Figli di 
                 
                  Il figlio del noto presidente 
                  del Consiglio entrò nel ristorante con la baldanza del 
                  primo della classe. Per questo aveva scelto quel posto che era 
                  insieme esclusivo e mondano, l'ideale per festeggiare il suo 
                  primo incarico di governo a neppure 40 anni. Al suo fianco camminava 
                  sorridente il figlio del famoso giornalista. Aveva appena ottenuto 
                  un'intervista in esclusiva per il quotidiano che era stato chiamato 
                  a dirigere dopo la morte del padre avvenuta, diceva lui, a neppure 
                  90 anni. 
                  Al tavolo, insieme a loro, si sistemarono il figlio di un dirigente 
                  statale che aveva ereditato dal genitore lavoro e grado gerarchico, 
                  il presidente di un'importante fondazione bancaria intitolata 
                  a suo padre e il figlio di uno storico capo degli industriali, 
                  ora alla guida della stessa categoria. 
                  Poco dopo li raggiunse il figlio di un leggendario cantante 
                  pop. Aveva appena finito di registrare il suo terzo disco per 
                  una multinazionale discografica presieduta dal figlio di un 
                  memorabile magnate del settore. 
                  I figli delle guardie del corpo si disposero a cerchio intorno 
                  al tavolo per creare una zona di protezione. Al di là 
                  delle loro robuste spalle s'intravedevano le facce curiose e 
                  disorientate dei clienti. Molti di loro avrebbero voluto stare 
                  a quel tavolo, e intanto ne parlavano male, scuotendo la testa. 
                  Probabilmente non avevano avuto un padre all'altezza e si erano 
                  fermati al penultimo grado di successo. Erano ricchi per ragioni 
                  di continuità familiare, ma costretti a restare nell'ombra 
                  di qualcuno più potente di loro. 
                  In lieve ritardo arrivò anche l'arcivescovo, che aveva 
                  promesso la sua benedicente presenza per dare un tocco di sacra 
                  rispettabilità a quell'evento. I suoi lineamenti ricordavano 
                  quelli di un alto prelato ormai defunto che lo aveva preceduto 
                  nell'incarico, ma a nessuno sembrò opportuno far notare 
                  l'indubbia rassomiglianza. 
                  Intanto il maître si preparò a presentare 
                  i piatti di eccellenza della casa, molti dei quali erano stati 
                  creati tanti anni prima da suo padre. Con un battito di mani 
                  ordinò ai camerieri figli d'arte di servire gli antipasti 
                  accompagnati da un flûte di champagne. 
                  Jack osservava la scena da dietro la vetrina e rifletteva sullo 
                  champagne. La loro classe stava in questo: nell'iniziare da 
                  dove tutti gli altri finivano. Ma lui non aveva quel tipo di 
                  classe. Suo padre gli aveva insegnato a entrare a gamba tesa, 
                  senza preavviso, per ribaltare i ruoli di quella che definiva 
                  <una farsa>, intendendo la vita in società o forse 
                  la vita in generale. Lo aveva allenato a modi spicci, rozzi, 
                  e a impugnare talvolta una pistola per riprendersi il maltolto. 
                  No, non aveva la loro classe, questo lo sapeva. Ma aveva coltivato 
                  il suo personale stile. Lasciare il finale sospeso nel punto 
                  in cui tutti solitamente iniziavano. Si rivolse alle persone 
                  dietro di lui, una decina di figli di nessuno o giù di 
                  lì, e disse <Andiamo>. Poi il figlio del noto gangster 
                  entrò nel ristorante.
                
  Paolo Pasi
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