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				 Chiapas 
                  
                Che tremi nei suoi centri la terra 
                  
                di Gaia Raimondi 
                    
                Le dichiarazioni degli ultimi mesi dal fronte zapatista, per una campagna congiunta con il Congresso Nazionale Indigeno che porti una donna indigena indipendente a candidarsi alle elezioni presidenziali del 2018 in Messico, hanno suscitato polemiche e dibattiti. Una riflessione sulle strategie di resistenza al femminile, sui processi evolutivi e sulle metodologie indigene, soprattutto delle donne. 
                 
                  Le mattine di questi giorni sono 
                  piene di luce, cariche di sole e profumi di primavera alle porte; 
                  in questo clima mite, qualche giorno fa all'imbrunire, scorre 
                  - ed io con esso - il corteo del Lottomarzo, (per citarne 
                  lo slogan) manifestazione in cui migliaia di donne e uomini 
                  si dichiarano marea riversandosi per le strade milanesi con 
                  entusiasmo, creatività e sentita partecipazione. L'energia 
                  femminea, supportata oltre i generi e le provenienze, l'atmosfera 
                  frizzante e chiassosa della piazza stimolano l'ispirazione per 
                  l'attacco del contributo sul Chiapas che sto pensando da tempo 
                  per la rivista. Il trait d'union che stavo cercando, 
                  fatto di donne, autogestione per una lotta al dominio e al patriarcato. 
                  Quella sensazione di far parte quasi di una cosmogonia ribelle 
                  intergalattica1 pronta ad 
                  agire per cambiare e migliorarsi, con tutte le sue intrinseche 
                  differenze, le sue bellezze e le relative contraddizioni. 
                
                
                   
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                    |   Caracol de la Garrucha, Chiapas (Messico), 29 dicembre 2007/3 gennaio 2008 -  Incontro internazionale delle donne indigene zapatiste con le donne del mondo. Incontro di 3 giorni dedicato alla memoria della comandanta Ramona. 
                        In questa foto di Gaia Raimondi: l'assemblea plenaria  | 
                   
                 
                 A fine dicembre 2016 ho avuto modo di conoscere Orsetta Bellani, 
                  collaboratrice assidua di “A”, quasi una corrispondente 
                  estera per la questione zapatista dalla sua ormai “base 
                  d'appoggio” di San Cristobal de las Casas, in Messico 
                  e di leggere il suo recente libro Indios senza Re (La 
                  Fiaccola, 2016) e promosso da una gira - come direbbero 
                  gli zapatisti - di charlas2, 
                  ovvero presentazioni e dibattiti in diversi luoghi resistenti 
                  d'Italia, che già avevano riacceso la voglia di aggiornarmi 
                  e tornare a parlare di un luogo e una realtà così 
                  speciale. 
                  Tempismo perfetto quello di incontrare una testimonianza diretta 
                  di chi vive sul territorio, visto che proprio a fine 2016 gli 
                  zapatisti avevano riconfermato la volontà, espressa qualche 
                  mese prima durante una serie di incontri e seminari, di appoggiare 
                  il CNI (Congresso Nazionale Indigeno) nella scelta di presentare 
                  alle prossime presidenziali del 2018 una donna indigena come 
                  portavoce di questa organizzazione politica, che racchiude una 
                  quarantina di etnie indigene sulle oltre 60 che vivono nel paese. 
                  Non sono riuscita a risparmiare ad Orsetta una richiesta di 
                  parere sulla questione, durante quella presentazione. 
                  Siamo convenute, e del resto la sua posizione già si 
                  evince dal libro, che sarebbe troppo facile e scontato limitarsi 
                  a puntare il dito e a criticare aspramente una scelta così 
                  forte per un esercito rivoluzionario indigeno che occupa da 
                  ventitré anni una buona fetta dei territori chiapanechi, 
                  posizione che tanto ha fatto e fa discutere. Possiamo piuttosto 
                  limitarci ad osservare, dall'alto delle nostre agevolate condizioni 
                  oltreoceaniche dell'Europa Fortezza, con i nostri modelli 
                  culturali di riferimento - seppur e sebbene libertari - da dietro 
                  i nostri schermi e reti internet in cui peschiamo informazioni, 
                  dalle nostre ricche case comode e moderne e dalle nostre vite 
                  frenetiche e cercare di comprendere, di ascoltare e di discuterne 
                  insieme. 
                  Sarebbe limitante osservare il diverso approccio o le contraddizioni 
                  di un mondo così differente dal nostro - soprattutto 
                  nelle pratiche - salvando solo le ideologie, rivendicando le 
                  nostre modalità come le uniche possibili, giuste, eticamente 
                  valide. 
                  Chiaro é che comunque avere a che fare con il potere 
                  coercitivo della politica istituzionale - o per meglio definirlo 
                  con il suo nome con il dominio - è sempre molto 
                  pericoloso, in qualunque modalità ci si approcci; il 
                  rischio di cadere nelle sue tentazioni, contraddizioni e abusi 
                  è sempre a un passo dal confine e può essere limitato 
                  soltanto se alla comunità viene garantita la partecipazione 
                  effettiva alla res publica, unita a una revocabilità 
                  sempre immediata di chi gestisce in quel momento il potere decisionale, 
                  da una collettività agente che possa in qualunque momento 
                  intervenire per decretarne la rinegoziazione o la fine. Gli 
                  zapatisti sembrano esserne consapevoli, come da sempre asseriscono 
                  con il loro modo di vedere il potere politico: “mandar 
                  obedeciendo”. 
                
                
                   
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                    |   Caracol de la Garrucha, Chiapas (Messico), 29 dicembre 2007/3 gennaio 2008 -  All'uscita di una delle tante assemblee. Sullo sfondo attivisti stranieri e locali. 
                        Foto: Gaia Raimondi  | 
                   
                  
                “Servire le nostre comunità” 
		        Si legge in un comunicato dell'EZLN del 17 Novembre 20163: 
                  “No, né l'EZLN come organizzazione, né nessuna, 
                  nessuno dei suoi membri, parteciperà a un “incarico 
                  di elezione popolare” nel processo elettorale del 2018. 
                  No, l'EZLN non si convertirà in un partito politico. 
                  No, l'EZLN non presenterà una donna indigena zapatista 
                  come candidata alla presidenza della Repubblica nell'anno 2018. 
                  No, l'EZLN non “ha svoltato” dei gradi che siano, 
                  né continuerà la sua lotta attraverso la via elettorale 
                  istituzionale. Allora, l'EZLN non presenterà un'indigena 
                  zapatista come presidenta della Repubblica? Non parteciperà 
                  direttamente alle elezioni del 2018? No. [...] 
                  Perché l'EZLN non lotta per prendere il Potere. 
                  Credete che in precedenza non ci abbiano offerto questo e anche 
                  di più? Che non ci abbiano offerto incarichi, prebende, 
                  ambasciate, consolati, viaggi all'estero “tutto incluso”, 
                  oltre ai presupposti che portano con sé? Credete che 
                  non ci abbiano offerto di convertirci in un partito politico 
                  istituzionale, o entrare in qualcuno dei già esistenti, 
                  o in quelli che si formeranno, e “godere delle prerogative 
                  di legge” (così dicono)? 
                  Abbiamo accettato? No. E non ci offendiamo, capiamo che l'ambizione, 
                  o l'assenza d'immaginazione, o la ristrettezza di vedute, o 
                  l'assenza di conoscenze (e, ovvio, il non saper leggere), portino 
                  più d'uno a sentire l'impellenza di entrare in un partito 
                  politico istituzionale, poi uscirne e passare a un altro, poi 
                  uscirne e formarne un altro, e quel che ne segue. Capiamo che 
                  con più d'uno, una, funzioni l'alibi di “cambiare 
                  il sistema dall'interno”. Con noi no. 
                  Ma, nel caso della direzione e della truppa zapatista, non è 
                  soltanto dinanzi al Potere istituzionale il nostro rifiuto, 
                  ma anche dinanzi alle forme e processi autonomi che le comunità 
                  creano e approfondiscono giorno dopo giorno. Per esempio, nessun 
                  insurgente o insurgenta, sia della comandancia sia della truppa, 
                  né nessuna comandanta o comandante del CCRI può 
                  neppure essere autorità nelle comunità, né 
                  nel municipio autonomo, né nelle differenti istanze organizzative 
                  autonome. Non possono far parte dei consigli autonomi, né 
                  delle giunte di buon governo, né di commissioni, né 
                  di alcuna delle responsabilità che si designano per via 
                  assembleare, create o da creare nella costruzione della nostra 
                  autonomia, cioè della nostra libertà. 
                  Il nostro lavoro, il nostro compito come EZLN è servire 
                  le nostre comunità, accompagnarle, sostenerle, non comandarle. 
                  Sostenerle, sì. A volte ci riusciamo. E sì, certo, 
                  a volte disturbiamo, ma allora sono i popoli zapatisti a darci 
                  uno scapaccione (o vari, a seconda) affinché ci correggiamo. 
                  Tutto ciò non avrebbe dovuto essere chiarito e riaffermato 
                  se si fosse fatta una lettura attenta del testo intitolato “Che 
                  tremi nei suoi centri la terra”, reso pubblico la mattina 
                  del 14 ottobre 20164”. 
                
                
                   
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                    |   Caracol autonomo de Morelia, Chiapas (Messico), gennaio 2008 -  Murales sulle pareti dell'escuelita (scuola) per i bambini zapatisti, foto scattata durante una tre giorni di formazione autogestita con gli zapatisti sull'uso della tecnologia. 
                        Foto: Gaia Raimondi  | 
                   
                  
                Una notizia sensazionalistica? 
		        Eppure, il polverone si è sollevato subito; è 
                  una costante dell'EZLN quella di parlare per metafore, creare 
                  paradossi, inventare immaginari quasi surreali, considerare 
                  e accettare le contraddizioni per trovare il modo di superarle 
                  o imparare a conviverci; tanto che dall'esterno qualcuno, non 
                  cogliendo la raffinatezza dei lunghi cuentos5 
                  allegorici che animano le dichiarazioni dell'EZLN, ha pensato 
                  che fosse solo una notizia sensazionalistica, sostituendo tra 
                  l'altro erroneamente la sigla del CNI con quella dell'EZLN, 
                  leggendo in esso una tattica atta a riportare i riflettori un 
                  po' in disuso sulla realtà chiapaneca; una strategia 
                  mediatica insomma. L'introduzione stessa del libro della Bellani, 
                  in maniera sottile accenna retoricamente al fatto che oggigiorno 
                  si parli meno di ciò che avviene in Chiapas; ma il fatto 
                  che i media mainstream abbiano calato la guardia su quella realtà 
                  non significa affatto, come il libro poi dimostra, che in essa 
                  non sussistano e anzi non crescano sempre di più gli 
                  stimoli e le esperienze ad essa connesse. 
                  Forse si è smesso di parlarne ufficialmente proprio perché 
                  questo incredibile otromundo non accennava a cedere e 
                  il continuare a discuterne troppo avrebbe potuto agevolarne 
                  il consolidamento o peggio ancora l'innescarsi di altre micce 
                  insorgenti, ispirate dall'esempio zapatista, che d'altro canto 
                  invece fornisce strumenti per la lettura del contemporaneo, 
                  analisi e riflessioni sui temi più disparati, dalla politica 
                  alla scienza, dalla cultura alla pratica con continui dibattiti, 
                  assemblee plenarie, congressi e formazioni. I quaderni dell'Escuelita 
                  Zapatista per esempio sono ricchi di spunti interessanti 
                  e attuali, a dimostrazione del fatto che anche le posizioni 
                  teoriche dell'EZLN sono in continua evoluzione ed entrano sempre 
                  più nel merito della complessità critica di una 
                  lotta anti capitalista radicale, che pone proprio nell'educazione 
                  i semi per i germi resistenti e nell'autonomia la resistenza. 
                  Non solo; sui canali web indipendenti, gestiti dal basso, alcuni 
                  dagli stessi zapatisti, atri da comitati di appoggio del Messico 
                  e del mondi, è possibile restare aggiornati in maniera 
                  semplice e quasi sempre in italiano - grazie a diverse situazioni 
                  solidali nazionali ed internazionali che si prendono la briga 
                  di tradurre quantità copiosissime di documenti, dichiarazioni, 
                  discorsi e testi con tutto ciò che avviene, almeno a 
                  livello assembleare e collettivo - negli spazi dedicati alle 
                  discussioni, nei Caracoles, all'Università della 
                  Terra, (il CIDECI a San Cristobal de Las Casas), centro di culture 
                  stupendo già 10 anni fa e attualmente teatro di giornate 
                  intense di dibattito, discussione e tanti interrogativi posti 
                  alle scienze e alle coscienze6, 
                  nel consueto incontro di fine anno. È sorprendente il 
                  grado di approfondimento delle tematiche discusse, degli interrogativi 
                  posti, degli obiettivi formativi sempre più ambiziosi. 
                
                
                   
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                    |   Selva Lacandona, Chiapas (Messico), 2006 - Una foto della comandanta Ramona, scomparsa per un cancro nel 2006, qui in abito tradizionale dell'etnia tzotzil. A lei è stato dedicato l'incontro di fine/inizio anno 
                        nel 2007/2008 al Caracol de la Garrucha  | 
                   
                  
                Tanto, anche se vincesse... 
		        Per scoprire così che gli zapatisti non fanno poi tanto 
                  mistero del processo che li ha condotti a proporre al Congresso 
                  Nazionale Indigeno di promuovere la ricerca di una donna indigena, 
                  candidata indipendente sostenuta da una sorta di Giunta del 
                  Buon Governo, rinominato per l'occasione Consiglio Indigeno 
                  di Governo, in un'azione di dignità ribelle che superi 
                  - a detta loro - il levantamiento del 19947; 
                  anzi raccontano dettagliatamente le riflessioni precedenti la 
                  proposta, le condizioni, le finalità che si sono posti 
                  nel scegliere di fare una mossa eclatante come questa. Affermano 
                  apertamente ciò che si aspettano da questa decisione, 
                  senza false illusioni e utopie istituzionali, come si legge 
                  dalle delucidazioni scritte dopo la controversa dichiarazione: 
                  “[...] Che non vinceranno (il soggetto è il CNI 
                  nelle riflessioni dell'EZLN, nda) perché il sistema elettorale 
                  in Messico è fatto per beneficiare i partiti politici, 
                  non per la cittadinanza. Che se vincessero, non glielo riconoscerebbero, 
                  perché la frode non è un'anomalia del sistema 
                  elettorale messicano, è la sua colonna vertebrale, la 
                  sua essenza. Che se vincessero e glielo riconoscessero, non 
                  avrebbero potuto far nulla di trascendentale, perché 
                  là sopra non c'è nulla da fare. Le questioni fondamentali 
                  della malridotta nazione messicana non si decidono né 
                  nel potere esecutivo, né nelle camere legislative, né 
                  nel potere giudiziario. Chi comanda non ha un incarico visibile 
                  e si aggira nelle catacombe del Potere finanziario internazionale. 
                  E che, nonostante tutto ciò, bensì precisamente 
                  per tutto ciò, potevano e dovevano farlo. Perché 
                  la loro azione avrebbe significato non soltanto una testimonianza 
                  di chi non si adegua, ma una sfida che sicuramente avrebbe trovato 
                  eco nei molti bassi che ci sono in Messico e nel mondo; che 
                  avrebbe potuto generarsi un processo di riorganizzazione combattiva 
                  non solo dei popoli originari, ma anche di operai, contadini, 
                  impiegati, coloni, maestri, studenti, insomma di tutta quella 
                  gente il cui silenzio e la cui immobilità non è 
                  sinonimo di apatia, bensì di assenza di convocazione. 
                  In risposta a quel che si era detto sul fatto che era impossibile, 
                  che c'erano molti contro, che non si sarebbe vinto, rispondemmo 
                  che, se ci fossimo incontrati il 31 dicembre del 1993 e avessimo 
                  detto loro che, in alcune ore, ci saremmo sollevati in armi, 
                  dichiarando guerra al malgoverno e attaccando le guarnigioni 
                  della polizia e dell'esercito, ci avrebbero detto ugualmente 
                  che era impossibile, che c'erano molti contro, che non si sarebbe 
                  vinto. Dicemmo loro che non importava se avessero vinto o no 
                  la presidenza della Repubblica, che ciò che sarebbe importato 
                  era la sfida, l'irriverenza, l'insubordinazione, la rottura 
                  totale dell'immagine dell'indigeno oggetto di elemosina e di 
                  pietà (immagine tanto radicata nella destra e, chi lo 
                  avrebbe mai detto, anche nella sinistra istituzionale del “cambiamento 
                  vero” e nei suoi intellettuali organici addetti all'oppio 
                  delle reti sociali), che la loro audacia avrebbe scosso il sistema 
                  politico intero e che avrebbe avuto echi di speranza non in 
                  uno, ma in molti dei Messichi di sotto... e del mondo. 
                  Dicemmo loro che l'iniziativa era in tempo affinché, 
                  in totale libertà e responsabilità, decidessero 
                  fin dove l'avrebbero portata, quanto lontano sarebbero andati. 
                  Un movimento dove confluissero tutti i sotto. Un movimento che 
                  avrebbe fatto tremare nei suoi centri la terra. Dicemmo loro 
                  che, come zapatisti, saremmo stati una forza di più tra 
                  quelle che sicuramente si sarebbero dovute sentire convocate 
                  dalla loro sfida. E dicemmo loro la cosa più importante 
                  che avevamo da dire: che eravamo disposti a sostenerli con tutta 
                  la nostra forza. 
                  Che avremmo dato appoggio con tutto ciò che abbiamo che, 
                  sebbene poco, è ciò che siamo8”. 
                
                
                   
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                    |   Caracol de la Garrucha, Chiapas (Messico), 29 dicembre 2007/3 gennaio 2008 -  La notevole partecipazione delle attiviste internazionali all'assemblea plenaria 
                        foto: Gaia Raimondi  | 
                   
                  
                Resistenza e ribellione, dal basso e a sinistra 
		        Affinché questa donna indigena, delegata del CNI, sia 
                  riconosciuta come candidata dalle leggi messicane, bisognerà 
                  raccogliere quasi un milione di firme di persone con diritto 
                  di voto. Se si raggiungerà la quota, allora verrà 
                  riconosciuta la candidata indipendente come presidentessa del 
                  Messico, e si metterà il suo nome perché, nell'anno 
                  2018, la gente voti o no, secondo il pensiero di ciascuno. 
                  Perciò si tratterà poi di far percorrere il Messico 
                  al Consiglio Indigeno di Governo e alla portavoce indigena, 
                  laddove ci siano persone messicane per ottenere le firme per 
                  registrarsi. E ancora un altro giro, un po' come come la Otra 
                  campaña, perché la appoggino e votino per 
                  l'indigena del CNI. Gli zapatisti sanno che, quando faranno 
                  questo giro il Consiglio Indigeno di Governo e la sua portavoce 
                  conosceranno molti dolori e rabbie che ci sono in Messico e 
                  nel mondo. Dolori e rabbie di persone indigene, ma anche di 
                  persone che non sono indigene, che anch'esse soffrono resistendo. 
                  Perciò questo è ciò che si vuole. Non si 
                  richiede che una donna indigena del CNI sia presidentessa, quanto 
                  piuttosto che si diffonda un messaggio di lotta e organizzazione 
                  ai poveri della campagna e della città del Messico e 
                  del mondo. 
                  Non si considera che, se si raccolgono le firme o si vincono 
                  le elezioni, sia un successo. È un successo se si può 
                  parlare e ascoltare chi non non viene ascoltato da nessuno. 
                  Lì si vedrà se sarà un successo o no, se 
                  davvero molta gente prenderà forza e speranza per organizzarsi, 
                  resistere e ribellarsi. 
                  Si arriverà fin dove lo deciderà il Congresso 
                  Nazionale Indigeno. È dunque si una strategia per dar 
                  voce agli oppressi e agli sfruttati di tutto il mondo, indigeni 
                  e non. 
                  “[...] La cura della vita e della dignità, ovvero 
                  la resistenza e ribellione dal basso a sinistra, è un 
                  nostro obbligo a cui possiamo rispondere solo in forma collettiva. 
                  La ribellione la costruiamo dalle nostre piccole assemblee in 
                  località che si uniscono in grandi assemblee comunali, 
                  di ejidos, in giunte di buon governo e in accordi come popoli 
                  uniti sotto un'identità. [...] Questo è il potere 
                  dal basso che ci ha mantenuti vivi ed è perciò 
                  che commemorare la resistenza e ribellione è anche ratificare 
                  la nostra decisione di continuare a vivere costruendo la speranza 
                  di un futuro possibile unicamente sopra le rovine del capitalismo. 
                  Considerando che l'offensiva contro i popoli non cesserà, 
                  ma che vorrebbero farla crescere fino a cancellare ogni traccia 
                  di ciò che siamo come popoli della campagna e della città, 
                  portatori di profondi malcontenti che fanno sorgere anche nuove, 
                  diverse e creative forme di resistenza e di ribellione, il Quinto 
                  Congresso Nazionale Indigeno ha deciso di iniziare una consultazione 
                  in ognuno dei nostri popoli per smantellare dal basso il potere 
                  che ci impongono dall'alto e che ci offre un panorama di morte, 
                  violenza, spoliazione e distruzione. In base a quanto detto 
                  sopra, ci dichiariamo in assemblea permanente e consulteremo 
                  in ognuna delle nostre geografie, territori e direzioni l'accordo 
                  di questo Quinto CNI, per nominare un consiglio indigeno di 
                  governo la cui parola sia incarnata da una donna indigena, delegata 
                  del CNI come candidata indipendente che partecipi a nome del 
                  Congresso Nazionale Indigeno e dell'Esercito Zapatista di Liberazione 
                  Nazionale nel processo elettorale dell'anno 2018 per la presidenza 
                  di questo paese. 
                  Ratifichiamo che la nostra lotta non è per il potere, 
                  non lo cerchiamo, bensì che chiameremo i popoli originari 
                  e la società civile a organizzarsi per bloccare questa 
                  distruzione, rafforzarci nelle nostre resistenze e ribellioni, 
                  ovvero nella difesa della vita di ogni persona, ogni famiglia, 
                  collettivo, comunità o quartiere. Costruire la pace e 
                  la giustizia dal basso, da dove siamo ciò che siamo. 
                  È il tempo della dignità ribelle, di costruire 
                  una nuova nazione per tutte e tutti, di rafforzare il potere 
                  dal basso e alla sinistra anti capitalista, e che paghino i 
                  colpevoli per il dolore di questo Messico multicolore9”. 
                
                
                   
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                    |   Caracol de la Garrucha, Chiapas (Messico), 29 dicembre 2007/3 gennaio 2008 -  I tanti striscioni che sventolavano all'esterno degli edifici del Caracol foto: Gaia Raimondi  | 
                   
                  
                Raul Zibechi: “Pratiche in divenire” 
		        Sono passati più di vent'anni da quando, nel 1994, l'EZLN 
                  irruppe nello scenario politico internazionale come un' esperienza 
                  di organizzazione che, rivendicando i diritti alla diversità 
                  ed all'eguaglianza, mise e mette continuamente in discussione 
                  le tradizionali forme di lotta. Vent'anni durante i quali gli 
                  zapatisti hanno costruito nei propri territori una proposta 
                  di società alternativa ed autonoma, in cui “il 
                  popolo comanda ed il governo obbedisce”. In tutto questo 
                  tempo non hanno mai smesso di portare avanti il loro ambizioso 
                  progetto di mutamento radicale delle proprie condizioni di vita, 
                  in autonomia e rifiutando il malgoverno di uno stato 
                  che li vorrebbe seppellire per speculare su quelle terre, strappandone 
                  e sfruttando le risorse con infrastrutture e turismo selvaggio, 
                  incurante del patrimonio indigeno millenario di persone che 
                  hanno scelto di non piegarsi di fronte all'Idra capitalista10 
                  che resiste in quei luoghi meravigliosi del sud del Messico. 
                  Uno stato che cerca di annientare una sacca di resistenza reale 
                  con una guerra di logoramento, di bassa intensità, fatta 
                  di incursioni paramilitari, di insidie quotidiane e di corruzione, 
                  di una guerra fra poveri al fine di portare gli indigeni in 
                  lotta ad arrendersi o peggio ancora ad annientarsi l'un l'altro. 
                  Ventitré anni di lotta, di trasformazione tangibile e 
                  sempre in evoluzione costante. In appendice al libro di Orsetta 
                  Raul Zibecchi dialoga con l'autrice, sostenendo che “lo 
                  zapatismo si sia reinventato,sviluppato, evoluto. E che nel 
                  guardare le società in movimento si possono osservare 
                  due aspetti: le istituzioni o le loro pratiche; generalmente 
                  le seconde sono i fattori interessanti in grado di costruire 
                  e alimentare il movimento. 
                  Nel caso chiapaneco le comunità zapatiste sono allora 
                  pratiche in divenire e la creazione della Giunta del Buon Governo 
                  zapatista invece un'istituzione, ricca però al suo interno 
                  di pratiche in grado di trasformare realmente le persone.” 
                
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Un'opera di Beatriz Aurora, artista originaria di Santiago del Chile  che ha poi preso la cittadinanza messicana e che dal 1994 dà voce con le sue opere, le sue “storie dipinte” come lei le definisce, all'immaginario e alle attività zapatiste  | 
                   
                  
                Disuguaglianze di genere 
		        Sono passati ormai quasi 10 anni da quando ebbi la fortuna 
                  di assistere ad un incontro mondiale al Caracol de la Garrucha, 
                  in Chiapas, di donne zapatiste che incontravano le donne del 
                  mondo, nel consueto appuntamento di fine anno dedicato in quell'occasione 
                  alle donne; la prima fine dell'anno sui generis nell'esperienza 
                  pubblica zapatista, un enorme lavoro dedicato alla Comandanta 
                  Ramona y a las mujeres zapatistas, che per quei giorni furono 
                  le uniche con diritto di parola e intervento, in assemblee di 
                  giornate intere, laboratori, spettacoli teatrali, canti e condivisione 
                  mondiale. Gli uomini potevano ascoltare e dedicarsi ad altre 
                  attività utili allo svolgimento di un incontro con migliaia 
                  di persone provenienti da tutto il mondo, nel bel mezzo della 
                  Selva Lacandona, alla logistica, alle questioni tecniche e organizzative 
                  di una vera e propria invasione pacifica e interessata di attiviste 
                  e attivisti in un punticino di mondo nascosto nella natura rigogliosa 
                  del sudest messicano. 
                  Fu una sensazione alquanto paradossale quella di sentirsi nel 
                  mezzo della Selva, in un luogo raggiungibile solo con giorni 
                  di viaggio e mezzi improbabili, a confrontarsi con le donne 
                  di tutto il mondo, a partire dalle voci zapatiste e con modalità 
                  veramente orizzontali, almeno per quelle occasioni. In quelle 
                  giornate indimenticabili le donne si raccontavano, nel loro 
                  processo di liberazione da una situazione di schiavitù 
                  e oppressione assoluta, in quanto donne, in quanto indigene 
                  e in quanto povere e la necessità di studiare, di apprendere, 
                  di liberarsi dalla schiavitù dell'ignoranza e della sottomissione 
                  domestica e familiare, per abbattere la triplice oppressione 
                  che le affliggeva. 
                  In meno di 30 anni le zapatiste, attraverso la loro pratica 
                  di resistenza e di trasformazione quotidiana, hanno creato una 
                  crisi nel discorso egemonico e portato nelle assemblee i problemi 
                  causati dalle diseguaglianze di genere, prima non riconosciuti 
                  e dunque considerati parte della vita. Le zapatiste hanno imparato 
                  a resistere dentro la resistenza, clandestine fra clandestini. 
                  Si stanno facendo carico dei cambiamenti di cui hanno bisogno, 
                  e come recitano spesso le pitture murali nei caracoles 
                  raffigurando lumache incappucciate: “Lent@s, pero avanzamos!”. 
                  Potranno sicuramente apportare consigli sapienti alla futura 
                  candidata indigena, che non sarà zapatista, questo lo 
                  abbiamo capito, ma che necessiterà del supporto e del 
                  tesoro esperienziale delle donne insurgentas. 
                
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   San Cristóbal de las Casas, Chiapas (Messico), novembre 2016 -  Un oratore zapatista durante la conferenza “Che tremi nei suoi centri la terra” tenutasi al CIDECI, Università popolare autonoma e autogestita della Terra  | 
                   
                  
                Contro il patriarcato, il femminismo comunitario 
		        A distanza di tempo e spazio, mentre sorreggo lo striscione 
                  per il corteo dell'otto marzo milanese, in mezzo a tutte quelle 
                  donne con cui condivido la strada e la necessità di urlare 
                  ciò che pensiamo, viviamo e vogliamo cambiare, la memoria 
                  corre a di quell'incontro di donne incappucciate, con sguardi 
                  vivi e così caparbie, fiere, che nei loro abiti tradizionali 
                  col volto coperto dal passamontagna animarono le tende affollate 
                  e caldissime di quel lontano vivido ricordo, nel cuore della 
                  Selva Lacandona, consapevole che di strada ce n'è ancora 
                  da fare, per tutte, ma con la certezza che dei reali risultati 
                  siano stati ottenuti in un processo ancora lungo ma necessario, 
                  di liberazione, consapevolezza e autodeterminazione delle donne 
                  indigene. Molte delle rivendicazioni zapatiste promuovono un 
                  femminismo comunitario che combatte il patriarcato a 
                  partire dal modo di pensare indigeno e decolonizza il termine 
                  stesso, femminismo, figlio del pensiero filosofico occidentale 
                  pur rispettando le lotte delle donne europee e nordamericane.11 
 
“Sorelle, fratelli, compagne, compagni, scienziate, scienziati, cosa pensate delle donne sfruttate, manipolate, marginalizzate, assassinate, torturate, sequestrate, discriminate per il colore della pelle, ci usano come oggetti per fare promozione alle mercanzie del capitalista, ci usano come pubblicità, per la propaganda e il traffico di droghe, ci usano per ottenere soddisfazioni sessuali, ci prostituiscono per ottenere vendite di articoli per arricchirsi? Perché vediamo con dolore la violenza e la morte che di giorno in giorno subiscono migliaia di donne nel mondo, e non solo sentiamo dolore, ma rabbia e coraggio. 
                  Ad esempio, noi, come donne zapatiste, stiamo esercitando il 
                  nostro diritto e la nostra libertà di partecipare al 
                  nostro governo autonomo del comandare ubbidendo, abbiamo visto 
                  che si tratta per noi di uno spazio per costruire una nuova 
                  società. Cosa pensate, come scienziate, di potervi liberare 
                  di tutte queste sofferenze e queste malvagità, alle quali 
                  ci sottopone il sistema capitalista, cosa possiamo fare noi 
                  e voi? Perché senza noi donne il mondo non vive, per 
                  quanto tempo dobbiamo aspettare, come donne, di essere libere, 
                  è ora o mai più? Noi, come donne zapatiste, vediamo 
                  che è possibile organizzarsi, lottare e lavorare, e vediamo 
                  che voi e noi abbiamo bisogno le une delle altre.”12 
                 Gaia Raimondi 
Il titolo di questo articolo è lo stesso della conferenza tenuta dall'EZLN per sostenere la promozione di una candidata indigena del CNI alle presidenziali del 2018 in Messico. 
                
                  - Tanto per usare un termine tanto caro alle geografie narrative 
                    zapatiste. 
                  
 - Giro di presentazioni. 
                  
 - http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/19/una-storia-per-cercare-di-capire/ 
                     
                  
 - http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/19/una-storia-per-cercare-di-capire/ 
                  
 - Racconti, storie. 
                  
 - http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/12/27/alcune-prime-domande-alle-scienze-e-alle-loro-coscienze/ 
                  
 - http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/19/una-storia-per-cercare-di-capire/ 
                  
 - Ibidem. 
                  
 - http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/10/15/che-tremi-nei-suoi-centri-la-terra/ 
                     
                  
 - Il volume Il pensiero critico di fronte all'Idra Capitalista, 
                    edito in Italia da Ienne edizioni, racchiude gli interventi 
                    dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) presentati 
                    in “Homenaje a los compañeros Luis Villoro Toranzo 
                    y Maestro Zapatista Galeano”, evento realizzato nel 
                    Caracol di Oventic il 2 maggio 2015, e durante il Seminario 
                    “El Pensamiento Critico frente a la Hidra Capitalista” 
                    che si è svolto dal 3 al 9 maggio 2015 presso il CIDECI 
                    (Centro Indígena de Capacitación Integral) a 
                    San Cristóbal de las Casas, Chiapas – Messico, 
                    con la partecipazione di numerose organizzazioni, realtà 
                    di base, attivisti e studiosi dal Messico e dal mondo. Gli 
                    interventi, racchiusi nel volume, uniscono la riflessione 
                    e l'esperienza, secondo il principio zapatista “né 
                    teoria senza pratica, né pratica senza teoria”. 
                    Sono frutto della discussione avvenuta nelle comunità 
                    zapatiste sulla necessità, a fronte delle mutazioni 
                    in atto del capitalismo, dentro la sua incessante azione di 
                    saccheggio e depredazione del pianeta e della vita con le 
                    conseguenze drammatiche che si vivono in ogni dove, di aprire 
                    un dibattito globale. L'idra, mostro mitologico dalle cento 
                    teste, é la metafora usata per raffigurare il sistema 
                    che attualmente governa il mondo: se una testa viene mozzata, 
                    al suo posto ne spuntano due, si adatta, muta ed è 
                    capace di rigenerarsi completamente a partire da una sola 
                    delle sue parti. Le riflessioni che provengono dalla lotta 
                    indigena del sud-est messicano si impongono per la grande 
                    forza evocativa e l'urgente attualità, caratteristiche 
                    che fanno di questo libro una lettura ricca di suggestioni 
                    per capire il presente e le alternative possibili nella costruzione 
                    di “un mondo che contenga molti mondi”. 
                  
 - Orsetta Bellani, Indios senza re. Conversazioni con gli 
                    zapatisti su autonomia e resistenza, La Fiaccola, Ragusa, 
                    giugno 2016. 
                  
 - “Alcune Prime Domande alle Scienze e alle vostre Coscienze” 
                    giornate di dibattito, 26 dicembre 2016, presso CIDECI-Unitierra, 
                    Chiapas, Messico, America Latina, Pianeta Terra, Sistema Solare, 
                    eccetera. SupGaleano. 
  
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