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			   pensiero 
                  Anarchia e surrealismo 
                  di Arturo Schwarz 
                    Su questo tema si è tenuta lo scorso giugno a Reggio Emilia un'affollata serata, promossa dalla Federazione anarchica locale (aderente alla FAI). Ecco il testo della relazione presentata da Arturo Schwarz, anarchico, storico dell'arte, saggista e poeta. 
                 Iniziamo con un'osservazione 
                  di carattere semantico a proposito della parola anarchia 
                  composta da due lemmi an-arcos. An: privativo; 
                  arché: comando, potere. Il che implica, in primo 
                  luogo, il rifiuto del principio d'autorità, della delega 
                  del potere, delle condizioni associate al potere e a chi lo 
                  esercita: violenza e oppressione, arbitrio e distruzione – 
                  anche di questo nostro pianeta – come le recenti catastrofi 
                  ecologiche ben dimostrano. Anarchia non è quindi sinonimo 
                  di disordine e confusione – come molti dizionari invitano 
                  a credere – ma al contrario, questa filosofia della vita 
                  implica un ordine superiore fondato sulla conoscenza, l'aiuto 
                  reciproco e l'armonia. 
                  È opportuno sottolineare – e l'ho fatto in un articolo 
                  recente per un numero speciale di A – che sia il poeta 
                  sia l'artista sono un modo d'essere dell'anarchico perché 
                  creare significa dare origine a qualcosa che non è esistito 
                  prima. Ogni creatore parte dalla tabula rasa, rifiuta 
                  il principio di autorità così come ogni modello 
                  anteriore. Ne consegue dunque che, coscientemente o meno, chiunque 
                  è impegnato in una attività creativa è 
                  un anarchico. Infatti, “poeta”, “artista” 
                  e “anarchico” sono, per me, termini intercambiabili, 
                  sinonimi perfetti. L'anarchia è la forma di esistenza 
                  del creatore, proprio come il movimento lo è della materia. 
                  Allo stesso modo in cui la materia è la dimensione del 
                  movimento, il creatore è la dimensione estetica dell'anarchico. 
                  Alla domanda su cosa resta del surrealismo oggi, risponderei: 
                  tutto. Non ho in mente l'arte o la poesia, il cinema o il teatro, 
                  la fotografia o la scrittura; penso ad una filosofia di vita, 
                  a uno stato d'animo, a una morale, a una purezza, a un bisogno 
                  di libertà, alla necessità di riconoscere alla 
                  donna il suo giusto posto, il primo. Come dalla nozione di lotta 
                  di classe o di inconscio, dal surrealismo non si può 
                  tornare indietro. Col surrealismo, qualcosa è successo 
                  per sempre. La rivolta, per la sua stessa natura, rifiuta ogni 
                  filiazione; non ci si bagna due volte nello stesso fiume. Breton 
                  è il primo a ricordarlo: “A venti o venticinque 
                  anni la volontà di lotta si definisce in relazione a 
                  ciò che si trova attorno a sé di più offensivo, 
                  di più intollerabile”1. 
                  Egli preciserà, “l'attività d'interpretazione 
                  del mondo deve continuare ad essere legata all'attività 
                  di trasformazione del mondo. Sta al poeta, all'artista, approfondire 
                  il problema umano in tutte le sue forme, il procedere illimitato 
                  del suo spirito in questo senso ha un valore potenziale di mutamento 
                  del mondo [...] 'Trasformare il mondo', ha detto Marx, 'cambiare 
                  la vita', ha detto Rimbaud: per noi, queste due parole d'ordine 
                  fanno tutt'uno”2. 
                  Un luogo comune solidamente radicato nella sinistra – 
                  rivoluzionaria e non – vuole che l'azione politica di 
                  Breton e dei suoi amici fosse dilettantesca e superficiale. 
                  Per confutare questo pregiudizio e documentare fino a che punto 
                  l'attività del movimento fu ragionata e aderente alle 
                  necessità di una prassi autenticamente rivoluzionaria 
                  basta seguire la cronaca degli eventi. Si vede allora come il 
                  surrealismo, sin dall'inizio del movimento nel 1924, sia stato 
                  autorevolmente presente in tutti i momenti chiave – piccoli 
                  o grandi che fossero – della storia contemporanea con 
                  prese di posizione, sia politiche sia estetiche, altamente chiarificatrici. 
                  Nessun altro movimento culturale può rivendicare una 
                  tale continuità di interventi politici, altrettanto lungimiranti 
                  e su un periodo di tempo così lungo. Il sogno a occhi 
                  aperti dei surrealisti non fece mai perdere loro di vista la 
                  realtà nella quale lottavano. 
                  Istituzioni aberranti e scandalose 
                 Il primo proclama del gruppo, nel 1925, riprende una classica 
                  rivendicazione del pensiero anarchico: “Aprite le prigioni. 
                  Sciogliete l'esercito. Non esistono reati di diritto comune”. 
                  Vi si legge tra l'altro: “Le costrizioni sociali hanno 
                  fatto il loro tempo. Niente, né la constatazione di un 
                  fatto compiuto né il contributo alla difesa nazionale 
                  potrebbero costringere l'uomo a fare a meno della libertà. 
                  L'idea di prigione, l'idea di caserma hanno oggi pieno corso; 
                  queste mostruosità non vi sorprendono più... Non 
                  abbiamo paura di confessare che noi attendiamo, che noi auspichiamo 
                  la catastrofe. La catastrofe consisterebbe nel persistere di 
                  un mondo in cui l'uomo ha dei diritti sull'uomo. L'unione sacra 
                  dinanzi ai coltelli o alle mitragliatrici: come fare appello 
                  più a lungo a questo argomento squalificato? Restituite 
                  ai campi i soldati e i galeotti. La vostra libertà? Non 
                  c'è libertà per i nemici della libertà. 
                  Non saremo complici dei carcerieri”3. 
                  Questa prima presa di coscienza è di carattere ancora 
                  generico. Più tardi, Breton preciserà ancora meglio: 
                  “il rifiuto surrealista è totale. [...]. Tutte 
                  le istituzioni sulle quali si fonda il mondo moderno e che hanno 
                  avuto la loro risultante nella prima guerra mondiale sono considerate 
                  da noi aberranti e scandalose. Per cominciare, ci scagliamo 
                  contro tutto l'apparato di difesa della società: esercito, 
                  'giustizia', polizia, religione, medicina mentale e legale, 
                  scuola [...] Ma per combattere con qualche speranza di successo 
                  è necessario attaccarne la struttura portante, la quale, 
                  in ultima analisi, è di ordine logico e morale: la pretesa 
                  'ragione' di uso corrente, la quale ricopre – con un'etichetta 
                  fraudolenta – il 'buon senso' più logoro, la 'morale' 
                  falsificata dal cristianesimo allo scopo di scoraggiare ogni 
                  resistenza contro lo sfruttamento dell'uomo.”4 
                  In un volantino del 21 settembre 1925, intitolato “La 
                  rivoluzione innanzitutto e sempre” i surrealisti già 
                  affermano “Ben consci della natura delle forze che attualmente 
                  turbano il mondo [...] vogliamo proclamare il nostro assoluto 
                  distacco e in qualche modo la nostra purificazione dalle idee 
                  che sono alla base della civiltà europea [...] Dovunque 
                  regni la civiltà occidentale, tutti i vincoli umani sono 
                  venuti meno, tranne quelli che hanno una ragion d'essere nell'interesse, 
                  nel 'duro pagamento in contanti'. Da più di un 
                  secolo, la dignità umana è ridotta al rango di 
                  un valore di scambio. È già ingiusto che chi non 
                  possiede sia asservito da chi possiede, ma quando questa oppressione 
                  supera il quadro di un semplice salario da pagare e assume come 
                  esempio la forma di schiavitù che l'alta finanza internazionale 
                  fa pesare sui popoli, è una iniquità che nessun 
                  massacro riuscirà a espiare. Non accettiamo le leggi 
                  dell'Economia e dello Scambio, non accettiamo la schiavitù 
                  del Lavoro e, su un piano ancora più ampio, ci dichiariamo 
                  in stato di insurrezione contro la Storia [...] Noi siamo 
                  la rivolta dello spirito; consideriamo la Rivoluzione sanguinosa 
                  come la vendetta ineluttabile dello spirito umiliato dalle vostre 
                  opere. Non siamo degli utopisti: questa Rivoluzione non la concepiamo 
                  che in forma sociale”. 
                  Molto spesso, negli ambienti della sinistra, si esige dagli 
                  artisti di essere “i pifferi della rivoluzione”, 
                  come già condannava Elio Vittorini. In proposito la posizione 
                  dei surrealisti è molto decisa. Nel “Secondo manifesto” 
                  Breton afferma: “Non credo alla possibilità di 
                  esistenza attuale di una letteratura o un'arte che esprimano 
                  le aspirazioni della classe operaia. Se rifiuto di crederci, 
                  è perché in periodo pre-rivoluzionario lo scrittore 
                  o l'artista, di formazione necessariamente borghese, è 
                  per definizione inetto a tradurle”5. 
                  Infatti, come si potrebbero difendere una letteratura e un'arte 
                  cosiddette proletarie “in un'epoca in cui nessuno potrebbe 
                  vantarsi di appartenere alla cultura proletaria per l'ottima 
                  ragione che quella cultura non ha ancora potuto essere realizzata, 
                  nemmeno in regime proletario”6. 
                  Il prologo di un regresso 
                 A partire dalla primavera del 1931 si susseguono quattro documenti, 
                  i primi due con titoli che si commentano da soli: Non visitate 
                  l'esposizione coloniale (maggio) e Primo bilancio dell'esposizione 
                  coloniale (3 luglio). Al fuoco inneggia invece alla 
                  ripresa delle lotte in Spagna: “A partire dal 10 maggio 
                  1931, a Madrid, Cordova, Siviglia, Bilbao, Alicante, Malaga, 
                  Granada, Valenza, Algeciras, San Roque, La Linea, Cadice, Arcos 
                  de la Frontera, Huelva, Badajoz, Jerez, Almeria, Murcia, Gijon, 
                  Teruel, Santander, La Coruña, Santa Fé, ecc., 
                  la folla ha incendiato le chiese, i conventi, le università 
                  religiose, distrutto le statue, i quadri che questi edifici 
                  contenevano, devastato gli uffici dei giornali cattolici, cacciato 
                  tra le urla i preti, i monaci, le suore, che passano in fretta 
                  le frontiere. Cinquecento edifici distrutti per cominciare non 
                  chiuderanno questo bilancio di fuoco. Opponendo a tutti i roghi 
                  una volta innalzati dal clero di Spagna la grande luce materialista 
                  delle chiese bruciate, le masse sapranno trovare nei tesori 
                  di queste chiese l'oro necessario per armarsi, lottare, e trasformare 
                  la Rivoluzione borghese in Rivoluzione proletaria”. 
                  Nel febbraio 1933 i nazisti danno fuoco al Reichstag accusando 
                  del rogo i comunisti e dando così un pretesto a Hindenburg 
                  per abrogare i diritti fondamentali sanciti dalla costituzione 
                  di Weimar. Il decreto che mette fine alla repubblica prepara 
                  il terreno per la vittoria (truccata) dei nazisti, che in marzo 
                  ottengono il 44 per cento dei seggi in parlamento. Per consolidarne 
                  il dominio Hindenburg firma un nuovo decreto che autorizza Hitler 
                  a legiferare per quattro anni senza il controllo del Reichstag. 
                  L'Associazione degli artisti e scrittori rivoluzionari (Aear) 
                  e i surrealisti sono gli unici gruppi di intellettuali che in 
                  Francia cercano di allertare l'opinione pubblica. Nell'appello 
                  Protestate! essi avvertono che il risultato elettorale 
                  in Germania è il prologo di un regresso della civiltà, 
                  della messa fuori legge di ogni pensiero che non sia retrogrado, 
                  del ritorno al più cupo e feroce antisemitismo da medioevo. 
                  L'appello auspica un fronte unico di lavoratori e intellettuali 
                  per lottare contro il terrore in Germania e contro il Trattato 
                  di Versailles, le cui clausole inique hanno favorito, se non 
                  provocato, l'ascesa del nazismo. 
                  L'anno seguente, le giornate dal 6 al 10 febbraio 1934 segnano 
                  l'offensiva del fascismo francese. La reazione di Breton e dei 
                  suoi amici è immediata: “È la sera stessa 
                  del 6 febbraio 1934, cioè tre o quattro ore dopo il putsch 
                  fascista di cui alcuni di noi erano stati a osservare il concreto 
                  sviluppo, chi sui grandi boulevards, chi nelle vicinanze 
                  della Place de la Madeleine, che, dietro mio suggerimento, si 
                  stabilì di invitare a riunirsi subito il maggior numero 
                  possibile di intellettuali dl tutte le tendenze decisi a far 
                  fronte alla situazione. Si trattava di fissare immediatamente 
                  le misure di resistenza che potevano essere prospettate. Questa 
                  riunione – che doveva durare tutta la notte – si 
                  concluse con la redazione, [il 10 febbraio 1934] di un documento 
                  intitolato 'Appello alla lotta' che scongiurava le organizzazioni 
                  sindacali e politiche della classe operaia di realizzare l'unità 
                  d'azione e si pronunciava per lo sciopero generale”7. 
                  Critiche all'Unione Sovietica 
                 Dal primo al secondo dopoguerra i surrealisti sono stati quasi 
                  isolati nel denunciare la degenerazione dello stato sovietico. 
                  Mi basti citare una sola dichiarazione redatta nel 1935. “Limitiamoci 
                  a registrare il processo di rapido regresso per cui dopo la 
                  patria è la famiglia a uscire indenne dalla rivoluzione 
                  russa agonizzante (che ne pensa Gide?). Laggiù non resta 
                  altro che restaurare la religione e – perché no? 
                  – la proprietà privata perché sia finita 
                  con le più belle conquiste del socialismo. A costo di 
                  provocare il furore dei loro turiferari, chiediamo se vi sia 
                  bisogno di un altro bilancio per giudicare dalle loro opere 
                  un regime, in particolare il regime attuale della Russia 
                  sovietica e l'onnipossente capo sotto il quale quel regime sta 
                  volgendo alla negazione radicale di ciò che dovrebbe 
                  essere e di ciò che è stato. A quel regime, a 
                  quel capo, non possiamo che significare formalmente la nostra 
                  sfiducia”8. 
                  In questo convegno dominato dagli stalinisti – nel quale 
                  si tentò perfino di impedire ai surrealisti di leggere 
                  la loro relazione – le sole voci di dissenso furono quelle 
                  di Waldo Frank, André Malraux, Boris Pasternak, Magdeleine 
                  Paz, Charles Plisnier e Gaetano Salvemini. 
                  Nel manifesto Al tempo che i surrealisti avevano ragione 
                  (1935), Breton e i suoi amici tornando sulla questione della 
                  difesa della cultura, affermano: “Il problema non può 
                  essere quello della difesa e della conservazione della cultura. 
                  La cultura, dicevamo, ci interessa solo nel suo divenire, 
                  e questo divenire esige prima di tutto la trasformazione della 
                  società mediante la rivoluzione proletaria”9. 
                  Nel 1936 la congiuntura internazionale diventa esplosiva. Il 
                  18 luglio in Spagna il generale fellone Franco si ammutina e 
                  aggredisce la Repubblica: è il prologo della resa delle 
                  “democrazie” occidentali alla peste bruna. In Francia 
                  la vittoria del Fronte popolare in giugno non frena la corsa 
                  all'abisso. Lo stesso anno la Renania è rioccupata. Quando 
                  l'eroica resistenza spagnola viene tradita dal governo francese 
                  del Fronte popolare, sono ancora i surrealisti ad avvertire 
                  che l'abbandono della Spagna repubblicana non può essere 
                  che il preludio alla realizzazione del piano di egemonia mondiale 
                  dei nazifascisti. Essi reclamano una decisa azione prima che 
                  sia troppo tardi: “Fronte popolare! Organizza d'urgenza 
                  le masse! Costituisci, esercita, arma le milizie proletarie 
                  senza le quali non sei che una facciata! È venuto il 
                  momento di mettere a profitto il vecchio argomento dei tuoi 
                  avversari: l'affermazione concreta della forza è la prima 
                  garanzia di sicurezza!” (Neutralité? Non-sens, 
                  crime et trahison, 20 agosto 1936). 
                  Il 3 settembre 1936 e il 26 gennaio 1937 André Breton 
                  prenderà posizione sui primi e sui secondi processi di 
                  Mosca. Ne rimase così sconvolto che quindici anni dopo 
                  la sua indignazione rimaneva intatta: “Non riesco a spiegarmi 
                  come oggi, anche con quel minimo di coscienza che può 
                  sussistere, non ci si ribelli dinanzi alla sfida impudente non 
                  dico a ogni sentimento di giustizia, ma addirittura al più 
                  elementare buon senso, costituita dalla messa in scena di quei 
                  processi e dalle motivazioni delle sentenze”10. 
                  Poco più di un anno dopo Breton parte per il Messico 
                  per incontrare l'uomo il cui pensiero politico e il cui rigore 
                  morale egli ha ammirato e difeso sin dal 1925, e cioè 
                  sin dall'inizio del periodo “ragionante” del surrealismo. 
                  Gli incontri con Trotsky permisero presto di “giungere 
                  a un accordo circa le condizioni che, da un punto di vista rivoluzionario, 
                  dovevano essere riservate all'arte e alla poesia, affinché 
                  queste partecipassero alla lotta emancipatrice, pur rimanendo 
                  interamente libere nelle loro ricerche”11. 
                  Questa intesa si espresse in un testo, pubblicato il 25 luglio 
                  1938, con il titolo Per un'arte rivoluzionaria indipendente 
                  e si concluse, l'anno seguente, con la fondazione di una 
                  'Federazione internazionale dell'arte rivoluzionaria indipendente' 
                  (Fiari)“. 
                  È sintomatico che l'ultima presa di posizione dei surrealisti, 
                  poco prima dello scoppio della guerra, nel luglio del '39, sia 
                  una protesta contro l'arresto di tre militanti rivoluzionari, 
                  nel quale i surrealisti vedono l'annuncio della soppressione 
                  di tutte le libertà. ”Stiamo bene attenti! L'incarcerazione 
                  di questi tre nostri compagni è solo un piccolo saggio. 
                  Se riesce, è la fine anche delle poche libertà 
                  che ancora ci restano [...] Invitiamo tutti coloro che non sono 
                  stati ancora colpiti da questo ignobile contagio sciovinistico, 
                  tutti coloro che osano pensare liberamente, a unirsi a noi per 
                  protestare contro gli scellerati decreti-legge che autorizzano 
                  lo stato maggiore a far pesare fin da ora la sua dittatura facendo 
                  passare per un 'attentato alla difesa nazionale', anzi 
                  per una operazione spionistica, l'azione di uomini coraggiosi, 
                  dell'onestà e della lucidità dei quali rispondiamo 
                  noi. C'è di mezzo non la loro libertà, ma la 
                  libertà di tutti“ (A bas les lettres de cachet 
                  (luglio 1939). 
                  L'ignobile parola “impegno” 
                 Nel 1941 Breton, rifugiato a Marsiglia in zona non occupata, 
                  parte per New York, per poi tornare a Parigi nella primavera 
                  del 1946. Il suo primo intervento pubblico – un discorso, 
                  il 7 giugno, in difesa di Antonin Artaud al Teatro Sarah Bernhardt 
                  – gli dà l'occasione di chiarire il carattere irrisorio 
                  di “ogni forma di engagement che stia al di qua 
                  di questo triplice e indivisibile obiettivo: trasformare il 
                  mondo, cambiare la vita, rifare da cima a fondo l'intelletto”12. 
                  L'anno seguente tira altre stoccate contro l'engagement di 
                  molti intellettuali, per la maggior parte stalinisti, spesso 
                  gli stessi che durante l'occupazione nazista, e prima che il 
                  conflitto coinvolgesse l'Urss, incitavano a fraternizzare con 
                  il soldato tedesco e a collaborare con il regime di Pétain: 
                  “L'ignobile parola impegno [engagement], che è 
                  diventata alla moda durante la guerra, trasuda un servilismo 
                  che fa orrore alla poesia e all'arte”13. 
                  Lo stesso anno ricorda il concetto base del surrealismo: per 
                  trasformare il mondo bisogna prima conoscerlo. E come possono 
                  trasformarlo coloro che tradiscono la verità e la bellezza? 
                  Breton scrive: “Che aberrazione, che impudenza c'è 
                  nel volere 'trasformare' un mondo quando si fa così poco 
                  caso della necessità di interpretarlo in ciò che 
                  ha di più permanente!”14. 
                  La prima dichiarazione collettiva del gruppo va situata nel 
                  clima politico dell'immediato dopoguerra, quando, conniventi 
                  i comunisti al governo, si abiuravano gli ideali della Resistenza. 
                  Le forze del colonialismo francese avevano represso con furore 
                  selvaggio le istanze nazionaliste in Algeria (45.000 massacrati 
                  in seguito alla repressione di una manifestazione dei braccianti 
                  del Setif), e in Madagascar (85.000 morti tra il 1947 e il '48). 
                  Ora si trattava di condannare il tentativo di ridurre nuovamente 
                  a colonia la Repubblica Democratica del Vietnam, la cui indipendenza 
                  era stata proclamata da Ho Chi Minh il 29 agosto 1945. Con vigore 
                  e lucidità il gruppo riconferma le proprie opzioni rivoluzionarie 
                  e internazionaliste, concludendo il loro manifesto di condanna 
                  con queste parole, “il surrealismo dichiara di non aver 
                  rinunciato a nessuna delle sue rivendicazioni e meno che mai 
                  alla volontà di una trasformazione radicale della società. 
                  Ma esso sa quanto siano illusori gli appelli alla coscienza, 
                  all'intelligenza e persino agli interessi degli uomini, quanto 
                  siano facili su questo piano la menzogna e l'errore e quanto 
                  le divisioni siano inevitabili: per questo il campo che si è 
                  prescelto è al tempo stesso il più ampio e il 
                  più profondo, commisurato a una vera fraternità 
                  umana. Esso è dunque qualificato per elevare la sua protesta 
                  veemente contro l'aggressione imperialista e per rivolgere il 
                  suo saluto fraterno a coloro che in questo stesso momento incarnano 
                  il divenire della libertà”15. 
                  Questa dichiarazione e le due seguenti (“Rottura inaugurale” 
                  e “A cuccia, i piagnoni di dio!”) esplicitano – 
                  e il discorso è diretto in particolare alle nuove leve 
                  – le direttive fondamentali che hanno caratterizzato la 
                  riflessione poetica e ideologica nel periodo tra le due guerre, 
                  e cioè: internazionalismo, antistalinismo e anticlericalismo. 
                  “Rottura inaugurale” (giugno 1947) ribadisce l'autonomia 
                  del pensiero surrealista dai partiti, in primo luogo da quello 
                  comunista, e persino dal trotskista, e conclude: “È 
                  nella misura in cui chiede alla rivoluzione di inglobare la 
                  totalità dell'uomo, di non concepirne la liberazione 
                  da un angolo visuale particolare bensì sotto tutti gli 
                  aspetti contemporaneamente che il surrealismo si dichiara il 
                  solo qualificato a gettare sulla bilancia le forze di cui si 
                  è fatto l'indagatore e poi il conduttore meravigliosamente 
                  magnetico – dalla donna-bambina allo humour nero, 
                  dal caso oggettivo alla volontà del mito. Queste forze 
                  hanno come luogo di elezione l'amore incondizionato, sconvolgente 
                  e folle che solo permette all'uomo di vivere in tutta la sua 
                  ampiezza, di evolvere secondo dimensioni psicologiche nuove. 
                  ”Questa impresa è l'impresa specifica del surrealismo. 
                  È il suo grande appuntamento con la Storia. Il sogno 
                  e la rivoluzione sono fatti per conciliarsi, non per escludersi. 
                  Sognare la Rivoluzione non significa rinunciarvi, ma farla doppiamente 
                  e senza riserve mentali. Sventare l'invivibile non significa 
                  fuggire la vita, ma precipitarvisi totalmente e senza ritorno. 
                  “Il surrealismo è quello che sarà”16. 
                  Bandiere rosse e nere 
                 In Arcane 1717, uno 
                  scritto redatto durante gli anni dell'ultimo conflitto mondiale, 
                  Breton per la prima volta esprime dubbi sulla via proposta dai 
                  marxisti-leninisti per giungere alla liberazione dell'uomo. 
                  Egli è scosso dalla sterile esperienza di quindici anni 
                  di lotta accanto alla sinistra, sia pure non stalinista, ma 
                  comunque marxista. Questi anni gli hanno fatto constatare quanto 
                  i militanti, non solo di questa sinistra, siano sordi alle rivendicazioni 
                  che non siano sociali. L'unico uomo politico – Trotsky 
                  – che aveva capito il carattere insopprimibile delle rivendicazioni 
                  dell'uomo come individuo, e non come un'entità astratta 
                  indissolubilmente legata alla massa, era stato assassinato quattro 
                  anni prima. 
                  Breton torna allora al suo primo amore, torna alla grande corrente 
                  del pensiero libertario, alle fonti, al socialismo utopico di 
                  Fourier18. Rievoca l'emozione 
                  che provò, a diciassette anni, all'apparire delle bandiere 
                  nere in una dimostrazione popolare: “Ritroverò 
                  sempre per la bandiera rossa, spoglia di sigle e di emblemi, 
                  lo sguardo che ho avuto a diciassette anni, quando, nel corso 
                  di una manifestazione popolare, alla vigilia dell'altra guerra, 
                  l'ho vista dispiegarsi a migliaia nel cielo basso di Pré 
                  Saint-Gervais. E tuttavia – sento che, razionalmente non 
                  posso evitarlo – continuerò a fremere ancora di 
                  più evocando il momento in cui, quel mare fiammeggiante 
                  in punti poco numerosi e ben circoscritti, è stato forato 
                  dal volo delle bandiere nere”19. 
                  Poi il suo ricordo va ancora più lontano, alla sua infanzia: 
                  “Non dimenticherò mai il sollievo, l'esaltazione 
                  e l'intima soddisfazione suscitata in me, una delle prime volte 
                  in cui da bambino fui accompagnato in un cimitero – fra 
                  tanti monumenti funebri deprimenti o ridicoli – dalla 
                  scoperta di una semplice lastra di granito dov'era inciso in 
                  lettere maiuscole rosse il superbo motto: ”Né dio 
                  né padrone“. La poesia e l'arte avranno sempre 
                  un predilezione per tutto ciò che trasfigura l'uomo in 
                  questa ingiunzione disperata, irriducibile che, di quando come 
                  una sfida derisoria egli rivolge alla vita. Perché al 
                  di sopra dell'arte e della poesia, lo si voglia o no, sventola 
                  una bandiera rossa e nera di volta in volta”20. 
                  “A cuccia, i piagnoni di dio!” (giugno 1948) denuncia 
                  i vari tentativi di strumentalizzare, a profitto del cristianesimo, 
                  il pensiero di Rimbaud, di Lautréamont e persino di Sade. 
                  Vi si osserva che “i cristiani d'oggi dispongono di argomenti 
                  presi in immondezzai teologici abbastanza eterocliti da far 
                  fronte alle circostanze più diverse. In queste condizioni, 
                  non essendovi la benché minima costanza nel linguaggio 
                  da essi impiegato, a causa della loro fondamentale duplicità, 
                  ogni discussione è impossibile. Del resto lo è 
                  sempre stata. E così, anche se l'idea di dio, considerata 
                  in quanto tale, non riuscirebbe che a strapparci degli sbadigli 
                  di noia, poiché le circostanze in cui questa idea interviene 
                  sono tali da suscitare la nostra collera, gli esegeti non siano 
                  sorpresi di vederci ricorrere ancora alle 'grossolanità' 
                  dell'anticlericalismo elementare dove il Merde à 
                  dieu iscritto sugli edifici del culto a Charleville resta 
                  l'esempio tipico. Il fatto che i politici tra loro rinuncino 
                  all'anatema non basta perché noi rinunciamo a quelle 
                  che chiamano bestemmie, apostrofi evidentemente prive ai nostri 
                  occhi di ogni obiettivo sul piano divino, ma che continuano 
                  a esprimere la nostra irriducibile avversione verso qualunque 
                  essere inginocchiato”21. 
                  Dalla fine degli anni quaranta in poi le prese di posizioni 
                  surrealiste arrivano sempre puntuali per condannare ogni involuzione 
                  reazionaria. Ma per concludere vorrei ricordare la collaborazione 
                  dei surrealisti con Le Libertaire – settimanale della 
                  Federazione anarchica in Francia – che, a partire da 22 
                  maggio del 1947 inizia ad ospitare testi surrealisti pubblicando 
                  la prima dichiarazione collettiva del dopoguerra, “Libertà 
                  è una parola vietnamita”. Tra il 17 giugno e il 
                  20 novembre 1952 uscirono altri trentuno testi tra i quali due 
                  discorsi di Breton: quello pronunciato alla Mutualité 
                  (21 ottobre 1949), dove, dopo aver ribadito la profonda affinità 
                  tra surrealismo e anarchia, viene commentato il programma del 
                  movimento “Cittadino del mondo” lanciato da Gary 
                  Davis; e quello a Wagram (6 marzo 1952) in difesa dei sindacalisti 
                  condannati a morte da Franco. 
                  Con la “Dichiarazione preliminare” (12 ottobre 1951) 
                  iniziava, sotto forma di “Billets surréalistes”, 
                  la collaborazione regolare al già citato Le Libertaire: 
                  “Surrealisti, noi non abbiamo mai cessato di riservare 
                  alla trinità Stato-lavoro-religione un'esecrazione che 
                  ci ha spesso condotti a incontrarci con i compagni della Fédération 
                  anarchiste. Questo accostamento ci conduce oggi a esprimerci 
                  sul Libertaire. Ce ne rallegriamo tanto più in quanto 
                  questa collaborazione ci consentirà, pensiamo, di definire 
                  alcune delle grandi linee di forza comuni a tutti gli spiriti 
                  rivoluzionari [...] 
                  Questa sovversione, il surrealismo è stato e rimane il 
                  solo a intraprenderla sul terreno sensibile che gli è 
                  proprio. Il suo sviluppo, la sua penetrazione negli spiriti 
                  hanno messo in evidenza l'insuccesso di tutte le forme di espressione 
                  tradizionali e hanno dimostrato che esse erano inadeguate alla 
                  manifestazione di una rivolta cosciente dell'artista contro 
                  le condizioni materiali e morali imposte all'uomo. La lotta 
                  per la sostituzione delle strutture sociali e l'attività 
                  profusa dal surrealismo per trasformare le strutture mentali, 
                  lungi dall'escludersi, sono complementari. La loro unione dovrà 
                  affrettare l'avvento di un'èra libera da ogni gerarchia 
                  e da ogni costrizione”22. 
                  Oggi, come ieri, il movimento surrealista continua la stessa 
                  lotta su una scala internazionale più estesa che mai. 
                  Si veda in proposito il mio Il Surrealismo, ieri e oggi / 
                  Storia, filosofia, politica, in corso di stampa dove do 
                  la parola a oltre 40 militanti sparsi in Europa, nell'America 
                  del Nord e del Sud, in Africa, in Asia e in Australia dove il 
                  surrealismo è tutt'ora – per dirla con un espressione 
                  inglese – alive and kicking, e cioè, vivo 
                  e scalciante.
                  Arturo Schwarz
                  Note
				 
                  - Breton, Entretiens 1913-1952 (interviste radiofoniche 
                  con André Parinaud), trad. Livio Maitan e Tristan Sauvage 
                  [Arturo Schwarz], Storia del Surrealismo, Schwarz Editore, 
                  Milano 1960, p. 197.
                  
 - “Discorso al Congresso degli scrittori”, giugno 
                  1935 in Manifesti del Surrealismo, Einaudi, Torino 1966, 
                  p. 172.
                  
 - La Révolution Surréaliste (Paris), n. 
                  2, 15 gennaio 1925, p. 18, ripreso in André Breton, Storia 
                  del surrealismo 1919-1945, cit. p. 211.
                  
 - “La claire tour”, in Le Libertaire (Paris), 
                  11 gennaio 1952, p. 2, ripreso in La clé des champs, 
                  Editions du Sagittaire, Paris 1953, pp. 272-73.
                  
 - “Seconde manifeste du surréalisme” 
                  (1930), in Breton, Manifesti del surrealismo, cit., p. 
                  90.
                  
 - ibid, p. 91.
                  
 - Breton, Storia del surrealismo, cit. pp. 157-58.
                  
 - Breton, “Posizione politica del Surrealismo”, 
                  1935 in Manifesti del Surrealismo, cit., p. 183-84.
                  
 - “Du temps que les surréalistes avaient raison” 
                  (1935), ibid., p. 173.
                  
 - Breton, Storia del Surrealismo, cit., p. 161.
                  
 - idem, p. 172.
                  
 - Breton, “Hommage à Antonin Artaud” (7 
                  giugno 1946), in La clé des champs, cit., p. 84.
                  
 - Breton, “Seconde arche”, ibid., p. 109. 
                  Vedi anche, su questo argomento, Benjamin Péret, Le 
                  déshonneur des poètes (1945), Pauvert, Paris 
                  1965, ripreso qui quasi integralmente alle pp. 209-11.
                  
 - Breton, “Signe ascendant” (30 dicembre 1947), 
                  in La clé des champs, cit., p. 113.
                  
 - “Liberté est un mot vietnamien” (aprile 
                  1947), in Jean-Louis Bédouin, Storia del Surrealismo, 
                  dal 1945 ai nostri giorni, Schwarz Editore, 1960, pp. 253-55.
                  
 - “Rupture inaugurale” (21 giugno 1947), ibid., 
                  p. 263.
                  
 - Breton, Arcane 17 (1944), Sagittaire, Paris 1947.
                  
 - Breton, Ode à Charles Fourier, Fontaine, Paris 
                  1947.
                  
 - Breton, Arcane 17, cit., p. 20.
                  
 - Ibid., p. 21.
                  
 - “A la niche les glapisseurs de dieu” (14 giugno 
                  1948), in Bédouin, Storia del Surrealismo, dal 1945 
                  ai nostri giorni, cit., «Documenti» p. 269.
                  
 - “Déclaration préalable”, in Le 
                  Libertaire (Paris), 12 ottobre 1951, ripreso in Arturo Schwarz, 
                  Breton Trotskij e l'anarchia, Multhipla, Milano 1980 
                  (I ed., Savelli, Roma 1974), pp. 177-78.
                  
  
                   
                
                   
                    |   Arturo 
                        Schwarz (Alessandria d'Egitto, 1924), storico dell'arte, 
                        saggista e poeta.  Giovane militante trotzkysta, fu arrestato 
                        per ragioni politiche e torturato nel natio Egitto. Trasferitosi 
                        in Europa, sin dagli anni '50 ha scritto su testate anarchiche 
                        (Volontà, Il libertario, Umanità Nova). 
                        Con la nostra rivista, che lo annovera tra i propri collaboratori, 
                        ha un rapporto di particolare simpatia dal 1970, l'anno 
                        precedente la nostra nascita, dato che fu tra gli abbonati 
                        sostenitori di una rivista... che doveva ancora nascere.
  
                        Ha insegnato in alcune università (University of 
                        California: La Jolla e Berkeley, Harvard, Toronto, Parigi, 
                        Gerusalemme, Tel Aviv, ecc.). Ha tenuto conferenze in 
                        musei e accademie d'arte (New York, Philadelphia, Caracas, 
                        La Havana, Saõ Paolo, Gerusalemme, Tokio, Milano, 
                        Urbino, Bologna, ecc.). Ha curato importanti mostre antologiche 
                        (Biennali di Venezia e di Saõ Paolo, Dada, e Surrealismo; 
                        e retrospettive: Duchamp e Man Ray). 
  È autore di 
                        monografie su André Breton, Marcel Duchamp e Man 
                        Ray, nonché di saggi su Dadaismo, Surrealismo, 
                        la Kabbalah, alchimia, tantrismo, arte tribale e preistorica. 
                        Ha scritto complessivamente oltre un centinaio di libri, 
                        tra saggistica e poesie. 
  Negli anni '60 è stato 
                        anche editore (Edizioni Schwarz) pubblicando tra l'altro 
                        un libro di Daniel Guerin e un paio di Leone Trotzky.  | 
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