I messaggeri dimenticati 
                 
                  C'era una volta un pacco che 
                  giaceva dimenticato nel magazzino di un centro postale. Intorno 
                  a lui, a condividerne la sorte, erano impilati mucchi di corrispondenza 
                  che si era fermata a metà strada. Decine e decine di 
                  lettere, buste di media grandezza, piccoli e grandi plichi disposti 
                  in scaffali che si perdevano a vista. 
                  Il reparto Posta in attesa faceva pensare a un esercito 
                  intrappolato in una terra di nessuno. Un'umanità cartacea 
                  e dolente, intima e trascurata, che avrebbe dovuto portare novità 
                  nella vita di tante persone, giaceva inerte. 
                  In fondo al corridoio non s'intravedeva nessuno. 
                  Il pacco si sentiva triste per un'attesa che, giorno dopo giorno, 
                  lo avvicinava alla scadenza temuta, al buio del proprio fallimento. 
                  Ancora cinque giorni, e sarebbe stato rispedito al mittente. 
                  Una debacle, la negazione stessa della sua ragione d'essere. 
                  Era stato creato per accogliere e donare. Ma lo scopo pareva 
                  tradito. Se nessuno fosse arrivato, sarebbe stato semplicemente 
                  un messaggero mancato. Strano destino per un pacco. Nutrire 
                  fin dalla nascita la speranza di essere scartato, e ritrovarsi 
                  invece abbandonato. 
                  Per che cosa poi? 
                  Era circondato da storie convergenti sullo stesso finale sospeso. 
                  Multe e atti giudiziari formavano un corpo a sé. Allineati 
                  come soldati di un reparto speciale che non avevano portato 
                  a termine la propria missione, si distinguevano unicamente per 
                  il numero di protocollo stampato sulla divisa. Sfiduciati ma 
                  ancora pronti a rispondere all'appello nel caso qualcuno venisse 
                  a salvarli dal limbo postale. 
                  C'erano poi le lettere. Migliaia di parole arrivate a un punto 
                  morto. Comunicazioni formali, richieste di risarcimento, frasi 
                  scritte di getto, dolci, appassionate, dolorose, intrise di 
                  lacrime o alleviate dalla speranza. Caratteri di stampa e grafie 
                  di ogni età: dai tratti vacillanti di un anziano alle 
                  nitide linee d'inchiostro di una ragazza. Lettere contenenti 
                  soldi, fotografie, dubbi e domande, firme risolute, e poi le 
                  buste più grandi con i libri, gli omaggi interessati, 
                  i cataloghi in abbonamento per gente che si era trasferita. 
                  C'erano infine i pacchi come lui. Alcuni erano giunti a destinazione 
                  troppo tardi, un attimo dopo che il destinatario era uscito 
                  di casa. Altri erano arrivati troppo presto, poco prima che 
                  qualcuno tornasse. Tutti erano lì per motivi che non 
                  avrebbero mai conosciuto. Forse c'entrava la pigrizia di chi 
                  aveva trovato in casella la ricevuta per il ritiro e ci aveva 
                  dormito sopra, salvo poi dimenticarsene. Forse era l'indifferenza, 
                  se non l'ostilità, di chi aveva scelto di non farsi trovare 
                  né prima né dopo. Forse stavano lì per 
                  un banale errore del postino che si era dimenticato di lasciare 
                  traccia del passaggio. 
                  Chi poteva dirlo? 
                  In quel deserto di attenzione, il pacco avvertiva una malinconia 
                  strana. Come poteva una scatola di carta provare sentimenti 
                  umani? Eppure il suo involucro si gonfiava di un respiro sofferto, 
                  affaticato, simile a quello dei tanti compagni confinati nell'esilio 
                  della burocrazia. 
                  È il futuro che ci ha reso inutili... pensò. 
                  Chissà che cosa avrebbero riservato i mesi a venire: 
                  dopo la posta elettronica, forse le mail telepatiche; dopo gli 
                  sms, forse i messaggini tattili e olfattivi... 
                  D'un tratto, però, la porta in fondo al corridoio si 
                  aprì. Pacchi, lettere, buste tornarono alle normali sembianze 
                  di oggetti inanimati. In realtà stavano trattenendo il 
                  respiro. Entrò un impiegato con il cartellino d'ordinanza 
                  e il numero di matricola. Aveva in mano una ricevuta. Percorse 
                  la corsia centrale del reparto, superò gli scaffali delle 
                  multe, degli atti giudiziari, delle lettere, e imboccò 
                  la direzione che portava dritto ai pacchi. Il nostro ebbe un 
                  sussulto di cuore. Più l'uomo si avvicinava, più 
                  la selezione si restringeva. Era una lotteria, una mano ai dadi, 
                  una scommessa lanciata verso il traguardo. 
                  Altri passi in avvicinamento. Lui e gli altri pacchi uniti dalla 
                  stessa intensità di emozione, ma divisi dalla sorte che 
                  sceglie sempre un solo fortunato tra la schiera degli esclusi. 
                  Quando l'impiegato arrivò allo scaffale, inforcò 
                  gli occhiali e iniziò a cercare il plico che combaciasse 
                  con la ricevuta. Uno sguardo al biglietto, un altro alla posta 
                  giacente. I pacchi esibirono la propria affrancatura come una 
                  medaglia. Poi aspettarono con il fiato sospeso. C'era tensione 
                  nell'aria. Presto qualcuno si sarebbe rimesso in viaggio.
                
  Paolo Pasi
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