rivista anarchica
anno 45 n. 404
febbraio 2016


dibattito pornografia

A proposito di libertà

di Marvi Maggio


Quale libertà? Quella di vendersi e di essere oppressi?
Pubblichiamo un intervento nel dibattito sul dossier pornografia apparso sullo scorso numero di ottobre.


La libertà degli anarchici non è certo libertà di opprimere, né di essere oppressi, ma è libertà di rendere inoperative tutte le regole, i dispositivi e le attività economiche, religiose, sociali, oppressive, mostrando cosa sia possibile e aprendo così a nuove possibilità.
Il concetto di libertà non è univoco. La maggiore contrapposizione è fra la presunta libertà di sfruttare, di espropriare, di opprimere, di usare gli altri a proprio piacimento, di decidere per gli altri e la Libertà di autogestirsi, di autodeterminarsi, di decidere per sé, di far crescere la propria creatività, di costruire se stessi in relazione agli altri, creando relazioni sociali in cui ci sia un rapporto fra eguali nella diversità, e si determini la fine delle ingiustizie.
Ma c'è chi asserisce: “Io posso decidere di essere servo, di entrare in rapporti dissimmetrici (come la prostituzione e la pornografia), ma lo scelgo io, io posso decidere di vendermi, io posso decidere di essere un crumiro, io posso decidere che mi piace essere un oggetto sessuale e vendermi (io e il mio corpo, perché è tutto unito)”.
E allora questa supposta libertà diviene semplicemente aderire ai rapporti dominanti, alla violenza, alla subordinazione, al rapporto servo/padrone ma con convinzione, sarei io che voglio essere oggetto di violenza, di disprezzo e più in generale sarei io che accetto di non essere un soggetto con suoi desideri, ma di essere invece un oggetto vuoto pronto ad assumere i desideri degli altri come suoi (pornografia e prostituzione).
Certo tutti noi scendiamo a patti con la società esistente e vendiamo il nostro lavoro a chi lo può pagare, e viene pagato proprio perché fa loro comodo e fa parte di questo sistema iniquo. Ma è bene vedere questo lavoro per quello che è e non pensare che sia un passo verso il cambiamento sociale quando non lo è. Certo, nei posti di lavoro ci possono essere delle lotte per cambiare le cose, c'è la proposta di modificare il modo di farli funzionare, la loro organizzazione, ma anche quello che si produce e i servizi che si offrono. Avendo cura di ragionare su cosa significano al di là dei casi specifici, cosa significano per la società nel suo complesso. Prostituzione e pornografia sono un prodotto della sopraffazione e non possono essere trasformati in portatori di cambiamento perché sono intrisi di rapporti dissimmetrici e iniqui fra donne e uomini.
Se la compravendita nel mercato capitalista è sempre intrisa di rapporti dissimmetrici e ineguali fra venditore e compratore, la compravendita di sesso è sempre intrisa di rapporti dissimmetrici fra venditore e compratore e in più dei rapporti sperequati fra donne e uomini. Se il mercato sporca i rapporti umani, trasformando i rapporti fra persone in rapporti fra cose, quello del sesso ristabilisce l'iniquo luogo assegnato ad ognuno. C'è chi compra e chi vende.

La differenza fra oggetti e soggetti

Nella nostra società capitalista, ogni subordinazione viene sfruttata a vantaggio del profitto, ogni disuguaglianza, sessismo, razzismo, serve per gestire il potere. La subordinazione del lavoro viene accettata per la necessità di disporre di un reddito e provoca molta sofferenza. Vendere la propria capacità e il proprio lavoro fa parte di una violenza usuale e diffusa. Ma vendere l'uso sessuale di noi stessi non è la stessa cosa. E i primi indizi di cosa si tratti ci vengono dai soggetti implicati: in massima parte donne che si vendono e uomini che comprano e in massima parte persone obbligate per bisogno economico o per tratta. Ma per il nostro ragionamento ci interessa affrontare il tema di chi afferma di averlo scelto.
Un indizio sono gli affari miliardari che girano attorno al sesso: quelli legali e quelli illegali. Un enorme affare, e quando girano molti soldi siamo di fronte a qualcosa che è difficile avvicinare a una sorta di liberazione. Altro indizio: la pornografia (etimo: trattato sulla pornografia e scrittura o disegno osceno) e la prostituzione (vendita di sesso) sono considerate una trasgressione, il che vuole dire che fanno parte del gioco della morale e non provocano nessun cambiamento sostanziale, anzi avvalorano le diseguaglianze esistenti. In tutto il mondo donne e bambine/i poveri rischiano di finire in questo giro. La pornografia che rappresenta in una foto qualcosa, fa vivere quel qualcosa a chi lo deve rappresentare. Non è solo una foto, un'immagine è stata la realtà obbligata di chi l'ha rappresentata. Una vera violenza, non solo violenza simulata.
Il punto nodale è che nella prostituzione e nella pornografia c'è la sessualità e i desideri di chi paga, non di chi si vende. E c'è quella di chi si vende solo se questa aderisce a una sessualità che non è sua e la accetta come sua. Magari erotizza il disprezzo e la sopraffazione oppure qualsiasi cosa le venga chiesto, dominio o subordinazione. Ed è inutile ridefinire il concetto di disprezzo o di sopraffazione: si tratta di un rapporto diseguale.

Vecchi immaginari da decostruire

E la rappresentazione simbolica, l'arte, ha la sua responsabilità nel cercare di ribadire il significato della discriminazione sottesa dai rapporti fra donne e uomini. L'artista che fa diventare arte la violenza sulle donne, (come le foto dal fotografo giapponese con le donne legate o le artiste che rendono arte la violenza su sé stesse) anche quando lo fa per denunciarla, mentre la rappresenta, la provoca di nuovo. La violenza simbolica dell'arte è potente, e accettare di inscenarla è uno dei modi che le artiste hanno per essere accettate dal mercato. Ogni rappresentazione della violenza sulle donne nel cinema (vedi per esempio Pasolini con Salò e le 120 giornate di Sodoma) e in generale nell'arte, anche quando dichiara di inscenarla per denunciarla, è violenza in sé, è un trauma che ci riporta indietro.
Così si torna indietro, si affollano e si riempiono gli immaginari di vecchio e stantio e si rende più difficile che altro, la Libertà, possa emergere.
È più che evidente che ciò che è emerso dalle peggiori relazioni fra uomini e donne, la prostituzione e la pornografia, non può essere la base per nuove relazioni fondate sull'eguaglianza nella diversità. Una diversità non imposta dall'esterno come nel sessismo e nel razzismo, ma decisa da ogni persona. Altri rapporti, altre rappresentazioni si possono dare solo se non si percorrono quelle strade segnate, né nei contenuti né nelle definizioni.
Che la violenza e i rapporti dispari siano osceni (pornografia) non è perbenismo, anch'esso intriso di violenza e sopraffazione, è una presa d'atto della realtà. D'altra parte essere trattati da oggetti e non da soggetti a tutto tondo, con tutta la nostra complessità di esseri umani, non è già abbastanza esplicito?

La (vera) libertà

La prostituzione e la pornografia hanno a che fare con il ruolo imposto alle donne, più che con la morale. La morale accetta la trasgressione, è un male minore per lei, che non mette in discussione i rapporti sociali dominanti perché non cambia chi vende e chi compra, non cambia che si venda e si compri, e soprattutto non cambia i rapporti di forza fra i soggetti sociali coinvolti. La trasgressione è il padre di famiglia che va con prostitute minorenni. Il cambiamento rivoluzionario è che la sessualità sia un rapporto fra persone che esula dagli scambi economici e di potere.
La trasgressione produce profitti, il cambiamento sociale produce la nascita di nuove relazioni sociali, nuovi modi di produrre, rinnovate relazioni con gli altri esseri viventi e con tutto il mondo che ci sta attorno, una accresciuta creatività individuale e collettiva. La trasgressione, la prostituzione e la pornografia fanno parte del mercato e della società dominante.
Come sempre, fa comodo al potere dominante, sia patriarcale sia capitalista, che un soggetto che fa parte del gruppo subordinato sia contento del suo ruolo e che ci veda pure chissà che significato rivoluzionario nel suo ruolo subordinato. È un bel colpo a tutte quelle che lottano per la Libertà. “Vedete che a qualcuna va bene?” L'importante è, per il patriarcato, che ognuno stia al posto assegnato e, per il capitalismo, che si produca profitto. Meglio ancora se il profitto viene prodotto dai bisogni di amore, di amicizia, basta che lo sia in modo distorto, senza che questo dispieghi nuovi modi di vivere e nuove relazioni sociali, alla fine dei conti, senza che dispieghi la vera libertà, quella degli anarchici.
“Io faccio violenza a me volontariamente”, cosa di meglio delle artiste che rappresentano su di sé la violenza sulle donne? Questa è l'arte preferita dal potere dominante. Uno dei pochi modi per le artiste di avere successo. Corpi picchiati, corpi insanguinati, corpi legati, sempre di donne: con la motivazione di criticare la violenza, la si rappresenta ma di fatto la si ripete su ogni donna che vede quella immagine che reitera la violenza in sé e non solo come rappresentazione.
E dichiarare che il senso del disprezzo più essere rovesciato non basta, non è soddisfacente. La sessualità della prevaricazione è davvero da disprezzare. La messa in mostra della violenza sulle donne non è la sua critica e non è neppure solo rappresentazione, è pura nuova violenza. E l'elisione e l'annichilimento della sessualità delle donne in nome della risposta a quella di un certo settore degli uomini (sono certa che non tutti gli uomini accettano il patriarcato), come si dà nella prostituzione in massima parte di donne per gli uomini e nella pornografia in massima parte con donne per gli uomini, è una violenza.
In certi paesi tagliano la clitoride (una violenza inimmaginabile, per il dolore che provoca solo immaginarla), in altri elidono lo sviluppo della libera sessualità delle donne. Per poi proporre e erotizzare quello che piace nel mercato della pornografia e della prostituzione. Ma così non si produce certo la libertà.

La resistenza

La contrapposizione è tra chi vuole superare e andare oltre le ineguaglianze ed il rapporto servo/padrone nella compravendita e dappertutto, e gli altri. E questo è il nostro compito, come anarchici e come libertari, come quelli che amano la Libertà.
È un danno enorme accettare, come se fosse cambiamento sociale e libertà, la sessualità dominante servo/padrone, cioè sado-masochista, quella esplicita della pornografia e della prostituzione e quella implicita in ogni rapporto di compravendita caratteristica della nostra società fondata sulla sopraffazione. È una visione distorta.
Che qualcosa cambi di significato guardandolo da una certa angolatura è possibile, ma non accade in questo caso. La violenza del rapporto servo/padrone di cui la compravendita fa parte è quello che vogliamo superare come anarchici.
La distorsione ha come fondamento un'analisi approssimativa. Il mito di Bocca di rosa è una rappresentazione del sogno maschile della donna giovane e bella e disponibile per tutti: vecchi, giovani, belli, brutti, tutti. Mentre le altre, quelle vecchie, ma della stessa età di quelli che se la godono con Boccadirosa, sono ridotte a cagnette a cui hanno tolto l'osso. Le vecchie e brutte (semplificazione, a che età sarebbero vecchie le donne e qual è il modello estetico da rispecchiare?) non hanno diritto al sesso, alla sessualità e all'amore. E naturalmente ci sono donne che vorrebbero essere quella Boccadirosa. Ma questo mito non ci porta al cambiamento.
La trasgressione non è cambiamento, ma il gioco della morale: non si potrebbe fare, ma non è così grave. O come per molte religioni il disgusto non ricade su chi crea quella sessualità, ma su chi la rappresenta.
Così è tutto ridotto a ben poca cosa. Come scrive la filosofa Luisa Muraro: «Pensate a tutta la giustizia che viene negata per rispettare la legge, a tutta la libertà che l'ordine sociale rende impraticabile, a tutta la bellezza che i canoni estetici ci rendono invisibile, a tutto l'amore pervertito dalla legge morale, a tutti i piaceri che la tecnica ci fa perdere. La mente può restare schiacciata dallo spettacolo della giustizia iniqua, della crudeltà della morale, dell'autoritarismo delle scienze, ecc. e disperarsi. Ma può invece rivolgersi, come insegnava Platone, al vero, al bello, all'amore, alla libertà, alla gioia, con la certezza che da qualche parte questo mancante si trovi...» (Muraro, 2009, 137).
Si tratta di muoversi attivamente alla ricerca. Si tratta di non percorrere le strade tracciate, ma di camminare su nuovi sentieri. Si tratta di non fare e non accettare quello che ci propongono come presunta libertà, che incentiva sempre i profitti di qualcuno: un bell'esempio di dispositivo. Il fatto che i guadagni di mercato siano altissimi e che avvalorino i rapporti sociali esistenti sono le prove che nella prostituzione e nella pornografia c'è qualcosa che non va. E non perché cozzano con la morale dominante, ma perché cozzano con la Libertà. Ciò che è contro la morale non è di per sé positivo e foriero di cambiamento. Al pari che il nemico del mio nemico non è mio amico.
Come afferma Giorgio Agamben trattando della resistenza nell'arte, bisogna rendere inoperative le regole dominanti per poter dar luogo a nuove possibilità. Noi trasliamo questo discorso nella resistenza nella sessualità. Dobbiamo rifiutare di affidarci alle immagini che ci offrono, per liberare le possibilità che saranno altro rispetto alla trasgressione falsamente libera.
Certo uno o una può accettare l'esistente, compresa pornografia e prostituzione, ma non è nostro compagno/a nella ricerca di altre e nuove possibilità.
Così Agamben: “La vera prassi (praxis) umana è la prassi che rendendo inoperativi tutti i lavori e le tutte le funzioni degli esseri viventi, apre loro a un possibile altro agire. Contemplazione e inoperatività non significa non fare nulla, inerzia, il contrario.
Contemplazione e inoperatività sono in questa prospettiva gli agenti metafisici, gli operatori metafisici, dell'antropogenesi, del diventare umani degli uomini, che liberando gli uomini da ogni destino biologico o sociale o da ogni vocazione, lo aprono a quelle peculiari forme di non lavoro che chiamiamo politica ed arte. Il paradigma più appropriato del rendere inoperativi tutti i lavori umani è la poesia stessa, perché cosa è la poesia se non un'operazione nel linguaggio e sul linguaggio che disattiva e rende inoperative le usuali funzioni comunicative e informative del linguaggio per aprirlo a nuove usi possibili.
Quello che la poesia ottiene per le potenzialità del parlare (linguaggio), la politica e la filosofia devono ottenere per le potenzialità dell'agire. Rendendo inoperative tutte le attività economiche, religiose, sociali, mostrano cosa il corpo umano possa fare, aprendolo a nuove possibilità”.
La nostra ricerca deve percorrere strade davvero fondate sulla libertà, e per farlo dobbiamo rendere inoperativi tutti i dispositivi opprimenti. Solo questa resistenza può essere la premessa di rapporti nuovi.

Marvi Maggio

Bibliografia
Muraro L. (2009), Al mercato della felicità, Mondadori, Milano
Porno e libertà, Rivista A, n. 401, ottobre 2015, pagg. 89-100.
Agamben G. (2014) Resistance in Art (Resistenza in arte): https://www.youtube.com/watch?v=one7mE-8y9c sito visitato l'8 novembre 2015; minuto 41,46 citazione, tradotta in italiano dall'autrice.