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				 militanti 
                  
                Louis Mercier Vega 
                  alias Charles Ridel alias... 
                    
                Nel corso della sua vita ebbe vari nomi. Nato in Belgio, il suo ultimo passaporto era cileno. È stato una delle figure più stimolanti del movimento anarchico internazionale, dalla Spagna '36 alla rivista quadrilingue “Interrogations”. Nel centenario della sua nascita, lo ricordiamo con due testimonianze di militanti che hanno collaborato con lui. 
                 
				  
 Senza illusioni senza rimpianti 
                di Amedeo Bertolo 
                Ho visto per l'ultima volta Louis Mercier Vega (o meglio, colui 
                  che all'epoca così si faceva chiamare) quasi esattamente 
                  venti anni fa, nel novembre del 1977, a Parigi, nella sua casa 
                  di rue de Valenciennes. Venti anni fa: una decina di giorni 
                  prima della sua morte volontaria e programmata. 
                  Proprio per il suo suicidio programmato eravamo venuti a Parigi, 
                  io e un paio di compagni di Milano (Fausta Bizzozzero e Luciano 
                  Lanza), che come me facevano parte del gruppo redazionale e 
                  amministrativo italiano della rivista fondata da Mercier tre 
                  anni prima: «Interrogations». 
                  Nell'aprile precedente, a margine di un incontro organizzativo 
                  di «Interrogations», a Torino, Mercier ci aveva 
                  comunicato la sua intenzione di uccidersi verso la fine dell'anno. 
                  Ce l'aveva comunicato perché sapessimo di non poter contare 
                  su di lui al di là degli impegni compatibili con quella 
                  sua scelta. Ce l'aveva detto un po' di sfuggita, senza dare 
                  apparentemente peso alla faccenda. L'understatement non 
                  era inconsueto in lui, ma questa volta ci lasciò perplessi, 
                  così che non sapevamo se prendere davvero sul serio quel 
                  suicidio annunciato. Lo avevamo preso più sul serio quando 
                  aveva confermato la sua intenzione, sempre di sfuggita, in ottobre, 
                  a Milano, a margine di un'altra riunione. Eravamo dunque andati 
                  a trovarlo a Parigi, per cercare di capire e magari per dissuaderlo. 
                  Per stare con lui, per lo meno, un'ultima volta se proprio era 
                  vero che stavamo per restare «orfani» di chi era 
                  stato, per noi, in quegli ultimi anni, un importante punto di 
                  riferimento culturale (e anche umano). 
                  Mercier si rifiutò categoricamente di parlare dell'argomento 
                  suicidio, e io per rispetto, per delicatezza, non insistetti 
                  più di tanto, conoscendo la sua serietà, la sua 
                  volontà ostinata e constatando la sua calma determinazione. 
                  Così andammo per librerie, per ristoranti, e poi a casa 
                  parlammo per ore. 
                  Aveva un vestito liso, i pantaloni sformati, con le borse alle 
                  ginocchia. Dettaglio significativo per una persona che avevo 
                  sempre visto vestire in modo formalmente corretto, quasi pignolescamente 
                  corretto, pur senza pretese d'eleganza. Mentre eravamo a casa 
                  e parlavamo – di tutto tranne che di «quello» 
                  – è arrivato un acquirente del suo televisore. 
                  Aveva fatto un'inserzione per vendere tutte le sue cose. Stava 
                  pignolescamente monetizzando – per lasciare a iniziative 
                  del movimento anarchico – le sue ultime modeste proprietà. 
                  Stava chiudendo tutti i suoi conti con la vita, anche quelli 
                  minori. E ho assistito a una sua telefonata a Maurice Joyeux, 
                  esponente di spicco della Fédération Anarchiste 
                  (FA). diceva di non preoccuparsi per i problemi sollevati 
                  dalla sua eventuale partecipazione al Congresso dell'Internazionale 
                  delle Federazioni Anarchiche, come delegato della Federación 
                  Libertaria Argentina (FLA). Poiché il congresso era 
                  stato rinviato alla primavera del 1978, egli non avrebbe potuto 
                  partecipare comunque, al di là della polemica, attorno 
                  alla sua persona e alla sua presenza, sollevata dagli spagnoli 
                  in esilio della Federación Anarquista Ibérica 
                  (FAI). Non avrebbe potuto partecipare, diceva con tranquilla 
                  serietà, forse con nascosta ironia. Certo: di lì 
                  a dieci giorni non avrebbe potuto partecipare ad alcunché, 
                  se non nella memoria dei suoi amici e compagni. 
                  Apro qui una breve digressione. La «questione spagnola» 
                  era in breve questa: una parte della Confederación Nacional 
                  del Trabajo (CNT) e della FAI in esilio (o meglio della frazione 
                  maggioritaria di un movimento continuamente in preda a rissose 
                  controversie, scissioni, riconciliazioni...) ce l'aveva con 
                  Mercier già dagli anni Cinquanta. Riuscire a inimicarsi 
                  una parte consistente dell'esilio libertario spagnolo è 
                  cosa non da poco per uno come Mercier che era corso a combattere 
                  con la colonna Durruti già nel luglio del 1936! La causa 
                  era, credo, nella inflessibile schiettezza di pensiero critico 
                  e nella sua disinibita eterodossia sperimentale... Nel 19581, 
                  ad esempio, è tra i promotori di una Commission Internationale 
                  de Liaison Ouvrière (CILO) assieme a esponenti di una 
                  frazione della CNT e della Sveriges Arbetares Centralorganisation 
                  (SAC) svedese (sospette l'una e l'altra di «revisionismo» 
                  anarchico), oltre che con il gruppo di sindacalisti de «La 
                  révolution proletarienne». Così Mercier 
                  entra nella lista nera dei «nemici del popolo» cenetista 
                  e faista. L'attacco a Mercier riprende quando Mercier riprende 
                  «visibilità» nel movimento anarchico internazionale, 
                  con il progetto «Interrogations». Così nel 
                  19742, nel 19753, 
                  nel 19764 e, infine, nel 1977 
                  si susseguono le aggressioni verbali contro di lui, che aprono 
                  un vero e proprio «caso» internazionale. Questa 
                  volta Mercier non è più semplicemente «revisionista» 
                  e amico degli «scissionisti», ma addirittura «noto 
                  agente della CIA». La storia è complessa5, 
                  ma fermiamoci qui. 
                
                   
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                    |   Louis Mercier Vega  | 
                   
                 
				 
                Straordinaria cultura cosmopolita 
                Avevo conosciuto Mercier poco più di quattro anni prima, nell'agosto 1973, anche allora a Parigi, nella sua casa di rue de Valenciennes. Eravamo venuti a fargli visita io e Rossella Di Leo, perché avevamo trovato singolarmente originale e intellettualmente ricco il suo L'incrévable anarchisme [La pratica dell'utopia]. Volevamo parlargli e proporgli di collaborare alla nostra rivista anarchica italiana: «A». Il suo indirizzo ce l'aveva dato un vecchio compagno italiano, Pio Turroni, che lo conosceva da prima della guerra, quando Mercier si chiamava Ridel. S'erano frequentati a Marsiglia, dove erano entrambi reduci della Rivoluzione spagnola e non s'erano mai persi di vista. 
                  Mercier non delude le nostre aspettative. Anzi. Apprezzo in 
                  lui subito (e ancor più man mano che lo conoscerò 
                  successivamente) il vero intellettuale anarchico, con una straordinaria 
                  cultura cosmopolita e con una straordinaria esperienza militante, 
                  «senza illusioni e senza rimpianti», con le sue 
                  certezze e le sue problematicità di anarchico e di intellettuale. 
                  Il suo lucido, antiretorico, affascinante anarchismo si palesava 
                  nelle parole e negli scritti per quello che in un'intervista 
                  pubblicata postuma6 avrebbe così 
                  definito: «L'anarchismo deriva dalla volontà di 
                  conoscersi e di conoscere la società nella quale si vive, 
                  per arrivare a essere padroni del proprio destino, con gli 
                  altri, affinché la società sia una comunità 
                  libera e fraterna». 
                  Comprendiamo subito che è stato un felice incontro, che 
                  con questo Mercier potremo fare insieme buone cose e imparare 
                  molto. Ci unisce tra l'altro l'interesse per il fenomeno della 
                  nuova classe in ascesa, la tecnoburocrazia, una tematica cui 
                  noi7 all'epoca dedicavamo un'attenzione 
                  quasi maniacale e che percorrerà «Interrogations» 
                  per tutti i suoi quattro anni e mezzo di vita. Una tematica 
                  già trattata da Mercier sin dagli anni Quaranta8. 
Durante quell'incontro parlammo a Mercier anche di un'idea che da qualche tempo carezzavamo: quella di una rivista internazionale anarchica. L'idea gli deve essere piaciuta molto (o forse rafforzava qualche sua idea analoga) perché ne fece subito un progetto. Il progetto di quella che sarebbe stata «Interrogations, rivista internazionale di ricerche anarchiche». 
                  Con «Interrogations», che ancora non si chiamava 
                  «Interrogations», comincia l'ultima avventura intellettuale 
                  ed editoriale di Mercier, che già allora forse, stando 
                  a sue successive allusioni, aveva deciso di porre un limite 
                  temporale piuttosto breve alla sua vita residua. L'ultima avventura 
                  intellettuale ed editoriale, ma non l'unica attività, 
                  certo. Nei quattro anni che si concede e ci concede, scrive 
                  due libri sull'America latina9 e 
                  un libretto sull'anarco-sindacalismo10; 
                  scrive sedici articoli per «A» tra l'ottobre 1973 
                  e il novembre 1977 (dieci di argomento latino-americano e sei 
                  di attualità politica francese) con lo pseudonimo di 
                  Santiago Parane; collabora con il Centro studi libertari Giuseppe 
                  Pinelli di Milano per l'organizzazione di un convegno sulla 
                  tecnoburocrazia11... un convegno 
                  che non vide, perché si tenne qualche mese dopo la sua 
                  morte, ma per il quale ci lasciò una relazione scritta... 
                  Cura la revisione e l'aggiornamento dell'edizione italiana dell'Increvable12... 
                  Scrive anche qualcosa per un mio progetto di Piccola Enciclopedia 
                  anarchica che non si realizzò mai... E questo è 
                  solo (e non tutto) ciò che so per conoscenza diretta. 
Fa certo molte altre cose tra il 1973 e il 1977, ma è indubbio che dedica la maggior parte delle sue energie intellettuali, del suo capitale di conoscenze e delle sue risorse materiali al progetto di rivista internazionale. Si butta nell'impresa, tanto ardua che solo lui allora, forse, avrebbe potuto realizzare, con la serietà, l'impegno, la tenacia, le capacità organizzative (un po' autocratiche) che gli erano proprie. 
A fine 1973 spedisce a dieci persone una lettera circolare in cui la rivista non è più una semplice idea, è già un progetto in marcia. Un progetto che è un «suo» progetto, a questo punto. Seguono, a cadenza regolare, altre cinque circolari sull'avanzamento dei lavori, in preparazione e in prosecuzione di una riunione organizzativa che si terrà a Parigi, nell'aprile 1974. In quella riunione parte «ufficialmente» il progetto e comincia il lavoro redazionale. Ai primi di settembre Mercier mi informa che è stato scelto (da chi? da lui suppongo: non corrisponde a nessuno dei titoli suggeriti nelle riunioni internazionali e nelle lettere che ci eravamo scambiati sino ad allora) il titolo di «Interrogations». Un titolo non particolarmente brillante che non mi entusiasma, ma che ben esprime lo spirito con cui nasce la rivista. Per usare le parole di Mercier: il militante anarchico deve «imparare a vivere e ad agire in mezzo a una selva di punti interrogativi, perché sia la propaganda dottrinale sia le situazioni di fatto esigono una continua messa a punto». 
                Quell'ultima rivista quadrilingue 
                Nel dicembre del 1974 esce il primo numero di «Interrogations», 
                  e poi a puntualissima frequenza trimestrale, altri sette numeri, 
                  fino al settembre 1976; dopo di che, passate le responsabilità 
                  redazionali e amministrative a una equipe italiana, «Interrogations» 
                  uscirà ancora, con minore puntualità, fino al 
                  1979. L'ultimo numero sarà il numero doppio 17/18. In 
                  quattro anni e mezzo erano state pubblicate complessivamente 
                  quasi duemila pagine, di qualità per lo più buona 
                  o eccellente. Molti gli studi originali su tematiche d'attualità 
                  o teoriche di fondo, come era negli intenti di partenza. E, 
                  come era negli intenti, numerosi e validi i contributi all'analisi 
                  dei «nuovi padroni». In quegli anni «Interrogations» 
                  è certamente la migliore rivista teorica anarchica esistente. 
                  Mercier contribuisce non solo con un'intensa attività 
                  redazionale di stimolo e di sollecitazione, di ricerca di temi, 
                  di collaboratori, di documenti13, 
                  ma anche con sei articoli importanti (di cui due firmati Parane)14. 
                  La sua attività redazionale è particolarmente 
                  intensa nella fase preparatoria di «Interrogations». 
                  Per darne un'idea, si pensi che tra il 1974 e il 1975 Mercier 
                  ha scritto, a me solo, novanta lettere circa, in media una alla 
                  settimana!15 Ma il suo contributo 
                  a «Interrogations» resta notevole anche quando, 
                  dopo l'ottobre '76, egli passa le consegne all'equipe italiana 
                  (Milano e Torino). Fino a poco prima della sua morte. Anche 
                  in quel suo ultimo anno continuerà a occuparsi fortemente, 
                  appassionatamente, di «Interrogations». Del resto, 
                  aveva venduto la sua preziosa biblioteca, di oltre 1.500 libri 
                  antichi e moderni sull'America latina, per procurare i fondi 
                  necessari ad assicurare la vita della rivista nel biennio 1977-1978... 
                  «Interrogations» muore nel 1979, per problemi finanziari 
                  (è finita la «dotazione» Mercier che copriva 
                  quasi metà dei costi) e per difficoltà redazionali 
                  (non si trova, com'era nel progetto, un'altra equipe – 
                  inglese o spagnola – per il terzo biennio 1979-1980 e 
                  l'equipe amministrativo-redazionale milanese si trova quasi 
                  involontariamente a doversi assumere, dal 1980, la pubblicazione 
                  della rivista «Volontà»). Dopo l'apparente 
                  successo di abbonamenti e vendite del primo anno16, 
                  il secondo anno vede una caduta di abbonamenti e vendite, e 
                  negli anni successivi continuerà un lento costante declino 
                  di diffusione. Le difficili caratteristiche congenite di «Interrogations» 
                  (quadrilinguismo e alto livello di trattazione e scrittura) 
                  la mettevano, per così dire «fuori mercato». 
                  «Interrogations» muore nel 1979. Un anno e mezzo 
                  prima era morto Louis Mercier Vega, lucidamente come lucidamente 
                  era vissuto. «Senza illusioni e senza rimpianti», 
                  per usare le sue parole. 
                 Amedeo Bertolo 
                 Questo articolo è apparso per la prima volta in 
                  francese in Presénce de Louis Mercier, Atelier 
                  de création libertaire, 1999.
  
                   
                  Note
				   
                  - Si veda la lettera a Mercier del 16.5.58 di Giovanna Berneri, 
                  vedova di Camillo e responsabile della rivista anarchica «Volontà», 
                  cui Mercier collaborava assiduamente, con cronache e commenti 
                  internazionali, sin dal 1946 con lo pseudonimo di Santiago Parane 
                  (Fondi Mercier, cit.).
                  
 - Si vedano: lettera di Amedeo Bertolo a Mercier del 5.3.74 
                  e di Mercier a Bertolo del 18.3.74 (Fondi Mercier, cit.).
                  
 - Si vedano: lettera di Pio Turroni ad «A» del 
                  9.10.75, lettere di Mercier a Turroni del 13 e del 15 ottobre 
                  1975, lettere di Bertolo a Mercier del 14.10.75, lettera di 
                  Mercier a Bertolo del 14.10.75, lettera di Luciano Lanza e Paolo 
                  Finzi (per «A») alla Comisión Intercontinental 
                  de Relaciones de la FAI en el Exilio (e, per conoscenza, ad 
                  altri organismi spagnoli e italiani) del 22.10.75, lettere di 
                  Turroni a Bertolo et al. del 19.12.75 (Fondi Mercier, cit.).
                  
 - Si vedano: lettera di Isaac Barba al Comitato Spagna Libertaria 
                  et al. del 12.3.76 (Archivio Pinelli, Fondo Mercier).
                  
 - Per una brevissima trattazione si veda Louis Mercier Vega, 
                  ovvero l'amaro orgoglio di una lucidità senza rimpianti 
                  di Marianne Enckell sul Bollettino dell'Archivio G. Pinelli, 
                  n. 9 (luglio 1997), pp. 6-10.
                  
 - «Interrogations», n. 13 (gennaio 1975), pp. 23-37.
                  
 - Per «noi» intendo in questa sede la redazione 
                  di «A» e più in generale l'organizzazione 
                  di cui facevo parte: i Gruppi Anarchici Federati (GAF), nel 
                  cui Documento programmatico è contenuta un'ampia 
                  analisi della tecno-burocrazia (si veda in Che cosa sono 
                  i GAF, CDA, Torino, 1976). A questo proposito, Mercier tra 
                  anni dopo vorrà pubblicare una parte di quel programma 
                  su «Interrogations» (n. 7, giugno 1976) e ne farà 
                  aperto elogio; «[Le programme anarchiste des GAF] me semble 
                  neuf, equilibré et par conséquence fort different 
                  de la prose renâchée que nous trouvons en general 
                  dans la presse anarchiste» (lettera di Mercier a Bertolo 
                  del 28.4.76, Fondi Mercier, cit.). Per inciso, Mercier non condivideva 
                  l'enfasi posta dai GAF, nella teoria e nella pratica, sul «gruppo 
                  d'affinità», nucleo organizzativo che critica in 
                  Sur les groupes d'affinité («Interrogations», 
                  n.13, 1978).
                  
 - Si veda ad esempio un lungo articolo, a firma Ridel, pubblicato 
                  a puntate con il titolo Al di là del capitalismo 
                  sui nn. 23, 24, 25 e 26 del 1941 de «L'Adunata dei Refrattari» 
                  di New York. Quella dei «nuovi padroni», di una 
                  classe dominante diversa dalla borghesia (manager, burocrati, 
                  tecnocrati...) e da un sistema di dominio, diverso dal capitalismo, 
                  fondato sulla funzione e non sulla proprietà (capitalismo 
                  burocratico, collettivismo burocratico, tecnocrazia...), era 
                  una tematica al centro di una vivace discussione, alla fine 
                  degli anni Trenta e nei primi anni Quaranta, nella sinistra 
                  rivoluzionaria non-stalinista, specialmente ai margini del trotzkismo. 
                  E Mercier con grande tempestività la portò nel 
                  movimento anarchico, che peraltro non ne approfittò molto; 
                  tant'è che all'inizio degli anni Sessanta un gruppo di 
                  giovani anarchici (di cui facevo parte) dovette «reinventarsi» 
                  il problema, non trovandone traccia nella cultura anarchica 
                  a loro contemporanea.
                  
 - Autopsie de Peron (1974) e La révolution 
                  par l'Etat (1978; trad. it. La rivoluzione di Stato, 
                  Antistato, Milano, 1979).
                  
 - L'anarchosyndicalisme et le syndicalisme révolutionnaire 
                  (1978; trad. it. Azione diretta e autogestione operaia, 
                  Antistato, Milano, 1979).
                  
 - L'idea nasce nel 1975 come progetto di seminario di studi 
                  ristretto (si vedano lettere di Mercier a Bertolo del 4.4.75 
                  e del 8.4.75, Fondi Mercier, cit.), si trascina stancamente 
                  nel 1976 e fino a metà del 1977 (accenno in varie lettere 
                  tra Mercier e Bertolo, (Fondi Mercier, cit.) e poi diventa finalmente 
                  operativa come progetto di grande convegno internazionale di 
                  studi. Il convegno che si terrà a Venezia dal 25 al 27 
                  marzo 1978, con 24 relazioni e davanti a un pubblico variabile 
                  fra le trecento e le cinquecento persone. Mercier aveva inviato 
                  la sua relazione già a fine maggio 1977 (Convergenze 
                  e peculiarità latino-americane, in AA.VV., I nuovi 
                  padroni, Antistato, Milano, 1978).
                  
 - Uscita postuma con il titolo La pratica dell'utopia, 
                  cinque saggi sull'anarchismo, Antistato, Milano, 1978.
                  
 - A questo scopo, oltre a una forsennata corrispondenza, tra 
                  il 1974 e il 1977 fa numerosi viaggi. Al di là di quelli 
                  connessi con le annuali riunioni redazionali internazionali 
                  e a brevi puntate a Milano, Torino, Ginevra, Amsterdam, nel 
                  1976 fa una lunga trasferta in Spagna e Portogallo e nel febbraio 
                  1977 gira l'America latina.
                  
 - Elements pour un dossier chilien (n. 3, 1975); La 
                  variante militaire de la nouvelle classe (n. 5, 1975); Les 
                  Eglises latino-americaines et le Siècle (n. 8, 1976); 
                  Hors-jeu international et jeu internationaliste (n. 11, 
                  1977); Sur les groupes d'affinité (n. 13, 1978); 
                  Les nouveaux mâitres: confluences et particularités 
                  latino-americaines (n. 14, 1978).
                  
 - La sua energia sembra inesauribile. Un aneddoto: il 28 giugno 
                  1975 (lettera da Mercier a Bertolo) propone, per la riunione 
                  internazionale che si terrà a Ginevra il 4 e 5 ottobre, 
                  tre sessioni al giorno di lavoro – mattina, pomeriggio 
                  e sera – proposta, beninteso, da noi prontamente rintuzzata 
                  e ridimensionata... a misura umana!
                  
 - Duemila copie distribuite tra abbonamenti (quattrocento), 
                  distribuzione commerciale e militante: Italia e Francia i due 
                  «mercati» principali, con oltre la metà delle 
                  copie, ma presenza più o meno consistente in una quarantina 
                  di Paesi, in quattro continenti.
  
				  
                 
                 
                 
                 
                   
                    Bibliografia 
                        di Louis Mercier 
                        Vega 
                      Opere: 
                        Affinitietsgroepen, prefazione di Jaap van der 
                        Laan, Spreeuw, Utrecht, 1983, 28 pp. 
                        Les anarchistes face à la technocratie (firmato 
                        Santiago Parane), Ed. du Libertaire, Parigi, 1950, 29 
                        pp.. 
                        L'anarchosyndicalisme et le syndicalisme révolutionnaire 
                        (con un testo di Victor Griffuelhes), Spartacus, Parigi, 
                        1978, 100 pp. (trad. it.: Azione diretta e autogestione 
                        operaia, Antistato, Milano, 1979, 143 pp. 
                        Autopsie de Péron, Duculot, Liegi, 1974. 
                        Bilancio della guerriglia in America latina, «Annali», 
                        Fondazione Einaudi, Torino, 1970, pp. 481-494. 
                        La Chevauchée anonyme, prefazione di Marianne 
                        Enckell, Noir, Ginevra, 1978. 125 pp. ill. 
                        Confluences et particularités latino-américaines, 
                        in Les nouveaux patrons: onze études sur la 
                        technobureaucratie, Noir, Ginevra, 1979, pp. 151-171 
                        (trad. it.: in I nuovi padroni, atti del Convegno internazionale 
                        di studi su «I nuovi padroni», Antistato, 
                        Milano, 1979). 
                        Cuba : révolution et contre-révolution 
                        : rémoignages, textes officiels et documents, 
                        Parigi, 1962. 
                        L'increvable anarchisme,UGE, Parigi, 1970 (trad. 
                        it. rivista e corretta: La pratica dell'utopia: cinque 
                        saggi sull'anarchismo, prefazione di Amedeo Bertolo, 
                        Antistato, Milano, 1978, 187 pp. 
                        Mécanismes du pouvoir en Amérique latine, 
                        Belfond, Parigi, 1967, 208 pp. 
                        Pourquoi et comment se bat la Hongrie ouvrière, 
                        Union des syndicalistes, Parigi,1957. 
                        Présence du syndicalisme libertaire, prefazione 
                        di Roger Hagnauer, Union des syndicalistes, Commission 
                        internationale de liaison ouvrière, Parigi, s.d. 
                        (trad. it.: Presenza dell'anarcosindacalismo, Amici 
                        dell'AIT, s.l., 1976, 53 pp.). 
                        La révolution par l'État: une nouvelle 
                        classe dirigeante en Amérique latine, prefazione 
                        di Miguel Abensour, Payot, Parigi, 1978 (trad. it.: La 
                        rivoluzione di stato, Antistato, Milano, 1981, 206 
                        pp.). 
                        Société et contre-société 
                        chez les anarchistes et les anti-autoritaires (a cura 
                        di L.M.V.), CIRA, Losanna, e Éditions Adversaires, 
                        Ginevra, 1974. 
                        Technique du contre-État: les guérillas 
                        en Amérique du Sud, Belfond, Parigi,1968. 
                         
                        Riviste cui ha collaborato: 
                        A rivista anarchica, Milano 
                        L'Adunata dei refrattari, New York 
                        Alliance ouvrière, Grenoble 
                        Aportes, Parigi 
                        Arbetaren, Stoccolma 
                        Buiten de Perken, Olanda 
                        CILO, Francia 
                        Contacts littéraires et sociaux, Parigi 
                        L'Espagne antifasciste, Parigi 
                        L'Espagne nouvelle, Parigi 
                        Études anarchistes, Parigi 
                        Freedom, Londra 
                        Interrogations, Parigi (poi Torino) 
                        Le Libertaire, Parigi 
                        Mundo nuevo, Parigi 
                        New Politics, New York 
                        Plus loin, Parigi 
                        Preuves, Parigi 
                        Reconstruir, Buenos Aires 
                        Resistance, New York 
                        Le Réveil syndicaliste, Liegi 
                        Le Réveil syndicaliste, Parigi 
                        Révision, Parigi 
                        La révolution prolétarienne, Parigi 
                        Témoins, Zurigo 
                        Voce libertaria, New York 
                        Volontà, Genova 
                        War Commentary for Anarchism, Londra 
                         
                        Pseudonimi identificati: 
                        Courami/Couramy, Damaschki, Hersay/R. C., L'Itinérant/L'itinerante, 
                        Liégeois, Luis Mercier Vega, Pierre Paillard, Santiago 
                        Parane, Charles Ridel.  | 
                   
                 
                  
                   
				
 L'amaro orgoglio della lucidità senza illusioni 
                di Marianne Enckell 
                L'esistenza di Louis Mercier Vega comincia a Santiago del Cile 
                  il primo ottobre del 1940, con l'acquisizione di una carta di 
                  identità cilena. Ma è nato Charles Cortvrint a 
                  Bruxelles, ventisei anni prima. I suoi articoli sulla stampa 
                  anarchica sono firmati dapprima con lo pseudonimo di Courami, 
                  poi come Charles Ridel, Damashki, Santiago Parane, L'Itinérant 
                  e qualche altro nome di fantasia. Nel suo breve romanzo autobiografico 
                  La Chevauchée anonyme si rappresenta insieme come 
                  Parrain e come Danton: «Sono io stesso una federazione 
                  di pseudonimi», amava dire di sé, con vezzo da 
                  vecchio internazionalista. 
                  È forse il cosmopolitismo che l'attira, ancora molto 
                  giovane, a un meeting del Comitato internazionale di difesa 
                  anarchica a Bruxelles? Hem Day, Ernestan, Nicolas Lazarévitch 
                  vi tengono interventi in difesa di Francesco Ghezzi, antifascista 
                  italiano scomparso nelle galere sovietiche. Parigi lo attira 
                  presto, come un Varlin più che come un Rastignac. Con 
                  il nome di Ridel vi si guadagna il pane come manovale ai mercati, 
                  operaio pellettiere, venditore ambulante, sguattero (o meglio 
                  «vaissellier à la petite argenterie»), correttore 
                  di bozze, e qui fa sua la convinzione operaia per cui, in mancanza 
                  di meglio, il sindacato è la più idonea espressione 
                  di classe esistente. In seno alla Union Anarchiste, dove si 
                  trovano all'epoca riunite tutte le tendenze libertarie francesi, 
                  sotto il «cappello» ecumenico della «sintesi» 
                  di Sébastien Faure, Ridel e i suoi amici delle Jeunesses 
                  – il metallurgico Guyard, il carbonaio Carpentier, l'ambulante 
                  Ringeas, l'aggiustatore metallico Faucier, lo scaricatore alle 
                  Halles Patat – costituiscono una frazione comunista libertaria 
                  che organizza gruppi di fabbrica e, non soddisfatto di dichiarazioni 
                  antifasciste puramente verbali, propongono un programma economico 
                  e politico alternativo al Fronte popolare. 
                  Nel maggio del 1936 è presente al Congresso di Saragozza 
                  della CNT spagnola. Quando il 19 luglio scoppia la rivoluzione, 
                  aspetta appena che gli venga pagata la «quindicina» 
                  di salario per partire. Assieme a Carpentier fonda il Gruppo 
                  internazionale della colonna Durruti, «proscritti d'Italia 
                  e sfruttati dall'imperialismo francese... la legione dei senza-patria 
                  che sono venuti a battersi nella penisola per l'ordine operaio 
                  e rivoluzionario». Ma quando le milizie vengono subordinate 
                  al comando militare, quando gli anarchici entrano nel governo, 
                  torna in Francia per sostenere, con un giro di conferenze, la 
                  causa della Spagna rivoluzionaria. «Possiamo dire in tutta 
                  coscienza, a nome di coloro che cadranno come miliziani della 
                  rivoluzione sociale: 'Non è per quello che sono morti', 
                  e possiamo impedire che i buffoni della rivoluzione sociale 
                  depredino i loro cadaveri», dice nel maggio 1938 l'editoriale 
                  di «Révision», piccola rivista dal titolo 
                  provocatorio fondata da Ridel, Maria Luisa Berneri, Lucien Feuillade, 
                  Jean Rabaut e qualche altro. 
                  Nello stesso periodo il gruppo del «Réveil Syndicaliste», 
                  costituito da ex militanti delle Jeunesses anarchistes, si va 
                  radicando nelle fabbriche. Ridel vive un po' del suo lavoro 
                  di correttore di bozze e un po' di attività meno confessabili. 
                  Quando scoppia la guerra non è neppure pensabile che 
                  si lasci intruppare: «C'è ancora un amaro orgoglio 
                  di disperata lucidità, in un mondo che corre verso l'abisso 
                  cantando assurdi ritornelli». E poiché l'esercito 
                  belga e la polizia francese lo aspettano al varco, parte per 
                  un viaggio che sarà determinante per la sua vita futura. 
                  In La Chevauchée anonyme (scritto sostanzialmente 
                  autobiografico, pur se in forma di romanzo) racconterà, 
                  molti anni dopo, l'esodo di un gruppo di anarchici impregnati 
                  del ricordo delle lotte recenti in Belgio, Francia e Spagna. 
                  Arrivati, loro malgrado, a Buenos Aires, si mettono in contatto 
                  con il movimento anarchico locale e nel contempo cercano di 
                  mantenere ogni legame possibile con i compagni rimasti in Europa. 
                  Nel 1940, secondo la finzione narrativa, le strade dei due personaggi 
                  – Danton e Parrain, i due doppi di Ridel – divergono: 
                  il primo, che pure odia l'esercito, si arruola nelle Forces 
                  libres francesi, nella speranza di tornare nel vecchio continente 
                  e di ricostruirvi una rete di compagni. L'altro va in Cile: 
                  il suo Paese, le sue radici. Ecco l'internazionalismo: tutta 
                  la Terra per sé, a patto di avere delle solide radici. 
                  Le Forces libres riportano Charles Ridel, divenuto nel frattempo 
                  Luis Mercier Vega di fresca «anagrafe» e cileno 
                  di fresca «nazionalità», a Durban, a Brazzaville 
                  (nell'allora Congo francese) e poi in Libano, dove resta tre 
                  anni, dapprima nei servizi d'ordinanza, e poi alla radio. Cumula 
                  incarichi per mettere da parte soldi, impara il giornalismo, 
                  cerca di mettere in piedi un gruppo, anche a costo di farsi 
                  notare un po' come sovversivo. Ma ristabilire i contatti con 
                  i compagni in Francia, Italia, Inghilterra è pressocché 
                  impossibile: riesce a fare arrivare a Londra un solo articolo, 
                  pubblicato su «War Commentary». 
                  Mercier rientra, nel dicembre 1945, in Francia, dove i compagni, 
                  sopravvissuti alla guerra, ai campi di concentramento o agli 
                  espedienti per riuscire a cavarsela, vanno a poco a poco ritrovandosi. 
                  Si stabilisce a Grenoble, dove si sposa e diventa giornalista 
                  del «Dauphiné libéré». Ogni 
                  mese manda una «lettera dalla Francia» ai giornali 
                  anarchici di tutto il mondo: «Volontà» a 
                  Genova, «Umanità nova» a Roma, «Freedom» 
                  a Londra, «L'Adunata dei refrattari» a New York. 
                  E collabora al «Libertaire» e alla «Révolution 
                  prolétarienne» di Parigi. Lancia anche, in loco, 
                  un giornale sindacalista, «L'alliance ouvrière», 
                  assieme ad alcuni militanti di Force ouvrière. 
                  Ben presto la sua lucidità analitica e le sue capacità 
                  organizzative lo fanno conoscere in ambiti più vasti 
                  e viene assunto nella Segreteria del Congresso per la libertà 
                  della cultura, un'organizzazione creata dall'American Federation 
                  of Labor e da varie fondazioni nord-americane che così 
                  definiva i suoi obiettivi: «difesa della libertà 
                  della cultura, affermazione permanente dei valori della nostra 
                  civiltà, lotta contro le dottrine totalitarie, istituzione 
                  e sviluppo di un'organizzazione mondiale che riunisca gli intellettuali 
                  in una cooperazione costruttiva su un programma antitotalitario». 
                  Il Congresso è stato violentemente criticato come «macchina 
                  da guerra» anticomunista e filo-americana. Ricordiamoci, 
                  tuttavia, che tra i suoi fondatori ci sono personaggi come Arthur 
                  Koestler, Ignazio Silone, Denis de Rougemont, François 
                  Bondy, certo insospettabili di essere stati fantocci della CIA. 
                  Può essere che nella Segreteria vi fossero uomini dei 
                  servizi segreti, ma quelli che la facevano funzionare erano 
                  il poeta polacco Costantin Jelenski, i militanti del POUM Julian 
                  Gorkin e Ignacio Iglesias... e l'anarchico Mercier. Quest'ultimo 
                  è segretario di redazione della rivista «Preuves» 
                  e ben presto responsabile della sezione latinoamericana del 
                  Congresso. 
                
                   
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                    |   Due volumi di Louis Mercier Vega pubblicati da Edizioni Antistato  | 
                   
                 
				 
                Il programma di una vita 
                Nel frattempo non lascia l'attività sindacalista. Partecipa 
                  alla creazione, nella regione parigina, di una Unione dei sindacalisti, 
                  che cerca di raggruppare militanti di diverse centrali sindacali 
                  e di diversi ambienti. Nell'ottobre del 1956 scoppia la rivoluzione 
                  ungherese: Mercier lavora giorno e notte a leggere, compulsare, 
                  cercare di capire per pubblicare uno dei primissimi opuscoli 
                  su quei fatti. Assieme a Helmut Rüdiger (un anarcosindacalista 
                  tedesco rifugiatosi in Svezia e redattore di «Arbetaren», 
                  il quotidiano del sindacato libertario SAC) e ad Albert De Jong, 
                  anarcosindacalista olandese, mette in piedi la Commission internationale 
                  de liaison ouvrière (CILO), che pubblicherà un 
                  bollettino in varie lingue dal 1958 al 1965. 
                  Tra il 1962 e il 1965 è in missione in quasi tutti i 
                  Paesi dell'America latina per installarvi delle «antenne» 
                  dell'Istituto latinoamericano di relazioni internazionali: centri 
                  di ricerca, gallerie d'arte, case editrici. Vi collaborano diversi 
                  compagni esiliati come Benito Milla in Venezuela, André 
                  Germain e Marcel Spielman in Cile, Fidel Miro in Messico, scelti 
                  non per favoritismo o nepotismo, ma per la loro capacità 
                  di lavoro e d'analisi. Mercier respinge senza pietà quelli 
                  che tentano di servirsi opportunisticamente dell'Istituto o 
                  del Congresso per fare carriera. 
                  Le sue tesi, del resto, non sono fatte per piacere ai carrieristi: 
                  ascesa di una nuova classe dirigente in tutti i Paesi della 
                  regione, una classe di «fuoriusciti» dalla borghesia, 
                  dall'esercito o dall'università – indifferentemente 
                  di destra o di sinistra quanto a ideologia – il cui potere 
                  è fondato sulla funzione e non più sulla proprietà. 
                  Il concetto di tecnoburocrazia, che aveva già abbozzato 
                  nell'immediato dopo-guerra, è uno degli elementi di base 
                  dell'ultima rivista da lui avviata nel 1974: «Interrogations». 
                  Alla fine degli anni '60 vengono denunciati cospicui finanziamenti 
                  dei servizi americani, tramite fondazioni di copertura, al Congresso 
                  per la libertà della cultura e delle sue istituzioni. 
                  «Come tutti gli antistalinisti di sinistra, le rivelazioni 
                  sulla partecipazione della CIA al Congresso l'avevano lasciato 
                  impietrito», scrive Grémion, ma «Mercier 
                  [...] era capace di incassare tutti i colpi che gli venivano 
                  inferti in una situazione particolarmente difficile». 
                  Nel 1972, per non svendere nulla, perde tutto: l'Istituto, la 
                  rivista «Aportes» e il suo posto di lavoro. 
                  Per tutto questo periodo è stato fedele ai suoi impegni 
                  ma in modo defilato. Dopo la sua partenza per l'America latina 
                  nel 1962, partecipa solo al bollettino della CILO e a «Révolution 
                  prolétarienne»; al suo ritorno in Francia cessa 
                  quasi del tutto le collaborazioni. Nel 1970 esce il suo L'increvable 
                  anarchisme ed è una vera e propria scoperta per la 
                  generazione del '68: quale comprensione, dall'interno, 
                  del movimento anarchico, quale franchezza di parole, quale massa 
                  di conoscenze e di esperienze! Questo smilzo libro dirompente 
                  suscita nuove collaborazioni e profonde amicizie; ma risveglia 
                  anche, ahimè, vecchi rancori e indegne calunnie in seno 
                  al movimento anarchico. 
                  Quando Mercier fonda la rivista quadrilingue (francese, inglese, 
                  spagnolo, italiano) «Interrogations», è logorato 
                  da queste campagne infami, dalla perdita del suo lavoro – 
                  suo principale strumento di conoscenza – e dalla morte 
                  prematura della sua compagna. Sa che è il suo ultimo 
                  round. Ma non ha perso il fuoco che gli faceva criticare a venticinque 
                  anni, tra la sconfitta della rivoluzione spagnola e la débâcle 
                  delle democrazie di fronte alla guerra, «l'esecrabile 
                  abitudine che hanno preso la maggior parte dei rivoluzionari 
                  – sotto l'influenza dei lacrimosi democratici e dei reazionari 
                  – di non riflettere sui fatti se non con passivo sentimentalismo 
                  [...]. Vivere le lotte sociali rispondendo ogni giorno ai problemi 
                  quotidiani, combattere con la certezza che ogni colpo inferto 
                  si ripercuote anche su chi colpisce, costruire la propria teoria 
                  tenendo ben saldi i piedi per terra e non negando la realtà 
                  per idolatria dei princìpi, questo è il programma 
                  che ogni militante può applicare». 
                  E questo è il programma che Mercier s'è dato per 
                  tutta la sua vita. Non gli resta che assicurarsi il ricambio, 
                  mettere in marcia la rivista e i suoi interrogativi. Il 20 novembre 
                  1977 Louis Mercier, alias Charles Ridel, alias Santiago Parane, 
                  metteva fine ai suoi giorni. La Chevauchée anonyme, l'ultima 
                  riproposizione dei suoi scritti sull'anarcosindacalismo e sull'America 
                  latina e diverse traduzioni sono apparse postume. 
                 Marianne Enckell 
                   
                  traduzione di Amedeo Bertolo 
                 L'articolo pubblicato è apparso per la prima volta 
                  in italiano nel Bollettino dell'Archivio Pinelli, n.9, 
                  1999. 
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