rivista anarchica
anno 43 n. 384
novembre 2013




Il mito dello stato

di Andrea Staid


Nella storia della disciplina antropologica da sempre anche le correnti più classiche si sono occupate dello stato. Questi svariati lavori rientrano nel filone dell'antropologia politica che concerne studi sulle diverse strutture del sistema politico, sull'organizzazione gerarchica della società, sullo studio dello spazio, dei territori e soprattutto sulla base che forma la società.
Sono molti gli autori rilevanti che si sono occupati di antropologia politica e della questione dello stato, solo per citarne alcuni: Pierre Clastres, Edward Evan Evans-Pritchard, Meyer Fortes, Georges Balandier, Fredrik Bailey, Jeremy Boissevain, Marc Abélès, Jocelyne Streiff-Fenart, Ted C. Lewellen, Robert L. Carneiro, John Borneman, Joan Vincent, Marshall Sahlins e tanti altri.
Più volte, anche sulle pagine di questa rivista, si è parlato di Pierre Clastres e della sua importante opera Le società contro lo stato, ma questo per fortuna non è l'unico libro che affornta la tematica. È infatti importante sottolineare che sono molti gli antropologi che si sono occupati della questione, anzi si potrebbe dire che tutti gli antropologi libertari hanno affrontato nei loro studi, nelle loro etnografie la questione dello stato, della sua gerarchia, della stratificazione del potere e del suo farsi dominio e sfruttamento.
Uno di questi antropologi libertari che si è occupato profondamente e per molti anni della tematica è Harold Barclay. Questo antropologo anglosassone, classe 1924, è professore emerito di antropologia all'università dell'Alberta a Edmonton (Canada), la sua ricerca si è focalizzata su la società rurale nell'Egitto moderno e nel Sudan settentrionale, così come sull'antropologia politica e antropologia delle religioni. Oltre alla sua attività accademica è considerato un teorico anarchico che si è specializzato in teorie per la distruzione dello stato e sulle possibilità reali che può avere oggi una società senza stato e senza leader. Ha scritto diversi articoli e monografie tra le quali una particolarmente interessante, purtroppo mai tradotta in Italia: People without government: an anthropology of anarchy (rev. ed., Seattle, Left Bank Books, 1990).
Da poche settimane anche in Italia è uscito in libreria uno dei suoi ultimi lavori, ovvero Lo stato, breve storia del Leviatano, (Elèuthera, Milano, 2013) che in modo molto semplice ma rigoroso, attraverso la sua esperienza etno-antropologica pluri decennale, ci spiega le origini e la costituzione dello stato.
Molto è stato scritto e detto sulla natura dello stato e sulla questione della sua origine ed evoluzione, ma questo saggio aggiunge una interpretazione originale e interessante per i lettori libertari e per gli antropologi.
Questo libro attinge principalmente da due orientamenti. Il primo è l'insieme di dati empirici dell'antropologia e dell'archeologia; il secondo è costituito dalla teoria anarchica che può essere considerata come una specifica espressione di una più generale teoria del conflitto. L'autore sostiene che i dati dell'antropologia confermano una teoria anarchica del governo. Ovviamente parla della teoria che rifiuta lo stato in quanto fondamentalmente e inevitabilmente dispotico, e nega il fatto che non si possa vivere senza stato sottolinenado che vivere in una società statale è solamente una delle opzioni che gli esseri umani si possono dare e non l'unica.
Dalla parte dello stato troviamo sempre quella fastidiosa retorica che lo raffigura come un'istituzione benevola, tesa a fornire un'ampia gamma di servizi essenziali. Questi includono la difesa della proprietà e della persona, scuole, biblioteche, buone strade, reti fognarie, soccorso in caso di calamità, difesa del territorio, uniformità delle unità di misura, garanzie sulla qualità del cibo e altri servizi. Non c'è alcun dubbio che la lista dei servizi potrebbe essere anche più lunga ma in cambio della nostra servitù. I difensori dello stato sostengono che senza di esso noi non potremmo godere di nessuno di questi servizi.
Questo principio è in totale antitesi col punto di vista anarchico, e in questo saggio Barclay lo spiega bene, affrontando le questioni sollevate da questi due punti vista contrapposti. Gli esempi sono tanti di come invece è stato ed è tuttora possibile vivere senza stato e senza rinunciare ai servizi sopra elencati: lo si può fare cambiando il modo di gestirli, ovvero non più dall'alto in modo gerachico, ma dal basso in modo diffuso nella società attraverso l'autogestionene. Nel testo l'autore fa un esempio particolarmente calzante, confrontando corpo umano e stato: “Si sostiene a volte che il corpo umano è ordinato dal suo meccanismo centrale di controllo, il cervello. Ma lo stesso cervello è un organo immensamente complesso che deve catalogare una quantità enorme di informazioni e gestire innumerevoli messaggi. E non ha alcuna amministrazione centrale”.
Ovunque l'ordine è creato dal 'caos' o da una congerie di processi auto-organizzati. Messa in altro modo, gli individui (siano esse persone, organismi, atomi o altro) interagiscono con l'ambiente e conseguentemente producono inaspettati e ordinati risultati.
La nozione che tutti i fenomeni necessitino di una testa o debbano essere controllati da un'organizzazione centrale è un sotterfugio promosso dallo stato. È simile al postulato secondo il quale se non ci fossero polizie e galere la vita sprofonderebbe nel caos assoluto. I vicini comincerebbero a massacrarsi gli uni con gli altri, i mariti massacrerebbero le mogli, e tutti scassinerebbero i negozi per rubare a volontà. Ma se gli esseri umani avessero realmente una tale inclinazione ci sarebbe bisogno di un poliziotto per ogni individuo e altri poliziotti per controllare la polizia. Il che non corrisponde alla realtà. (Barclay, 2013)
Eric Drooker, The argument (drooker.com)

Continuando la lettura del testo l'autore ci fa notare che la storia dimostra come lo lo stato sia un'istituzione oppressiva e violenta relativamente recente, e che per migliaia di anni gli esseri umani hanno vissuto su questa terra senza questa istituzione. Ma poi ci pone anche diverse domande: se lo stato è oppressivo, perché fornisce così tanti servizi sociali? Come ha avuto origine l'idea stessa di stato? Esistono alternative all'organizzazione statale?
Gran parte di questo saggio si concentra sull'analisi dei vari requisiti ritenuti necessari alla formazione dello stato e delle differenti forme che ha assunto nei diversi luoghi del pianeta. La certezza è che lo stato, per formarsi, necessita di un grande sviluppo della gerarchia, di una separazione del corpo sociale e della disuguaglianza nell'accesso al potere e alla ricchezza.
Dopo la lettura di questo saggio diventa ancora più chiaro come non sia corretto ritenere, come fanno molti storici “ufficiali”, che con lo stato nasca la società umana e la ricerca della pace da parte della stessa. Gli esseri umani hanno sempre cercato di organizzarsi socialmente (basta pensare che per la maggior parte della storia dell'umanità abbiamo vissuto senza stato, in collettività – tribù, clan ), creando rapporti inter-tribali e intra-tribali tendenti al mutuo appoggio. Lo stato altro non è che una particolare forma organizzativa, o meglio, una degenerazione organizzativa che da un certo momento in poi l'umanità si è data, o, più correttamente, che alcune minoranze hanno imposto alla maggioranza. Come sostiene Barclay in People without government: an anthropology of anarchy “lo stato è uno dei miti universali del nostro mondo moderno”. Un mito conculcato dallo stato stesso, che tipicamente tende a confondere lo stato con la società. I due concetti sono infatti spesso ritenuti equivalenti, se non altro per confermare la credenza che senza lo stato la vita non sia possibile. La società e la vita in generale sono assolutamente possibili senza stato. Non c'è bisogno dello stato per vivere liberi, anzi è corretto ribaltare questa affermazione: per vivere liberi non ci deve essere lo stato.

Andrea Staid
andreastaid@gmail.com