| 
				 Premio Tenco 
                  
                Resistenze e canzone d'autore 
                  
                di Steven Forti / foto di Roberto Molteni e Fabrizio Fenucci 
                    
                Dal 2 al 4 ottobre si è tenuta a Sanremo la 38esima edizione del Premio Tenco, dedicata alle Resistenze e con invitati d'eccezione. Come i premiati: Gianni Minà, Maria Farantouri, Plastic People of the Universe, José Mário Branco e John Trudell. Ma sono molte le cose stimolanti che si sono potute vedere e ascoltare in quei giorni sulla riviera ligure... 
                 
                  Quella di quest'anno non è 
                  stata un'edizione come le altre del Premio Tenco. Per varie 
                  ragioni. Innanzitutto perché si festeggiavano i quarant'anni 
                  dalla prima rassegna della canzone d'autore, tenutasi nell'ormai 
                  lontano 1974. Il Club Tenco era nato sì nel 1972 grazie 
                  al coraggio e al genio di Amilcare Rambaldi, ma solo due anni 
                  dopo sono iniziate le rassegne. E si cominciò subito 
                  forte. Nelle prime due edizioni i premiati furono quelli che 
                  potremmo definire i simboli di un'epoca: Leo Ferré, Sergio 
                  Endrigo, Giorgio Gaber, Domenico Modugno e Gino Paoli (per il 
                  1974), Vinicius de Moraes, Fausto Amodei, Umberto Bindi, Fabrizio 
                  De André, Francesco Guccini e Enzo Jannacci (per il 1975). 
                  Nei 38 anni successivi sarebbero arrivati poco a poco i premi, 
                  e nella maggior parte dei casi la partecipazione, di altri numi 
                  tutelari della poesia che si fa canzone: Atahualpa Yupanqui, 
                  Chico Buarque de Hollanda, Paolo Conte, Silvio Rodríguez, 
                  Tom Waits, Caetano Veloso, Pablo Milanés, Elvis Costello, 
                  Nick Cave e tanti, tanti altri. Questa sarebbe dunque dovuta 
                  essere la 40esima edizione, ma in due occasioni e per ragioni 
                  diverse, la rassegna o non si è celebrata (1987) o non 
                  è stata propriamente una rassegna, ma solo una manifestazione 
                  (2012). E dunque, bisognerà attendere il 2016 per festeggiare 
                  le nozze di Smeraldo del Premio Tenco. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Paola 
                        Turci  | 
                   
                 
                Resistenza, Resistenze 
                Non è stata questa però l'unica ragione dell'eccezionalità 
                  della 38esima edizione da poco conclusa. Si è tornati 
                  anche – e questa è forse la grande novità, 
                  una di quelle novità che lascia il segno – a una 
                  rassegna a tema. E il tema non è cosa di poco conto, 
                  come si suol dire. Un tema dalle molte sfaccettature e dalle 
                  molte letture: le Resistenze. Non al singolare, ma al plurale. 
                  Resistenze politiche, certamente, ma anche sociali, culturali, 
                  linguistiche, umane. “Sanremo diventa capitale della musica 
                  grazie alla Resistenza” ricorda Sergio Secondiano Sacchi 
                  in apertura al numero speciale de Il Cantautore, la rivista-libro 
                  che esce in occasione della rassegna, quest'anno in un'edizione 
                  di 44 pagine in formato vinile curata graficamente da Stefania 
                  Minozzi e Fabio Santin di ApARTe. Sanremo diventa difatti capitale 
                  della musica grazie a Amilcare Rambaldi, che fu partigiano rappresentante 
                  del Partito Socialista nel CNL locale e relatore della sottocommissione 
                  artistica con il compito di trovare iniziative per il rilancio 
                  economico della città. Ed è ancora lo stesso Sacchi 
                  a mettere in evidenza il trait d'union della rassegna di quest'anno 
                  con il suo fondatore e con lo spirito stesso del Tenco: “al 
                  Tenco siamo tornati a essere, un poco, resistenza anche noi. 
                  Con una rassegna che non è affatto la manifestazione 
                  di un'improponibile nostalgia, ma della Memoria. Quindi, del 
                  Presente.” 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Eugenio 
                        Finardi  | 
                   
                 
                Dall'Europa dell'Est all'Italia 
                ”Le Resistenze sono tante, milioni di milioni...”. 
                  Mi si permetta citare un famoso slogan pubblicitario coniato 
                  dal compositore Pier Emilio Bassi non per togliere importanza 
                  e singolarità all'esperienza della guerra partigiana 
                  italiana, ma per sottolineare come i fenomeni di resistenza, 
                  con le loro diversità e le loro sfaccettature, siano 
                  una costante del passato e del presente, tanto italiano quanto 
                  internazionale. Questa rassegna ce ne ha dato un'ulteriore prova. 
                  Presentata, come tradizione vuole, da un sempre energico e ironico 
                  Antonio Silva, la rassegna è iniziata non come di consueto 
                  con Lontano Lontano, bensì con Le Deserteur 
                  di Boris Vian nella traduzione italiana di Luigi Tenco, interpretata 
                  da una carismatica Paola Turci. Si è passati poi ad un 
                  set composto da sei canzoni, tradotte in italiano da Alessio 
                  Lega e Sergio Secondiano Sacchi e arrangiate da Rocco Marchi, 
                  per mostrare la resistenza e il dissenso interni ai regimi del 
                  socialismo reale dell'Europa orientale. Dei video hanno introdotto 
                  le sei canzoni – interpretate da alcune delle voci più 
                  interessanti della musica italiana – dei russi Bulat Okudzava, 
                  Vladimir Vysotskij e Aleksandr Galic, del cecoslovacco Karel Kryl 
                  e del polacco Jacek Kaczmarski. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Simone 
                        Cristicchi  | 
                   
                 
                 Le storie di questi poeti e cantautori si assomigliano nella 
                  loro diversità: esilio, arresti, proibizione di esibirsi, 
                  prigione, sofferenze. Kaczmarski, il più giovane di tutti, 
                  classe 1957, dopo aver appoggiato Solidarnosc, è costretto 
                  all'esilio ed è a questa esperienza che dedica La 
                  nostra classe, interpretata, sul palco del Teatro del Casinò 
                  di Sanremo, da un giovane italiano che vive all'estero, Olden. 
                  I tre “poeti-cantanti” russi rappresentano le tre 
                  diverse maniere di confrontarsi con la realtà: la tristezza, 
                  il dolore e la disposizione alla comprensione di Okudzava (Premio 
                  Tenco 1985), il grido disperato di Vysotskij (unico Premio Tenco 
                  assegnato alla memoria, nel 1993), l'ostinazione, la denuncia 
                  e lo scherno di Galc. E tre canzoni hanno rappresentato queste 
                  loro poetiche: Zitto e mosca (Piccolo valzer dei cercatori 
                  d'oro) di Galic cantata da Alessio Lega, Il bagno alla 
                  bianca di Vysotskij e A Volodja Vysotskij di Okudzava, 
                  entrambe interpretate da Eugenio Finardi, che, non a caso, nel 
                  2008 aveva già cantato in italiano Vysotskij dedicandogli 
                  un intero disco, “Il cantante al microfono”, accompagnato 
                  dall'orchestra Sentieri Selvaggi. Anche Paola Turci ha dato 
                  voce al grande cantautore russo Okudzava, cantando la sua Canzone 
                  georgiana. Il cecoslovacco presente in questo set, Karel 
                  Kryl, e la sua bellissima Amore, è stato interpretato 
                  da Pierpaolo Capovilla, che, oltre al “lavoro di rock 
                  star” con il Teatro degli Orrori, recentemente ha anche 
                  portato in giro per l'Italia un reading tratto da La religione 
                  del mio tempo di Pasolini. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Vratislav 
                        Brabenec  | 
                   
                 
                 Sul palco del teatro del Casinò di Sanremo sono saliti 
                  poi i cecoslovacchi Plastic People of the Universe, uno dei 
                  premi Tenco di questa 38esima edizione. Attivi da 46 anni, devono 
                  il loro nome a una canzone di Frank Zappa (Plastic People, 
                  contenuta nell'album “Absolutely Free” del 1967) 
                  e il loro stile a Captain Beefheart. Il quintetto ha vissuto 
                  numerosi cambi di formazione e attualmente degli “storici” 
                  rimane solo Vratislav Brabenec, sassofonista e clarinettista, 
                  nonché poeta. La loro storia è legata a doppio 
                  filo al dissenso nella Cecoslovacchia comunista. Nel 1976 vengono 
                  arrestati con l'accusa di “teppismo” per aver partecipato 
                  a un festival underground: Brabenec sconta otto mesi di carcere 
                  e il loro manager, il poeta, critico e storico dell'arte Ivan 
                  Jirous, ben diciotto. È proprio per reazione all'arresto 
                  del gruppo che Václav Havel e altri quattro intellettuali 
                  lanciano la Charta 77, il documento in difesa dei diritti umani 
                  e civili che porterà dodici anni dopo alla Rivoluzione 
                  di Velluto. Dei Plastic People of the Universe “storici”, 
                  come si è detto, rimane ora solo Brabenec, affiancato 
                  da altri cinque musicisti, tra cui la bassista e cantautrice 
                  Eva Turnova. 
                  Ma non ci sono state solo le resistenze dell'Europa orientale 
                  nella prima serata del Premio Tenco. Simone Cristicchi ha offerto 
                  una visione personale della resistenza, tra le mura degli ex-manicomi 
                  (Ti regalerò una rosa), il ricordo degli anziani 
                  reduci di guerra della ritirata di Russia del '43 (L'ultima 
                  notte degli alpini, canto corale di Bepi De Marzi) e i magazzini 
                  in cui sono affastellate e dimenticate le masserizie di chi 
                  è dovuto fuggire dalla propria terra, come gli esuli 
                  istriani alla fine della Seconda Guerra Mondiale (Magazzino18). 
                  Matti, esuli e soldati. E di soldati, e non solo di soldati, 
                  hanno cantato anche i Modena City Ramblers (MCR), per l'occasione 
                  insieme a Stefano “Cisco” Belotti, storico leader 
                  della band che dal 2005 ha intrapreso la carriera solista. Di 
                  quei soldati che nell'autunno del 1943 hanno scelto la via delle 
                  montagne nel centro e nel nord Italia per combattere il nazi-fascismo. 
                  Ma non solo di soldati, appunto, hanno cantato i Modena City 
                  Ramblers. Con loro sul palco è stato il momento della 
                  Resistenza, con le canzoni che la band emiliana ha portato in 
                  lungo e in largo per oltre vent'anni e con gli omaggi ai canti 
                  che hanno trasformato quell'epoca in un'epopea, a volte rischiando 
                  di limitarla a un recinto troppo ristretto. Una su tutte: Bella 
                  Ciao. Ma prima i MCR hanno omaggiato Fausto Amodei con Per 
                  i morti di Reggio Emilia e tra i brani che hanno proposto 
                  del loro repertorio non poteva mancare I cento passi, 
                  dedicata a Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il giorno del 
                  ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. 
                  Prima della loro esibizione, i Modena City Ramblers hanno consegnato 
                  il premio Tenco all'Operatore Culturale di questa edizione a 
                  Gianni Minà. Un altro resistente in tutto e per tutto, 
                  dalle sue trasmissioni televisive degli anni Ottanta e Novanta 
                  fino ai più recenti progetti, come la rivista letteraria 
                  Latinoamerica e tutti i sud del mondo. L'America Latina, 
                  uno degli amori di Minà, e terra di resistenze in un 
                  continente trasformato come non mai dall'imperialismo statunitense 
                  negli anni della Guerra Fredda e dal neoliberismo globalizzante 
                  nell'ultimo ventennio. E uno dei punti di contatto con il Tenco, 
                  a cui Minà è legato da un forte vincolo di amicizia 
                  fin dai primi anni della rassegna sanremasca. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Eugenio Finardi  | 
                   
                 
                Dal Portogallo della Rivoluzione a Léo Ferré 
                In questo premio Tenco le Resistenze non sono mai state proposte 
                  come scatole chiuse, ma si sono incrociate e incontrate più 
                  volte, a dimostrazione di come la memoria sia un lavoro di continuo 
                  scavo nel passato. Così, nella seconda e nella terza 
                  serata, quelle del 3 e del 4 ottobre, molte Resistenze si sono 
                  incontrate più d'una volta, offrendoci una panoramica 
                  su diverse storie, diversi passati e diverse aree geografiche. 
                  Un altro set, questa volta dedicato al Portogallo, ha voluto 
                  ricordare, nel suo quarantesimo anniversario, la Rivoluzione 
                  dei Garofani che il 25 aprile del 1974 ha posto fine ad una 
                  dittatura durata 48 anni. Una rivoluzione pacifica, è 
                  bene ricordarlo, il cui segnale d'inizio – non è 
                  un caso – è stata la messa in onda della canzone 
                  Grândola Vila Morena di José Afonso. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Alessio 
                        Lega & José Mário Branco  | 
                   
                 
                 I grandi poeti-cantautori portoghesi di quell'epoca sono tutti 
                  legati direttamente alla resistenza alla dittatura di Salazar 
                  e Marcelo Caetano e al processo rivoluzionario che ha inizio 
                  dopo il 25 aprile. È stata l'algherese Claudia Crabuzza 
                  a cantare Zeca Afonso, poeta impegnato e coltissimo, il vero 
                  e proprio traghettatore dal Fado ai nuovi ritmi nel Portogallo 
                  dei primi anni Sessanta. Sérgio Godinho, altro cantautore 
                  omaggiato, come vedremo tra poco, ricorda come Os Vampiros, 
                  la canzone di Zeca Afonso pubblicata nel 1963, fu “un 
                  meteorite caduto con un boato in acque paludose. [...] In una 
                  casa dove non c'erano pareti, Zeca aveva aperto una finestra. 
                  Ancora con le sbarre, ma pur sempre una finestra.” È 
                  lì che inizia la rivoluzione della canzone portoghese 
                  che porterà a dischi che segneranno un'epoca, come Os 
                  Sobrevivientes (1971) e À queima-roupa (1974) 
                  dello stesso Godinho, Margem de Certa Maneira (1972) 
                  e FMI (1982) di José Mário Branco, P'ró 
                  Que Der e Vier (1974) e Por Este Rio Acima (1982) 
                  di Fausto, O Canto e as Armas (1970) e Que nunca mais 
                  (1975) di Adriano o Cantigas do Maio (1971) e Venham 
                  mais cinco (1973) di Zeca Afonso. “Portane cinque”, 
                  la canzone che ha interpretato Claudia Crabuzza, è quella 
                  che dà proprio il titolo a quest'ultimo album, che può 
                  essere considerato l'anticipazione della Rivoluzione dell'anno 
                  successivo. Diodato ha poi cantato Le foto dal fuoco 
                  di Godinho, mentre Chiara Civello la meravigliosa Fa che 
                  ricordi il sogno di Fausto. Alessio Lega, che, anche in 
                  questo caso con Sergio Secondiano Sacchi, ha tradotto in italiano 
                  i brani e che non poteva mancare in una rassegna dedicata alle 
                  Resistenze, è salito sul palco per offrire al pubblico 
                  Preghiera delle anime incensurate e Ciò di 
                  cui l'uomo è capace di José Mário Branco, 
                  che ha duettato con il cantautore leccese. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Andrea Satta, cantante dei  Têtes de Bois  | 
                   
                 
                 Anche lui premio Tenco di questa edizione, Branco è 
                  stato la figura centrale di quella generazione irripetibile, 
                  sia come arrangiatore sia come produttore, nonché come 
                  grande innovatore della musica portoghese. Esiliatosi a Parigi 
                  nel 1963, quando era ricercato dalla PIDE, Branco è stato 
                  difatti, tra le tante cose, l'arrangiatore di Grândola 
                  Vila Morena e uno dei principali animatori del collettivo 
                  del Gruppo di Azione Culturale (GAC), una delle molte esperienze 
                  che hanno lasciato il segno durante e dopo la Rivoluzione. Persona 
                  di grande coerenza e integrità, qualche anno fa, dopo 
                  aver pubblicato il suo ultimo disco – dal titolo sintomatico: 
                  Resistir é Vencer – Branco ha deciso di 
                  smettere di esibirsi, facendo un'eccezione per il Premio Tenco. 
                  Ad accompagnare Branco e gli altri interpreti, come anche nelle 
                  altre serate della rassegna, una resident band formata 
                  da Rocco Marchi – che è stato anche in questo caso 
                  l'arrangiatore dei brani – al pianoforte e chitarra, Francesca 
                  Baccolini al contrabbasso, Guido Baldoni alla fisarmonica, Marco 
                  Santoro al fagotto e Valeria Sturba al violino e al theremin. 
                  L'omaggio al Portogallo rivoluzionario non si è però 
                  concluso con questo affascinante set. I Têtes de Bois, 
                  una delle realtà più interessanti della canzone 
                  d'autore nostrana, hanno interpretato in italiano Lisbona 
                  quando albeggia, indimenticabile canzone di Sérgio 
                  Godinho che i Têtes de Bois avevano già inciso 
                  nel 2008, duettando con il cantautore di Porto per l'album “Quelle 
                  piccole cose”. La band romana guidata da Andrea Satta 
                  ha omaggiato un altro resistente a tutto e a tutti: Léo 
                  Ferré. Con il poeta e cantautore libertario, i Têtes 
                  de Bois hanno instaurato ormai uno stretto legame. Sia per due 
                  dischi, Léo Ferré, l'amore e la rivolta 
                  (2002) e il recentissimo Extra (2014), che contiene anche 
                  un pezzo inedito di Ferré, L'eautontimorumenos, 
                  e un brano, Il tuo stile, dove la voce è quella 
                  del compianto Francesco Di Giacomo. Ma anche per ragioni personali 
                  e familiari: Luca De Carlo, trombettista della band, è 
                  infatti il compagno di Marie Cécile, la figlia che Ferré 
                  ha avuto dalla moglie Marie. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Esther Béjarano  | 
                   
                 
                Esther Béjarano, novant'anni di resistenza 
                Uno dei momenti più emozionanti di tutta la rassegna 
                  è stata l'esibizione di Esther Béjarano, la “ragazza 
                  con la fisarmonica”. Nata nel 1924 in Saarland da una 
                  famiglia ebrea askenazita perfettamente integrata nella comunità 
                  tedesca, Esther Loewy, divenuta in età adulta Béjarano 
                  dal cognonome del marito, viene mandata in un campo di lavoro 
                  vicino Berlino nel 1941, mentre i genitori vengono fucilati 
                  in un bosco insieme ad altri 30 mila ebrei. Nell'aprile del 
                  1943 è trasferita ad Auschwitz, dove riesce a salvarsi 
                  suonando la fisarmonica nell'orchestra femminile del lager. 
                  Esther la fisarmonica non l'aveva mai suonata, mentre sì 
                  aveva ricevuto lezioni di pianoforte fin da bambina: il padre 
                  ne era insegnante, oltre che essere cantore capo di una comunità 
                  ebraica. La sua storia è raccontata nel bel libro La 
                  ragazza con la fisarmonica. Dall'orchestra di Auschwitz alla 
                  musica rap, curato da Antonella Romeo, editrice, traduttrice 
                  e biografa italiana di Esther. Grazie alla sua fisarmonica, 
                  Esther riesce a salvarsi: nel novembre del 1943 viene trasferita 
                  a Ravensbrück e all'inizio del 1945 viene liberata da russi 
                  e americani. Ma la resistenza di Esther non si conclude qui, 
                  tutt'altro. Come precisa Bruno Maida nella prefazione al libro 
                  sopra citato, la sua è “la scelta di praticare 
                  ogni giorno una resistenza civile”. E così è 
                  stato lungo tutti i suoi 90 anni, che Esther porta con un'energia, 
                  uno spirito e un ottimismo che pochissimi possono solo immaginare. 
                  Dopo la guerra, va in Palestina e entra nel coro operaio Ron, 
                  col quale tiene concerti in mezza Europa, con canti antifascisti 
                  in yiddish, russo ed ebraico. Ma la discrimazione per i palestinesi 
                  porteranno lei e il marito, Nissim Béjarano, ad andarsene 
                  da Israele nel 1960 e a fare ritorno in Germania. Accompagnata 
                  dalla sua centenaria fisarmonica Hohner, non ha mai smesso di 
                  cantare e di suonare, contro tutte le discriminazioni, contro 
                  il razzismo e la xenofobia, i rigurgiti neo-nazisti e le ingiustizie, 
                  arrivando a collaborare cinque anni fa con un duo rap italo-turco 
                  di Colonia. Nel repertorio che porta in giro e che ha proposto 
                  anche a Sanremo, accompagnata in quest'occasione dal figlio 
                  Joram, musicista anche lui, e da un fisarmonicista d'eccezione, 
                  Gianni Coscia, ci sono Brecht, Theodorakis, Boris Vian, Bella 
                  Ciao... Non aveva mai cantato, invece, una canzonetta alla 
                  moda nella Germania degli anni Trenta contenuta nel film Bel 
                  Ami che era obbligata a cantare ad Auschwitz. L'ha fatto 
                  per la prima volta al Premio Tenco. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Vinicio Capossela con il suo baglamas  | 
                   
                  
                Tra rebetiko e canzone d'autore: la Grecia che resiste 
                Ancora connessioni e interconnessioni in questo Premio Tenco. 
                  La Grecia è stata un altro trait d'union tra una 
                  serata e l'altra. Venerdì infatti Vinicio Capossela, 
                  che ormai possiamo considerare l'ambasciatore della Grecia della 
                  crisi in Italia, ha riconfermato l'attualità e il valore 
                  della musica rebetika, a cui ha dedicato i suoi ultimi lavori: 
                  il disco “Rebetika Gymnastas”, Tefteri. Il libro 
                  dei conti in sospeso e il film Indebito, a cui ha 
                  lavorato insieme al regista Andrea Segre. Accompagnato da Manolis 
                  Pappos al bouzouki e da Vasilis Massalas alla chitarra, Capossela, 
                  con il suo baglamas e una sola manica della giacca infilata 
                  – come i mangas che suonavano il rebetiko nelle 
                  taverne del Pireo negli anni Venti e Trenta – ha riproposto 
                  solo una canzone del suo repertorio, Scivola, vai via, 
                  offrendo poi un triplo omaggio: a Fabrizio De André con 
                  Quello che non ho, a Vladimir Vysotskij con Gimnastika 
                  e alle vittime dei lager con Suona Rosamunda. Tutto riarrangiato 
                  al ritmo dei 9/8 del rebetiko. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Maria Farantouri  | 
                   
                 
                
                  Ma non c'è stata solo la resistenza del milione e duecentomila 
                  Greci che nel 1923, alla fine della guerra greco-turca, sono 
                  stati costretti ad abbandonare le loro città nella nuova 
                  Turchia di Kemal Atatürk e a tornare all'antica patria, 
                  che li accolse con diffidenza e ostilità, ma anche la 
                  resistenza vissuta durante la dittatura dei colonnelli tra 1967 
                  e 1974. Un anno che ci riporta con la mente anche al Portogallo 
                  della Rivoluzione dei Garofani. Sabato sul palco è salita 
                  Maria Farantouri, insignita anche lei del premio Tenco 2014. 
                  Nata nel sobborgo ateniese di Nea Ionia, che negli anni Venti 
                  aveva ospitato molti dei rifugiati dall'Asia Minore, Farantouri 
                  è stata, fin dai primi anni Sessanta, giovanissima, una 
                  delle collaboratrici più strette di Mikis Theodorakis, 
                  insieme ad altri conosciuti interpreti (Grigoris Bithikotsis, 
                  Dora Yiannakopoulou e Soula Birbili). In quei sette terribili 
                  anni, dall'esilio parigino, Farantouri è stata l'ambasciatrice 
                  di un Theodorakis incarcercato e di una Grecia che resisteva, 
                  utilizzando le canzoni come strumento di denuncia contro il 
                  regime militare, esibendosi in decine e decine di concerti di 
                  solidarietà in tutto il mondo. Farantouri canta e incide 
                  testi di autori scomodi per il regime, come i poeti Seferis 
                  e Ritsos, e nuove versioni di opere precedenti di Theodorakis, 
                  come “Epitaphios” e “Epiphania”, alla 
                  base dell'entechno, la rivoluzione estetica della musica 
                  greca che ha saputo unire gli stili musicali popolari e la poesia, 
                  realizzata dal compositore che aveva già sofferto arresti 
                  e torture durante l'occupazione italiana e tedesca del paese 
                  ellenico e durante la Guerra Civile greca. Ma nell'esilio parigino 
                  Farantouri collabora anche con il compositore Manos Hadjidakis 
                  e, ancora con Theodorakis, che la raggiunge a Parigi una volta 
                  scarcerato, canta le Sette canzoni tratte dal Romancero 
                  gitano di Federico García Lorca e il Canto General 
                  di Pablo Neruda. 
                  Ancora connessioni di resistenze: nel 1974 la Grecia che resiste 
                  canta la Spagna sotto il giogo franchista da quasi quarant'anni 
                  e il Cile trafitto al cuore l'anno precedente dal colpo di Stato 
                  di Pinochet, finanziato e appoggiato, come nel caso del colpo 
                  di Stato dei colonnelli greci dell'aprile del 1967, dagli USA. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Gianni Miną  | 
                   
                  
                Dalle Resistenze italiane agli Stati Uniti d'America 
                Oltre alla voce di Maria Farantouri – indimenticabile 
                  la sua interpretazione di Sto Perigiali –, la serata 
                  conclusiva della 38esima edizione del Premio Tenco ha visto 
                  la partecipazione anche di due esponenti delle resistenze italiane. 
                  Raffinatissima la proposta della Scraps Orchestra, gruppo mantovano 
                  guidato da Stefano Boccafoglia che era già stata al Tenco 
                  nel 2000. Formatasi all'inizio degli anni Novanta e con all'attivo 
                  dischi qualitativamente altissimi (”Organi in movimento”, 
                  “Il Diavolo di Mezzogiorno”, “Nero di Seppia”) 
                  la Scraps Orchestra ha lavorato in svariate occasioni sul passato 
                  italiano (dal delitto Matteotti – nella canzone On 
                  Matteotti, Socialista (Il Falco Alla Colomba) – alla 
                  guerra partigiana – con l'album “Resistenze”, 
                  uscito sotto il nome di JasBand – fino alla strage di 
                  Piazza Fontana e alla vicenda di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin) 
                  e ha collaborato con progetti di resistenza nel territorio, 
                  come la costruzione e la gestione di una CasAlloggio per persone 
                  disabili senza famiglia o che attraversano situazioni di grave 
                  emergenza insieme alla “Coop. C.H.V.” di Suzzara. 
                  Sul palco del Teatro del Casinò di Sanremo hanno proposto 
                  tre loro brani – Quindicidiciotto, La staffetta 
                  e Ricette scadute – intervallati da accenni di 
                  Bella Ciao e di Fischia il vento, interpretati 
                  in una chiave ben distinta alla vulgata dei Modena City Ramblers, 
                  e una canzone inedita, preparata appositamente per il Premio 
                  Tenco: La verità, nient'altro che quella. Un testo 
                  di grande profondità e finezza che racconta, come recita 
                  il sottotitolo della canzone, La strana vita del compagno 
                  Nicola Bombacci. Bombacci fu segretario del PSI durante 
                  il biennio rosso e fondatore del Partito Comunista nel gennaio 
                  del 1921, ma dopo una singolare traiettoria e l'approdo al fascismo, 
                  venne fucilato dai partigiani sulle rive del lago di Como nell'aprile 
                  del 1945, prima di essere esposto alla pompa di benzina di Piazzale 
                  Loreto, a fianco dei cadaveri di Mussolini e della Petacci. 
                  Una vita e una storia scomoda, difficile da comprendere, di 
                  un politico che non fu mai un opportunista e, suo malgrado, 
                  è stato un fabbricatore di resistenze.  
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   La Scraps Orchestra  | 
                   
                 
                 L'altra resistenza italiana è stata quella di David 
                  Riondino, artista poliedrico e instancabile. Come cantautore 
                  ha inciso una decina di album, ha lavorato nel cinema sia nelle 
                  vesti di attore (in dodici film di registi come i fratelli Taviani, 
                  Marco Tullio Giordana, Gabriele Salvatores) che in quelle di 
                  regista (Cuba libre – Velocipedi ai tropici e Shakespeare 
                  in Havana) e di sceneggiatore (Troppo sole diretto 
                  da Giuseppe Bertolucci). In teatro ha recitato in una dozzina 
                  di lavori condividendo la scena, tra gli altri, con Paolo Rossi, 
                  Sabina Guzzanti (sua compagna di vita per diversi anni) e Dario 
                  Vergassola. È conduttore e autore radiofonico (Vasco 
                  de Gama con Dario Vergassola e, soprattutto, Il dottor 
                  Djembè, con Stefano Bollani) e protagonista televisivo 
                  (da Banane e Zanzibar RaiOt). Brillante autore 
                  di improvvisazioni poetiche, soprattutto in ottava rima, è 
                  stato la firma di punta di storiche riviste satiriche come Tango 
                  e Cuore e ha pubblicato sette libri. Diversi disegnatori 
                  famosi, come Milo Manara, Sergio Staino e Roberto Perini hanno 
                  illustrato sue canzoni e il suo mondo musicale. Nel 1994 ha 
                  vinto la targa Tenco per la migliore canzone con il brano La 
                  ballata del sì e del no.  
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   David 
                        Riondino  | 
                   
                 
                 Riondino ha fatto ridere, molto, ma soprattutto riflettere, 
                  con un brano come Riformate il diritto di famiglia, una 
                  ballata ispirata al Decameron di Boccaccio (Madonna 
                  Filippa), una poesia recitata dedicata all'attuale premier 
                  (L'acrostico Renzi) e due straordinari canti degli Alpini 
                  rimaneggiati in chiave satirica. Riondino ha riportato tutti 
                  all'attualità, a quel “resistere”, che al 
                  giorno d'oggi, in un mondo in cui siamo di nuovo in guerra, 
                  dovrebbe declinarsi anche e soprattutto come “esistere”, 
                  “nel senso più profondo, inevitabile, pieno”.
                 
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Enric Hernàez. Sullo sfondo un'immagine di Joe Hill  | 
                   
                 
                 E dall'Italia l'ultimo volo del Tenco 2014 è stato 
                  verso gli Stati Uniti con due storie e due protagonisti di epoche 
                  diverse e lontane. Un set ha ricordato Joe Hill, immigrato svedese 
                  diventato uno dei simboli del sindacalismo americano di inizio 
                  dello scorso secolo dell'Industrial Workers of the World (IWW). 
                  Hill fu anche uno dei primi scrittori di canzoni di rivendicazione 
                  e la voce più originale del canzoniere wobbly, 
                  arrivando ad essere considerato il padre della folk music di 
                  protesta che avrà, negli Stati Uniti, in Woody Guthrie, 
                  nel recentemente scomparso Pete Seeger e in Bob Dylan i suoi 
                  indimenticati continuatori e massimi esponenti. In Italia, però, 
                  le canzoni di Joe Hill non sono conosciute quanto dovrebbero 
                  e nemmeno la sua drammatica vicenda: Hill venne fucilato nella 
                  prigione di Sugar House, nello stato dello Utah, il 19 novembre 
                  del 1915, per un crimine che molto probabilmente non ha mai 
                  commesso. 
                  A Sanremo lo hanno ricordato Dente e Brunori SAS, che hanno 
                  cantato, nella traduzione italiana di Sergio Secondiano Sacchi, 
                  Vai, vai, vai e Il predicatore e lo schiavo, mentre 
                  il cantautore catalano Enric Hernáez – simbolo 
                  di un'altra resistenza: quella dell'idioma e della cultura catalana 
                  – ha musicato e interpretato nella lingua di Ausiàs 
                  March El testament de Joe Hill, che non è né 
                  una poesía né una canzone, ma il testamento del 
                  sindacalista svedese-americano. Non delle parole al vento, come 
                  quelle che lo stesso Hill disse poco prima di cadere sotto il 
                  piombo del plotone di esecuzione: “Non piangetemi, organizzatevi!” 
                 
                   
                      | 
                   
                   
                    |   John Trudell e la sua band  | 
                   
                 
                 La chiusura di quest'edizione della rassegna è toccata 
                  a un simbolo vivente della resistenza che si fa poesia e canzone: 
                  John Trudell, quinto e ultimo premio Tenco 2014. Agitatore politico, 
                  dal 1969 al 1971 Trudell è stato il portavoce dei nativi 
                  americani durante l'occupazione dell'ex carcere di Alcatraz 
                  e nel 1973 diventa il segretario dell'American Indian Movement, 
                  carico che abbandona il 12 febbraio del 1979, quando un incendio 
                  doloso uccide i suoi tre figli, la moglie in attesa del quarto 
                  figlio e la suocera. John Trudell è uscito dal profondo 
                  dolore che lo ha colpito grazie alla musica e all'incontro con 
                  Jackson Browne. Inizia a scrivere e nel 1983 esce il suo album 
                  d'esordio, Tribal Voice. Da allora Trudell non ha smesso 
                  di scrivere e di esibirsi, portando in tutto il mondo la storia 
                  di un popolo che ha vissuto il maggior genocidio dell'epoca 
                  moderna. A Sanremo, accompagnato da tre musicisti, Trudell ha 
                  cantato cinque pezzi del suo vasto repertorio: See The Woman, 
                  It is What It Is, From The Heart, Reason To This e This 
                  Day Do We. Come sottolineano ne Il Cantautore Massimo 
                  Pirrotta e Davide Sapienza, il poeta-cantore della cultura degli 
                  indiani d'America è “dotato della completezza e 
                  del legame con la poesia, della spoken-word, dell'agire armonioso 
                  abbinato al “fare” rock” e “le sue parole 
                  risuonano di quella semplice verità, ormai complicata 
                  da vivere oggi, per una società scissa dal vero potere 
                  della vita: l'appartenenza alla Madre Terra”. 
                  Il Premio Tenco è ritornato a lasciare un segno. Un'edizione 
                  impeccabile. Una tre giorni intensissima e qualitativamente 
                  di alto livello. Aspettiamo ora la prossima. Come si diceva 
                  un tempo, “Arrivederci ad ottobre 2015”.  
                 Steven Forti 
                 
                 
                   
                    Il Tenco di giorno 
                      di 
                        Roberto Molteni 
                      Il 
                        Tenco non si svolge solo di notte. Le iniziative che il 
                        Club Tenco organizza durante l'anno sono quasi sempre 
                        accompagnate da incontri e appuntamenti “collaterali” 
                        che riservano sempre grandi sorprese e protagonisti di 
                        assoluto rilievo. Anche la tre giorni sanremasca di quest'anno 
                        ha visto un programma intenso di attività che a 
                        partire dalla tarda mattinata sono continuate fino a tutto 
                        il pomeriggio. Song drink e incontri con gli artisti, 
                        presentazioni di film, libri e progetti legati alla canzone 
                        d'autore, incontri con intellettuali e operatori culturali. 
                        Tutto, rigorosamente, legato a doppio filo al tema della 
                        Rassegna di quest'anno: le Resistenze. 
                        Di film se ne sono visti tre: Pussy Riot. A Punk Prayer 
                        di Mike Lerner presentato da Giandomenico Curi, Indebito 
                        di Vinicio Capossela e Andrea Segre e Musica contro 
                        le mafie. L'alternativa di Claudio Martello. Un documentario, 
                        sotto l'egida di Libera, che racconta un progetto quanto 
                        mai necessario e che fa della musica un veicolo di riscatto 
                        di un territorio martoriato da un problema, purtroppo, 
                        ancora irrisolto. 
                        Le grandi tematiche affrontate nelle serate della Rassegna 
                        sono state al centro degli incontri pomeridiani, curati 
                        e presentati da Enrico de Angelis, Sergio Secondiano Sacchi 
                        e Antonio Silva. Oltre che dal film di Capossela e Segre, 
                        la Grecia è stata al centro di un dettagliato intervento 
                        di Franco Fabbri, storico leader degli Stormy Six, dedicato 
                        alla canzone del paese ellenico. Maria Gloria Rosselli, 
                        curatrice della sezione di Antropologia e Etnologia del 
                        Museo di Storia Naturale di Firenze, ha parlato delle 
                        culture dei nativi americani, mentre Esther Béjarano, 
                        accompagnata dalla sua biografa e traduttrice italiana 
                        Antonella Romeo, ha raccontato una storia lunga novant'anni, 
                        tra Auschwitz e il nuovo millennio, sempre insieme alla 
                        sua fisarmonica e con uno spirito di resistenza che ben 
                        pochi possiedono. Gianni Minà, premio Tenco all'Operatore 
                        Culturale 2014, ha emozionato con i ricordi di oltre quarant'anni 
                        di impegno politico, sociale e culturale e con l'America 
                        Latina delle sofferenze e delle speranze sempre in primo 
                        piano. 
                        Due sono stati i libri presentati in quest'edizione: Lavorare 
                        con lentezza. Enzo del Re, il corpofonista di Timisoara 
                        Pinto, dedicato al compianto cantastorie pugliese che 
                        era stato ospite durante la Rassegna del 2010 e El 
                        peso de la nación. Nicola Bombacci, Paul Marion 
                        y Óscar Pérez Solís en la Europa 
                        de entreguerras di Steven Forti, che racconta la vita 
                        di tre dirigenti politici comunisti che negli anni compresi 
                        tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale sono passati 
                        al fascimo in Italia, Francia e Spagna. Tra questi, Nicola 
                        Bombacci a cui la Scraps Orchestra ha dedicato una canzone 
                        presentata nella serata conclusiva della rassegna. 
                        Non poteva mancare poi uno spazio dedicato a progetti 
                        di vera e propria “resistenza”. L'imprescindibile 
                        esperienza di riscoperta della cultura popolare italiana 
                        de I Dischi del Sole e del Nuovo Canzoniere 
                        Italiano, attivi ormai da cinquant'anni, è 
                        stata raccontata da uno dei suoi protagonisti, Cesare 
                        Bermani, mentre Giuseppe Gennari ha parlato del Festival 
                        Léo Ferré, arrivato in questo 2014 alla 
                        sua diciannovesima edizione. Si è presentata anche 
                        una realtà importante come quella del Premio 
                        Bianca D'Aponte, dedicato alla cantautrice aversana 
                        scomparsa nel 2003 a soli 23 anni, arrivato alla sua decima 
                        edizione. Un progetto che, grazie alla collaborazione 
                        con l'associazione Cose di Amilcare, dal 2015 avrà 
                        un respiro internazionale con un concerto annunciato per 
                        il prossimo 8 marzo a Barcellona in cui cantautrici di 
                        oltre dieci paesi diversi canteranno nella loro lingua 
                        le canzoni di Bianca D'Aponte. 
                        In questa 38esima edizione della Rassegna della Canzone 
                        d'Autore - Premio Tenco, c'è stata una novità: 
                        gli incontri pomeridiani sono continuati nella piazzetta 
                        dei Dolori della “Pigna”, il quartiere tutto 
                        vicoletti e scalinate della città vecchia di Sanremo. 
                        Tre recital dove una voce narrante ha accompagnato il 
                        viaggio proposto da un cantautore tra poesie, musiche 
                        e storie di resistenza. Il sardo Carlo Doneddu e lo storico 
                        Steven Forti hanno riportato il pubblico al dramma e alle 
                        sofferenze della Grande Guerra, di cui proprio quest'anno 
                        si ricorda il centenario, recuperando Un anno sull'altipiano 
                        di Emilio Lussu – a cui proprio Doneddu nel 2006, 
                        con i Figli di Iubal, aveva dedicato un disco – 
                        e mostrando come nelle trincee del Carso, del monte Baldo 
                        e dell'altipiano di Asiago nascano, non solo il fascismo, 
                        ma anche alcune resistenze che ritorneranno nella storia 
                        italiana. Nella seconda serata è stato Olden, accompagnato 
                        da Sergio Secondiano Sacchi, a riproporre in italiano 
                        “la poesia spagnola che si è fatta canzone” 
                        di quattro poeti che hanno sofferto la morte o l'esilio 
                        a causa della barbarie franchista: Federico García 
                        Lorca, Antonio Machado, Miguel Hernández e Rafael 
                        Alberti. Il terzo e ultimo incontro di questa trilogia 
                        intitolata “Le rose di Amilcare”, piccolo 
                        omaggio ad Amilcare Rambaldi, storico fondatore del Club 
                        Tenco e della Rassegna della Canzone d'Autore, ha visto 
                        il cantautore catalano Enric Hernáez, accompagnato 
                        ancora dalla voce di Steven Forti, cantare i poeti della 
                        sua terra in una lingua che è stato, ed è 
                        ancora, un simbolo di resistenza. Da Joan Vergés, 
                        Josep Palau i Fabre e Àngel Guimerà a Joan 
                        Brossa e David Castillo fino a Joan Salvat Papasseit, 
                        in cui Hernáez ha duettato con l'algherese Claudia 
                        Crabuzza. 
                      Roberto Molteni  | 
                   
                 
                
               |