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				 esperienze concrete 
                  
                Autonomia produttiva e vita comunitaria 
                  
                Intervista di Michele Salsi alla Cascina delle Cingiallegre 
                    
                Dal 2003 a Cingia de' Botti (Cremona) è presente una comune autogestita dove vita condivisa e autoproduzione agricola si incontrano. L'esperienza comunitaria raccontata da chi la vive in prima persona. 
                 
                  Un po' per caso, circa un anno fa, sono venuto a conoscenza 
                  dell'esperienza delle Cingiallegre e sono andato a far visita 
                  a questa comune libertaria di Cingia de' Botti, un piccolo paese 
                  della bassa cremonese. Partecipando alle iniziative pubbliche, 
                  e legati da una promessa che avevo fatto loro (regalare una 
                  bicilavatrice, in segno di solidarietà per la loro lotta) 
                  è nata l'idea di un'intervista, e poi anche una bella 
                  amicizia. Sono andato alla cascina delle Cingiallegre con qualche 
                  domanda un po' improvvisata e ho registrato la chiacchierata 
                  che abbiamo fatto. Nella trascrizione questo non traspare molto, 
                  ma le risate non sono mancate e non è mancata una certa 
                  allegria (o cingiallegria!); come è invevitabile nei 
                  posti dove le persone respirano libertà. 
                 m. s.  
                  
                  Michele: Come è nata l'idea di una comune? 
                  Una Cingiallegra: L'idea inizia a partire agli inizi 
                  degli anni '90 quando gestivamo un centro sociale a Cremona, 
                  il Kavarna, con tutto quello che è la gestione di un 
                  centro sociale: spettacoli, iniziative e quant'altro. Durante 
                  questa gestione abbiamo iniziato a riflettere su quello che 
                  era il modo di usufruire di questi spazi. Cioè questi 
                  spazi proponevano tutta una serie di cose, però mentre 
                  alle iniziative goderecce c'era un sacco di gente, nelle iniziative 
                  a carattere più concreto e politico le file si assottigliavano 
                  di molto. Da lì il fatto di non vedere più in 
                  questo tipo di approccio una cosa che ci dava soddisfazione, 
                  e ci ripagava. 
                  Un'altra Cingiallegra: Poi c'è da dire che il 
                  Kavarna veniva vissuto giornalmente, nel senso che c'era gente 
                  che ci viveva proprio. 
                  Un'altra Cingiallegra: Sì, quando abbiamo interrotto 
                  questo periodo di iniziative e concerti, eccetera, abbiamo cominciato 
                  un altro tipo di percorso. Il Kavarna era uno spazio a disposizione 
                  di chiunque ne volesse usufruire, ma era anche uno spazio in 
                  cui si iniziavano a elaborare altre cose. Tra queste cose abbiamo 
                  iniziato a ragionare su tutta una serie di percorsi, partendo 
                  da un percorso che si è sviluppato qui vicino a Cremona, 
                  a Stagno Lombardo, che si chiama “la Cittadella”, 
                  e in questa cittadella a fine '800 è nata la prima cooperativa 
                  d'Italia fondata da Giovanni Rossi, un anarchico toscano. Lui 
                  qui in zona ha trovato un proprietario terriero che era comunque 
                  un politico socialista e con questo si sono messi d'accordo 
                  per una parte di quelle che erano le terre e la cascina che 
                  è chiamata Cittadella (che è molto grande, 3-4 
                  volte questo posto) una parte è stata messa in gestione 
                  a questo esperimento che è andato avanti 2-3 anni, poi 
                  con l'avvento della tecnologia delle macchine agricole, ci sono 
                  state tutta una serie di discussioni tra i contadini e Giovanni 
                  Rossi piuttosto che altri che tenevano le fila della cosa, e 
                  ci fu questo grosso contrasto in cui si ritenne che l'avvento 
                  delle macchine non togliesse lavoro ai contadini, ma di fatto 
                  li metteva nella condizione di essere licenziati e messi da 
                  parte perché le macchine li sostituivano. L'esperienza 
                  fu molto interessante come tipo di esperimento nell'Italia dell'800. 
                  Poi da lì Giovanni Rossi proseguì e fondò 
                  una comune in Brasile, la comune Cecilia. Da un incontro su 
                  questa esperienza nacque un convegno a cui noi invitammo Urupia, 
                  che era appena nata, e altre realtà per cominciare a 
                  pensare cosa poteva essere una vita comunitaria. 
                   
                  M: La comune di Ovada c'era ancora? 
                  C: No... la comune di Ovada è negli anni 70, è 
                  stata uno dei primi insediamenti comunitari in Italia. 
                   
                  M: Voi da che anno avete fondato questo spazio? 
                   
                  C: Noi siamo qui dal 2003. 
                   
                  M: E il convegno quando è stato? 
                  C: Il convegno è stato fatto nel '98. 
                  C: Ci abbiamo messo quei 4-5 anni per trovare il posto, 
                  ma soprattutto anche tra di noi dedicavamo, mentre cercavamo 
                  il posto, giornate e giornate di elaborazione per capire che 
                  tipo di comune fondare, e come organizzarci. E nell'arco di 
                  questi 5 anni abbiamo cambiato tantissimo le nostre prospettive 
                  fino a che il posto poi lo abbiamo trovato e a quel punto chi 
                  c'era è partito con il progetto. 
                   
                  M: Nel frattempo stavate sempre lì al Kavarna? 
                  C: Sì, di fatto stavamo al Kavarna 24 ore su 24. 
                  Avevamo cominciato a fare l'orto occupato. L'idea della comune 
                  è nata come discorso di maturazione e devozione. 
                  C: Anche quando poi abbiamo deciso come gruppo iniziale 
                  (che è bene o male quello presente qui stasera) di partire, 
                  non è che la cosa fosse a tutti ben chiara. La partenza 
                  è una partenza fatta per una serie di bisogni, necessità, 
                  sogni, che parte in una maniera e siamo arrivati adesso in tutt'altra 
                  maniera di come eravamo partiti. Dal 2003 ad adesso tutta una 
                  serie di cose sono cambiate. 
                  C: Mi viene da pensare adesso che tutto quello che è 
                  stato il Kavarna è stato già una parte del progetto 
                  perché già da lì si sono sperimentate le 
                  convivenze. Ed è maturato il fatto di guardarci in faccia 
                  e dirci noi quello che volevamo fare, quali siano le sinergie 
                  che ci possono essere tra le persone, tra di noi, e insieme 
                  provare a sperimentarci e a vedere dove questo può portarci. 
                  L'esigenza era questa. 
                   
                  M: Quindi il Kavarna era anche uno spazio abitativo? 
                  C: Sì, lo avevamo trasformato anche in uno spazio 
                  abitativo. 
                  C: Ospitando anche migranti. Omar è un migrante 
                  che è arrivato con un progetto che abbiamo messo in piedi 
                  negli anni della guerra del Kosovo. 
                   
                  M: Anche Urupia è stato uno stimolo? È 
                  dopo Urupia che vi è venuta l'idea? 
                  C: Ma... già eravamo in un percorso. È chiaro 
                  che conoscere la loro realtà sicuramente ci ha dato stimoli 
                  in più di riflessione e anche un pò di convinzione 
                  in più rispetto al percorso che stavamo percorrendo e 
                  che ci è sembrato ancora più giusto. Dopo il convegno 
                  sull'autogestione siamo andati a Urupia. 
                  C: Eravamo andati anche su dagli Elfi (Valle degli Elfi) 
                  a vedere come erano organizzati. 
                   
                  M: Siete stati anche ad Urupia? 
                  C: Si, dopo il convegno sull'autogestione. E tutti insieme 
                  dopo il G8 di Genova del 2001. 
                   
                  M: Anche voi come Urupia non eravate contadini? 
                  C: No. Avevamo solo un po' di conoscenze. Con il Kavarna 
                  avevamo incominciato a coltivare la terra, abbiamo occupato 
                  la terra lì accanto ed è da li che è nato 
                  il connubio terra-alimentazione che è stato uno dei motori 
                  trainanti che ci ha portato qua. Sovranità alimentare, 
                  indipendenza alimentare. Vedere le cose in una prospettiva più 
                  ampia. Era il periodo in cui si incominciava a parlare di OGM 
                  per cui si incominciava finalmente a riflettere sull'alimentazione. 
                  È stato un fatto abbastanza d'obbligo passare alla terra. 
                  Come fare ad uscire da quella logica? Sicuramente una risposta 
                  è l'autosufficienza alimentare. 
                  C: È stato proprio un cambio di punti di vista, 
                  una visione che si è ampliata nel modo di vedere quello 
                  che era la conflittualità all'interno della città 
                  (che andava dal biglietto del tram alla casa occupata). Invece 
                  il riappropriarsi della terra, per come ci era apparso in Urupia, 
                  era un “aprire”: aprire molto a quello che si è 
                  sempre pensato sull'autogestione, ad essere sé stessi 
                  in prima persona. 
                  C: Una nostra caratteristica è sempre stata quella 
                  di dare concretezza al nostro discorso. Un progetto comunitario 
                  ti pone in prima persona di fronte alle grandi parole come “niente 
                  delega”, “assunzione di responsabilità”, 
                  “solidarietà reciproca”: sono tutti concetti 
                  che una vita comunitaria ti porta a vivere sulla tua pelle, 
                  per capire se sono solo concetti astratti o possono essere concreti. 
                  Questa è stata la scommessa: vediamo se tutte queste 
                  parole possiamo tradurle in un concetto reale ed effettivo, 
                  e (perché no?) che possa esser con il tempo di stimolo 
                  per altre realtà. L'obbiettivo è quello di rendere 
                  un progetto un'occasione anche per altri. Non siamo mai stati 
                  dichiaratamente una comune aperta come invece è nei punti 
                  consensuali di Urupia. Anzi, a dir la verità, noi non 
                  abbiamo mai dichiarato nulla! Non abbiamo i punti consensuali. 
                  Questo ha fatto parte di una nostra discussione di 2 anni fa, 
                  ci siam chiesti se era giunto il momento di dichiarare i nostri 
                  “10 comandamenti”, ci siam guardati in faccia, ci 
                  abbiam provato e abbiam capito che non era affare nostro. Continuiamo 
                  a fare concretezza, poi c'è sempre occasione per parlare. 
                   
                  M: Mi sembra che ad Urupia fanno una riunione tutti 
                  i giorni 
                  C: No, la fanno una volta alla settimana. Ufficialmente 
                  a inizio settimana fanno una riunione tecnica tra le comunarde 
                  e gli ospiti, prettamente di organizzazione del lavoro della 
                  settimana. Poi le comunarde sì, si riuniscono, non credo 
                  a cadenza fissa ma a necessità, solo le comunarde per 
                  le scelte sostanziali da fare.  
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Cingia de' Botti (Cremona) - La cascina delle Cingiallegre  | 
                   
                 
                Come muovere i primi passi 
                M: Va beh, comunque volevo chiedere: voi come 
                  vi organizzate? Come prendete le decisioni? 
                  C: Sono riunioni settimanali anche le nostre, purtroppo 
                  serali (e invidiamo molto Urupia che le fa alla mattina!) per 
                  noi è impossibile farle alla mattina perché molti 
                  di noi lavorano fuori, e anche perché le nostre riunioni 
                  sono aperte ad una serie di persone che abitano fuori ma che 
                  hanno deciso di investire le loro energie qui dentro. Mettere 
                  insieme così tante persone con esigenze diverse, chi 
                  lavorative, chi di casa, ci risulta difficile. Ora è 
                  un periodo di fase riorganizzativa in cui stiamo analizzando 
                  un po' i percorsi tra di noi e ci prendiamo anche giornate tipo 
                  la domenica. Lo scorso inverno era tutte le domeniche, ma dipende 
                  dal lavoro. 
                  C: Le decisioni sono consensuali, se ci sono dubbi o 
                  non siamo tutti pienamente d'accordo si rimanda a ulteriori 
                  approfondimenti. 
                   
                  M: Invece per quanto riguarda la gestione economica 
                  dello spazio e tra di voi? 
                  C: La gestione economica è in via di sviluppo. Proprio 
                  in questo periodo stiamo pensando a quello che è effettivamente 
                  mettere in pratica una cassa comune. Abbiamo cominciato a parlarne, 
                  anche se di fatto una cassa comune c'è già. In 
                  cui ognuno mette un tot all'interno di questa cassa comune e 
                  con quello che mettiamo dentro andiamo a pagare tutto quanto 
                  riguarda la casa e (purtroppo) il mutuo che abbiamo sulla testa. 
                  C: Ora stiamo sviluppando la parte migliore della comune 
                  che è quella di fare cassa comune dove tutto quello che 
                  abbiamo lo mettiamo all'interno di questo posto in modo tale 
                  che possa vivere e che possiamo vivere anche noi. 
                  C: Tieni conto che all'inizio, dodici anni fa, lavoravamo 
                  tutti fuori ad eccezione di Stefano, per cui è stato 
                  abbastanza automatico il pensare che ognuno mettesse una quota 
                  uguale perché tutti avevamo un'indipendenza economica; 
                  e con quei soldi affrontare le spese comuni, mentre il resto 
                  dello stipendio ognuno lo spendeva per i fatti suoi. Questo 
                  ha funzionato fino ad un certo punto, fino a che non ci sono 
                  state persone che il lavoro non ce lo avevano più. A 
                  quel punto come fai a gestire una cosa partita da certi presupposti 
                  e che poi è diventato tutt'altro? È per quello 
                  che oggi abbiamo fatto questo passo evolutivo cioè di 
                  fare cassa comune definitiva. Chi lavora fuori mette lo stipendio, 
                  le attività che facciamo qui vanno tutte in cassa comune 
                  e quello che stiamo cercando di elaborare è come gestire 
                  poi la cassa comune. Cioè ognuno prende quello che gli 
                  serve, oppure decidiamo che c'è un tot a testa al mese 
                  per le spese personali, dichiariamo quali sono le spese personali? 
                  Queste sono le riflessioni, e Urupia anche qui ci insegna molto, 
                  ma quello che ci interessa è mettere in piedi un sistema 
                  che sia nostro che vada bene per noi e che ci rifletta. È 
                  inutile prendere un esempio e calarlo sulla nostra testa, ce 
                  lo possiamo tranquillamente inventare e sperimentarlo. Ci si 
                  dà un tot di tempo e poi si valuta se è la strada 
                  giusta o c'è qualcosa da cambiare. 
                  C: È stata un po' la nostra caratteristica negli 
                  anni: quella di ascoltare le esperienze degli altri ma di farci 
                  poi noi la nostra. Non prendere modelli già fatti. Appunto 
                  Urupia si era costituita da poco avremmo potuto prendere il 
                  loro modello e fare uguale, mentre invece noi avevamo bisogno 
                  di fare i nostri percorsi e stiamo arrivandoci adesso a delle 
                  altre considerazioni, e chissà cosa ne verrà fuori. 
                  C: Anche perché le individualità sono diverse, 
                  i luoghi sono diversi, per cui... è un po' come il detto 
                  “prendi i consigli da tutti poi fai come ti pare”, 
                  devi sapere te quello che è giusto per te. 
                  Sogni, difficoltà, determinazione 
                M: Vi volevo chiedere una cosa che potrebbe essere utile 
                  se qualcun altro volesse imitarvi, intraprendere un'esperienza 
                  simile alla vostra. Vorrei sapere sotto l'aspetto amministrativo 
                  e legale come risulta la vostra comune? 
                  C: Innanzitutto dovremmo far capire l'idea che non è 
                  una cosa bucolica, non è tutto rose e fiori. Vista dall'esterno 
                  può sembrare una cosa tutta rose e fiori. I fiori ci 
                  sono - per carità! - ma comunque ci sono anche le spine. 
                  Detto questo se qualcuno si vuole approcciarsi ad un'esperienza 
                  del genere, da parte nostra saremmo ben felici se qualcuno iniziasse 
                  a pensare che tanti fanno la differenza piuttosto che uno fa 
                  la differenza. Sicuramente farei lo stesso discorso che abbiam 
                  fatto noi con Urupia cioè prendi, ma non prendere tutto 
                  per oro colato, nel senso che l'esperienza te la devi fare te. 
                  Per di più non so che consigli darti su una gestione 
                  che ancora noi stiamo discutendo... 
                   
                  M: Io so che ad Urupia hanno fatto un'associazione 
                  culturale, poi hanno fatto la cooperativa... 
                  C: Il loro percorso è stato diverso dal nostro, loro 
                  hanno iniziato con un approccio politico. Mentre noi ci conoscevamo 
                  da un sacco di tempo, Urupia è nata da un progetto politico 
                  tra persone che non si conoscevano o si conoscevano poco. Noi 
                  abbiamo fatto un percorso esattamente contrario, noi ci conoscevamo 
                  da un sacco di tempo e avevamo fatto un sacco di cose insieme 
                  e siamo approdati a questa realtà come evoluzione naturale 
                  del nostro percorso collettivo. Quindi loro si sono dati necessariamente 
                  un'organizzazione fin dall'inizio, noi no. Per noi è 
                  stato è più un approccio naturale, ci si conosce 
                  già, quindi che organizzazione bisogna darsi? Poi pian 
                  piano vivendo insieme ci si è resi conto che la quotidianità 
                  va un minimo organizzata perché se no diventa un problema 
                  la convivenza. 
                  C: Ma a livello “legale”, la proprietà 
                  della cascina attualmente - fino all'estinzione del debito con 
                  la banca - è dei cinque di noi intestatari che figurano 
                  anche come proprietari. Era l'unica forma in quel momento per 
                  poter accedere ad un mutuo. Non avevamo i soldi per poterla 
                  comprare, per cui abbiamo fatto un sacco di riunioni e ci siamo 
                  detti che questa era una cosa che la banca voleva che fosse 
                  così... allora bene, però all'interno non ci sono 
                  5 proprietari, i proprietari sono tutti quelli che ci vivono. 
                  La banca avrebbe voluto uno solo e noi abbiamo detto 5 o niente. 
                  Per quanto riguarda le associazioni ci stiamo pensando anche 
                  se noi già con il Kavarna abbiamo fatto il percorso inverso. 
                  Al Kavarna prima siamo stati una cooperativa, poi un'associazione 
                  con tanto di presidente e consiglio, eccetera... fino ad arrivare 
                  ad una associazione ugualitaria che non aveva presidenti né 
                  niente. Poi quando siamo arrivati qui non ci siamo posti subito 
                  l'obbiettivo dell'associazione, cioè ci avevamo pensato 
                  ma con il mutuo non riuscivamo a farlo. Sarà una cosa 
                  che noi affronteremo cioè quella di trovare una soluzione 
                  a livello giuridico. 
                  C: Ritornando a quello che avevi chiesto, se qualcuno 
                  volesse intraprendere la nostra strada, quello di cui ci siamo 
                  resi conto è che c'è una mancanza di possibilità. 
                  Perché chiunque voglia provare a sperimentare qualsiasi 
                  nuovo tipo di forma, di modo di vivere, si deve incasinare o 
                  deve avere dei soldi o deve avere delle terre o deve indebitarsi. 
                  Secondo me il problema sta lì, nelle possibilità, 
                  perché tantissime persone secondo me potrebbero benissimo 
                  mettersi in gioco e sperimentare nuovi modi di vivere, però 
                  frena il fatto di doversi andare a mettere in situazioni di 
                  debiti, casini, eccetera. Ci siamo chiesti appunto anche se 
                  questo posto poteva diventare una possibilità per chi 
                  vuole mettersi in gioco senza dover render conto a nessuno. 
                  C: Sì, perché la sperimentazione “pura” 
                  potrebbe avvenire solo in quelle circostanze. Quando sei pronto 
                  e decidi che effettivamente è questa la strada in cui 
                  ti vuoi mettere in gioco, ti devi effettivamente mettere in 
                  gioco, devi aver voglia di confrontarti quotidianamente e costantemente. 
                  C: Un'altra cosa da aggiungere al riguardo - e non a 
                  caso l'estate scorsa abbiamo organizzato un incontro con la 
                  fattoria delle patate in Germania - perché parlando con 
                  delle ex comunarde che sono berlinesi e sono tornate a Berlino 
                  e ci hanno parlato di questa esperienza a un centinaio di km 
                  da Berlino. Ci raccontavano: in Germania, come in Francia, esistono 
                  queste realtà gigantesche che investono in terreni e 
                  lo fanno raccogliendo denaro (si vede che in Francia e Germania 
                  ci sono un sacco di ricchi illuminati!). Raccolgono tanto denaro 
                  e acquistano terreni e fabbricati. Poi li danno in gestione 
                  a progetti, ma non in affitto, semplicemente li danno in gestione 
                  a progetti. Se il progetto funziona: bene. Se non funziona chi 
                  ci ha investito piglia e se ne va e quella terra e quei locali 
                  restano a disposizione per chiunque altro voglia provare. Questa 
                  dimensione ti libera da tutta una serie di vincoli e ti permette 
                  di sperimentare fino in fondo, in modo libero da qualsiasi gabbia 
                  economica e soprattutto ti permette di concentrarti sui veri 
                  problemi che sono i problemi relazionali, organizzativi, senza 
                  l'assillo del dover per forza guadagnare per pagare un affitto 
                  o un mutuo... Questa logica che in Italia manca completamente, 
                  cioè questi strumenti non esistono, e secondo me farebbe 
                  molto la differenza per chi parte, riuscire a partire senza 
                  debiti. Secondo noi partire senza debiti significa poter davvero 
                  sperimentare in piena libertà. 
                   
                  M: Apro una parentesi: sul mensile Terra Nuova 
                  di qualche mese fa c'era un appello di un fondatore di Torri 
                  Superiore, l'eco-villaggio, in cui dice che ci sono due aree 
                  bellissime abbandonate, di cui una era già stata comprata 
                  da loro credo in Toscana e per un'altra in Piemonte chiedevano 
                  l'appoggio per comprarla e quindi salvarla da speculazioni, 
                  ecc. Per cui mi è venuto in mente che per esempio tutte 
                  le cascine anche solo venendo qui da Parma se ne vedono di bellissime 
                  abbandonate. Dico magari il proprietario ci deve anche pagare 
                  delle tasse e varie spese per niente. Se ci fosse, appunto un'associazione 
                  che le prende in gestione per darle poi gratis a persone interessate 
                  sarebbe davvero utile e vantaggioso per tutti. 
                  C: Noi non abbiamo trovato nessuno disposto a darci un posto 
                  in comodato, la mentalità intorno a noi è veramente 
                  grama. 
                  C: Anche noi alla fine pensiamo: questo spazio a chi 
                  rimane? Ci piacerebbe l'idea che restasse poi a disposizione 
                  di chi ne vuole fare uso. Che non deve esser per forza agricolo, 
                  potrebbe essere anche una scuola di circo! Ma se non c'è 
                  un circuito che si fa carico di queste proprietà questo 
                  spazio poi a chi rimane? Sarebbe bello poterlo proporre a gruppi 
                  che vogliono sperimentare nuove forme di stare insieme o di 
                  progettazione, stare insieme per progettare. 
                  C: In Italia la mentalità è molto legata 
                  alla Chiesa, parecchia gente fa i lasciti alla Chiesa, magari 
                  in Germania o Francia c'è meno questa roba. 
                  C: La proprietà privata comunque è assolutamente 
                  intoccabile per l'italiano: è mia proprietà e 
                  faccio quel che voglio io. 
                   
                  M: Mi raccontava un amico di Bologna che in un 
                  paese di montagna voleva installarsi in una casa abbandonata, 
                  poi lui è muratore per cui l'avrebbe aggiustata senza 
                  volere niente in cambio. Il contadino anziano proprietario gli 
                  ha detto “No, non mi fido perché sicuramente c'è 
                  un inganno!”. 
                  C: Ma è vero, ti può capitare molto più 
                  facilmente al Sud, perché anche tante altre persone che 
                  conosciamo e ci si sente ogni tanto, il comodato d'uso e il 
                  lascito sono più comuni al Sud. Qui è proprio 
                  difficile. Le terre non vengono tenute incolte, per cui qui 
                  è un territorio davvero difficile. 
                  C: Infatti quando siamo andati alla presentazione a Bologna 
                  del libro Genuino Clandestino c'erano i ragazzi siciliani di 
                  Terre di Palike che spiegavano che quello che hanno fatto è 
                  di iniziare a coltivare terre incolte, ettari e ettari di terreni 
                  abbandonati. Qui vanne a trovare! Ormai mettono giù il 
                  mais anche negli spartitraffico, vale troppo qui la terra. La 
                  pianura padana purtroppo è troppo interessante per il 
                  business per poterci fare una riflessione di questo genere, 
                  devi muoverti in collina, devi andare in montagna o piuttosto 
                  appunto verso Sud dove la terra non la lavora quasi più 
                  nessuno. 
                  Piccole produzioni dal basso 
                M: Voi fate anche attività produttiva agricola? 
                  C: Sì, noi abbiamo un ettaro e mezzo in affitto, 
                  perché quando abbiamo fatto il contratto di acquisto 
                  avevamo condizionato l'acquisto alla possibilità di affittare, 
                  dallo stesso proprietario dal quale stavamo comprando la cascina, 
                  anche l'ettaro e mezzo che stava intorno. Vuoi per mantenere 
                  la distanza con chi in pianura fa le schifezze più incredibili. 
                  Vuoi perché nella nostra testa c'era anche questo pensiero 
                  che non è arrivato subito. Noi per qualche anno le terre 
                  le abbiamo semplicemente lasciate a riposo, se ne son state 
                  lì buone buone a riprendersi dalla schifezza che per 
                  anni e anni è stata data. Poi si è sviluppato 
                  il progetto agricolo partendo da chi sostanzialmente aveva perso 
                  il lavoro o non lo aveva. Già coltivavamo per la cascina, 
                  poi abbiamo iniziato l'azienda agricola, abbiamo frutta e verdura, 
                  poi il forno per le panificazioni. Stefano legalmente è 
                  imprenditore agricolo e figura come una persona sola, cioè 
                  coltivatore diretto. 
                  C: L'azienda è in regola, tutto il resto è 
                  clandestino. I prodotti da forno e i trasformati che facciamo 
                  con l'esuberanza dei campi è tutto clandestino. 
                   
                  M: Questo posso scriverlo? 
                  C: Secondo me sì, anche perché alla fine è 
                  inevitabile che realtà come queste arrivino a pensare 
                  a modalità diverse di gestione economica delle attività, 
                  al di fuori delle regole del sistema. È inevitabile dal 
                  punto di vista delle scelte politiche ma è soprattutto 
                  necessario perché se no sarebbe impraticabile. Se vuoi 
                  applicarti davvero sulle attività che preferisci e desideri 
                  fare, la clandestinità è un presupposto da perseguire. 
                  E dal punto di vista politico a maggior ragione la clandestinità 
                  è da perseguire. 
                  C: Le nostre produzioni, come quelle di tantissime altre 
                  realtà, non muovono numeri giganti, quindi è impensabile 
                  doverlo fare seguendo alla lettera le normative vigenti. Perché 
                  per poter fare qui tot chili di pane che servono alla cascina 
                  e a chi ce li chiede perché gli piace il pane fatto così.. 
                  non è certamente il panificio che ti sforna quintalate 
                  di pane tutti i giorni. Quindi le produzioni dal basso e le 
                  piccole produzioni vanno tutelate. Per la legge dovresti seguire 
                  le stesse regole dei grandi panifici... è impensabile. 
                  C: Quello che secondo me è saltato fuori negli 
                  incontri che abbiamo fatto con i Gas o le altre realtà 
                  in giro, è che chi fa mercato di prodotti non riconosciuti 
                  ufficialmente da quella che è l'Asl o altri tipi di enti, 
                  l'accusa che viene rivolta più spesso è che è 
                  una maniera per evadere le tasse. Noi non lo facciamo per evadere 
                  le tasse, ma per mangiare bene e in maniera più sana. 
                  Per mangiare sano non importa avere un impianto iper tecnologico 
                  o super sterilizzato, generazioni di persone sono campate mangiando 
                  marmellate fatte in casa e non si capisce perché adesso 
                  queste cose debbano essere demonizzate e considerate appannaggio 
                  solo dell'industria alimentare. 
                  C: Anche il fatto che ci siam levati dalla certificazione 
                  biologica anche qui è stato un percorso voluto. Abbiamo 
                  cominciato perché avendo a che fare con i gruppi d'acquisto, 
                  il mercato, eccetera, dato che non ti conoscono c'era bisogno 
                  di questa certificazione, per cui l'abbiamo fatta e tenuta per 
                  4 anni. Poi ci siamo chiesti “chi ce lo fa fare?” 
                  di alimentare un qualcosa di anche mafioso. Più che altro 
                  per fare capire che le certificazioni devono avvenire in maniera 
                  diversa con la consapevolezza della persona. 
                  C: Secondo me è l'ennesima forma di delega anche, 
                  delego l'ente certificatore a dirti che tu sei biologico. Basta 
                  con queste deleghe! Vai a conoscere chi ti fa la verdura! È 
                  chiaro che se la prendi sempre all'Esselunga sarà difficile 
                  che tu venga a sapere chi è che fa la verdura e se effettivamente 
                  è biologica o meno, indipendentemente dal marchio che 
                  c'è sopra. Siccome non siamo molto lontani da dove andiamo 
                  a vendere, ci puoi venire a trovare, vedere e conoscere in qualsiasi 
                  momento, così non c'è bisogno di delega. Almeno 
                  riesci a capire che il pomodoro in dicembre non ha senso che 
                  tu me lo chieda. 
                  C: Non bisogna neanche fidarsi di chi gestisce la salute 
                  in Italia, anche perché poi è un percorso difficile 
                  in cui devi andare a recuperare tutta una serie di saperi e 
                  conoscenze che sono perse nel tempo. Anche il più vecchio 
                  dei contadini qui intorno nel suo orto usa il diserbo, cioè 
                  fa un uso dell'orto in piccolo uguale al quello del campo di 
                  mais di fianco. Perciò andare a recuperare tutta una 
                  serie di conoscenze che sono andate perse è un lavoro 
                  non da poco. Nelle cose che facciamo, come lo scambio di semi, 
                  c'è anche la volontà di recuperare questi saperi 
                  andati scomparsi, come trasformare, recuperare, essiccare, mettere 
                  sott'aceto piuttosto che sott'olio, capire come conservare ciò 
                  che può servire durante l'inverno. 
                  C: C'è proprio un gap di generazioni. Siamo nati 
                  nel boom economico e di fatto siamo stati più “ricchi” 
                  da una parte, ma ci siamo impoveriti dall'altra. Ci siamo impoveriti 
                  di tutti i saperi che ti potevano fare autogestire all'interno 
                  della tua casa oppure della tua comunità. Per cui siamo 
                  stati costretti sempre a delegare fino a che ci siamo abituati 
                  a delegare tutto, qualsiasi cosa. Non siamo più protagonisti 
                  in prima persona, andare a recuperare tutti quei saperi e l'impoverimento 
                  che è avvenuto è un'impresa, però ancora 
                  c'è l'occasione di riprendere le fila di tutto questo. 
                  C: È come fare un percorso a ritroso andando avanti. 
                  Perché poi ti riallacci a tutti questi saperi che però 
                  li devi rendere attuabili e disponibili ora in questo periodo, 
                  perché i tempi cambiano. 
                  C: Volevo aggiungere anche un'altra cosa che secondo 
                  me ci caratterizza rispetto alle scelte che abbiamo fatto. Noi 
                  crediamo molto nelle tante e piccole realtà, molto poco 
                  nelle grandi realtà rivoluzionarie. Ti faccio un esempio: 
                  noi siamo una realtà di 10 anime e io credo che sul territorio, 
                  in tutta la provincia di Cremona, possano avere più incidenza 
                  10 realtà di 10 anime piuttosto che una grande realtà 
                  che fa biologico, che ti fa delle cose megagalattiche, quelle 
                  grandi aziende che ti propongono tutta una serie di garanzie 
                  dal punto di vista qualitativo, dell'alimentazione, eccetera... 
                  ma dal punto di vista della progettualità politica, pur 
                  partendo magari da una progettualità politica molto importante, 
                  poi si perdono perché fagocitati dal mercato e perché 
                  costretti ad approcciarsi al sistema in modo integrativo, non 
                  alternativo. Realtà piccole possono avere molte più 
                  possibilità nel piccolo perché si muovono su una 
                  rete molto più sfuggente, più underground, 
                  per cui riescono a sottrarsi a tutta una serie di scelte legate 
                  al dover e volere stare sul mercato, se no la tua azienda non 
                  ha più senso di esistere. Diventano più importanti 
                  100 persone di 10 realtà diverse che si mettono insieme, 
                  ti creano un sottofondo decisamente più animato e dal 
                  punto di vista progettuale più interessante, rispetto 
                  ad una mega azienda biologica. 
                  Politicamente contadini 
                M: Come legate la ricerca delle tradizioni antiche 
                  e i saperi della civiltà contadina con l'essere politicizzati? 
                  Cioè questo voler essere “contadini” ma in 
                  una dimensione politica. 
                  C: Adesso il significato della parola politica ha perso 
                  un po' di significato, politica può voler dire anche 
                  fare il pane, prendere il pacchetto di sigarette... anche la 
                  vita quotidiana è politica. 
                  C: Riappropriarsi di un'autonomia produttiva ti garantisce 
                  sempre di più. Penso alle prime macchine che sono entrate 
                  nei campi: riappropriarsi di certe competenze, capacità 
                  e conoscenze ti pone in una condizione di autonomia che ti permette 
                  di dare una valenza politica a tutto quello che fai, perché 
                  ti togli dall'ennesima forma di ricatto rispetto al sistema. 
                  Per cui se devo arare e riesco a farlo senza usare il gasolio 
                  piuttosto che il Fiat o il trattore o la motozzappa perché 
                  ho scoperto che lo può fare anche un cavallo, questo 
                  mi pone nelle condizione di inquinare meno, di non pagare più 
                  la compagnia petrolifera di turno che uso per far andare il 
                  trattore, così come se c'è un guasto lo aggiusto 
                  io e non devo tutte le volte correre alla Fiat a farmi mettere 
                  a posto... Anche qui è un percorso di ricerca sempre 
                  più raffinata. Dobbiamo cercare di portarci a casa meno 
                  dipendenza possibile dal sistema. 
                  C: Io penso che sia una scelta politica, ad esempio per 
                  quanto riguarda noi, anche il fatto di non arare la terra. È 
                  una scelta. Si fa alla svelta: “ci sono troppe erbacce, 
                  allora giro la terra”. Perché non lo faccio? Perché 
                  grazie all'esperienza e ai saperi che ci siamo fatti fin ad 
                  adesso sappiamo che il buono rimane tutto sopra e se io la giro 
                  non faccio altro che denutrire, per cui è una scelta 
                  politica. Il ragazzo che fa i formaggi, che viene a fare il 
                  mercato con noi, non usa mungere le sue capre con i macchinari 
                  perché se poi usa i macchinari deve usare delle sostanze 
                  disinfettanti che vanno ad inquinare, per cui preferisce mungere 
                  a mano. Sono scelte politiche, anche rivoluzionarie... Sono 
                  scelte forti, perché se io mungo a mano non ho la velocità 
                  di una macchina, quindi non posso tenere tanti capi. È 
                  tutta una scelta che si ripercuote a catena, a cascata sulle 
                  altre. Poi anche l'incontro con la gente quando hai occasione, 
                  con i mercati o con i GAS o robe del genere, le relazioni dirette 
                  sono una cosa molto importante e hanno tantissime valenze, l'abbiamo 
                  visto anche nell'arco del tempo, vedere persone che hanno l'abitudine 
                  di venire tutti i sabati a fare la spesa al mercato, come si 
                  sono incuriosiste e trasformate nell'arco del tempo. Li stimoliamo, 
                  li invitiamo, facciamo delle cose proprio per instillare un 
                  senso critico nelle persone, sono cose che a livello di energia 
                  costano tantissimo ma danno anche dei buoni risultati. Se su 
                  cento persone che vengono al mercato, cinquanta ci vengono perché 
                  sono motivati, non solamente perché è la verdura 
                  fresca e che non viene da molto lontano ma perché la 
                  facciamo noi e ti conoscono e ti sostengono perché gli 
                  piaci, eccetera... Questo ha una valenza completamente diversa. 
                  C: Alla fine si parla di terra, di campi, di cibo, ma 
                  quello che si cerca secondo me (e che ogni realtà tenta 
                  di fare) è cercare di realizzare uno stile di vita alternativo. 
                  Un modo diverso di stare insieme agli altri nel rispetto di 
                  se stessi, dei beni comuni e della totalità delle persone. 
                  Alla fine questo lo puoi fare facendo il falegname e il meccanico, 
                  l'agricoltore o lo scrittore piuttosto che l'editore: provare 
                  a sperimentare una via alternativa per togliere potere a questo 
                  sistema. Per quanto ci riguarda i nostri percorsi politici di 
                  lotta “urbana” sono superati. Nelle parole: “Meglio 
                  sabotare che fare un corteo”, mi ci ritrovo abbastanza. 
                  C: Tornare a ritrovare i sapori antichi, come si diceva 
                  prima, tra politica e no, vuol dire “sabotare” il 
                  sistema, perché io non vado più ad alimentarlo 
                  perché riesco ad autogestirmi. La parola politica assume 
                  varie sfumature, oggi è difficile dire: “La mia 
                  vita è politica”, nel senso che quello che faccio 
                  ogni giorno lo faccio con etica morale, di condivisione e tutto 
                  il resto. 
                  C: Noi abbiamo fatto un periodo a fare in città 
                  cortei, manifestazioni, eccetera... e nello stesso tempo non 
                  avevamo la capacità di capire che finito il corteo, la 
                  manifestazione, l'evento, finita l'iniziativa noi ci guardavamo 
                  in faccia e stavamo foraggiando il sistema. In qualsiasi scelta 
                  noi si andasse a fare nel quotidiano, andavamo a foraggiare 
                  il sistema che combattevamo per le strade. Ecco questa è 
                  un'incoerenza di base, ma grossa! Le incoerenze ci sono sempre, 
                  siamo umani e cerchiamo anche di restarlo, ma il problema è 
                  che non può essere un'incoerenza così forte. Per 
                  cui abbiamo cercato di trasformare la vita quotidiana in una 
                  pratica rivoluzionaria perché se no questa incoerenza 
                  pesava troppo. Però allora lo si faceva, io l'ho fatto 
                  per un sacco di anni ma tutto il mondo era così, forse 
                  gli hippy o i fricchettoni non erano così. Ma in fondo 
                  neanche loro... 
                   
                  M: Al di là della vostra realtà: 
                  come vedete la situazione in generale dei movimenti, quali strade 
                  possibili da percorrere? Voi vi proponete in un certo senso 
                  come esempio.  
                  C: Secondo me creando un'altra economia, un'economia completamente 
                  nostra non necessariamente contadina, in modo che non si foraggi 
                  più questa economia in nessun tipo di forma e incominciare 
                  invece a pensare a quello che potrebbe essere un modo nostro 
                  di gestire l'economia. 
                   
                  M: Sarebbe l'autogestione generalizzata... 
                  C: Noi mangiamo, ci vestiamo, usiamo utensili, strumenti, 
                  attrezzature, ci curiamo, tutto ciò necessita di conoscenze, 
                  competenze e capacità per cui se qui oltre che produrre 
                  cibo si dovesse produrre lavatrici, utensili, martelli, seghe, 
                  trapani, vestiti, scarpe, tavoli, mobili... se tutto ciò 
                  dovesse uscire da questa realtà parallela noi andremmo 
                  a costruire un sistema realmente alternativo, ma fatto da persone 
                  che fanno le cose politicamente perché hanno un'etica, 
                  perché hanno un obiettivo: quello di combattere il sistema. 
                   
                  M: Ma produrre questi prodotti in modo industriale? 
                  C: Io non sono primitivista, se ho bisogno della macchina 
                  difficilmente prenderò un cavallo. Mi devo per forza 
                  confrontare con una cosa tecnica e meccanica di un certo tipo... 
                  Se tutte queste cose dovessero uscire da una fabbrica autogestita 
                  dagli operai, io comprerei quella macchina e eviterei di comprarmi 
                  una Fiat di Marchionne. Oggi non c'è una macchina che 
                  esce da una fabbrica autogestita. In Grecia, in Argentina cominciano 
                  ad esserci (perché la crisi li ha portati a quel livello) 
                  iniziative di autogestione e anche di cicli di produzione. Proprio 
                  per un discorso di coerenza, non nego che su tante cose bisogna 
                  lavorare perché a volte l'uso della strumentazione è 
                  veramente solo un abitudine e non una necessità. Però 
                  ci sono quelle cose che vivere nel duemila ti porta necessariamente 
                  ad utilizzare, allora sarebbe meglio che quello esca da una 
                  forma di organizzazione della produzione completamente diversa. 
                  C: Poi bisogna considerare un sacco di cose, cioè 
                  che quello che costruisco non sia una cosa che alla fine inquina. 
                  A livello economico, che tutto venga gestito dal basso in modo 
                  tale che il denaro vada solo dove serve. Adesso per esempio 
                  diamo i soldi per tantissime cose ma non abbiamo i soldi per 
                  il dentista, perché non c'è nessun dentista che 
                  fa baratto... Forme alternative, monete complementari, bisogna 
                  farlo funzionare differente questo mondo. 
                  C: Ritornando alla domanda, secondo me questo mondo è 
                  veramente vicino al collasso: non credo durerà ancora 
                  per molto. E secondo me in questo momento noi dobbiamo essere 
                  organizzati per il collasso. 
                  M: Ti riferisci al pianeta o alla società? 
                  C: Al sistema. Il sistema è talmente vorace che si 
                  sta mangiando il pianeta. Anche la terra sta collassando, non 
                  c'è più un angolo di cui posso dire: “Vado 
                  lì che è tutto puro”. Non esiste, un posto 
                  così non esiste. 
                  C: Qualche zona, qualche gruppo ancora c'è, ma 
                  davvero poco. 
                   
                  M: Secondo me ormai più che di parlare di 
                  rivoluzione bisogna parlare di evoluzione. La rivoluzione che 
                  si pensava una volta, quella della classe operaia eccetera, 
                  probabilmente non ci sarà mai... però si può 
                  parlare di evoluzione. 
                  C: Secondo me il sistema produttivo collasserà perché 
                  non ci saranno più soldi per produrre cose che la gente 
                  non può comprare per cui si ritornerà a un economia 
                  diversa non basata sulla mega produttività, ma sulla 
                  micro produttività. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Cingia 
                        de' Botti (Cremona) - La cascina delle Cingiallegre  | 
                   
                 
                Il cibo riscoperto 
                M: Per tornare all'agricoltura per esempio Masanobu 
                  Fukuoka ha detto che “l'agricoltura commerciale fallirà”. 
                  Coltivare per fare soldi è una cosa destinata a fallire. 
                  C: È vero anche io sono d'accordo, perché 
                  l'agricoltura intensiva, come qualsiasi cosa sforzata, è 
                  talmente “innaturale” che riesce a sopravvivere 
                  solo perché tu a quella terra gli dai A, B, C, D... Se 
                  tu non gliele dai, lei non è più in grado di poterlo 
                  dare. La famosa desertificazione è questa. Se tu non 
                  metti giù quintalate di sterco o non dai acqua costantemente 
                  la terra non sarebbe più in grado. In più è 
                  stata ridotta tantissimo per l'urbanizzazione, o tanta terra 
                  ormai viene usata non per scopi alimentari. Aveva ragione Masanobu 
                  Fukuoka. 
                  C: I produttori di latte sono già un bell'esempio: 
                  centinaia di bestie ma il latte non glielo pagano! 
                   
                  M: Dato che si è parlato anche un po' degli 
                  OGM prima, dato che l'Expo è cominciato, volevo dirvi: 
                  voi in un certo senso siete all'opposto di Expo, però 
                  pensando al suo motto “Nutrire il pianeta, energie per 
                  la vita”, sono parole che sono rappresentate solamente 
                  da posti come questo, non certo dalla vetrina che è stata 
                  fatta. 
                  C: Infatti è una guerra di vocabolario ormai, rubano 
                  le parole, rubano i concetti, e sostanzialmente è tutta 
                  facciata e tutta immagine. Il problema è che in questo 
                  gioco ci stanno cadendo persone di un certo rilievo che per 
                  un certo movimento hanno avuto un significato importante. Penso 
                  a Vandana Shiva e mi sorprende molto che una persona come quella 
                  si sia prestata a un gioco così becero e così 
                  falso. Però molto probabilmente anche lei sta facendo 
                  il suo percorso... e vabè. 
                   
                  M: Secondo me quella per Expo sarà anche 
                  una battaglia “culturale”. Voi magari avete ricordi 
                  anche degli anni della rivoluzione culturale, credo che anche 
                  negli anni '80 c'era un'idea di cultura molto diversa. Oggi 
                  un cittadino medio può identificare la cultura con figure 
                  discutibili che fanno riferimento a istituzioni varie, che sono 
                  tra le promotrici o le affiliate ad Expo. Mentre in netta contrapposizione 
                  a tutto ciò ci sono persone, scrittori, studiosi, attivisti, 
                  che fanno riferimento a tutta un'altra cultura. Solo per esempio 
                  senza andar lontano, soltanto perché è stato qua 
                  poco tempo fa, Stefano Boni (come tutta la rete culturale di 
                  cui può fare parte), che di certo non è una figura 
                  che arriva a un cittadino medio, visitatore di Expo. C'è 
                  un tale disinteresse e una tale passività generalizzata 
                  che qualsiasi ente, o qualsiasi politico che ha letto due libri 
                  può spacciarsi come “cultura” e usare questa 
                  prevaricazione per scopi anche subdoli o comunque di tornaconto 
                  privato, settario, ecc. Lo spettacolo di Expo è anche 
                  questo. 
                  C: Sì, manca l'approccio critico con le cose. Non 
                  credo che manchi la capacità o l'informazione, mancano 
                  la voglia e il coraggio di porsi in modo critico rispetto alle 
                  cose che ti vengono propinate. Perché l'Expo basta essere 
                  minimamente critici per capire che sotto è una grande 
                  presa per il culo, è una grande manovra economica per 
                  foraggiare i soliti noti. Non c'è bisogno di essere nel 
                  movimento per capire queste cose, le informazioni ci sono tutte, 
                  basta seguire il telegiornale una settimana per avere almeno 
                  il dubbio che qualcosa non sta andando come ti dicono, ma manca 
                  la voglia di porsi in questo modo, e quindi la cultura. Quindi 
                  è l'homo comfort che preferisce credere che va 
                  bene così e rimane tutto come ti fa comodo che sia. Non 
                  c'è voglia di mettersi in gioco. 
                  C: Sono cambiati proprio gli ideali. Gli ideali che potevano 
                  esserci nelle piazze, nelle osterie, nelle case del popolo e 
                  nei centri sociali, che potevano essere: “Assaltiamo il 
                  palazzo” piuttosto che: “Bruciamo la fabbrica” 
                  sono cambiati completamente. Adesso ci siamo accorti che quello 
                  che è stato fatto in quel periodo non è servito 
                  a noi ma è servito a qualcun altro, e le cose non possono 
                  continuare in questa maniera, non possiamo continuare a fare 
                  cose che poi servono agli altri, bisogna fare cose che servono 
                  anche a noi. Per riflettere su questo abbiamo dovuto fare un 
                  percorso che mette la persona al centro della questione, se 
                  io voglio cambiare, se voglio che le cose vadano in una maniera 
                  differente, devo essere io a muovermi in maniera differente. 
                  Non è più la piazza che conquista il palazzo, 
                  ma è la gente che conquista la piazza, perché 
                  torna a riappropriarsi, insieme agli altri, mettendo la propria 
                  capacità personale di mettersi in discussione. Se non 
                  succede questo, non si va avanti, perché le maniere per 
                  poterci reprimere sono svariate, migliaia... Anche Expo va proprio 
                  in questa direzione. Quello che deve interessare è il 
                  cambiamento che ognuno di noi deve fare perché ne possano 
                  godere poi i figli dei nostri figli. 
                  C: A Berlino avevo letto una bellissima scritta: “Noi 
                  non vogliamo il pane, noi vogliamo la forneria”. Non ce 
                  ne frega niente della tua carità, me lo voglio fare io 
                  il pane. 
                  C: Non vogliamo solo il pane, vogliamo anche le rose. 
                  C: Comunque... Prima accennavi al nostro rapporto col 
                  vicinato: il rapporto con il vicinato è buono, all'inizio 
                  ci divertivamo a trovare quello che tiravano fuori di nuovo. 
                  La zona cremonese è una zona fredda in cui ognuno sta 
                  a casa sua per i cavoli suoi. Non è un terreno facile. 
                  Su alcune cose infatti ci siamo arresi. Si cerca di mantenere 
                  una relazione con la gente che si muove in modo alternativo 
                  ma comunque non è facile. Una cosa che secondo me la 
                  gente dovrebbe sapere è che questa è una scelta 
                  non dico totalizzante ma che comunque ci va molto vicino, ti 
                  succhia tantissima energia. Per cui poi risulta difficile far 
                  combinare una scelta così importante con il mantenere 
                  tutta una serie di contatti e relazioni che comportano una capacità 
                  di movimento di un certo tipo... Questa è una cosa che 
                  secondo me è da mettere in campo nel momento in cui si 
                  fa una scelta così. Devi perdere qualcos'altro, come 
                  quando si fa un figlio, credo, ti cambia la vita. 
                  Autonomia e alimentazione 
                M: Per parlare di alimentazione in concreto, voi 
                  mangiate tutto in autonomia? 
                  C: Quasi, produciamo tutto noi e quello che non produciamo 
                  cerchiamo di comprarlo da chi è come noi. Facciamo il 
                  brodo vegetale, trasformati, passate, pane e c'è in campo 
                  un progetto per produrre birra e vino. Ma facciamo anche i saponi 
                  e lo shampoo. L'obbiettivi è comunque sempre in primis 
                  di produrre qualcosa che serve, poi ne fai una quantità 
                  tale da poter poi fare uno scambio. L'obbiettivo principale 
                  è l'autosufficienza perché fa parte del nostro 
                  progetto. Dopodiché l'attività “imprenditoriale”, 
                  serve per mandare avanti la baracca. Purtroppo quello che ci 
                  frega è che abbiamo un mutuo da pagare, ti lega le mani, 
                  ma non solo quello, anche tutte le spese come le tasse o la 
                  tassa sulla proprietà da cui non si può scappare. 
                  C: L'alimentazione è un'altra di quelle cose che 
                  va riscoperta. Ci se ne accorge quando cominci a domandarti 
                  da dove arriva quello che mangi e da li parte un mondo che deve 
                  essere tutto riscoperto. Anche solo per fare un dado vegetale, 
                  come farlo e capire come veniva fatto, le verdure che usavano, 
                  che erano tutte verdure di stagione. C'è anche il fatto 
                  che tutta questa ricerca porta ad uno stress, devo andare a 
                  ricercare come alimentarmi e come stare bene perché manca 
                  tutto un periodo dove non c'è stata continuità 
                  per capire come alimentarti, per cui bisogna ricercare e anche 
                  capire se stai facendo giusto e stai mangiando bene. Non è 
                  così immediato che se faccio la marmellata come faceva 
                  mia nonna ho risolto le cose nel mondo. 
                  C: Comunque ricercare il modo di alimentarsi non vuol 
                  dire necessariamente mangiare come mangiava mio nonno, e questo 
                  è lo scatto evolutivo. Sto cercando di capire ciò 
                  che posso mantenere dell'alimentazione di un tempo, perché 
                  aveva un approccio sano con l'uomo e con la natura, ma allo 
                  stesso tempo mi approccio al macrobiotico che è il risultato 
                  di tutta una serie di riflessioni sull'alimentazione ed è 
                  un mix di recupero e, nello stesso tempo, di guardare indietro 
                  andando avanti. Cerchi di approcciarti con ciò che ti 
                  dà soddisfazione. 
                  “La comune è risposta e strumento” 
                M: Anche gli ingredienti sono importanti, a parte 
                  la ricetta, per le uova, ad esempio, si dice siano imparagonabili 
                  quelle di adesso rispetto a quelle di un tempo. 
                  C: Ci sono ora casermoni in cui i polli vivono stipati e 
                  li fanno produrre le uova. Queste scelte (e la coerenza con 
                  le scelte) sono importanti. Se uno dovesse partecipare al ciclo 
                  produttivo di quelle uova, non le mangerebbe più. Partecipa 
                  al ciclo di allevamento dei bovini e dei suini e dalla produzione 
                  del latte e ti assicuro che tu non mangeresti più quelle 
                  cose li. Sfruttano gli animali. 
                  C: Noi abbiamo avuto qualche gallina, erano proprio delle 
                  galline anarchiche, hanno fatto la loro vita e hanno fatto quello 
                  che han voluto. Chiaramente quando facevano le uova le facevano 
                  in giro, poi magari ti capitava di trovare il posto in cui le 
                  fcevano e trovare trenta uova, alcuni già marci e altri 
                  no... Poi si fa la prova dell'acqua, se galleggiano è 
                  meglio non usarle. Però quando trovavi le uova fresche 
                  capivi la differenza tra le uova di una gallina che mangia cercandosi 
                  il suo cibo da una gallina che viene allevata in un'altra maniera. 
                  È chiaro che prendiamo le uova da chi sappiamo come le 
                  fa. Il caffè lo prendiamo dai ragazzi del Malatesta, 
                  lo zucchero al negozio bio, il latte prendiamo il latte di riso. 
                  Le uniche cose che prendiamo fuori sono al negozio biologico 
                  anche la carta igienica riciclata. La farina al mulino Pederzani 
                  A Fidenza. O ad esempio, abbiamo un amico ci ha dato il grano, 
                  il grano duro e la pasta a Matera, e conosciamo chi la fa. Abbiamo 
                  calato il consumo della pasta pur di mangiare pasta fatta in 
                  un certo modo che costa di più, devi in qualche modo 
                  equilibrare, piuttosto mangiamo meno pasta. Poi il riso e alcuni 
                  legumi al punto macrobiotico. Poi il resto lo facciamo noi. 
                   
                  M: Voi siete vegetariani, vegani? 
                  C: Ci sono due vegetariani, poi il resto chi non mangia 
                  una cosa chi non mangia l'altra.. La carne la mangiamo una volta 
                  ogni tanto... Qui succede che certe volte i vegetariani cucinano 
                  la carne per i carnivori e non la mangiano. Comunque le galline 
                  sono tutte morte di morte naturale e son state tutte seppellite... 
                  Alle nostre galline non abbiamo mai tagliato le ali per cui 
                  andavano sugli alberi. Il pollaio c'era ma non ci andavano, 
                  stavano tutte su un muretto. Erano di razza Livornese che è 
                  una varietà rustica che non si caga più nessuno 
                  perché fanno uova dal colore chiaro ed è per quello 
                  che non le tengono, perché con la commercializzazione 
                  l'uovo bianco lo vedi se non è fresco, ora sono tutte 
                  di colori scuri. 
                   
                  M: Un'ultima cosa che volevo chiedervi per curiosità: 
                  il nome. Come mai avete scelto il nome “Cingiallegre”? 
                   
                  C: È un giocare un po' con il nome del paese Cingia 
                  de' Botti, e poi è anche uno degli uccelli che ci sono 
                  qua.. poi allegri è anche un messaggio e ci piacerebbe 
                  molto che l'allegria facesse parte del nostro progetto politico. 
                  È stato una casualità, abbiamo fatto anni a chiederci 
                  e cercar di decidere il nome della cascina. La scelta del nome 
                  è importante per cui vuoi dargli il nome più significativo 
                  possibile. Quindi non avendo un nome all'inizio ci chiamavamo 
                  solo “la cascina” che figurati qui intorno sono 
                  tutte cascine! Finché poi è venuto fuori questo 
                  nome. 
                  L'importanza sociale delle comuni 
                M: Per concludere volete lanciare un appello, 
                  un messaggio al mondo, alla città di Cremona, a chi volete? 
                  C: Di creare sempre più comuni, per noi è 
                  la risposta e lo strumento. Comuni di vario genere e varia natura. 
                   
                  M: Anche individuali? Anche se a quel punto non 
                  sarebbero più “comuni” 
                  C: Anche individuali, perché no... L'importante è 
                  che sia un individuo che abbia voglia di mettersi in relazione 
                  con gli altri. Poi noi abbiamo sempre sostenuto che il fare 
                  conta più di mille parole a volte, e quindi anche una 
                  persona da sola che si fa la sua storia e la fa bene, va benissimo. 
                  C: Un'altra cosa, su cui secondo me c'è da riflettere 
                  è il tema dell'anzianità. La prospettiva esistente 
                  è quando sei inutilizzabile di finire in un ospizio. 
                  Che è un carcere, una cosa assurda. Sarebbero da creare 
                  delle alternative per sentirsi utili fino alla fine dei propri 
                  giorni. Se vogliamo che la nostra vita sia diversa da quello 
                  che ci propongono, dovrebbere esser così anche la vecchiaia. 
                  Posti come questo possono dare la possibilità a persone 
                  di età avanzate di sentirsi utili in tantissime maniere. 
                  Secondo me dovremmo pensarci anche a questo aspetto. 
                  C: Nei vecchi villaggi l'anziano aveva il suo ruolo. 
                  In una comunità micro-complessa l'anziano/l'anziana ha 
                  il suo ruolo. A questo finché si è giovincelli 
                  non ci si pensa, ma poi andando avanti ci si ritrova a fare 
                  i conti con questa cosa. Allora per un discorso di coerenza 
                  bisognerebbe costruire una realtà sociale che preveda 
                  uno spazio di integrazione per le diverse età. 
                  C: Comunque è possibile la cosa, noi abbiamo avuto 
                  la fortuna di poterla sperimentare, perché abbiamo avuto 
                  qui con noi il nostro “grande vecchio”, Giovanni, 
                  che è rimasto qui con noi per tre anni. Ed è morto 
                  qua. E abbiamo visto che all'inizio non sapevi da che parte 
                  girarti, ma poi lui ha trovato la sua dimensione. Anche nella 
                  nostra interazione con lui. Anche se spesso non approvava molto, 
                  era un brontolone, non andava mai bene quello che si faceva! 
                  È stato bello. 
                  C: Il rischio è che si finisca nella solitudine 
                  ad una certa età, invece lui ha potuto vivere fino in 
                  fondo in una realtà viva. Dove anche lui aveva il suo 
                  ruolo e soprattutto poteva dire la sua. Poi aveva da ridire 
                  su tutto, si faceva il suo pezzo di orto per conto suo, eccetera... 
                  Però alla fine se ci pensi qual'era per lui l'alternativa 
                  allo stare qui? 
                 Michele Salsi 
                
                   
                    Noi, Cingiallegre 
                      Siamo 
                        un piccolo villaggio di anime che non si vogliono perdere. 
                        Siamo una rete di differenze e somiglianze viscerali in 
                        cui ciascuno ha il senso di sè e la cognizione 
                        degli altri. 
                        Cerchiamo in ogni momento di trovare una strategia comune, 
                        diffusa, naturale. Il senso di necessità di autodeterminare 
                        l'esistenza sta al centro della nostra quotidianità. 
                        I campi che coltiviamo sono parte integrante del villaggio 
                        e come tali li rispettiamo e creiamo con loro legami di 
                        aiuto reciproco. Ciò che i campi ci danno è 
                        cibo per la nostra tavola e materia prima dei nostri trasformati; 
                        tutti rigorosamente fatti in cucina. 
                         
                        Per contatti: 
                        Cascina delle Cingiallegre 
                        Via Casaletto di Sotto, 13 
                        Cingia de' Botti (CR) 
                        tel. 3278798169 
                        cascina.cingia@gmail.com 
                        - cascinadicingia.wordpress.com  | 
                   
                 
                  
                 
                   
                    a 
                        Rocco 
                      Lo 
                        stesso giorno di questa intervista, una brutta notizia 
                        era arrivata come una scossa.  
                        Rocco Luberto, amico prima di tutto, e compagno militante 
                        a Parma dai tempi del gruppo Autonomia ('77), era morto 
                        improvvisamente. Desidero dedicare a lui questa intervista 
                        che penso avrebbe letto volentieri e che gli sarebbe piaciuta 
                        tanto quanto la Cascina delle Cingiallegre e il loro esempio 
                        di lotta, di cui già avevo avuto modo di parlargli. 
                        Ringraziando (oltre ad “A”) Ambra e tutta 
                        la famiglia di Rocco,  mi permetto, in sua memoria, 
                        di rivolgere alle Cingiallegre e a tutti quanti leggeranno, 
                        queste parole  
                        che lui ha inconsapevolmente voluto lasciare alla bellezza 
                        del mondo e al suo mistero: 
                        “Ti allontani dai luoghi dove avevi trovato attracco. 
                        Vai, inseguito sempre dal tuo destino. 
                        Ti allontani, avvicinandoti e mentre corri verso posti 
                        lontani, torni verso casa.” 
                        (Rocco Luberto) 
                       
                        Michele  | 
                   
                 
                 |