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				 pedagogia 
                  
                Il tramonto di una cultura educativa 
                  
                di Eletta Pedrazzini 
                    
                L'odierno malfunzionamento della scuola si rivela sintomo di una generalizzata crisi della visione educativa che nel tempo si è cristallizzata, dando vita a una cultura molto forte all'interno della nostra società. Un'analisi critica dell'istituzione scolastica esistente è il punto di partenza per dare vita ad esperienze educative alternative, nell'ottica di un cambiamento sociale. In queste pagine pubblichiamo stralci da una tesi di laurea inedita. 
                 
                  La scuola è l'agenzia pubblicitaria che ti fa credere 
                  di avere bisogno della società così com'è. 
                  Ivan Illich 
                  “Pedagogia libertaria” risulta un'ampia denominazione che accosta e riassume gli sforzi teorici e pratici di molti autori, che nel corso dei secoli e in diverse parti del mondo hanno cercato di tracciare in ambito educativo una via alternativa a quelle già esistenti, un sentiero altro rispetto a quelli tradizionali e comunemente accettati, cercando così di mostrare un volto dell'educazione normalmente tenuto in ombra, volutamente nascosto o infangato. Da William Godwin ad Alexander Neill, passando per Lev Tolstoj, Louise Michel e Francisco Ferrer Y Guardia, sono molti gli autori dalle idee e pratiche controcorrenti, che ancora oggi rappresentano guide o riferimenti per coloro che intendono continuare a percorrere questo sentiero alternativo, spesso più lungo, incerto e meno spianato di quelli tradizionalmente esistenti. Queste ultime caratteristiche ne rendono complicato l'attraversamento e fanno della pedagogia libertaria un oggetto di studio più sfuggente e difficilmente incasellabile: a partire da alcuni macroprincipi fondanti, quali antiautoritarismo, libertà – concetto peraltro più volte problematizzato e chiarito dai diversi autori in questione – e costruzione di relazioni e percorsi basati sul consenso, ogni teoria e progetto libertario può infatti assumere particolari specificità; ciò avviene sulla base del periodo storico e del contesto socio-culturale in cui essi si sviluppano – principio valido tanto per le teorie quanto per le esperienze –, a cui poi si aggiunge il fatto che, soprattutto nel caso di progetti esperienziali, i generali principi teorici possono trovare diverse applicazioni, dando vita a percorsi che non fanno così riferimento a un unico modello né si limitano a mettere in pratica istruzioni già definite e pronte all'uso. 
Tale discorso è in generale valido per qualsiasi forma di lavoro educativo ma è ancora più calzante nel caso delle esperienze libertarie. Queste ultime, fondandosi sulla necessità di partire dalle personalità dei soggetti che vi partecipano, risultano in costante decostruzione e ricostruzione, quindi chiunque intenda prendervi parte come accompagnatore dei bambini/ragazzi coinvolti non può che fare i conti con l'incertezza che esse comportano e dare vita a un'assidua riflessione su di sé, mettendosi in discussione, modificandosi, riposizionandosi o ricalibrando il progetto stesso; senza questo aspetto infatti verrebbe meno la maggior parte di quei macroprincipi su cui poggia l'esperienza, che cesserebbe di esistere o si trasformerebbe in una degenerazione fuorviante. Nella scuola tradizionale invece ciò può anche non avvenire e il mancato adattamento dell'istituzione ai soggetti che vi prendono parte sembra non intaccarne in alcun modo il progetto educativo, ma anzi rafforzarne la struttura. 
Si tratta di una delle molte discrepanze insite nelle concezioni educative che emergono da queste diverse esperienze: nelle scuole libertarie l'adattamento alle caratteristiche dei soggetti è avvertito come un valore fondante, mentre in quella tradizionale di oggi – e probabilmente anche del passato, a detta degli autori dei secoli scorsi – esso appare un extra, qualcosa di non necessariamente dovuto e che dipende principalmente dalla sensibilità degli insegnanti che vi lavorano. Si potrebbe giustamente ribattere che questa tendenza ad adattarsi a bambini e ragazzi sia favorita dall'esiguo numero di soggetti coinvolti nei progetti libertari e che quindi sia ben più difficile da applicare in una scuola di grandi dimensioni; questo è indubbio, però è altrettanto vero che, anche con un numero più ridotto di alunni, la conformazione della scuola tradizionale rimarrebbe in alcuni casi pressoché identica, o almeno molto simile. 
Sono in gioco qui due visioni educative profondamente diverse, che rendono questi sentieri difficilmente intrecciabili: da un lato la scuola è percepita come un diritto, in particolare di vivere esperienze riconosciute dai soggetti come significative; essa viene fatta diventare un tutt'uno con la vita, dalla quale risulta inscindibile, pone al centro i bambini/ragazzi che la frequentano e rende gli adulti degli accompagnatori, che in caso di necessità li supportano nei loro percorsi di studio, personali e nati sempre da un interesse. Nell'altro la scuola è anche e soprattutto un dovere, è il luogo di “lavoro dei bambini” che, proprio perché giovani e inesperti, hanno bisogno di essere formati; li sottrae alla vita per determinate ore al giorno e per un elevato numero di anni, per poi restituirli ad essa muniti di nozioni, conoscenze e competenze, travasate o comunque trasmesse loro da un adulto che sa e che quindi svolge un ruolo di insegnante. 
                  Gerarchie tra falsi eguali 
                Nel primo caso la scuola è costruita dai bambini, sulla base dei quali assume una particolare forma, mentre nel secondo è fatta dagli adulti, che la progettano senza sapere chi andrà a frequentarla né quali saranno le sue caratteristiche e propensioni. 
                  In un progetto libertario si pone infine molto più l'accento 
                  sulla singolarità, partendo dall'idea che l'uguaglianza 
                  stia proprio nell'essere tutti diversi, ma non per questo superiori 
                  o inferiori agli altri; nella scuola tradizionale l'accento 
                  sembra invece essere posto sull'uguaglianza, la quale in realtà 
                  si rivela spesso pura apparenza: non solo infatti è il 
                  termine che la scuola utilizza per mascherare e indorare la 
                  pillola dell'omologazione, ma induce anche a creare false speranze 
                  ai soggetti e alle famiglie coinvolte. Dichiara – soprattutto 
                  la scuola pubblica – di voler concedere pari opportunità 
                  e occasioni di crescita a tutti, illudendoli di essere ai suoi 
                  occhi uguali, ma in realtà nella pratica quotidiana continua 
                  ad attuare l'esatto contrario; l'esempio più lampante 
                  è la valutazione, uno degli strumenti centrali dell'istituzione 
                  scolastica, intorno alla quale sembra ruotare la sua intera 
                  struttura e da cui sembra dipendere il futuro dei soggetti ad 
                  essa sottoposti. Attraverso la valutazione la scuola crea, tra 
                  quegli alunni che dice di considerare uguali, scale e gerarchie, 
                  che porteranno alcuni a salire, ad avere successo, a godere 
                  di maggiore riconoscimento e stima, ad essere considerati idonei, 
                  adeguati o meritevoli, e altri a scendere, ad accumulare insuccessi, 
                  a rappresentare un peso o una devianza rispetto al sistema, 
                  a sentirsi inadeguati e incapaci, insomma inferiori. “Il 
                  merito, così come lo si intende oggi, è una parola 
                  d'ordine, una categoria ideologica che copre con un alone di 
                  apparente giustizia, un progetto – in sé irrealizzabile 
                  – di ottimizzazione efficientista. La sua irrealizzabilità 
                  effettiva non gli impedisce tuttavia di diffondere un'atmosfera 
                  di inquietudine, di minaccia, di colpa in tutti coloro che non 
                  si identificano nel modello che soggiace alla sua diffusione1”. 
                  Prepararsi alle ingiustizie 
                L'istituzione scolastica, che nonostante ciò che dichiara risulta fortemente meritocratica, spesso giustifica questo suo modus operandi usando la scusante della preparazione alla società: essendo l'educazione spesso definita un campo che parte dalla vita e ad essa ritorna, discostandovisi parzialmente per doppiarla e far vivere ai soggetti particolari esperienze in ambienti altri e più protetti, la scuola giustifica molte delle sue ingiustizie e assurdità affermando di voler fare proprio questo, di voler preparare bambini e ragazzi al mondo della vita, fortemente duro e competitivo, che “non guarda in faccia nessuno”, una vera e propria “vasca di squali” nella quale bisogna saper nuotare, imparando a farlo proprio all'interno e grazie ad essa. Facendo parte di una società che inserisce costantemente i suoi membri in scale e gerarchie, la scuola attraverso gli strumenti che utilizza – tra cui la valutazione – non fa altro che riprodurre in un ambiente altro e più protetto le dinamiche sociali dominanti, preparando così bambini e/o ragazzi a ciò che li attende nel mondo esterno. 
                  A questo punto occorre però riflettere su quale debba 
                  essere uno dei compiti della scuola: se si ritiene che quest'ultima 
                  debba perpetuare la società in cui è inserita 
                  senza apportarle alcuna modifica ma anzi preparando le nuove 
                  generazioni all'ingresso in essa, allora la sua struttura tradizionale 
                  risulta assolutamente incontestabile, anzi la scelta migliore 
                  per tutti i bambini/ragazzi, in quanto svolge alla perfezione 
                  questo compito. Se invece si pensa che essa debba avere degli 
                  effetti trasformativi sulla società e quindi modificarne 
                  le caratteristiche, ecco che tutt'a un tratto appare inadeguata 
                  e non resta che scegliere tra due possibili strade: trasformarla 
                  oppure dare vita ad esperienze alternative. La prima sarebbe 
                  la soluzione più efficace e consentirebbe un cambiamento 
                  di grande portata anche nella società, date le sue dimensioni 
                  e le persone che coinvolge, tuttavia si rivela un sogno pressoché 
                  irrealizzabile, difficilmente concretizzabile se non ricostruendo 
                  da zero una scuola nuova, dalle fondamenta diverse rispetto 
                  a quelle attuali; si tratta di un'impresa titanica da compiere 
                  dall'interno, poiché gli sforzi di molti insegnanti, 
                  seppur volenterosi e rivoluzionari, non riescono comunque a 
                  trasformare l'enorme macchina di cui sono parte. Essi possono 
                  smussarne alcuni angoli o dimostrare a bambini e ragazzi che 
                  esiste anche un altro modo di abitare la scuola, però 
                  quest'ultima rimarrebbe pressoché immutata e i coraggiosi 
                  insegnanti si troverebbero comunque a fare i conti con aspetti, 
                  magari organizzativi o burocratici, che non possono cambiare 
                  e ai quali devono in qualche modo adeguarsi. Il legame con lo 
                  Stato rende inoltre ancora più difficile l'attuazione 
                  di trasformazioni radicali all'interno della scuola dunque, 
                  in un sistema così altamente regolato e gerarchizzato, 
                  gli sforzi degli insegnanti si rivelano in molti casi pressoché 
                  vani; permangono infatti elementi e regole imposti dall'alto 
                  che non possono in alcun modo essere modificati da chi è 
                  impegnato nel lavoro quotidiano con bambini e ragazzi, che spesso 
                  diventa, più o meno consapevolmente, una pedina del sistema 
                  stesso, contribuendo così a perpetuarlo. Ecco allora 
                  che l'istituzione scolastica, come il pellicano di Robert Desnos2, 
                  continua a riprodursi sempre uguale a se stessa, almeno fino 
                  a quando qualcuno, proprio come nella poesia, non deciderà 
                  di interrompere questo ciclo inarrestabile. 
                  Se trasformare la scuola appare praticamente impossibile, non 
                  restano che due strade: riprogettarla da capo oppure tracciare 
                  sentieri alternativi che si discostino da essa e, basandosi 
                  su principi e valori altri, diano vita ad esperienze educative 
                  diverse; è proprio in questa direzione che procede la 
                  pedagogia libertaria, con tutte le difficoltà e i rischi 
                  ad essa connessi. Oggi tuttavia non è la sola ad impegnarsi 
                  per la realizzazione di un'educazione diversa e accanto ad essa 
                  emergono altri sentieri che, nonostante le differenze, rimangono 
                  pur sempre tracciati da persone che intendono mostrare un altro 
                  volto dell'educazione, più nascosto e spesso oscurato. 
                  La controeducazione è sicuramente uno di questi: essa 
                  si configura oggi come un diverso modo di sentire, pensare e 
                  scrivere3 di educazione e più 
                  in generale di vita, che intende prendere le distanze e denunciare 
                  l'impianto educativo tradizionale, le strutture che ne derivano 
                  – una su tutte la scuola, a cui non a caso i testi di 
                  Paolo Mottana dedicano particolare attenzione – e alcune 
                  tendenze in voga presso la società contemporanea, che 
                  necessitano di essere problematizzate e su cui occorrerebbe 
                  fermarsi a riflettere. 
                  Rovesciare le certezze esistenti 
                Si tratta di una visione altra di infanzia, adolescenza, piacere, 
                  sapere, scuola, educazione, città, società, che 
                  si presenta come assolutamente controcorrente rispetto al significato 
                  e alla conformazione che questi hanno assunto nel tempo, cristallizzandosi 
                  e costituendo ancora oggi dei punti fermi difficilmente scardinabili. 
                  Ecco allora che la controeducazione decide di muoversi nella 
                  direzione di una rottura e di un rovesciamento delle certezze 
                  esistenti, dimostrando che un altro modo di vedere, pensare 
                  e agire non solo è possibile ma anche auspicabile in 
                  una società che, mai come oggi, appare segnata da enormi 
                  problemi. Partendo dall'idea che non sia possibile far fronte 
                  a questi ultimi utilizzando la stessa mentalità e le 
                  stesse credenze che li hanno generati, la controeducazione si 
                  presenta quindi come una modalità di pensiero altro, 
                  fondata su valori e principi diversi rispetto a quelli comunemente 
                  accettati, riconoscente ad autori eversivi, che considera «riserve 
                  permanenti e tuttora in azione, di un pensiero trasformatore 
                  e inatteso4» e che risultano 
                  tanto controcorrenti quanto poco considerati nel panorama pedagogico 
                  italiano; grazie anche al riferimento a questi «cattivi 
                  maestri5», essa mantiene 
                  una posizione ben distinta e lontana dalle concezioni educative 
                  tradizionali e dalle istituzioni ad esse connesse, sfuggendo 
                  così alla conformazione e all'omologazione del pensiero 
                  tipiche della società contemporanea e proponendo un modo 
                  altro di concepire l'educazione e la vita. 
                  “Controeducazione è piena affermazione del tutto 
                  della vita perché essa non sia più derubata, non 
                  sia sottomessa, non sia barattata e sfruttata per sostenere 
                  l'intensità di alcuni, il loro godimento, il loro dominio, 
                  la loro possibilità contro l'impossibilità di 
                  molti. Niente di utopico, come si vede, solo una caparbia affermazione 
                  di giustizia, contro la rassegnazione e l'adattamento, contro 
                  l'acquiescenza e la complicità con modelli di educazione 
                  che fomentano la passività, la dipendenza, la mortificazione 
                  di tutto ciò che non sia conforme, ordinato, prescritto 
                  e sottomesso6”. Essa critica 
                  aspramente l'istituzione scolastica contemporanea, le caratteristiche 
                  che assume e i pilastri su cui poggia; la definisce «un 
                  obbrobrio7» per la struttura 
                  che presenta, la conformazione simile a un istituto di contenzione 
                  e internamento, la gerarchia che riproduce, gli strumenti di 
                  cui si serve e i modi in cui tratta il sapere. Così come 
                  la pedagogia libertaria, anche la controeducazione ritiene che 
                  la scuola sia difficilmente trasformabile quindi non si può 
                  fare altro che abbatterla, a partire dalle fondamenta su cui 
                  poggia8; per distruggere un'istituzione 
                  così forte e radicata nella cultura contemporanea è 
                  però necessaria una preliminare analisi degli aspetti 
                  che oggi la contraddistinguono, che vanno quindi problematizzati 
                  e approfonditi in modo da smascherare intenzioni e dinamiche 
                  che sono poco visibili ma, proprio nella loro latenza, continuano 
                  a produrre effetti devastanti sulle persone a cui la scuola 
                  si rivolge. 
                  Raggiungimento di obiettivi latenti 
                Un esempio su tutti riguarda gli obiettivi dell'istituzione 
                  scolastica: Mottana sottolinea infatti come, nonostante essa 
                  dichiari di perseguire obiettivi di alfabetizzazione e acculturazione, 
                  la sua conformazione spazio-temporale, gli strumenti, i metodi 
                  e le pratiche in essa diffusi fanno pensare ad essi come una 
                  facciata utilizzata dall'istituzione per nascondere i suoi veri 
                  obiettivi, che apparirebbero meno accettabili rispetto a quelli 
                  che dichiara. Approfondendo inoltre i risultati che la scuola 
                  attualmente ottiene, emerge come non a caso la sua struttura 
                  ostacoli sempre più il raggiungimento degli obiettivi 
                  dichiarati – sono all'ordine del giorno riflessioni su 
                  quanto la preparazione dei giovani sia sempre più lacunosa 
                  –, ma non di quelli latenti, quali controllo, manipolazione, 
                  livellamento, atrofizzazione di ogni forma di pensiero critico 
                  e omologazione9. “Generazioni 
                  e generazioni di giovani [...] escono da quel luogo in larga 
                  maggioranza indeboliti fisicamente, condizionati negativamente 
                  nel loro immaginario del sapere, inebetiti e fondamentalmente 
                  anestetizzati o addirittura portatori di odio per ogni forma 
                  di cultura10”. 
                  Normalmente questi atteggiamenti, così come la generale 
                  passività che sembra contraddistinguere bambini e ragazzi, 
                  vengono considerati inspiegabili e ricondotti ai soggetti in 
                  questione, che agli occhi degli insegnanti ma anche dei genitori 
                  appaiono gli unici responsabili di questa tendenza a non appassionarsi 
                  più a nulla, a non interessarsi ad alcuna forma di cultura 
                  e a dedicare la maggior parte del loro tempo a oziare o a isolarsi 
                  dal mondo attraverso cuffie di lettori mp3 o videogiochi. Nessuno 
                  si chiede però se questo atteggiamento non sia uno dei 
                  risultati non solo della scuola, che per le sue caratteristiche 
                  risulta un vero repellente contro il sapere e la cultura, ma 
                  anche della società in generale, che sembra riversare 
                  sui giovani continue aspettative degli adulti ed esercitare 
                  su di essi un controllo così forte da far nascere in 
                  loro la necessità di staccarsi dalla realtà che 
                  li circonda e di vivere in mondi altri, immaginari e virtuali, 
                  non imposti dagli adulti né da loro direttamente controllati. 
                  “Il soggetto giovane è sempre stato un bersaglio 
                  ghiotto per la morale “adulta”, dai tempi di Seneca, 
                  e anche prima. Ma mai come oggi assistiamo ad un florilegio 
                  di rappresentazioni giudicanti, come se improvvisamente la gioventù 
                  fosse diventata irreparabilmente malata, disperata, morbosamente 
                  intrattabile11”. Anziché 
                  limitarsi a giudicare i giovani per i loro comportamenti e limiti, 
                  occorrerebbe concentrare maggiormente l'attenzione sulla realtà 
                  sociale che li circonda. 
                  Oggi si è alle prese con un evidente malfunzionamento 
                  della scuola che, se approfondito, si rivela sintomo di una 
                  generalizzata crisi della visione educativa che nel tempo si 
                  è cristallizzata, dando vita a una cultura molto forte 
                  all'interno della nostra società. La controeducazione 
                  segnala quindi la necessità di un tramonto di tale cultura 
                  educativa – alquanto inquietante e dannosa – e delle 
                  certezze ad essa connesse; nella sua opera di denuncia dei limiti 
                  di una siffatta visione, dedica particolare attenzione all'analisi 
                  critica dell'istituzione scolastica esistente, a partire dalla 
                  quale estende poi gli attacchi all'intera impostazione sociale 
                  di cui essa è parte12. 
                  La scuola così com'è non può più 
                  funzionare: essa si serve di tempi altamente regolati, di spazi 
                  poco attraenti, di programmi sempre uguali, totalmente indifferenti 
                  ai reali interessi delle persone a cui si rivolge e lontani 
                  da ciò che vivono al di fuori delle sue mura; inoltre 
                  separa, parcellizza il sapere in materie che sembrano procedere 
                  indipendentemente le une dalle altre, senza rimandi o collegamenti 
                  tra loro e lo relega in manuali altamente organizzati e schematici13. 
                  Presenta una struttura rigida e fissa, che non tiene minimamente 
                  conto dei soggetti a cui si rivolge, dotati di personalità, 
                  caratteristiche, limiti, capacità, interessi e desideri 
                  molto diversi tra loro: tutto questo al suo interno non sembra 
                  essere di primaria importanza, in quanto ciò che conta 
                  realmente è il livello di preparazione degli alunni e 
                  il numero di nozioni da essi appreso, valutato in modo sempre 
                  più scientifico e oggettivo e sulla base del quale essi 
                  verranno inseriti in statistiche e scale, nazionali ma anche 
                  europee, che evidenzieranno come in alcuni Stati i giovani siano 
                  più intelligenti e in altri più ignoranti – 
                  come se poi l'intelligenza potesse essere misurata con test 
                  a risposta multipla –. 
                  La centralità del profitto 
                La scuola poggia infatti sui pilastri fondamentali della disciplina 
                  e della valutazione, stabilendo a priori cosa sia o non sia 
                  consono, imponendo regole molte volte eccessive e pressoché 
                  inutili, sanzionando qualsiasi comportamento “deviante” 
                  e assegnando continui giudizi di valore ai soggetti a cui si 
                  rivolge, bambini o ragazzi che siano; tra questi giudizi rientrano 
                  appunto le valutazioni, che contribuiscono a disseminare etichette 
                  di cui gli alunni difficilmente riusciranno a sbarazzarsi e 
                  che inevitabilmente avranno ripercussioni sulla loro personalità, 
                  autostima e sicurezza. Nella scuola, così come nella 
                  società, le persone vengono giudicate per il profitto, 
                  per i risultati che ottengono, per ciò che producono 
                  e non per le qualità che realmente possiedono; questo 
                  porta allora gli alunni ad adeguarsi a un tale sistema scolastico, 
                  ad impegnarsi solo per ottenere una valutazione positiva, a 
                  studiare cose di cui spesso non hanno nemmeno compreso il senso, 
                  non tanto per piacere quanto per dovere e per evitare di vedersi 
                  affibbiate etichette negative. Lo studio diventa così 
                  qualcosa di obbligato o comunque un semplice mezzo per ottenere 
                  qualcos'altro, sia esso solo riconoscimento, stima o apprezzamento; 
                  in nessuno di questi casi è dunque intriso di passione 
                  e piacere o mosso dal desiderio, se non quello di sbarazzarsi 
                  dell'argomento da studiare, della prova o dell'esame da superare14. 
Si è detto che la scuola così com'è non funziona, però occorre sottolineare come questa affermazione sia vera solo in riferimento ai suoi obiettivi dichiarati – di acculturazione e alfabetizzazione –; rispetto invece agli obiettivi latenti, si può dire che essa funzioni molto bene: grazie a tutti gli strumenti già menzionati e definiti inadeguati per uno studio realmente desiderato dai soggetti, essa forma individui anestetizzati, passivi, dalle scarse capacità argomentative e dall'annientato pensiero critico che, una volta usciti dalla scuola, si adatteranno facilmente a tutto ciò che troveranno nella società, senza mai ribattere né ribellarsi, accettando ogni ingiustizia e continuando a comportarsi da “alunni modello”; così come da bambini si sono adeguati alle aspettative degli adulti, – genitori, educatori o insegnanti –, una volta usciti dalla scuola si sentiranno in dovere di rispondere ancora a delle attese, questa volta non più degli adulti bensì dell'intera società, adattandosi così al sistema in cui sono inseriti e contribuendo a perpetuarlo. 
                  Ingranaggi del capitalismo 
                Tutto ciò porta a pensare che, proprio come sosteneva 
                  Illich, la scuola sia realmente un mezzo per fare dell'alienazione 
                  una preparazione alla vita15 
                  e risulti uno strumento di controllo utile a rendere le nuove 
                  generazioni soggiogabili almeno quanto quelle che le hanno precedute. 
                  Il fatto che i risultati dichiarati siano sempre meno raggiunti 
                  non sembra essere un problema, o almeno lo è solo apparentemente, 
                  in quanto contribuisce ad alimentare il sistema di cui la scuola 
                  è parte: ragazzi più ignoranti, poco consapevoli 
                  di sé e ben ammaestrati allungheranno le file dei devoti 
                  al sistema capitalistico e contribuiranno a tramandarlo di generazione 
                  in generazione; essendo cresciuti in un siffatto sistema, alimentato 
                  da una determinata visione educativa, essi percepiranno questo 
                  modo di vivere ed educare come corretti e, una volta adulti, 
                  li trasmetteranno anche ai loro figli. “Se esistessero 
                  una scuola e un mondo sociale nella prima e seconda infanzia 
                  che non instillassero il valore sacro della famiglia e della 
                  subordinazione, ma che invitassero ad accogliere maestri e compagni 
                  nei sensi e nel gusto, secondo piacere, che non maleficassero 
                  il sesso e il valore del corpo, che consentissero di sperimentarsi 
                  all'aperto, in una transazione continua con gli elementi, nessuno 
                  poi potrebbe più tollerare di essere imprigionato in 
                  un ufficio, in una fabbrica, in uno spazio costrittivo e vessatorio16”. 
                  L'istituzione scolastica fatica quindi a trasformarsi anche 
                  perché un suo cambiamento radicale avrebbe inevitabili 
                  conseguenze sull'intera società: in una scuola diversa 
                  i giovani magari si appassionerebbero allo studio, si impegnerebbero 
                  nei loro percorsi di formazione – o di autoformazione 
                  – e la società finirebbe per ritrovarsi individui 
                  più difficilmente governabili e raggirabili, dotati di 
                  pensiero critico e di una consapevolezza di sé tale da 
                  consentire loro di non lasciarsi schiacciare da qualsiasi forma 
                  di autorità. 
                  È proprio a partire da queste considerazioni che molti 
                  autori del passato e del presente hanno sostenuto e sostengono 
                  ancora la necessità di un abbattimento e un ripensamento 
                  dell'istituzione scolastica, al fine di trasformare oltre ad 
                  essa anche l'intera società.
                  Eletta Pedrazzini
                  Tratto dalla tesi di laurea magistrale di Eletta Pedrazzini 
                  in Scienze Pedagogiche (a.a. 2013/2014), dipartimento di Scienze 
                  Umane per la Formazione “Riccardo Massa”, Università 
                  degli Studi di Milano - Bicocca, dal titolo “Un cambiamento 
                  è possibile? Il sentiero alternativo della pedagogia 
                  libertaria”. 
                  
                 Note 
                 
                  - P. MOTTANA, Piccolo manuale di controeducazione, Milano 
                  – Udine: Mimesis Edizioni, 2011, p. 82.
                  
 - R. DESNOS, Le Pélican, in Chantefables et Chantefleurs 
                  a chanter sur n'importe quel air, Paris: Grund, 1983.
                  
 - P. MOTTANA, op. cit..
                  
 - P. MOTTANA, Cattivi maestri. La controeducazione di René 
                  Schérer, Raoul Vaneigem e Hakim Bey, Roma: Castelvecchi, 
                  2014, p. 9.
                  
 - Ivi
                  
 - P. MOTTANA, Per chi ha orecchie dure (e troppo lunghe): 
                    cosa è controeducazione, in http://contreducazione.blogspot.it. 
                  
 - P. MOTTANA, op. cit., p. 21.
                  
 - Ivi
                  
 - Ivi
                  
 - Ivi, p. 22.
                  
 - P. MOTTANA, Perché non li lasciamo riposare i 
                    nostri giovani “sdraiati”?, in http://contreducazione.blogspot.it. 
                  
 - Ivi
                  
 - Cfr.: P. MOTTANA, Caro insegnante. Amichevoli suggestioni 
                  per godere (l)a scuola, Milano: Franco Angeli Editore, 2007.
                  
 - Ivi
                  
 - I. ILLICH, Descolarizzare la società, Milano: 
                  Mondadori, 1972, p. 85.
                  
 - P. MOTTANA, op. cit., p. 112.
                  
  
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