fare, secondo te?>
<Mah, così su due piedi...>
<Ma vaffanculo, Sergio, ti ho raccontato tutto, anche circostanze intime, e tu reagisci come un bradipo? Vuol dire che te ne sbatti i coglioni di me, che non mi sei stato neppure ad ascoltare, cazzo...>
<No, no calma. A tutto c'è una spiegazione> si giustificò lui. <Mi vergogno a dirti certe cose ma...>
<Quali cose? Sii più chiaro>
<Il fatto è che devo andare in bagno. Urgentemente> e alzò il ditino come uno scolaro di fronte allo sguardo severo del maestro.
<E non potevi dirmelo prima? Vai al cesso, se hai tutta questa urgenza. Ma poi mi dici che cosa ne pensi di me e Patrizia>
<Certo, certo>
Si allontanò e raggiunse il bagno. Il luogo giusto per liberarsi del superfluo.
Si chiuse a chiave, azionò il pulsante di azzeramento della segreteria mentale, ripulì i pensieri e uscì alleggerito come dopo aver tirato lo sciacquone.
<Aaaahhh> disse a se stesso, pronto a una nuova conversazione inutile.
<Allora? Fatto tutto?> chiese il collega.
<Mi sono liberato> rispose lui con un sorriso. <Dov'eravamo rimasti? Ah, sì, Patrizia. Vedi, ci ho riflettuto molto mentre mi parlavi e sono giunto alla conclusione che...>
Il pilota automatico aveva ripreso il controllo della situazione. Lui poté tornare al silenzio delle sue fantasie.
L'isola di Pasqua.
Nessun rumore di fondo. Solo il vento che portava l'eco del mare e non recava traccia di voci umane.

Paolo Pasi