 Litigare 
                  ok,
                   ma per bene 
                È uscito recentemente Litigare con metodo. Gestire 
                  i litigi dei bambini a scuola (Erickson, Trento, 2013, pp. 
                  104, e 17,00), di Daniele Novara e Caterina Di Chio, che riprende 
                  sostanzialmente gli atti del Convegno organizzato dal Centro 
                  psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Piacenza, 
                  svoltosi nella città emiliana lo scorso dicembre. L'obiettivo 
                  è quello di demolire una serie di pregiudiziali rispetto 
                  al significato del concetto di conflittualità nei rapporti 
                  tra bambini. Il conflitto non equivale alla “guerra”, 
                  ma è l'esatto contrario della violenza, perché 
                  comprende l'altro nel proprio orizzonte, senza escluderlo, eliminarlo 
                  e distruggerlo. Occorre superare il paradosso negativo che considera 
                  il conflitto un male assoluto. La conflittualità, il 
                  rapporto litigioso, la contrarietà, costituiscono fattori 
                  che presentano una straordinaria opportunità educativa, 
                  di crescita e autoconoscenza, in quanto sussistono esclusivamente 
                  dove si verifica relazione, dove sono impliciti i presupposti 
                  dello “stare insieme”. 
                  Si impara da bambini a litigare. Anche se prevale, da parte 
                  del mondo adulto, una modalità colpevolizzante di affrontare 
                  i conflitti infantili. 
                  Il termine conflitto, dal latino conflictus, derivato 
                  del verbo confligere, composto da cum e fligere, 
                  presuppone dunque il prefisso che indica lo “stare insieme”, 
                  lo “scontrarsi insieme”. Il conflitto, il litigio, 
                  la contrarietà costituiscono un presupposto relazionale 
                  della condivisione, nello stare insieme, nella conoscenza, nella 
                  reciprocità delle dinamiche comportamentali tipiche del 
                  mondo infantile, nei rapporti microsociali della relazione, 
                  che caratterizzano anche il contesto adulto. 
                  Attualmente la società sta attraversando un momento pedagogicamente 
                  critico per cui è importante realizzare un progetto comune 
                  di matrice educativa. Il fattore fondante di un percorso pedagogico 
                  creativo e proficuo consiste nell'affrontare con consapevolezza 
                  gli inevitabili conflitti per tentare di trasformarli in occasioni 
                  di crescita arricchenti e di conoscenza vicendevole e reciproca. 
                  L'impegno necessario da parte di pedagogisti e educatori, appassionati 
                  e preparati, consiste nel cercare una terza via educativa. Un 
                  approccio pedagogico attento ed efficace, come il metodo maieutico, 
                  offre una proposta operativa naturale, e per questo rivoluzionaria, 
                  alternativa e innovativa, per aiutare i bambini a vivere bene 
                  il conflitto, la contrarietà, le discrasie relazionali, 
                  in un apprendimento primario che potranno attualizzare e praticare 
                  nelle esperienze esistenziali quotidiane, lungo tutto l'arco 
                  della loro vita. L'apparato educativo, il sistema formativo, 
                  tramite approcci pedagogici di carattere maieutico, possono 
                  creare e aprire una terza via educativa nei rapporti interrelazionali 
                  tra pari, bambini e adulti, senza presupporre un intervento 
                  esterno nell'ambito della situazione conflittuale, ma imparando 
                  a mediare e a gestire la contingenza e il contesto, che provocano 
                  contrasto e contrarietà, dall'interno della circostanza 
                  che si vive nell'attualità del presente, nel qui e ora. 
                  Come pedagogisti crediamo nell'intima creatività del 
                  fanciullo, fin dai primi anni di vita, e nell'importanza di 
                  attivare, a partire dal litigio e dalla conflittualità, 
                  dinamiche comportamentali che conducano alla gestione dei conflitti 
                  e a contesti di pace, a livello microrelazionale, che stimolino, 
                  successivamente, il mondo adulto a favorire e creare presupposti 
                  di dialogo e gestione delle contrarietà e ad attivare 
                  processi di pace tra persone, popoli, genti e minoranze, a livello 
                  macrosociale, globale e universale, così da attivare 
                  percorsi che comportino lo scambio, il confronto esperienziale 
                  per superare il conflitto e i disagi impliciti in vari contesti 
                  relazionali e nella civiltà contemporanea. 
                  L'approccio pedagogico maieutico deve operare per attivare processi 
                  di pace che investono le varie realtà in conflitto, per 
                  porre per sempre fine agli scontri bellici e alle cosiddette 
                  e surrettizie guerre umanitarie, preventive, sdoganate per missioni 
                  di pace: dal particolare all'universale.
                  Laura Tussi 
                   
                   
                   Ancora bufale su piazza Fontana 
                  Quando la smetteranno? 
                  
                Aveva iniziato Paolo Cucchiarelli con Il segreto di piazza 
                  Fontana (Ponte alla Grazie, 2009), un testo infarcito di 
                  invenzioni su Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli. Un ponderoso 
                  volume (700 pagine) costruito su una serie di falsità, 
                  con infiltrati fascisti (Mauro Meli) nel Circolo anarchico Ponte 
                  della Ghisolfa mai esistiti, con presunti stragisti (Claudio 
                  Orsi) che il 12 dicembre 1969 si trovavano a centinaia di chilometri 
                  da Milano, per finire con l'accusa all'attuale direttore di 
                  “A” Rivista anarchica di essere l'anarchico (in 
                  realtà mai esistito) che non avrebbe allora confermato 
                  l'alibi di Pinelli. Accusa che gli costò una ritrattazione 
                  a pagamento sul Corriere della sera e su La Stampa. 
                  Nella richiesta di archiviazione inoltrata al gip, nel maggio 
                  2012 dai pm di Milano, e accolta nell'ottobre scorso, circa 
                  l'ultimo stralcio di indagini sulla strage di piazza Fontana, 
                  le tesi di Cucchiarelli relative all'esistenza di una “doppia 
                  bomba” e al coinvolgimento di Valpreda e Pinelli sono 
                  state definite di “assoluta inverosimiglianza”, 
                  così come “le dichiarazioni della fonte anonima 
                  in questione, utilizzate dal giornalista, palesemente prive 
                  di fondamento”. Non è dunque mai esistito il fantomatico 
                  mister X citato dallo stesso autore come fonte delle proprie 
                  “scoperte”. 
                   
                  L'ossessione del doppio 
                  Nello stesso solco Stefania Limiti che ha invece teso, con alcune 
                  sue pubblicazioni, a rivisitare la storia di questo secondo 
                  dopoguerra producendosi in evidenti forzature della realtà. 
                  Illuminante l'introduzione de Il complotto. La controinchiesta 
                  segreta dei Kennedy sull'omicidio di JFK (Nutrimenti, 2012), 
                  con postfazione del solito Cucchiarelli, in cui si ipotizza 
                  che lo “schema operativo” approntato per assassinare 
                  nel 1963 il presidente americano sia stato utilizzato anche 
                  per la strage di piazza Fontana, con Valpreda al posto di Lee 
                  Oswald, mero burattino nelle mani di fascisti e servizi segreti 
                  (la stessa tesi de Il segreto di piazza Fontana). Emerge 
                  in questi due autori un'autentica ossessione per il “doppio” 
                  (le doppie bombe, le doppie identità), per cui tutti 
                  i protagonisti, loro malgrado, si palesano unicamente come marionette 
                  nelle mani degli apparati o dell'estrema destra. E non solo, 
                  siccome l'appetito vien mangiando, dal “doppio” 
                  si passa ora al “quadruplo”. A quando il raddoppio?
                 
                   
                     | 
                   
                   
                    |   Enrico 
                        Maltini, autore della recensione  
                        pubblicata in queste pagine, è  co-autore 
                        del volume “e a finestra  c'è la morti. 
                        Pinelli: chi c'era  quella notte” 
                        (Zero in condotta,  Milano 2013,
                        pagg. 168, € 10,00).  
                        Maltini, negli anni a cavallo della  strage 
                        di stato, fece parte  (con Giuseppe Pinelli
                        e alcuni altri)  della Crocenera Anarchica.   
                        L'altro co-autore, Gabriele Fuga,  
                        avvocato, ha curato su questa rivista  
                        per un periodo (negli anni '80)  la rubrica 
                        “L'avvocato del diavolo”.  
                        Stralci dal loro libro sono stati  pubblicati 
                        in “A” 378 (marzo 2013)  | 
                   
                 
                  Il mutante 
                  È infatti la volta de L'infiltrato di Egidio Ceccato 
                  (Ponte alle Grazie, pp. 324, € 14,00, introduzione di Paolo 
                  Cucchiarelli), di genere fantastico, se non avesse la pretesa 
                  di considerarsi un lavoro storico. Il libro è infarcito 
                  di frasi del tipo: “Un elemento cardine di questa strategia 
                  è l'infiltrazione...”; “...a un certo punto 
                  l'anello anarchico si agganciò a quello dei gruppi marxisti-leninisti 
                  e nazimaoisti e ambedue finirono manovrati da menti di Ordine 
                  Nuovo e Avanguardia Nazionale...”; “...l'Andreola 
                  metteva a segno la sua infiltrazione...nel gruppo rivoluzionario 
                  di Feltrinelli e in quello anarchico...”; “...Chittaro 
                  Giuseppe aveva nel corso del 1969 infiltrato i circoli anarchici 
                  milanesi...”; “ ...viene infiltrato tra i gruppuscoli 
                  anarchici e dell'estrema sinistra...”; “E lo stesso 
                  Feltrinelli fu un ingenuo strumento nelle mani dei servizi e 
                  della destra, che lo fecero saltare letteralmente in aria mettendo 
                  in mano all'editore-bombarolo dei timer difettosi preparati 
                  appunto da quel Gunter che si era conquistato la fiducia tanto 
                  incondizionata quanto malriposta dell'imprenditore...” 
                  E via di questo passo, tra “anarco-marx-lenin-nazimaoisti”(?), 
                  infiltrati, traditori e vittime ignare. 
                  La storia narrata, incentrata sulla figura di un diabolico pluri-infiltrato 
                  di nome Berardino Andreola, è completamente campata in 
                  aria, come dimostriamo in queste brevi note. Avremmo potuto 
                  anche lasciar perdere, ma non possiamo accettare la presunzione 
                  – non solo di Ceccato – di poter tranquillamente 
                  affermare, senza prova alcuna, che gli anarchici sono perennemente 
                  preda di infiltrati e manipolatori, in balia di ogni burattinaio 
                  di passaggio e che così fu anche a Milano al tempo della 
                  strage di piazza Fontana. 
                  L'infiltrato sarebbe tale Berardino Andreola, già coinvolto 
                  nel 1975 nel fallito sequestro in Sicilia dell'ex senatore democristiano 
                  Graziano Verzotto. Un delinquente comune, figlio di un maresciallo 
                  dell'Ovra e lui stesso fascista, più volte condannato 
                  per truffa, traffico d'armi e altri reati comuni, ma dipinto 
                  da Ceccato come abile spia di un oscuro servizio tedesco. Ebbene, 
                  ai tempi di piazza Fontana e negli anni seguenti, questa stessa 
                  persona si sarebbe “trasformata”, a fini di provocazione, 
                  assumendo nel tempo le generalità di ben altri quattro 
                  personaggi, variamente infiltrandosi tra gli anarchici e non 
                  solo. 
                  I personaggi via via interpretati sono: un confidente di Allegra 
                  e Calabresi di nome Giuseppe Chittaro Job, poi un tale Giuliano 
                  De Fonseca, in seguito tale Umberto Rai e infine un uomo chiamato 
                  Gunther. Tutti costoro sarebbero la stessa persona, ovvero l'Andreola. 
                  Fin qui si potrebbe trattare di fantasie innocue, di cui il 
                  Ceccato si assume la responsabilità. 
                  Ma l'autore dà anche per certo che il Chittaro si sarebbe 
                  davvero infiltrato fra gli anarchici, insistendo sui: “...contatti 
                  di Chittaro/Andreola con gli anarchici milanesi...” (ma 
                  quando mai?). Ma non solo, perché lo stesso Andreola 
                  sarebbe poi entrato in relazione, questa volta con il nome di 
                  Umberto Rai, ancora con “noti anarchici” e con Giangiacomo 
                  Feltrinelli, ed è con il nome di Gunther, sotto il traliccio 
                  di Segrate nel 1972, che l'Andreola/Gunther ne avrebbe volontariamente 
                  causato la morte, grazie alla manipolazione del timer che l'editore 
                  stava maneggiando, per poi dedicarsi, con il nome di De Fonseca, 
                  al depistaggio delle indagini sulla sua morte. Il tutto senza 
                  fornire il minimo riscontro o una prova. Sarebbe invero stata 
                  sufficiente qualche verifica per evitare figuracce e rendersi 
                  conto che si tratta di persone del tutto diverse tra loro. Una 
                  verifica sull'età ci dice che Andreola nacque a Roma 
                  nel 1928; Chittaro, come da rapporti di polizia e da certificato 
                  anagrafico di nascita, a Udine nel 1940; Rai nasce a Milano 
                  nel 1923, come da documentazione della questura di Milano e 
                  dal mandato di fermo del 15 dicembre 1969, mentre il Gunther 
                  risulta nato fra il 1927 e il 1931. Quanto alle morti, si sa 
                  di Andreola nel 1983, a 55 anni e di Gunther nel 1977. 
                  Da altre verifiche si apprende anche che nel 1975 l'Andreola, 
                  dal carcere di Palermo, si propose come informatore sulle Br 
                  ai giudici di Torino, che dopo averlo sentito lo bollarono per 
                  “manifesta inattendibilità” e “calunnia”. 
                  Berardino Andreola, condannato per tentato sequestro a scopo 
                  di estorsione, rimarrà in carcere dal 1975 fino alla 
                  sua morte, nel carcere di Fossombrone, nel 1983. 
                   
                  Chi erano? 
                  Ma chi erano nella realtà storica questi personaggi? 
                  Per ragioni di spazio, riportiamo solo alcuni elementi, ma molti 
                  altri ve ne sarebbero: Chittaro, di corporatura media, era un 
                  mezzo mitomane che nel 1969 bazzicava (a suo dire) l'ex hotel 
                  Commercio e l'allora casa dello studente occupati, nonché 
                  i gradini del Palazzo di Giustizia di Milano, dove l'anarchico 
                  Michele Camiolo faceva lo sciopero della fame. Uno che viveva 
                  di espedienti, non troppo alfabetizzato, (nelle sue lettere 
                  si legge ad esempio l'aradio, la scuadra politica...), 
                  più volte condannato per truffa, sostituzione di persona 
                  e anche traffico di armi (due fucili), ma che godeva di strani 
                  agganci in Francia e Svizzera presso questure e consolati. Con 
                  questo tizio aveva stretti rapporti il capo dell'ufficio politico 
                  della questura milanese Antonino Allegra, che sperò fortemente 
                  di trarre da lui confidenze determinanti per accusare gli anarchici, 
                  tanto da inviare il commissario Calabresi a Basilea, per un 
                  incontro con lui presso il consolato, addirittura il 13 dicembre, 
                  giorno dopo la strage. Una trasferta che si rivelerà 
                  del tutto infruttuosa. Anni dopo, nel 1980 – si noti che 
                  Andreola era in carcere – il Chittaro fu oggetto di numerosi 
                  articoli sul quotidiano Lotta continua, su l'Unità e 
                  altri giornali, perché coinvolto in una complicata e 
                  oscura storia di falsi documenti e depistaggi sulla morte di 
                  Feltrinelli. Chi lo incontrò allora ricorda che il Chittaro 
                  si vantava sempre di grande dimestichezza con l'editore. 
                  Gunther era il soprannome di Ernesto Grassi, che non era un 
                  traditore né un assassino e non ha manipolato alcun timer, 
                  ma era operaio in una fabbrica di Bruzzano, con un'esperienza 
                  di partigiano in Valtellina, faceva parte dei Gap di Feltrinelli 
                  e la tragica sera del maggio 1972 era davvero con l'editore, 
                  ma doveva occuparsi del traliccio di Gaggiano e non di Segrate. 
                  Chi lo ha conosciuto descrive fisicamente Gunther come molto 
                  piccolo e minuto. Umberto Rai era al contrario molto alto e 
                  robusto, ex pugile ed ex partigiano, di professione pittore, 
                  con lievi precedenti per reati comuni, fermato a Milano dopo 
                  la strage perché in precedenza indicato da “fonte 
                  confidenziale” (Anna Bolena) come implicato nelle bombe 
                  sui treni dell'agosto '69. Rai frequentava allora, come molti 
                  “alternativi”, anarchici compresi, i locali di Brera 
                  e anche a lui furono chieste da parte di Allegra e Calabresi 
                  e, ancora una volta invano, confidenze sugli anarchici (su Paolo 
                  Braschi in particolare), come si ricava da un lungo interrogatorio 
                  in data 13 dicembre 1969. 
                 Il 
                Rai lavorò un paio di settimane per Feltrinelli, pare come 
                guardiaspalle di Rudi Dutsche, ospite dell'editore. Nel 1969, 
                testimoniò in Germania al processo per la strage nazista 
                di ebrei del settembre 1943 a Meina sul Lago Maggiore, ma fu ritenuto 
                inaffidabile dalla corte. Dal canto suo l'Andreola, nell'unica 
                foto pubblicata nel libro e scattata nel 1977, appare un tipo 
                normale e un po' sovrappeso. 
                   
                  Anche Pinelli e Calabresi 
                  Ma le sorprese del nuovo libro non finiscono qui: l'autore non 
                  dà nulla per certo, ma lascia intendere che anche la 
                  morte di Pinelli e quella del commissario Calabresi sarebbero 
                  in larga misura riconducibili al ruolo del Chittaro/Andreola: 
                  ruolo di confidente “infiltrato negli ambienti anarchici”, 
                  che Pinelli avrebbe smascherato quella notte in questura, condannandosi 
                  così a morte. Mentre per Calabresi, oltre a ritenere 
                  che: “... si fosse troppo avvicinato a verità delicate 
                  in materia di traffici di armi ed esplosivi, non è da 
                  escludere neppure che egli stesse indagando sulla vera identità 
                  e sulla reale collocazione politica del soggetto incontrato 
                  a Basilea il 13 dicembre 1969 e presentatosi col nome di Giuseppe 
                  Chittaro”, dunque anche lui colpevole di aver scoperto 
                  il ruolo o i ruoli giocati dall'Andreola, di cui era prima all'oscuro. 
                  Il contenuto di fondo del libro è che la strategia della 
                  tensione fu opera della parte più retriva della destra 
                  italiana, con la complicità di Cia & co e il ruolo 
                  chiave dell'Ufficio Affari Riservati, e fino a qui e senza entrare 
                  in dettagli, siamo alla versione ormai accettata da tutti. Ma 
                  la tesi che ci sta dentro è sempre quella degli anarchici 
                  sprovveduti e infiltrati, del Feltrinelli ingenuo e manipolato 
                  e, come nel libro si suggerisce, dandone per scontata la responsabilità, 
                  anche degli “eterodiretti” militanti di Lotta continua 
                  condannati per l'uccisione di Calabresi, che come burattini 
                  tirati da fili malefici eseguivano i calcolati disegni delle 
                  forze oscure della destra eversiva. Come Cucchiarelli, Ceccato 
                  non riesce a concepire che Pinelli, Valpreda e gli anarchici 
                  non c'entrassero assolutamente nulla con la bombe del 12 dicembre 
                  e che quello di Feltrinelli sia stato un incidente. Chittaro 
                  è certamente un personaggio oscuro, manipolato e manipolatore, 
                  ma non aveva nulla a che fare con l'Andreola e se davvero tentò 
                  di infiltrarsi tra gli anarchici, proprio non ebbe successo. 
                  Ovviamente anche nelle pagine di questo libro, come in quello 
                  di Cucchiarelli, fa capolino un misterioso mister X, questa 
                  volta chiamato “Anonimo mafioso”, intento a raccontarci 
                  vicende tanto oscure quanto indimostrabili. Siamo, in ultima 
                  analisi, di fronte una forma di intossicazione, consapevole 
                  o no che sia, di un pezzo di storia negli anni della strategia 
                  della tensione. Ceccato ha detto in una intervista che: “ 
                  ...su chi è stato (l'Andreola ndr) e su quanto 
                  ha fatto esistono riscontri ben precisi, capaci di riscrivere 
                  una nuova verità storica con cui la società, non 
                  solo italiana, dovrà per forza fare i conti”. 
                  Trame e complotti contrassegnarono davvero quel periodo e la 
                  verità storica deve essere scritta. Ma un conto è 
                  studiarla, altro è inventarla. 
                 Enrico Maltini
                  Questo articolo riprende, ampliandola, una recensione pubblicata 
                  su Il Manifesto del 16 ottobre 2013 a firma Saverio Ferrari, 
                  Enrico Maltini, Elda Necchi. 
                 
                   
                   
                    (Post)anarchismo 
                  queer/
                   Rapporti imprevedibili tra individualità e socialità 
                  
                àltera, Collana di intercultura di genere diretta da 
                  Liana Borghi e Marco Pustianaz, ha appena pubblicato il saggio 
                  del ricercatore Samuele Grassi Anarchismo Queer un'introduzione 
                  (ETS Edizioni, Firenze 2013 pp. 201, € 18,00). Una miscellanea 
                  di contributi, quasi enciclopedica, per un'introduzione, appunto, 
                  al complesso, multiforme, variegato, inafferrabile “anarchismo 
                  queer”. “Un punto fermo, non scritto” dal 
                  quale cominciare, considerato che sul piano teorico lo studio 
                  è ancora tutto in divenire. 
                  L'autore dichiara di voler esplorare connessioni possibili tra 
                  l'etica anarchica e le teorie queer allacciandosi all'ambito 
                  anglofono, per valutare se siano traducibili ad altri contesti 
                  come quello italiano. 
                  La quarta di copertina ben ne sintetizza gli assunti: “Il 
                  queer mina alla base l'acronimo lgbt, si rifiuta di diventare 
                  l'ennesimo prodotto-immagine della cultura globalizzata, di 
                  essere cooptato dal neoliberismo; sfugge, sempre differente, 
                  inassimilabile”. Ancora: “L'anarchismo oggi è 
                  alla ricerca di nuove pratiche etiche della responsabilità, 
                  di libertà e solidarietà per negoziare rapporti 
                  imprevedibili tra individualità e socialità. All'incrocio 
                  di queste due pratiche teoriche e attiviste, l'anarchismo queer 
                  manda in crisi le opposizioni binarie come etero/omo, bianco/nero, 
                  teoria/attivismo, e le sostituisce con espressioni singolari, 
                  autonome, antiautoritarie, in continuo divenire antagonista”. 
                  Samuele Grassi, nel condividere la riflessione teorica di Benjamin 
                  Shepard, individua affinità tra prassi postanarchiche 
                  e queer riconducibili alla scelta di “piacere” e 
                  “democrazia diretta” versus le logiche del profitto, 
                  mentre il concetto di libertà è basato sull'auto-determinazione 
                  che comprende anche “esperienze eclettiche, dinamicità 
                  e sperimentazione” e critica anti-essenzialista alla normatività. 
                  Per una critica anti-normativa delle e sulle differenze di genere/sesso/sessualità, 
                  classe, razza, abilità, lo studio considera gli approcci 
                  metodologici dell'intersezionalità e dell'interculturalità, 
                  che permettono di vedere come le prime si realizzino nell'ambito 
                  della gestione biopolitica dei corpi, dimostrando zone di contatto 
                  e incontro tra i due approcci e la teoria queer. 
                  Il queer mette in crisi il concetto di identità sessuali 
                  naturali, libera la sessualità così da poter contribuire 
                  al cambiamento sociale attraverso “la limitazione di ogni 
                  ordine morale imposto, a cominciare da quello che sottrae libertà 
                  ai nostri corpi”. 
                  Al riguardo, l'attivismo pink intende sovvertire il primato 
                  delle strutture dicotomiche che legittimano le forme di potere 
                  tradizionali, attribuendo al colore l'indicatore della lotta 
                  a ogni forma di oppressione. Grassi sottolinea gli importanti 
                  contributi nell'ambito del teatro alternativo anche in Italia. 
                  L'aspetto ludico di certe pratiche, soprattutto quelle più 
                  teatrali, rappresentano prima di tutto un atto di sovversione 
                  perché viene a mancare la logica oppositiva dello scontro, 
                  che invece è strumentale ai procedimenti con cui il potere 
                  legittima la necessità di ricorrere alla violenza e alla 
                  repressione da parte delle forze dell'ordine. Sono forme di 
                  protesta antiautoritarie, modi alternativi di fare mondo, forme 
                  ludiche di resistenza effimere e imprevedibili. 
                  In Italia, per democratizzare desideri e pratiche sessuali, 
                  “contro le politiche di disciplinamento dei corpi” 
                  un approccio aperto alla sessualità è stato portato 
                  avanti da gruppi e progetti antagonisti. Lo studio discute dei 
                  gruppi: Antagonismogay/ Maschieramenti, FrangettEstreme, Mujeres_Libres, 
                  Sexyshock di Bologna; A/Matrix, OrgogliosamenteLGBTIQ (Lesbian, 
                  Gay, Bisexual, Transgender, Intersex, Queer), Phag Off! e il 
                  collettivo Facciamobreccia di Roma; Pornflakes queer crew di 
                  Milano e la Torino Samba Band. 
                  La ricerca del piacere è vista in termini affettivi anziché 
                  produttivi, come relazionalità anziché procreazione. 
                  Le tappe della lotta al potere si esplicitano, quindi, attraverso 
                  la pornografia come strumento di liberazione, la causa del sexwork, 
                  come lavoro autonomamente scelto e autogestito, oppure la sessualità 
                  restituita a una cultura delle relazioni capace di valorizzare 
                  le differenze, lontana dai ruoli e dagli irrigidimenti identitari. 
                  Il sesso kinky, invece, attraverso l'aspetto ludico dell'assunzione 
                  di ruoli, smaschera la realtà oppressiva delle relazioni 
                  di potere esistenti nella vita quotidiana 
                  Nell'ambito della critica all'eteronormatività, il queer 
                  delegittima il valore intrinseco alle identità sessuali 
                  dominanti, anche attraverso un confronto con alcuni princìpi, 
                  da quelli di democrazia, pluralismo, singolarità, ai 
                  princìpi di etica, sostenibilità e responsabilità. 
                  Concetto quest'ultimo ripreso dal femminismo di Judith Butler, 
                  la quale propone “un'etica della responsabilità” 
                  che si apre all'incontro con e tra differenze, nel momento in 
                  cui il soggetto si rende umilmente consapevole della propria 
                  vulnerabilità, della non completa conoscenza di sé, 
                  aspetto che lo pone in necessaria relazione con l'Altro. E di 
                  questo se ne deve tener conto. 
                  Sandra Jeppesen parla altresì del compito di praticare 
                  un'“etica nomadica e pluralista” in cui la nostra 
                  responsabilità verso il sé è connessa alla 
                  responsabilità profonda verso gli altri. Non c'è 
                  libertà del sé in assenza di quella degli altri. 
                  Sempre all'interno della ricerca di nuove pratiche etiche, nella 
                  parte conclusiva del saggio si sottolinea che l'etica hacker 
                  è un'etica dell'anarchismo poiché è fondamentale 
                  riuscire ad accedere alla rete/networking, su cui si fonda internet, 
                  per un accesso libero e condivisione libera di saperi. Di importanza 
                  strategica l'Oral History Project, il monumentale archivio circolante 
                  in internet, che mette a disposizione documentazione di forme 
                  di relazionalità dissidenti e strategie politiche considerando 
                  la mobilitazione degli affetti, per una liberazione delle norme 
                  del sesso/genere. Comunque, aver accesso a computer, applicazioni, 
                  gestire in modo autonomo strumenti e informazioni, rifiutando 
                  ogni forma di autorità e controllo che possa impedire 
                  l'accesso alle conoscenze, significa utilizzare internet e l'informatica 
                  come una forma di arte, come strumento capace di migliorare 
                  il mondo. Quindi, l'etica hacker è un'etica libertaria 
                  che va oltre la contro-informazione per giungere a contrastare 
                  il monopolio informativo. 
                  Nel tentativo di cogliere le molteplici sfaccettature del mondo 
                  queer, dal mio marginale punto di vista, considero importante 
                  che le proposte, sollecitazioni, dubbi sollevati, problemi aperti 
                  sempre soggetti a interrogazione non rimangano solo “nella 
                  sfera intimamente pubblica” di chi ha condiviso con l'autore 
                  il “viaggio collettivo” di collaborazione, come 
                  si legge nei “Ringraziamenti” all'inizio del saggio. 
                  In particolare, a proposito della circolazione dei saperi, credo 
                  si debba affrontare il problema della divulgazione su vasta 
                  scala per contribuire in modo costruttivo,– e non solo 
                  nell'impianto teorico per “sciogliere rigidità 
                  epistemologiche” –, a relativizzare gli schemi interpretativi, 
                  a non categorizzare, a pluralizzare i punti di vista. 
                  Dare a tutt* la possibilità di includere letture possibili 
                  di mondi “altri” è un primo passo per non 
                  stigmatizzarli. La sessualità dovrebbe altresì 
                  essere al centro di una sensibilizzazione di ampio respiro. 
                  L'autore stesso ravvisa l'assenza di leggi in tal senso, per 
                  un'educazione sessuale nella scuola pubblica. Ma rimane aperta 
                  la questione relativa ai luoghi, alle figure designate a parlarne, 
                  sempre più difficile in un contesto come quello italiano 
                  in cui sono forti le pressioni normative di Stato e Chiesa. 
                  Un'educazione sessuale e alla sessualità rischia di proporsi 
                  come una diseducazione, se non comprende anche il riferimento 
                  alla sfera emotiva degli affetti, dei sentimenti, se non contempla 
                  quantomeno la conoscenza di progetti altri, oltre la famiglia, 
                  il matrimonio, la coppia, se non affronta la questione della 
                  decostruzione dei generi. Perché, se è vero che 
                  dipendiamo dall' Altr* – ma chi è l'Altr*? – 
                  è giusto che l'Altr* ne sia reso partecipe. 
                  Conoscere, riflettere, ma allo stesso tempo esercitare la sospensione 
                  del giudizio sarebbe un modo per contrastare in modo efficace 
                  gli stereotipi nei quali navighiamo, e non solo in modo metaforico, 
                  nella quotidianità. Cominciando dal ripensare la lingua 
                  italiana con la quale veicoliamo i nostri pensieri e idee, attraverso 
                  la quale si esprimono e condividono “utopie rinnovabili 
                  di un mondo migliore”, e nella quale prevale, incontrastato, 
                  il “maschile plurale”.
                  Claudia Piccinelli 
                   
                   
                   Anarchismo/ 
                  Più idee che movimento 
                  
                “Immaginiamo che una porzione del suolo 
                  d'Inghilterra sia stata livellata perfettamente, e che in essa 
                  un cartografo tracci una mappa d'Inghilterra. L'opera è 
                  perfetta. Non c'è particolare del suolo d'Inghilterra, 
                  per minimo che sia, che non sia registrato nella mappa; tutto 
                  ha lì la sua corrispondenza. La mappa, in tal caso, deve 
                  contenere una mappa della mappa, che deve contenere una mappa 
                  della mappa della mappa, e così all'infinito”. 
                   
                  Josiah Royce, Il mondo e l'individuo, 1899 
                  Il 
                  paradosso di Royce, a maggior ragione nel caso della mappa di 
                  un movimento politico, mappa che si propone di descrivere un 
                  fatto storico nello spazio e nel tempo, è a mio avviso 
                  particolarmente illuminante. 
                  Il compagno che affronta questa impresa, non solo fa parte della 
                  mappa ma, mediante il proprio lavoro, concorre in misura superiore 
                  alla media a costruire l'oggetto della mappa stessa. 
                  Ne consegue che ogni storia dell'anarchismo e ogni antologia 
                  di testi anarchici va valutata non solo col pur necessario rigore 
                  storico e filologico, ma in primo luogo come fatto politico. 
                  Che cosa dunque caratterizza Anarchismo. Le idee e il movimento 
                  (Laterza, Bari 2013, pp. 164, € 12,00) di Gianfranco Ragona? 
                  A mio avviso un interesse non usuale che data da lungo tempo, 
                  per esperienze e vicende che altre, e pur pregevoli ricerche, 
                  non hanno esaminato. 
                  Mi riferisco certamente al rapporto tra anarchismo ed ebraismo, 
                  sul quale l'autore ha scritto diversi testi, quale ad esempio 
                  “Storia di un incontro. Un convegno su anarchici ed ebrei” 
                  in Umanità Nova (LXXX, n. 18, 21 maggio 2000). 
                  Soprattutto credo sia rilevante il lavoro di scavo e di approfondimento 
                  nel merito delle vicende del movimento anarchico di lingua tedesca, 
                  e in particolare sul contributo di Gustav Landauer alla teoria 
                  e alla prassi anarchica. Su Landauer, fra l'altro, Gianfranco 
                  Ragona ha recentemente pubblicato Gustav Landauer anarchico 
                  ebreo tedesco (Editori Riuniti University press 2010). 
                  È mia opinione, come affermavo in premessa, che nelle 
                  ricerche serie, e quella di Ragona lo è, il lavoro di 
                  scavo intorno alle radici e alle vicissitudini del movimento 
                  anarchico è funzionale in qualche misura alla reinterpretazione 
                  dello stesso anarchismo e del suo ruolo qui e oggi e in prospettiva. 
                  Se assumiamo l'ipotesi, che può sembrare provocatoria, 
                  che non vi sia un anarchismo ma diversi anarchismi, certamente 
                  è dirimente il peso che si dà alle diverse vicende 
                  che l'anarchismo ha attraversato. Ragona sicuramente ha un interesse 
                  precipuo per la sfera etica e per i tentativi di contro società. 
                  Non è casuale, credo, che l'esito della ricerca di Ragona 
                  valorizzi più la funzione di stimolo culturale, pur ricchissimo, 
                  della teoria, più che il movimento anarchico come soggetto 
                  sociale e politico. Un'ipotesi sulla quale ho i miei dubbi, 
                  ma che merita di essere presa in seria considerazione. 
                 Cosimo Scarinzi 
                  |