  
                
  
                La Cattiva Erba e Dave Van Ronk 
				 
Chierici canta Brassens 
                Chi segue A rivista e i suoi gusti musicali sa che nel 
                  nostro olimpo alligna saldo lo spettro impudico dello “Zio”, 
                  Tonton Georges Brassens, cantante e autore francese, 
                  padre putativo della canzone italiana e di quella di ogni altro 
                  paese. Gli abbiamo dedicato nel corso del tempo parecchie pagine 
                  sparse e un intero dossier. 
                  Mi sono occupato spesso di lui e non solo di lui, ma anche della 
                  nutrita schiera di chi ha provato a voltarlo in italiano o nei 
                  dialetti regionali della penisola. Notoriamente qualche versione 
                  delle canzoni di Brassens è stata cantata sin dagli anni 
                  sessanta da Fabrizio de André, un notevole corpus è 
                  stato affrontato in milanese (e qualche volta anche in lingua) 
                  da Nanni Svampa e recentemente Alberto Patrucco e - si parva 
                  licet - io stesso, abbiamo inciso dischi e prodotto spettacoli 
                  musicali con quelle canzoni. 
                  Insomma il “laboratorio Brassens” resta aperto e 
                  propositivo, tanto più che altri e più giovani 
                  interpreti girano regolarmente teatri e spazi sociali con quel 
                  repertorio, che comincia ad esser noto anche nella lingua originale, 
                  e penso al Duo Tez (Lorenzo Valera e Laila Sage) o al Duo Perduto 
                  (Marta Marangoni e Fabio Wolf). 
                   
                  Da qualche tempo si è riaffacciato sul proscenio della 
                  vivace nicchia brassensiana una vecchia conoscenza, uno dei 
                  più schivi e al contempo eclettici animali da palco. 
                  Si tratta di Beppe Chierici, l'attore, fantasista, ricercatore 
                  di musica popolare. Un versatile folletto che, in coppia con 
                  Daisy Lumini, negli anni settanta aveva prodotto tanti spettacoli 
                  e dischi, fra i quali il memorabile “Paese dei bambini 
                  con la testa” esempio di possibile canzone d'autore per 
                  l'infanzia. 
                  All'epoca aveva inciso due album che vantavano, sin dalla copertina, 
                  l'approvazione scritta dello stesso Brassens. In merito proprio 
                  a questi dischi, in un mio intervento a un convegno, mi ero 
                  trovato a schizzare il ritrattino che riporto qui di seguito. 
                  «Negli anni settanta ebbe una certa rinomanza il fantasista 
                  Beppe Chierici, che pubblicò per l'etichetta OFF 
                  e poi per la Zodiaco - con l'imprimatur dello stesso 
                  autore, suo amico personale - due dischi di canzoni tradotte, 
                  questa volta in italiano. Se le traduzioni di Chierici hanno 
                  sempre fatto storcere il naso ai puristi per l'eccesso di licenze 
                  formali che si prendono - parole piane che diventano tronche, 
                  rime forzate, uso insistito dei diminutivi -, hanno però 
                  il merito di restituire a Brassens alcune sue caratteristiche: 
                  il gusto della storiella surreale, dello scioglilingua non-sense 
                  e una certa friabile delicatezza, una cantabilità leggera 
                  che la nostra poesia possiede molto meno di quella dei cugini 
                  d'oltralpe. 
                  La militanza di Chierici nel genere della canzone per bambini 
                  - in quegli anni portata alle sue vette da Sergio Endrigo - 
                  riconduce anche i versi dello zio Georges (a patto di 
                  sorvolare su qualche parolaccia) a questo pubblico ideale, che 
                  in Francia gli è devoto, pensate che esistono delle antologie 
                  specifiche delle sue canzoni per gli scolari delle elementari, 
                  che in gita cantano abitualmente La chasse aux papillons, 
                  come fosse Quel mazzolin di fiori.» 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Beppe Chierici e Georges Brassens  in un'illustrazione di Dario Faggella  | 
                   
                 
                
                  Di lui s'erano perse le tracce per un po'... in un convegno 
                  sulla canzone francese alla fine degli anni novanta avevo sentito 
                  dire “forse vive in Francia... ma non si sa più 
                  nulla di lui...”. In realtà quest'aria di mistero 
                  era poco giustificata: Chierici si era in effetti trasferito 
                  in Francia dove continuava il suo lavoro di attore. 
                  Così qualche anni dopo, con un po' di divertito stupore, 
                  avevo accolto la notizia che Beppe, 35 anni dopo, tornato in 
                  Italia ed installatosi in Umbria, avesse messo mano a nuove 
                  traduzioni cantate per un disco “Suppliche e celebrazioni” 
                  che però non ho avuto la ventura di ascoltare. 
                  Il postino m'ha però appena recapitato un voluminoso 
                  malloppo, una vera strenna, un illustratissimo tomo: l'ultima 
                  fatica del nostro Beppe, che torna alla carica con ben 2 CD 
                  di versioni inedite di canti di Brassens inseriti in un librone 
                  di 180 pagine che al Brassens tradotto e cantato coordina un 
                  Brassens disegnato da Dario Faggella, sospeso fra l'incisione 
                  e il fumetto, fra Bosch e Jacovitti. 
                  Il delizioso Beppe Chierici è oramai un vecchio bambino 
                  fedele al suo primo amore e questo libro/disco molto ben fatto 
                  è un regalo a noi e alle immutabili favole libertarie 
                  del nostro adorato Zio Georges. 
			Benvenuto Dave Van Ronk 
			    Il Dio degli anarchici benedica i fratelli Cohen, mi sono detto! 
                  Hanno fatto il loro splendido film “Inside Llewyn 
                  Davis” un film che ripercorre e illustra la vita bohemien 
                  del Greenwich Village alla fine degli anni cinquanta, gli anni 
                  che precedono e gettano le basi del fenomeno noto come “rinascita 
                  del Folk”. 
                  Fra gli sguardi egoisti e infantili dei musicisti e dei radical 
                  sciammannati, i Cohen si muovono con levità di passo 
                  e guardano col loro occhio surreale, senza nostalgie e buonismi 
                  - anche il protagonista non ci fa proprio un figurone - disegnando 
                  un mondo parolaio, che dorme sui divani in prestito, nell'eterno 
                  rimpianto di una rivoluzione che non è in grado di fare 
                  e nella continua speranza di un successo inafferrabile, come 
                  il gatto che sfugge per tutto il film. Giusto nell'ultima inquadratura 
                  cogliamo la silhouette di Bob Dylan, il ragazzino ultimo 
                  arrivato dalla provincia, che realizzerà il sogno di 
                  tutti gli altri. È un film sulla parabola di un uomo 
                  che vive la vita in attesa di qualcosa che capiterà a 
                  un altro.
                 
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Il 
                        vero Dave Van Ronk (a sinistra), e Oscar Isaac (a destra) 
                         
                        in una scena del film “Inside Llewyn Davis”  | 
                   
                 
                 Notoriamente il film è ispirato alla figura di Dave 
                  Van Ronk, che non è un musicista straordinariamente noto... 
                  con mio disappunto ho sentito la corrispondente di una radio 
                  dire che il film dei Cohen «era ispirato alla vita del 
                  chitarrista “Van Der Rock”». Si da però 
                  il caso che io abbia per lui una venerazione che sconfina nell'idolatria. 
                  Innanzi tutto Dave Van Ronk era una sorta di orso gigantesco 
                  con baffi e barba, lungo, largo e grosso, con gli occhi chiari 
                  un po' da sognatore e un po' da allucinato, a me assomiglia 
                  a mio papà, e questo ha già un bel peso. Inoltre 
                  ha una tecnica chitarristica di invidiabile scioltezza, un fraseggio 
                  stupendo, un suono brillante, ma non eccede mai in agilità, 
                  un virtuoso che non esagera e che conserva lo spirito del grande 
                  didatta (che fra le altre cose fu: dava lezioni di chitarra 
                  nei periodi oscuri e senza troppi concerti). Lo guardi suonare, 
                  lo trovi potente, giusto, ma umano, e ti vien voglia di provare 
                  a fare come lui, non ci riesci, ma intanto sei migliorato. 
                    
                  Dave amava di amore sconfinato la musica popolare, senza esserne 
                  un “vate”, amava anche altri generi e non disdegnò 
                  di incidere anche dei dischi di folk-rock. Aveva una stranissima 
                  voce, buffa e squillante, una voce vissuta, impavida, indimenticabile. 
                  Era una sorta di Paperino rauco che cantava il blues... a lui 
                  non piaceva l'identificazione con questo genere, ma è 
                  uno dei pochissimi che lo ha saputo interpretare senza grottesche 
                  finzioni, con eleganza e con verità. Van Ronk era un 
                  artista stupendo, le poche canzoni che ha scritto sono bellissime, 
                  le tante che ha cantato sono un'iniziazione senza pari alla 
                  musica americana, almeno cinque dei suoi dischi sono fra i più 
                  belli che mi sia capitato di ascoltare, i suoi concerti sono 
                  memorabili... ma questo purtroppo posso solo dirvi che l'ho 
                  capito, non che lo so: Dave è morto nel 2002 all'età 
                  di 65 anni. È stato molte volte in Italia - fra l'altro 
                  insignito del Premio Tenco nell'85 - ma io non l'ho mai ascoltato 
                  dal vivo. 
                  Una diecina d'anni fa uscì un libro autobiografico 
                  postumo dal titolo The Mayor of MacDougal Street (l'affettuoso 
                  nomignolo con cui era noto Van Ronk), io ci avevo fatto una 
                  croce sopra: non me lo tradurranno mai, faccio prima ad imparare 
                  l'inglese... invece, miracolo dei Cohen, sull'onda del battage 
                  pubblicitario per il film, ecco finalmente il libro bello e 
                  pubblicato da Rizzoli con capillare distribuzione. Mi ci sono 
                  precipitato: è un libro meraviglioso, un'epopea corale 
                  ricchissima per humor, talmente smitizzante da far morire per 
                  una risata e risorgere in un singhiozzo di nostalgia quel passato 
                  “mitico” ma poi non troppo. Agli antipodi di ogni 
                  auto-celebrazione, Dave racconta sul filo della memoria, ragiona 
                  sul senso della musica e delle canzoni, dipinge incroci e intrecci 
                  fra vecchi bluesman risorti dalla tenebra dell'oblio e ragazzini 
                  tanto impacciati quanto desiderosi di cambiare il mondo, la 
                  musica, la vita... o almeno di fare un disco. 
                  Quello che invece non sapevo è che Dave Van Ronk, il 
                  mio Van Ronk, è stato - quanto meno per tutti gli anni 
                  di cui tratta il libro - un militante anarchico, attivissimo 
                  politicamente, non solo con un mai rinnegato sostegno musicale 
                  a tutte le buone cause e i concerti di finanziamento delle organizzazione 
                  libertarie, ma anche proprio con una militanza attiva e appassionata 
                  nelle manifestazioni, nei convegni, nella vita quotidiana. In 
                  seguito - vi si accenna appena - pare si sia spostato su posizioni 
                  vicine ai trozkisti, ma ahimè, non c'è occasione 
                  di approfondire la cosa, perché Dave morì lasciando 
                  il libro incompiuto. 
                  Di certo le sue opinioni musicali e politiche sono espresse 
                  con un piglio così candido e al contempo buffo, senza 
                  trionfalismi e senza rese, che ci si riconosce dentro, che si 
                  capiscono anche molte cose della vicenda che, con dieci anni 
                  di ritardo rispetto agli Stati Uniti, anche in Italia avrebbe 
                  accostato il Folk Revival alle tensioni sociali. 
                  Benvenuto anche in Italia Dave, ora che ti si può conoscere 
                  un po' più da vicino, ti ascolterò con più 
                  amore ancora, se possibile. 
                   
                  E così se ne va un'altra serata 
                  di poesia e di pose, 
                  e ognuno sa che sarà solo 
                  quando il sacro bar chiuderà. 
                  E allora ci berremo l'ultimo bicchiere 
                  ognuno alla sua gioia o al suo dolore 
                  sperando che questo torpore ebbro duri 
                  finché domani non riaprirà. 
                   
                  E quando torneremo ancora, barcollando 
                  come ballerini paralitici, 
                  ognuno già sa le domande che farà 
                  e ognuno sa le risposte. 
                  E allora ci berremo l'ultimo drink, 
                  che ti fa il cervello a fette 
                  là dove le risposte non significano mai nulla 
                  e non ci sono domande. 
                   
                  Mi è andato il cuore a pezzi l'altro giorno 
                  domani si rimetterà 
                  se fossi nato già ubriaco 
                  non conoscerei il dolore. 
                  E allora berremo, per quell'ultimo brindisi 
                  che non si può mai fare: 
                  al cuore che è saggio abbastanza 
                  da capire quando sta meglio a pezzi.  
                 Alessio Lega 
                  alessiolegaconcerti@gmail.com  |