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				 rom 
                  
                Campi 
                  
                testi di Laura Antonella Carli e Daniele Marzorati / foto Daniele Marzorati 
                    
                Rom e sinti a Milano, tra campi nomadi e spazi industriali. Le fotografie documentano le tracce nella periferia industriale dismessa in seguito alla cacciata dei rom. 
                 
                  Campi è 
                  una serie di fotografie che percorrono la circonferenza di Milano 
                  come luogo di confine politico-cartografico e contemporaneamente 
                  geografico-culturale. 
                  Il lavoro segue un progetto pregresso che documenta lo sgombero 
                  dei campi rom nell'area milanese dal 2007 al 2013. A partire 
                  da quest'esperienza Campi osserva l'intreccio tra i maggiori 
                  campi rom, abbandonati o nel più delle occasioni sgomberati, 
                  e la dismissione industriale. Non si parla di a-luoghi, ma di 
                  spazi ben precisi e connotati. 
                  Il concetto di campo è alla base del progetto, per cui 
                  le fotografie di partenza fungono da pretesto per re-inquadrare 
                  il significato degli oggetti contenuti nella scena. Al pensiero 
                  vivido delle inquadrature principali è affiancato lo 
                  sfuocato, anch'esso parte della descrizione del realismo dell'oggetto. 
                  Ciò non significa una visione nebbiosa, anzi, il senso 
                  dell'immagine sfuocata non è meno nitido che un'immagine 
                  perfettamente incisa. 
                  Gli ingrandimenti a pagina 112 
                  sono ottenuti estraendo delle porzioni di campo dai negativi 
                  originari. Mantenendo la dimensione del frame gli oggetti si 
                  riadagiano nel formato. Si acquista in vicinanza ma si perde 
                  in descrizione. È un modo per riqualificare la realtà; 
                  la fotografia non la riproduce così come la vediamo, 
                  ma parte da essa per rileggerla e ribaltare i codici imposti. 
                  Il progetto verifica inoltre come la circonvallazione milanese 
                  divide città interna ed esterna, interrogandosi sulla 
                  coincidenza tra confini cartografici, tracciati su una carta 
                  con una linea, e culturali, fluidi ed indefinibili. 
                  All'interno di questo dualismo - nella somiglianza dei luoghi, 
                  coincidenza di oggetti, sviluppo di comunità temporanee 
                  - la circonferenza stradale milanese appare insieme all'ecosistema 
                  della produzione industriale una metafora sia geografica che 
                  identitaria, intorno alla quale si osservano coincidenze, sovrapposizioni 
                  e intrecci.
                
  Daniele Marzorati
                  
                
 
                   
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                    |   Via Brunetti / ex Italmondo, Milano  | 
                   
                 
                 
                 
                   
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                    |   Via Stephenson, Milano  | 
                   
                 
                 
                 
                   
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                    |   Via Sammartini, Milano  | 
                   
                 
                 
                 
                   
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                    |   Viale Rubattino, Milano  | 
                   
                 
                 
                 
                   
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                    |   Parco Memorie Industriali, Milano  | 
                   
                 
                 
                 
                   
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                        Cavriana, Milano  | 
                   
                 
                 
                 
                   
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                        Alfonso Gatto, Milano  | 
                   
                 
                 
                 
                   
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                    |   Via 
                        Cavriana, Milano  | 
                   
                 
                 
                 
                   
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                        Toffetti, Milano  | 
                   
                 
                 
                 
                   
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                        Toffetti - zona ortomercato, Milano  | 
                   
                 
                 
                  
                  
 Discriminazione urbana 
                di Laura Antonella Carli 
                I campi rom si trovano sempre ai margini delle città. 
E la loro localizzazione non è certo casuale. 
                “Campo” è una parola polisemica: può 
                  indicare una “porzione di terreno coltivato o adibito 
                  a pascolo”, il terreno di gioco per le attività 
                  sportive, un settore di studi, la porzione di spazio che si 
                  abbraccia con lo sguardo – o con un obiettivo –, 
                  un “luogo di manovre militari o di combattimenti” 
                  (campo di battaglia) ed è utilizzata per diverse metafore 
                  e frasi fatte – scendere in campo, avere campo libero... 
                  Ha anche il significato di “luogo circoscritto e recintato 
                  dove stazionano militari, prigionieri, profughi”. 
                  Per quanto riguarda le popolazioni rom e sinte, il campo nomadi 
                  è forse il simbolo più tangibile della loro estraneità: 
                  è l'emblema della pretesa transitorietà, anche 
                  se ormai – i lettori di “A” lo sanno bene 
                  – i cosiddetti nomadi sono quasi tutti stanziali, con 
                  qualche residuo di attività nomadica che sopravvive soprattutto 
                  tra i Camminanti siciliani. 
                  Nella nostra società, che pretende d'essere globale ma 
                  che molta strada ha ancora da fare in materia di dialogo con 
                  l'alterità, i cosiddetti “zingari” incarnano 
                  forse il corpo estraneo più problematico. 
                  Il primo testo storico che ci dà notizia della presenza 
                  di rom in Italia risale al 1390, e si riferisce al primo nucleo 
                  di quelli che oggi chiamiamo “rom abruzzesi”. Eppure, 
                  nonostante un contatto che dura da centinaia di anni, per la 
                  maggior parte della gente si tratta di perfetti sconosciuti. 
                  Ma più dannoso di ciò che non si sa, è 
                  ciò che si pensa di sapere. E il famigerato campo, la 
                  riserva che circoscrive questo viver altro, va di pari passo 
                  con la fitta rete di luoghi comuni e frasi fatte con cui, nell'opinione 
                  comune, vengono classificati – e ingabbiati – rom 
                  e sinti. Anche perché, più qualcosa è lontano 
                  dalla nostra esperienza diretta, più è facile 
                  pensare ad esso in base a stereotipi. 
                  Naturalmente gli stereotipi fanno parte del nostro modo di conoscere: 
                  non potendo fare un'esperienza diretta e approfondita di tutto, 
                  si ricorre a immagini semplificate. Nel caso di rom e sinti 
                  però, più che in altri, questo tipo di conoscenza 
                  limitata e limitante resta l'unica applicata. E anche gli strumenti 
                  che potrebbero e dovrebbero rendere più articolata e 
                  profonda la nostra esperienza non fanno in realtà che 
                  veicolare a ripetizione immagini già radicate, e rafforzare 
                  con nuove conferme una falsa conoscenza costruita su luoghi 
                  comuni, che oltre a essere generici, semplicistici e insufficienti, 
                  spesso sono semplicemente sbagliati. 
                  Una ricerca molto valida condotta dal Naga nel 2013 mette in 
                  luce in modo chiaro le responsabilità della stampa. Si 
                  intitola “Se dico rom...” e prende in esame un corpus 
                  di 500 e rotti articoli pubblicati da nove quotidiani italiani 
                  nell'arco di una decina di mesi (giugno 2012-marzo 2013). Ne 
                  emergono, oltre alle ben note abitudini di calcare la mano sulla 
                  presunta etnia, di adoperare termini impropri come “nomade” 
                  o di associare sistematicamente i rom a immagini di degrado, 
                  anche artifici più sottili. Ad esempio tirare in ballo 
                  i rom en passant quando si trattano fatti di cronaca 
                  che non li vedevano affatto coinvolti, oppure creando una polarizzazione 
                  noi-loro: i cittadini e i rom, con la conseguente percezione 
                  che i diritti degli uni siano opposti e concorrenziali rispetto 
                  a quelli degli altri. 
                  Una polarizzazione di cui lo spazio fisico del campo – 
                  ma ancor di più, la sua collocazione sempre ai margini 
                  delle città – è soltanto l'espressione più 
                  evidente. 
                 Laura Antonella Carli 
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