   
                      Il ritorno del “Bella Ciao” 
                Il riallestimento, il nuovo disco e la tournée di uno spettacolo mitico 
                 
                 C'è una qualità negli applausi, una caratteristica, 
                  un valore, un timbro. Qualcosa che si impara a riconoscere a 
                  furia di frequentare il palco. Ci sono applausi entusiastici 
                  e ce ne sono di tiepidi, ce ne sono di scontati e ce ne sono 
                  di spontanei, ci sono applausi che esplodono collettivi e del 
                  tutto inaspettati, che sorprendono anche chi è in scena. 
                  È però raro che una serie di applausi sottolineino, 
                  lungo tutto uno spettacolo, la percezione di qualcosa di “necessario”, 
                  l'impressione che si sia messo a fuoco esattamente ciò 
                  che era nell'aria, ciò che era atteso. 
                  Questa è stata l'impressione che mi ha colto durante 
                  la prima del riallestimento del “Bella ciao” cinquant'anni 
                  dopo il suo rocambolesco debutto. 
                
                   
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                    |   Le prove alla Scighera di Milano  | 
                   
                 
                 
				Il “Bella Ciao”, Spoleto, il canto popolare 
                Ne abbiamo parlato tante volte anche su queste pagine: la prima 
                  grande stagione di ricerca di canti popolari in Italia (1954-1964) 
                  culminò in uno spettacolo teatrale firmato da Roberto 
                  Leydi e Filippo Crivelli con le didascalie scritte da Franco 
                  Fortini, che fu un evento nella musica, nel teatro e più 
                  in generale nella cultura italiana. Lo spettacolo “Bella 
                  ciao” è considerato l'atto fondativo stesso della 
                  scoperta e della riproposizione della musica popolare italiana. 
                  Presentato nel giugno del 1964 al Festival dei Due Mondi di 
                  Spoleto, fu subito al centro di furiose polemiche, collezionando 
                  denunce e processi. 
                  Il “Bella ciao” fu un prodotto culturale del centrosinistra, 
                  impensabile già solo pochi anni prima, al tempo del governo 
                  Tambroni e delle repressioni di Scelba, ma la canzone popolare 
                  e le strategie di riproposizione e di studio messe in atto da 
                  Gianni Bosio, Roberto Leydi e dai ricercatori operanti attorno 
                  al Nuovo Canzoniere Italiano e all'Istituto Ernesto de Martino, 
                  generarono un patrimonio progressivo e inclassificabile che 
                  superò l'incomunicabilità di classi e generazioni 
                  diverse, dialogando col nascente movimento studentesco e finendo 
                  per rappresentare il dizionario sentimental-politico dell'ondata 
                  libertaria sessantottina. 
                  Oggi quelle canzoni sono ancora percepite come la colonna sonora 
                  degli anni della contestazione. 
                  Si definì in quei giorni un modo del tutto nuovo di fare 
                  politica con le canzoni, di raccontare la storia dal punto di 
                  vista delle classi subalterne. Si scoprì in un 
                  colpo che i dialetti non erano un fatto residuale di folklore, 
                  ma una miniera di cultura, che il teatro musicale - all'epoca 
                  non esisteva il concerto Pop - non era appannaggio della lirica 
                  e di chi aveva frequentato il Conservatorio. La profonda bellezza 
                  dei canti rinvenuti negli anni che precedettero lo spettacolo, 
                  ma più ancora l'assoluta novità dei loro moduli 
                  musicali poetici ed esecutivi, mise il popolo italiano di fronte 
                  alle proprie radici contadine, alla propria cultura orale. Il 
                  “Bella ciao” fece epoca, e la sua versione discografica 
                  - che, si badi bene, è solo una selezione registrata 
                  in studio, non una ripresa live dell'originale - sempre ristampata, 
                  non può mancare in nessuna collezione essenziale di musica 
                  popolare al mondo. 
                
                   
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                    |   Da sinistra: Gigi Biolcati, Andrea Salvadori, Elena Ledda,  Riccardo Tesi, Lucilla Galeazzi, Ginevra Di Marco, Alessio Lega  | 
                   
                 
                 
				Un difficile riallestimento 
                È difficile toccare un monumento. È necessario 
                  essere al contempo fedeli e innovativi, risolvere l'apparente 
                  inconciliabilità di queste due esigenze. 
                  Di decennale in decennale (1994, 2004, 2014) il fantasma del 
                  riallestimento del “Bella ciao” faceva capolino 
                  e poi naufragava fra cast giganteschi e ingestibili, veti reciproci, 
                  interminabili discussioni su come ridefinire quella scaletta 
                  “un po' troppo limitata a tre quattro regioni del centro/nord”. 
                  Al terzo tentativo un piccolo gruppo di operatori culturali, 
                  coagulatosi attorno alla Camera del Lavoro di Milano (storicamente 
                  vicina al Nuovo Canzoniere) e guidato dal musicologo Franco 
                  Fabbri, è riuscito a coinvolgere un altrettanto piccolo 
                  gruppo di esecutori che ha rimesso in scena il progetto facendo 
                  rivivere il “Bella ciao” con il successo cui accennavo. 
                  Sono troppo coinvolto in questa storia – sia sul lato 
                  organizzativo che esecutivo – per azzardarmi a fare tutti 
                  i nomi di quelli che andrebbero ringraziati e descrivere i passaggi, 
                  che sono stati tortuosi e faticosissimi, dico solo che è 
                  stata l'occasione di lavorare con persone straordinarie e con 
                  artisti per i quali nutro qualcosa di più che la stima. 
                  Già nel quinto numero della rivista “Il Nuovo Canzoniere” 
                  del febbraio 1965 - dunque ancora “a caldo” - Michele 
                  L. Straniero, nel raccontare dal suo punto di vista “Bella 
                  Ciao”, citava questo giudizio «L'idea che mi ha 
                  colpito è stata quella di non affidare ad alcuno dei 
                  cantanti parti di protagonista. Il senso di coralità 
                  ha rafforzato i significati delle parole. Una voce tuttavia 
                  è emersa sopra le altre, perché così vera 
                  nella sua essenza: quella dell'ex-mondina Giovanna Daffini, 
                  l'unica cantastorie della compagnia, insieme ai tre di Piadena» 
                  (e per cantastorie evidentemente si intende vera cantante 
                  popolare, non interprete proveniente da altre classi sociali 
                  e intellettuali). 
                  Quelle voci: la verità lancinante e vitalissima della 
                  ex-mondina Giovanna Daffini, la convinzione della voce di Bruno 
                  Fontanella, la ricchezza sensuale della voce di Caterina Bueno, 
                  il tono gagliardo della voce di Giovanna Marini – il suo 
                  genio musicale muoveva i primi passi proprio in quello spettacolo, 
                  presentando alcune sue composizioni fatte passare per canti 
                  tradizionali – la dotta voce esercitata nei canti liturgici 
                  di Michele L. Straniero, il tono sprezzante da narratore urbano 
                  di Ivan Della Mea, la nobiltà di Sandra Mantovani, e 
                  poi Amedeo Merli, Delio Chittò, Cati Mattea, Silvia Malaguggini, 
                  Hana Roth, ecc. Quelle voci non esistono più: la maggior 
                  parte di loro ci ha lasciato da tanto o da poco. Chi, come Giovanna 
                  Marini o Bruno Fontanella, è in splendida forma e in 
                  continua attività, lo è anche perché ha 
                  fatto tesoro ed è cresciuto, cambiando in meglio. «Tutto 
                  il mio lavoro viene da Bella ciao, e non potete oggi chiedermi 
                  di ricantare come allora...» ci ha detto Giovanna 
                  «quando oggi faccio le mie nuove canzoni, sto ancora facendo 
                  “Bella ciao”» e poi ha aggiunto con grande 
                  commozione «fatelo voi, che non lo avete fatto allora... 
                  a me parrebbe di stare sul palco circondata da amici morti». 
                  Gigantesca Giovanna! 
                  Quelle voci non ci sono più e non si potevano cercare 
                  scorciatoie o mediazioni, richiamando in servizio permanente 
                  effettivo i vivi e sostituendo gli insostituibili. A cantare 
                  quelle canzoni doveva essere la nuova variegata generazione 
                  dei musicisti che operano da trenta, venti, dieci anni sul repertorio 
                  popolare, che lo amano e lo conoscono, che sono più o 
                  meno consapevolmente i figli (o i nipoti) del “Bella ciao”, 
                  ma che lavorano con la musica popolare per quello che oggi vuole 
                  dire. Sotto la direzione musicale di Riccardo Tesi, le voci 
                  di Ginevra Di Marco, Lucilla Galeazzi, Elena Ledda, la mia voce, 
                  la chitarra di Andrea Salvadori e le percussioni di Gigi Biolcati. 
                
                   
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                    |   Milano, 11 giugno 2014 - La prima del nuovo  Bella Ciao alla Camera del lavoro di Milano  | 
                   
                 
                 
				Uno spettacolo libero 
                La grande forza dello spettacolo originale sta nella scaletta dei brani, e almeno quella scaletta questo riallestimento ha provato a riproporla con rigore filologico, ma ci si è trovati di fronte a parecchie scalette molto diverse fra loro: la scaletta di Spoleto contenuta nel programma di sala, la scaletta del disco, quella infine dei nastri registrati dal vivo dello spettacolo rappresentato a Milano nel maggio del 1965, che giacciono inediti nel Fondo Leydi di Bellinzona. Abbiamo avuto il privilegio di consultare questa fonte preziosa. I nastri di Bellinzona ci restituiscono un “Bella ciao” molto diverso da quello del vinile dei Dischi del Sole, che sin dalla copertina appare di un rigore severo. In questi nastri dal vivo emerge uno spettacolo libero, pieno di luce, nel quale i cantanti si stanno divertendo, al di là della sconsolata cupezza di alcuni canti. Più di una concessione è dovuta al comprensibilissimo bisogno di variare lo spettacolo, di rispettare i tempi di attenzione del pubblico. “Bella ciao” non era uno spettacolo immobile e immutabile, una tetra antologia definita a priori, bensì un laboratorio mutevole che ruotava attorno a dei cardini fissi. 
L'innovazione principale di questo riallestimento è nel trattamento musicale affidato a un ensemble diretto e concertato da Riccardo Tesi, uno dei più brillanti e attenti protagonisti della musica popolare mondiale. Non più dunque l'accompagnamento della sola chitarra, ma un lavoro di composizione che instaura un dialogo fra suoni e significati, per una sinfonia popolare, una sinfonia comunque scarna (tre soli gli strumenti: chitarra, percussioni, organetto) e un trionfo di stupende voci femminili – per tacere della mia – allenate a rivivere tanto i canti delle mondine della pianura padana, quanto quelli delle filandere, degli incarcerati, dei reietti, dei ribelli e dei migranti. 
Mercoledì 11 giugno 2014 – a cinquant'anni dal debutto di Spoleto – lo spettacolo, anzi il “programma di canzoni popolari italiane” è tornato in scena di fronte all'entusiasmo commovente di un pubblico variegato per età e composizione sociale. Riproposto nell'anno del cinquantenale in due sole repliche di incredibile successo di pubblico, è tornato in lavorazione per il 2015. 
Mentre scrivo queste righe stiamo registrando il disco di questo “Nuovo Bella Ciao” che uscirà a metà aprile e lo spettacolo andrà poi in tournée per presentarlo, queste le prime date: 
22 aprile Verbania Pallanza 
23 aprile Bellinzona (Svizzera) 
26 aprile Montesole (Bo) 
27 aprile Padova 
28 aprile Firenze 
Oggi queste canzoni di lavoro e di lotta, inserite nella sinfonia popolare del “Bella ciao”, sono più necessarie che nel 1964: è necessario che vengano cantate, che quelle parole che esprimono condizioni di vita non troppo dissimili dalle nostre – precari come le mondine, sfruttati come le filandere, con i migranti che dopo 30 giorni di nave a vapore approdano al largo di Lampedusa, quando non fanno naufragio come sulla nave Sirio – trovino nuovi suoni e nuove interpretazioni. E questo, mentre andiamo in scena per ogni replica del nuovo “Bella ciao”, lo sappiamo noi e lo sente il pubblico. 
                 Alessio Lega 
                  alessiolegaconcerti@gmail.com 
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