Botta.../ A 
                  proposito di papa Francesco 
                   
                  In riferimento all'articolo “Furbi 
                  et orbi” di “Dada Knorr”, alias Francesca 
                  Palazzi Arduini (“A” 385, dicembre 2013/gennaio 
                  2014, pagg. 29-36), vorrei fare qualche precisazione. 
                  1) Di per sé lodevolissima e comprensibile la volontà 
                  dell'autrice di ridimensionare l'entusiasmo di molti (anche 
                  laici indefessi e “sfegatati”) per il nuovo papa 
                  buono. D'altronde, credo che il cambio di passo rispetto al 
                  suo predecessore (Ratzinger, il “teologo” anche 
                  come tale sopravvalutato, ma qui dovrei citare testi e non lo 
                  faccio; mi limiterò a dire che l'unico gesto positivo 
                  da lui compiuto sono state le sue dimissioni, poi altrimenti 
                  definite, quale rinuncia etc, in conformità al codice 
                  di diritto canonico...), non solo sul piano stilistico, ma su 
                  quello pastorale (su quello dogmatico vedremo, per ora non certo 
                  nell'enciclica “Lumen Fidei” scritta insieme a Benedetto 
                  XVI) sia chiaro. 
                  Ora, che gli anarchici considerino il papato come istituzione 
                  qualcosa da negare e combattere è comprensibile, anzi 
                  è “cosa buona e giusta”. Tuttavia non considerarlo 
                  rispetto a Ratzinger e Woytila sarebbe antistorico e miope (non 
                  dico che lo sia l'articolo citato, attenzione, ma temo possano 
                  crearsi fraintendimenti in questo senso, allargando il discorso, 
                  unendo questo ampio articolo ad altre prese di posizione consimili), 
                  ma, come è acquisito essere comunque “meno peggio” 
                  una democrazia di una dittatura, allo stesso modo dovrebbe essere 
                  chiaro che un papato come quello di Francesco è più 
                  vicino allo spirito conciliare rispetto a quello ratzingeriano, 
                  sempre parlante “ex cathedra”, anche quando sembrava 
                  non farlo. 
                  2) Quanto ai giudizi finali, che sono tra loro diversi, ce n'è 
                  uno che, posso assicurarlo per conoscenza diretta, è 
                  decisamente in controtendenza rispetto agli altri: quello del 
                  prof. De Marco, docente di sociologia della religione, “che 
                  critica il papa per il “linguaggio liquido”, adottato 
                  per compiacere la stampa, che pare annunciare la rinuncia del 
                  papa cattolico alla certezza dottrinale” (cit. dall'autrice 
                  a p.32). 
                  Ora, come si evince chiaramente anche solo da questa citazione, 
                  il prof. De Marco, schierato ormai sostanzialmente su posizioni 
                  pre- (e anche anti-) conciliari (dopo un passato diverso), non 
                  fa parte del coro di “critiche progressiste” (semplifico 
                  per i lettori) citato da Francesca Palazzi Arduini e non ritengo 
                  che l'intelligente articolista possa fare propria un'argomentazione 
                  di tal genere, piuttosto ratzingeriana. Un papa che, a proposito 
                  dei gay, ha affermato (dichiarazione mai smentita, non come 
                  quelle “aggiustate” da Scalfari...): “Chi 
                  sono io per giudicare un gay?” segnerà pure una 
                  differenza rispetto ai suoi predecessori. Non può essere 
                  semplice camouflage.
                
  Eugen Galasso 
                  Firenze 
                   
                  ...e risposta/ Uno sguardo politico materialista 
                Ringrazio Galasso per aver ricordato che le perplessità 
                  nei confronti di questo nuovo papato provengono sia dall'ala 
                  cattolico-progressista che da quella conservatrice, cosa che 
                  le conferma ancor meglio come fondate. 
                  Ritengo però che la critica di Galasso offra spunti più 
                  importanti: il suo definire gli “anarchici” come 
                  coloro che “combattono il papato” a priori, 
                  e non vogliono riconoscere l'evoluzione verso la democrazia 
                  a suo dire proposta da 'Francesco' pone la discussione su un 
                  falso piano, proprio sul piano che vuole la Chiesa, quello astratto. 
                  Nel mio caso, lo sforzo di analisi è confrontare invece 
                  queste parole, questa strategia mediatica, da un lato col fenomeno 
                  antropologico e sociale della religiosità e soprattutto 
                  con la loro funzionalità politica. 
                  Per chi vive la Chiesa le parole di Bergoglio hanno tonalità 
                  forti, dopo decenni di regime, ma sono anche semplicemente l'ultimo 
                  disperato tentativo di salvare l'apparato dalla completa deriva, 
                  sono strumentali quindi, e provengono dalla gerarchia alla quale 
                  Bergoglio appartiene pienamente, e non certo dalla base, mai 
                  ascoltata. Questo è interessante da analizzare, per noi 
                  anarchic*, che se una virtù possediamo è quella 
                  di essere capaci di sfuggire alle retoriche del Potere. 
                  Proprio l'esempio dell'atteggiamento verso le persone omosessuali 
                  (già caritatevolmente accettate dal Catechismo), fatto 
                  da Galasso nella sua lettera, conferma la validità di 
                  uno sguardo politico materialista nei confronti di questo papato 
                  “del male minore”: la storia dell'astuta battaglia 
                  del gesuita contro la regolarizzazione delle unioni gay si può 
                  leggere nel volume curato Popo Francis, Our Brother, Our Friend 
                  di Alejandro Bermùdez (http://www.ignatius.com/Products/OBP-H/pope-francis-our-brother-our-friend.aspx). 
                  Francesca Palazzi Arduini  
                  Fano (Pu) 
   
                  Anarchismo o barbarie 
                Dico subito che non sono un teorico, dunque non aspettatevi 
                  da me analisi sottili e tanto meno raffinate. Sono più 
                  modestamente uno scrittore, uno che osserva gli uomini nella 
                  loro concretezza, gli uomini come sono, non gli uomini come 
                  dovrebbero essere. L'uomo con la sua umanità e la sua 
                  perversione; la sua tenerezza e la sua ferocia; la sua compassione 
                  e la sua spietatezza; la sua solidarietà ed il suo egoismo; 
                  il suo bisogno di libertà e la sua pulsione ad opprimere; 
                  il suo atteggiamento di vittima ed il suo ruolo di carnefice; 
                  la sua generosità e la sua vigliaccheria; la sua moralità 
                  e la sua corruzione; il suo cuore puro e il suo cuore corrotto. 
                  L'uomo con i suoi enigmi, il suo sottosuolo “oscuro”, 
                  la sua natura molteplice e spesso insondabile di angelo e demone; 
                  di creatura pacifica ma dominata altresì, da un primordiale 
                  istinto criminale. Uno scrittore che maneggia sentimenti, che 
                  indaga l'agire degli uomini, i rapporti che li relazionano o 
                  li separano, in una parola: la vita. 
                  Uno scrittore che mette al centro della sua riflessione la vita 
                  e ne celebra la difesa, non può non essere un libertario. 
                  Perché si oppone, o dovrebbe opporsi, a quanti l'esistenza, 
                  la vita, mortificano, annientano, umiliano, violentano. E quando 
                  dico vita, intendo vita in ogni sua forma. 
                  Io sono dunque uno scrittore e sono un libertario. Ho detto 
                  libertario e non anarchico: possiedo una quantità considerevole 
                  di testi di autori anarchici; conosco il pensiero e le imprese 
                  del movimento in vari paesi del mondo; soprattutto conosco la 
                  loro condotta esemplare, il loro sacrificio, la vita spesa senza 
                  risarcimenti. So, inoltre, che non sono mai stati degli opportunisti, 
                  ed io non posso non amare questi uomini e queste donne, ed ecco 
                  perché davanti alla loro grandezza di giganti io mi sento 
                  un nano, e non mi ritengo alla loro altezza. Lasciate perciò 
                  che mi dichiari semplicemente un libertario, con le sue contraddizioni 
                  e le sue difficoltà. Per un libertario è ovvio, 
                  la libertà è fondamentale; e la storia ci dice 
                  che la libertà è sempre costata sangue, in ogni 
                  epoca e sotto ogni regime (...). 
                  Vogliamo ricordare a chi ci legge, che sono venuti prima le 
                  ingiustizie, l'oppressione, il servaggio, le disuguaglianze, 
                  le persecuzioni, lo schiavismo, il saccheggio, l'assoluta mancanza 
                  di diritti e di libertà; poi, ma solo molto dopo, è 
                  venuta la rivoluzione come risposta necessaria, obbligata, contro 
                  chi calpestava la vita e umiliava gli uomini. La rivoluzione 
                  ha dovuto a lungo subire prima di dispiegarsi. Ha dovuto sopportare 
                  molto sangue prima di farsi a sua volta sanguinaria. Il terrore 
                  lo hanno cominciato i governi e gli Stati, non i sudditi o i 
                  cittadini (...). 
                  “A chi è spogliato di tutto restano le armi”; 
                  non è stato né Marx né Bakunin a scrivere 
                  questa frase, ma il poeta satirico latino Giovenale, più 
                  di diciassette secoli prima. 
                  Dal punto di vista di quella che io chiamo difesa della vita 
                  nelle sue molteplici forme e delle risorse, gli Stati (fascisti, 
                  comunisti, capitalisti e teocratici) si equivalgono; dal punto 
                  di vista dei morti il capitalismo ne ha fatti di più, 
                  se non altro perché la sua parabola storica è 
                  molto più lunga, dura da più tempo. Dunque l'anarchismo 
                  non ha nulla da imparare da essi. Dal punto di vista morale 
                  l'anarchismo è enormemente superiore: fonda i suoi principi 
                  sulla solidarietà e la libertà, e non scinde queste 
                  due istanze dal bene prezioso dell'uguaglianza. Senza uguaglianza 
                  le democrazie sono monche; senza uguaglianza le élites 
                  al potere si impossessano dei beni pubblici; fanno valere il 
                  loro peso economico nei confronti dei cittadini privi di risorse; 
                  schiacciano chiunque li voglia portare in giudizio, anzi, chi 
                  non ne possiede i mezzi economici non può neppure adire 
                  alle vie legali; tutelano i loro privilegi e condizionano le 
                  scelte dell'esecutivo con una pletora di giuristi, tecnici, 
                  lobbies fra le più varie. Le società liberali 
                  e capitaliste hanno portato i loro paesi alla guerra contro 
                  la schiacciante volontà dei loro popoli e in spregio 
                  ad ogni legalità, e la democrazia viene messa sotto i 
                  piedi con tracotanza, ogni qual volta “la volontà” 
                  dei governi e degli Stati, confligge con gli interessi dei cittadini. 
                  Da tempo oramai, nelle società liberali, il diritto di 
                  voto è diventato un voto senza diritti. 
                  L'anarchismo è moralmente superiore perché pone 
                  al primo posto la vita degli esseri umani senza distinzioni 
                  di razze, di religioni, di tendenze sessuali; non esiste pensiero 
                  più tollerante di quello libertario. Perché non 
                  comprende l'idea di guerra, di eserciti, di corpi speciali, 
                  di servizi segreti, di segreti di stato. Una società 
                  libertaria abolirebbe immediatamente tutta questa criminosa 
                  zavorra e userebbe le risorse per eliminare la povertà, 
                  per favorire l'educazione, per tutelare le tre risorse fondamentali 
                  dell'esistenza (aria, acqua e suolo) oggi minacciati da un uso 
                  mercificatorio e rapinoso da parte del capitalismo liberale 
                  e dai regimi imperanti in ogni dove. 
                  L'anarchismo è superiore perché non è, 
                  per sua fortuna, né una scienza né un sistema; 
                  è molto di più: è un metodo e un'esperienza 
                  pratica di vita e di lotta, fra i più umani fra quelli 
                  finora conosciuti. Un metodo che risiede nelle mani di coloro 
                  che agiscono e lo mettono in pratica, non sta al di fuori di 
                  essi, non è delegato a corpi separati ed estranei. Un 
                  metodo denso di contenuti, di proposte concrete, di istanze 
                  fattibili qui e ora. 
                  Dunque anarchismo o barbarie, questo possiamo affermarlo con 
                  decisione. Il paradosso delle democrazie liberali, soprattutto 
                  in tempo di crisi, è che si trovano davanti ad un bivio 
                  piuttosto serio per sopravvivere come tali: accogliere alcuni 
                  contenuti del pensiero libertario, o piegarsi ad orrende e disumane 
                  conversioni. In passato è prevalsa questa seconda via. 
                  L'abbraccio mortale con il nazifascismo e le dittature militari 
                  sono lì a dimostrarlo.
                  Angelo Gaccione 
                  Milano 
                   
                  Dalla casa di reclusione di Padova/ Non so se si possa chiamare 
                  giustizia 
                Il 18-19 dicembre scorsi si è tenuto dentro la Casa 
                  circondariale di Padova il 5° congresso di Nessuno tocchi 
                  Caino, l'organizzazione di area radicale che da un ventennio 
                  si batte per una moratoria internazionale della pena di morte, 
                  contro l'ergastolo, a favore dell'amnistia e in genere si occupa 
                  di molte tematiche e battaglie legate al mondo della detenzione. 
                   
                  Nella sala-cinema del carcere, mandati in onda in diretta 
                  e video-registrati da Radio radicale (http://www.radioradicale.it/scheda/398441), 
                  i lavori hanno ospitato numerose relazioni di grande interesse 
                  e soprattutto alcune forti testimonianze di detenuti in regime 
                  di alta sicurezza (il famoso 41 bis), tra i quali Carmelo Musumeci 
                  (curatore di una rubrica sulla nostra rivista) 
                  e Luigi Guida (autore della lettera qui di seguito pubblicata). 
                   
                  Ho partecipato “da esterno” ai lavori e cortesemente 
                  il segretario “storico” di Nessuno tocchi Caino, 
                  Sergio d'Elia, mi ha invitato a intervenire. Nel farlo, ha ricordato 
                  di aver iniziato la sua attività politica, nei primi 
                  anni '70, proprio negli ambienti anarchici fiorentini. 
                  Come accenna Luigi Guida in questo suo scritto, nel mio breve 
                  intervento ho ricordato che su “A” esiste dallo 
                  scorso ottobre la rubrica di Carmelo Musumeci “9999, fine 
                  pena mai” che è dedicata alla battaglia contro 
                  l'ergastolo, con particolare attenzione alla sua forma più 
                  “dura”, quello ostativo. Ma ho anche precisato che 
                  con Carmelo siamo d'accordo che l'interesse si estende alla 
                  situazione nelle carceri e dei carcerati. Quindi rivolgendomi 
                  ai numerosi detenuti presenti li ho invitati a scriverci, a 
                  “usare” la nostra rivista – per piccola che 
                  sia – come un ulteriore strumento per rompere quella cortina 
                  (assai materiale oltre che psicologica) che separa il mondo 
                  dentro da quello fuori. E la lettera di Guida, che pubblichiamoqui 
                  di seguito, conferma questo ulteriore possibile ruolo concreto 
                  di “A”. 
                  Analogamente a quanto fa Carmelo, che questa volta nella 
                  sua rubrica dà voce alla protesta di un detenuto 
                  improvvisamente trasferito da Torino a Tempio Pausania, in Sardegna, 
                  nonostante gravi problemi di salute, la vicinanza agli affetti 
                  familiari e la stessa normativa carceraria ostino (come si dice 
                  in brucratese carcerario) al suo trasferimento. Ma tant'è. 
                  Il carcere è spesso un mondo a parte, dove diritti umani, 
                  dignità della persona, senso di umanità e pietas 
                  non possono nemmeno mettere piede. 
                 Paolo Finzi 
                  Gentile direttore, sono il detenuto Guida Luigi, mi sono abbonato 
                  quasi un anno fa alla sua rivista tramite il mio amico e fratello 
                  Carmelo Musumeci. 
                  Ieri nel convegno di “Nessuno tocchi Caino” tenutosi 
                  nella casa di reclusione di Padova ho avuto modo di sentirla 
                  in un suo intervento e così anche di conoscerla da vicino, 
                  dalle sue parole mi è sembrato di capire che sarebbe 
                  stato contento di ricevere pensieri di altri detenuti per mettere 
                  nella pagina che con tanta gentilezza ha deciso di dedicare 
                  al “fine pena mai” e a tutto l'universo carcerario. 
                  Io ho trentadue anni, e dalla minore età ad oggi ne ho 
                  trascorsi quasi tredici se pure non ininterrottamente nelle 
                  patrie galere per reati contro il patrimonio, senza mai aver 
                  avuto il piacere di ricevere quella benedetta liberazione anticipata 
                  e quindi di conseguenza senza mai avere avuto la possibilità 
                  di vedermi applicato quel benedetto art.27 della nostra costituzione 
                  che tutti lodano ma che quasi nessuno combatte concretamente 
                  per far sì che nelle nostre patrie galere venga attuato 
                  veramente nei confronti dei detenuti. 
                  Quindi in virtù anche della dichiarazione che fece il 
                  ministro Galan sulla possibilità di riusare le caserme 
                  dismesse per ampliare i posti disponibili, senza capire che 
                  i detenuti non è di spazio che hanno bisogno per mettere 
                  in discussione mentalità e comportamenti, ma di percorsi 
                  rieducativi fatti di lavori, confronti e progetti culturali, 
                  come è stato quel magnifico convegno di ieri, infatti 
                  ho deciso di scriverle questo mio pensiero sulla disastrata 
                  situazione che affligge il nostro sistema carcerario e sulle 
                  modalità detentive che vive la stragrande maggioranza 
                  di detenuti. 
                  Illustrissimi lettori (Governanti) spero mi perdoniate non vorrei 
                  sottrarvi del tempo: ma so che purtroppo dovrò farlo, 
                  capisco che la mia storia come quella di tanti altri miei compagni 
                  non sia docile da capire e noi stessi non saremo mai abili nel 
                  raccontarla. Ma vede c'è veramente qualcosa che non va 
                  nel nostro paese perché si continuano a varare leggi 
                  cancerogene (Bossi-Fini, Fini-Giovanardi, ex Cirielli) ma nello 
                  stesso tempo poi ci si lamenta che il sistema carcerario non 
                  funziona, che continua a riprodurre i futuri delinquenti di 
                  domani, mentre invece dopo un'esperienza carceraria dovremmo 
                  aver raggiunto quanto meno l'obiettivo che i detenuti siano 
                  divenuti persone migliori di come sono entrate, con consapevolezze 
                  e strumenti diversi da quelli che avevano in passato, ma attualmente 
                  è pura utopia, e se non ci affrettiamo ad abolire queste 
                  leggi cancerogene degli ultimi anni rimarrà sempre così 
                  perché da una parte si dichiara che le persone debbono 
                  fare un percorso rieducativo, ma dall'altra applicate leggi 
                  che lo proibiscono, un cane che si morde la coda insomma. 
                  Ma è proprio da questa presente forma di espiazione che 
                  dissento in quanto ci considera nient'altro che da escludere 
                  da qualsiasi forma di reinserimento verso l'esterno come se 
                  qualcuno qui dentro e lì fuori non può che ricevere 
                  dalle persone che hanno commesso degli errori nella vita, solo 
                  il loro passato facendoci pagare le conseguenze delle nostre 
                  azioni due volte non tenendo conto che le persone in questione 
                  tante volte abbiano già subito una dura condanna per 
                  quello, quindi prendendoci per i capelli del tutto indifferenti 
                  al fatto che le persone nel frattempo negli anni siano persone 
                  diverse da quando hanno commesso i loro reati. Io penso che 
                  non dovrebbe essere né scomodo, né comodo chiedere 
                  di essere per gli altri qualcos'altro ma solo giusto e conforme 
                  alla nostra costituzione. 
                  In pratica o in sintesi, il detenuto ha il diritto di convergere 
                  la sua espiazione di pena partecipando a qualcosa di sensato, 
                  anche perché è l'unico modo per dare un senso 
                  alla pena, e far sì che nelle persone inizi a crescere 
                  un seme di onesto e di buono. 
                  I detenuti hanno il diritto a non vedere sprecata la sofferenza 
                  della pena, non facendola diventare fine a se stessa, adoperandosi 
                  così in qualche modo a non rassegnarsi alla pena, o almeno 
                  a qualsiasi tipo di pena. 
                  Noi tutti dovremmo lottare perché le persone rinchuse 
                  partecipino a qualcosa che abbia un valore, che realizzi il 
                  senso di un cambiamento. Se si deve star male è giusto 
                  che non sia una sofferenza così stupida, inutile, così 
                  sprecata. 
                  Non so se si possa chiamare giustizia parcheggiare una persona 
                  in un luogo per ventiquattro ore al giorno senza far nulla, 
                  solo a guardare il soffitto dalla sua branda e costringerlo 
                  con la sua coscienza a guardare solo indietro crescendo nella 
                  persona un approfondimento del rimorso, o rischiando di farle 
                  costruire un nuovo muro di durezza?! Io sono convinto che rieducare 
                  non significhi cancellare il passato delle persone o farlo dimenticare, 
                  ma promuovere un percorso verso il futuro. 
                  Quindi è paradossale che oggi il carcere abbia funzione 
                  rieducativa solo per pochi eletti. È paradossale anche 
                  in riferimento al progresso trattamentale perché come 
                  requisito vorrebbe dire che nelle patrie galere dovrebbe esserci 
                  un trattamento che qualcuno ha costituito un programma educativo 
                  e le iniziative che lo attuano. Ma io le dico che non è 
                  affatto così (almeno nelle mie sedici carceri che ho 
                  avuto la sfortuna di girare in questi anni prima che arrivassi 
                  a Padova...) perché quel poco che c'è è 
                  dovuto solo da qualche iniziativa di qualche volontario, niente 
                  viene preposto dalle istituzioni, come finalità della 
                  pena e nessuna attività viene data come strumento per 
                  cambiare. 
                  Eppure non mi pare che tutti l'insegnamenti dei codici penali 
                  siano interpretati con sfiducia quando ci si deve condannare, 
                  anzi tutto ciò che c'è scritto si sforza di indicarci 
                  in che direzione dobbiamo andare... Tuttavia però, le 
                  contraddizioni riappaiono ogni qual volta le pene inflitte non 
                  tendono alla riparazione, alla difesa e al recupero del condannato, 
                  facendoci pagare male con male, con lo stesso linguaggio di 
                  violenza negando di fatto la possibilità di essere altro. 
                  Mi saprebbero dire a che cosa servono modalità detentive 
                  di questo tipo? A niente, perché le statistiche rispondono 
                  che non servono, che dopo il tempo inutile aumentano le sofferenze 
                  e la recidiva, ma continuiamo a far finta di nulla perché 
                  per una parte della nostra società resta comunque il 
                  senso che questo sia giustizia. Il significato ventisette della 
                  costituzione, quello che tutti lodiamo davanti alle telecamere 
                  o nei salotti televisivi, ma di fatto continuiamo a calpestare 
                  tutti i giorni nelle quotidianità, è opposto alla 
                  passività perché non aggiunge altro che male di 
                  rivalsa. 
                  Guardi, glielo dico senza reticenze, se la mia storia come quella 
                  di tanti altri ci ha portato in carcere, forse c'è qualcosa 
                  da cambiare se vogliamo ottenere dei risultati migliori, questo 
                  vale per me e per tutte quelle persone che hanno voglia di provarci 
                  perché ognuno ha dentro delle possibilità, ma 
                  ciò sarà possibile solo quando ad una giustizia 
                  “utile” inizierebbe ad interessarsi anche di quello 
                  che potremmo essere, che potremmo diventare, e non solo quello 
                  che siamo stati. 
                  Ieri ho ascoltato una bellissima frase che condivido molto al 
                  convegno, mi sa che era di Cesare Beccaria: La civiltà 
                  di un paese la si misura guardando le scuole e le carceri di 
                  quella nazione, solo quando le scuole inizieranno ad essere 
                  carceri, e i carceri inizieranno a diventare vere e proprie 
                  scuole, allora potremmo dire che siamo un paese civile... Nonostante 
                  abbia poca fiducia in un'istituzione miope come quella attuale, 
                  penso che comunque sia vale la pena continuare a lottare perché 
                  le cose cambino, perché le carceri diventino scuole di 
                  cultura però! 
                   
                  N.B. La ringrazio per l'attenzione datami e le porgo i miei 
                  auguri di buon Natale e felice anno nuovo a lei e a tutta la 
                  redazione. 
                 Luigi Guida 
                  Carcere di Padova 
                 
                       
                
                 
                  
                     
                      |    I 
                          nostri fondi neri 
                             | 
                     
                     
                        
                           Sottoscrizioni. Franco Schirone (Milano) 
                            100,00; Marisa Giazzi e Gianni Forlano (Milano) buon 
                            anno ad “A”, 100,00; “Uro” 
                            e “Pavolone” (Milano) ricordando l'amico 
                            fraterno di vita e di lotte Paolo Soldati, 500,00; 
                            Vincenzo Argenio (San Nazzaro – Bn) 10,00; Orsola 
                            Costantini (Toronto – Canada) 10,00; Umberto 
                            Di Giuliomaria (Velletri – Rm) 4,00; a/m Furio 
                            Lippi, Claudio Albertani (Città del Messico 
                            – Messico) 70,00; a/m Selva Varengo, Gianmaria 
                            Solari (Lugano – Svizzera) 10,00; Daniele Cimolino 
                            (Tavagnacco – Ud) 20,00; Salvo Vaccaro (Palermo) 
                            10,00; Fabiana Antonioli (Coassolo – To) 40,00; 
                            Roberto Pietrella (Roma) per un abbonamento in carcere, 
                            40,00; Attilio A. Aleotti (Pavullo nel Frignano – 
                            Mo) 10,00; Valerio Pignatta (Semproniano – Gr) 
                            10,00. Totale € 1.134,00. 
                          Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti 
                            specificato, trattasi di euro 100,00). Matteo 
                            Semprini (Verucchio – Fi); Gianni Pasqualotto 
                            (Crespano del Grappa – Vi) 213,00 Silvio Gori 
                            (Bergamo) ricordando Egisto, Maria e Minos Gori, 120,00; 
                            Fabio Zavanella (Verona); Manuele Rampazzo (Padova); 
                            Selva Varengo e Davide Bianco (Lugano – Svizzera); 
                            Fiorella Mastrandrea e Amedeo Pedrini (Brindisi); 
                            Gian Paolo Zonzini (Borgo Maggiore – Repubblica 
                            di San Marino); Roberto Pietrella (Roma) 200,00. Totale 
                            € 933,00. 
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