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				 antropologia 
                  
                Un'antropologa dallo sguardo 'altro' 
                  
                intervista a Franco Cuomo di Domenico Sabino 
                    
                Annabella Rossi (Roma, 1933 - 1984) fu tra le prime ad utilizzare la fotografia e la ripresa video nella ricerca antropologica in Italia. Ne parliamo con un filosofo e saggista. 
				 
                Franco Cuomo, docente all'università di Napoli, 
                  funzionario del settore Musei e Biblioteche della regione Campania, 
                  dove e quando conosci l'antropologa Annabella Rossi? Qual è 
                  il suo modus operandi per entrare in contatto con le persone 
                  e gli informatori?  
                   Non 
                  sono un antropologo e la mia conoscenza di Annabella Rossi è 
                  stata meramente fortuita. La conobbi nel 1976 a una festa popolare 
                  al Santuario della Madonna di Materdomini a Nocera Superiore 
                  (SA); la festa si svolge il 14 agosto vigilia di Ferragosto 
                  e dura fino all'alba del giorno successivo. Durante la festa 
                  numerosi gruppi si esibivano nello spazio antistante al Santuario 
                  con canti e danze rituali “dedicati alla Madonna”. 
                  Una festa molto intensa e suggestiva. Io andai con i miei amici 
                  di allora: Annibale Ruccello, Franco Autiero, Vanni Baiano. 
                  Noi eravamo col M° Roberto De Simone che registrava tali 
                  canti di tradizione orale per una sua pubblicazione; fu lui 
                  a presentarcela: bassina, rotondetta, con gonnellone e collane 
                  etniche. Insegnava Antropologia Culturale all'università 
                  di Salerno. L'impressione che ebbi fu quella di una donna molto 
                  abile a entrare in contatto con altre donne, anche se molto 
                  più avanti negli anni di lei e di diversa collocazione 
                  culturale. Era capace di far venir fuori aspetti inconsueti 
                  e oltremodo autentici, lavorando sul loro universo simbolico 
                  su cui indagava già da anni attraverso ricerche storiche, 
                  antropologiche e sociali del profondo Sud d'Italia. Credo che 
                  per lei sia stato decisivo l'incontro avvenuto nel 1959 con 
                  l'antropologo Ernesto de Martino, con l'uscita di un numero 
                  monografico della rivista Nuovi Argomenti, dedicato a “Mito 
                  e Civiltà Moderna”. 
                   
                  Nel 1959 Annabella incontra Ernesto de Martino; trae indicazioni 
                  per il proprio lavoro di ricerca sul campo; acquisisce una presa 
                  di coscienza della problematica dei rapporti tra classi al potere 
                  e classi subalterne e ne parla nell'articolo del '71 “Realtà 
                  subalterna e documentazione”: «Questa realtà 
                  deve essere documentata, per essere conosciuta, per circolare, 
                  per smascherare chi la copre per precisi fini politici». 
                  È attuale tale asserzione? 
                  Oggi è molto difficile definire i rapporti tra classi 
                  e potere perché le classi, nell'accezione marxiana del 
                  termine e anche demartiniana, non esistono più, omologate 
                  come sono in una low class di massa, mentre lo stesso 
                  concetto di potere è diventato altro dall'idea monolitica 
                  del grande Moloch. È un potere molto diffuso e 'liquido', 
                  per dirla col sociologo Bauman. Anche il capitale politico è 
                  'liquido' e pronto a qualsiasi investimento e coglie con prontezza 
                  le possibilità di profitti che la paura del futuro offre 
                  in misura crescente. Grandi investimenti si profilano di fronte 
                  allo scricchiolare della sovranità di quel Leviatano 
                  che aveva costruito la sua forza e legittimazione proprio sulla 
                  paura (ma restituendo protezione e sicurezza). In questa fluidità 
                  si accompagna un aumento della disuguaglianza che, se una volta, 
                  soprattutto per le classi subalterne, aveva dei riferimenti 
                  simbolici e identitari, oggi no. In più, vedo una forte 
                  resistenza al cambiamento e una chiusura verso ogni possibile 
                  emancipazione. 
                   
                  Negli anni Sessanta, conduce nel Meridione ricerche sulla 
                  religiosità popolare, corredate di documentazione fotografica 
                  e confluite nei volumi “Le feste dei poveri” e “Lettere 
                  da una tarantata”. Si può affermare che abbia dato 
                  inizio all'antropologia visiva in Italia, ovvero immagine-documento 
                  definito 'campo visivo'? 
                  Sicuramente. Annabella Rossi è stata tra le prime a utilizzare 
                  la fotografia e la ripresa video nella ricerca antropologica 
                  in Italia; molti suoi reportage sono fotografici. Un'antropologia 
                  visiva è un documento antropologico definito 'campo visivo'. 
                  A Vico Equense (Na) - nella frazione di Ticciano - con Roberto 
                  De Simone ha fotografato e registrato una serie di canti rituali 
                  inseriti poi nel saggio Carnevale si chiamava Vincenzo, 
                  risultato di una ricerca durata quattro anni, ancora oggi unica 
                  e insuperata per vastità e completezza, condotta negli 
                  anni Settanta in Campania. 
                
                   
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                    |   Annabella Rossi  | 
                   
                 
                 
                  Di tammorra, taranta, pizzica salentina, ecc. 
                Nei due saggi sopra citati si evidenzia l'approccio gramsciano 
                  alla struttura festa e al folclore considerato fino ad allora 
                  elemento 'pittoresco' e 'spettacolare'; per la Rossi, invece, 
                  esso è l'espressione di determinati strati sociali con 
                  cui entrare in simbiosi. Basti pensare che con “Lettere 
                  da una tarantata” - esempio ante litteram di antropologia 
                  dialogica - l'analisi del fenomeno è scandita da una 
                  tarantata e dal suo vissuto reso accessibile per la prima volta. 
                  Cosa puoi aggiungere in merito a tale considerazione comparandola 
                  alla situazione odierna?  
                  Nulla. Gramsci è stato per molti di noi una guida per 
                  comprendere ciò che Pasolini chiamò “mutazione 
                  antropologica”, ma gli approcci antropologici di quegli 
                  anni si nutrirono anche degli studi del linguista/semiologo 
                  Saussure ovvero dello strutturalismo. Nel 1958 un gruppo di 
                  antropologi, tra cui Tullio Seppilli, Amalia Signorelli e Tullio 
                  Tentori, elaborò una vera e propria carta di fondazione 
                  dell'antropologia culturale italiana che cominciò a fare 
                  il suo ingresso negli atenei. Per ritornare al libro che citi, 
                  Lettere da una tarantata, è un testo mitico e 
                  introvabile. Lo conosco perché me ne parlava Annibale 
                  Ruccello che lo aveva incluso tra le cose da leggere; ne abbiamo 
                  letto anche qualche passo insieme, nella pizzeria 'Zemberiniello' 
                  a Castellammare di Stabia (Na) dove ci incontravamo, oltre che 
                  per mangiare la pizza anche per caotici seminari preparatori 
                  di Ipata, una rilettura dell'Asino d'oro di Apuleio. 
                  Le Lettere da una tarantata furono frutto di una corrispondenza 
                  intercorsa dal '59 al '65 fra Annabella Rossi e Anna, un'anziana 
                  contadina della provincia di Lecce, afflitta fin dalla giovinezza 
                  da crisi epilettiche quotidiane. Il testo inquadra nella giusta 
                  luce questo fenomeno, tenendo conto delle condizioni di vita 
                  in cui viveva il contadino del Sud. Oggi tutto questo non esiste 
                  più e laddove sembra esistere è solo una scialba 
                  riproposizione folkloristica. Mi riferisco alle scuole di tammorra, 
                  taranta, pizzica salentina, etc. 
                    
                  Negli anni Settanta, durante la docenza di Antropologia 
                  Culturale presso l'università di Salerno, Annabella conosce 
                  Roberto De Simone e avvia cospicue ricerche in Campania con 
                  documentazione fotografica, sonora e filmica. Ritroviamo i risultati 
                  antropologici ed etno-musicologici di tali lavori nei saggi 
                  “Immagini della Madonna dell'Arco” e “Carnevale 
                  si chiamava Vincenzo”. Ciò avrebbe dovuto suscitare 
                  maggior attenzione per l'antropologia e la cultura popolare. 
                  Cosa ricordi di quel periodo? 
                  Quegli anni per molti di noi furono un laboratorio permanente 
                  di crescita culturale, eravamo giovanissimi senza internet e 
                  senza cellulari. La società italiana mi pareva più 
                  aperta e curiosa rispetto a quella omologata di oggi. Certo 
                  quegli anni furono attraversati dal terrorismo, ma credo che 
                  la società fosse attraversata da un anelito democratico 
                  e da una spinta al cambiamento che oggi non c'è. L'interesse 
                  per le culture subalterne nasceva proprio dalla voglia di partecipazione 
                  e di democrazia. A veicolare tutto ciò c'erano folk singer, 
                  artisti, registi, scrittori. Noi eravamo giovani in quegli anni, 
                  ma gli intellettuali che spingevano e alimentavano questa spinta 
                  erano quarantenni: Annabella Rossi, De Simone, Calvino, Pasolini, 
                  Signorelli. L'Antropologia Culturale e la cultura popolare fanno 
                  il loro ingresso nelle università. Negli anni 70 io, 
                  Ruccello e Autiero eravamo studenti; abbiamo conosciuto gli 
                  antropologi Luigi Maria Lombardi Satriani, Amalia Signorelli, 
                  Alfonso Maria di Nola e seguito con vivo interesse le lezioni 
                  all'università di Napoli. 
                   
                  Negli anni in cui opera la Rossi, la cultura egemone opera 
                  una sorta di rimozione della cultura popolare definendola volgare 
                  e inopportuna. Contro tale rimozione si leva forte la voce di 
                  Annabella, tant'è che durante i viaggi nel Salento e 
                  nel Mezzogiorno studia e denuncia siffatta situazione. Oggi 
                  ci sono antropologi che operano entrando in contatto diretto 
                  con la comunità, carpendone le trasformazioni in atto? 
                  Penso che l'Antropologia Culturale è diventata antropologia 
                  urbana. Oggi la ricerca antropologica sulle comunità 
                  è svolta in maniera dignitosa e con molta serietà 
                  nei centri sociali, poli attrattori di istanze che arrivano 
                  da culture 'altre' alla nostra: mi riferisco agli immigrati, 
                  ma anche ai ceti emarginati dal nostro sistema sociale. La società 
                  è diventata neofeudale: signori molto ricchi con una 
                  sterminata, benché informatizzata, servitù della 
                  gleba. 
                   
                  Attualmente la ricerca antropologica ha avuto un'evoluzione 
                  o un'involuzione? Dove dovrebbe volgere lo sguardo? Cosa dovrebbe 
                  significare per un antropologo 'osservare' una festa popolare? 
                  La ricerca antropologica si è completamente trasformata 
                  e oggi un antropologo potrebbe osservare le feste popolari degli 
                  immigrati, i flash mob che si attivano per le cause più 
                  disparate, i movimenti che si organizzano contro un grigio conformismo. 
                   
                  Perché una personalità vigorosa come Annabella 
                  Rossi è spesso dimenticata dagli antropologi? Cosa rimane 
                  proficuo della sua produzione scientifica e del suo insegnamento? 
                  Cosa dovrebbe trasmettere la sua lezione a chi si avvicina all'antropologia? 
                  La lezione che Annabella Rossi trasmette e lascia, come tutti 
                  i grandi intellettuali, è l'impegno profuso nel lavoro 
                  e nella ricerca. Un'analisi come la sua, oggi, non si potrebbe 
                  più fare in Italia perché quel mondo magico del 
                  Mezzogiorno, indagato in profondità, nei contenuti e 
                  nei documenti della tradizione orale, è scomparso da 
                  tempo e per sempre. Prevedo tempi ancora bui e lontana una possibile 
                  ripresa.  
                 Domenico Sabino 
                
                   
                    Bibliografia essenziale 
                      Annabella 
                        Rossi, Simonetta Piccone Stella, La fatica di leggere, 
                        Roma, Editori Riuniti, 1964 
                        Annabella Rossi, Roberto Leydi, Osservazioni sui canti 
                        religiosi non liturgici, Milano, Ed. del Gallo, 1965 
                        Annabella Rossi, Le feste dei poveri, I ed., Bari, 
                        Laterza, 1969 
                        Annabella Rossi, Lettere da una tarantata, I ed., 
                        Bari, De Donato, 1970 
                        Annabella Rossi, Lello Mazzacane, Miseria e follia, 
                        Milano, Editphoto, 1971 
                        Annabella Rossi, Ferdinando Scianna, Il glorioso Alberto, 
                        Milano, Editphoto, 1971 
                        Annabella Rossi, Roberto De Simone, Immagini della 
                        Madonna dell'Arco, Roma, De Luca, 1974 
                        Annabella Rossi, Roberto De Simone, Carnevale si chiamava 
                        Vincenzo, Roma, De Luca, 1977 
                        Annabella Rossi, Claudio Barbati, Gianfranco Mingozzi, 
                        Profondo Sud. Viaggio nei luoghi di Ernesto de Martino 
                        a vent'anni da “Sud e magia”, Milano, 
                        Feltrinelli, 1978 
                        Annabella Rossi, E il mondo si fece giallo, Vibo 
                        Valentia, Qualecultura - Jaca Book, 1991 
                        Vincenzo Esposito (a cura di), Annabella Rossi e la 
                        fotografia. Vent'anni di ricerca visiva nel Salento e 
                        in Campania, Napoli, Liguori, 2003. 
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