rivista anarchica
anno 45 n. 404
febbraio 2016






Le emozioni sono un atto di resistenza

Sono convinto che per conoscere l'inferno delle carceri italiani bisognerebbe leggere le lettere che i prigionieri scrivono ai loro familiari, amici, conoscenti e compagni di sventura. Ricevo migliaia di lettere all'anno, a volte anche dieci al giorno. L'agente responsabile della distribuzione della corrispondenza ogni tanto mi guarda sornione, poi mi sorride e con simpatia mi fa la battuta: “Musumeci, mi fa lavorare troppo, ma quand'è che la trasferiscono”.
Cerco sempre di rispondere a tutti, specialmente alle lettere che ricevo da dentro. Alcune di queste, quando i miei compagni sono d'accordo, le rendo pubbliche per cercare di dare voce e luce a tanti miei compagni che scrivono e che parlano a volte solo con le pareti delle loro celle. Oggi ho saputo che un altro giovane detenuto, con una lunga pena da scontare, s'è tolto la vita e ho pensato che è facile cadere nella disperazione quando sei chiuso in una tomba, perché è l'unico piacere che ti resta. E ho deciso di rendere pubblica, con consenso dell'interessato, questa lettera di uno sconosciuto, che mi scrive per la prima volta, che tocca l'argomento dei suicidi in carcere.

Carmelo Musumeci
Carcere di Padova 2015
www.carmelomusumeci.com


Ciao Carmelo! Mi chiamo Enrico, per i compagni e gli amici più stretti Enko. Spero di non disturbarti con questa mia lettera e comunque che ti trovi in buona salute morale e fisica. Seguo sempre ciò che scrivi e lo trovo sempre interessante e stimolante e a spingermi a prendere carta e penna è stata proprio una cosa che hai scritto tempo fa a proposito di suicidi in carcere. Non ricordo se l'ho letto su qualche bollettino di “Ampi Orizzonti” o era ripreso da un articolo di “Ristretti Orizzonti”. Fatto sta che ho indugiato a lungo sulle tue parole, è inutile e forse stupido parlare proprio a te di pensieri cattivi e rassegnazione da combattere, di giornate nere e abissi dentro da non fissare troppo a lungo.
A catturarmi è stata più l'assenza di cinismo in quel che dici, la capacità di sintesi, seppur affronti il tema più delicato che esista e su tutto quel “io lo so” che è disarmante (o meglio deve esserlo) per l'interlocutore in divisa o giacca e cravatta, ed è una sentenza che accomuna noi che a queste gabbie siamo stati relegati. Così in quel “io lo so” mi riconosco anche io. Anche io che non ho un ergastolo davanti, che ho fatto “solo” tre anni e mezzo di galera, un terzo dei quali in Germania, so di sicuro che non ci sono discriminanti differenziazioni: quando hai assaggiato la libertà, quella vera, diventa tanto doloroso quanto inconcepibile doversi risvegliare e poi riaddormentare tra queste quattro mura infami, fosse anche solo una settimana, un mese, un anno.
L'altro giorno guardavo uno stupido film in TV, l'ultima scena inquadrava un padre che abbracciava il proprio figlio come epilogo di una trama da dimenticare, mi ha commosso! Ero lì sul mio letto e sentivo nitido un nodo alla gola e gli occhi farsi lucidi e speravo che il mio coinquilino non mi rivolgesse la parola per non farmi sgamare emozionato. Perché te lo racconto? Perché penso che il carcere “lavori ai fianchi” della persona che sei e della tua dignità cominciando col diseducarti alle emozioni. Coltiviamo amicizie che non sono amicizie, perdiamo le nostre cose come spesso perdiamo le nostre famiglie, ci rassegniamo all'idea che per anni il nostro mondo sia un mondo piccolo, amministrabile con poche parole, sempre uguali. Forse chi sceglie di togliersi la vita vuole solo farla finita con una non vita e col dolore che comporta non vivere! L'ho pensato anch'io, lo ammetto e senza vergogna, mi ha trattenuto la convinzione che la vita sia uno strumento per chi ha gli strumenti. Anche il nostro essere qui, tra sbarre e cemento, richiede una determinazione, una “politica” che è e deve essere voglia di vivere o solo di non darla vinta ai teorici del “uno in meno”.
Se ti ho scritto Carmelo (scusa se ho usato un “tu” diretto) è perché quelle tue poche parole mi han costretto allo specchio e ti ringrazio perché pensarle mi ha aiutato a capire che la mia resistenza non è solo istinto, ma una scelta quotidiana!
Ti mando un saluto sincero con stima e rispetto.

Enko Cortese
Carcere di Velletri