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                John Wayne e Rachel Corrie  
                di Nicoletta Vallorani 
                  
                 Quest'anno 
                  farò un corso sulle rappresentazioni della guerra. Uno 
                  e mezzo, per la verità. È una singolare preveggenza, 
                  la mia, che mi ha indotto a pensare che fosse un tema importante 
                  ancora prima che Obama facesse un discorso simile in modo imbarazzante 
                  a quello di Bush Junior e prima che il papa, che qualunque dio 
                  lo abbia in gloria, cominciasse a digiunare e a twittare contro 
                  la guerra. Preferisco non commentare l'insistenza sulle necessità 
                  di salvaguardare la sicurezza nazionale, e sono moderatamente 
                  certa che i miei corsi non avranno a che fare con questo. Non 
                  sono dell'idea che si possa pensare di bombardare un paese per 
                  portare la pace, e direi anche, ripetendo una considerazione 
                  di grande banalità, che prima di mettersi ad armare le 
                  truppe perché vadano a salvare i civili uccisi dai gas, 
                  forse ci si dovrebbe chiedere chi accidenti glieli ha venduti 
                  quei gas ai paesi che li usano. E la sicurezza non ha proprio 
                  niente a che fare con tutto questo. Direi che è materia 
                  di economia, e di introiti, e di traffici sommersi, e di accordi 
                  di potere. 
                  Quest'anno farò un corso e mezzo su come, nella storia 
                  recente e non, ci si sia applicati metodicamente e collettivamente 
                  a massacrarsi a vicenda, senza una ragione sensata, perché 
                  non esiste ragione sensata per un massacro. La letteratura e 
                  il cinema sono stati strumenti magistrali nel rappresentare 
                  questa insensatezza, quando non l'hanno sostenuta a tinte forti, 
                  arruolando John Wayne e Charlton Heston. Peccato che rappresentare 
                  l'insensatezza non sia servito a una beatissima cippa. Gli intellettuali, 
                  come si sa, sono gente inutile, fannulloni che osservano il 
                  cielo e non hanno fegato abbastanza per imbracciare un fucile. 
                  Questo dicono. Personalmente, ritengo che ci voglia molto più 
                  fegato a farsi passar sopra da un carro armato o da un bulldozer 
                  corazzato cercando di fermarlo (ve la ricordate Rachel Corrie? 
                  Le avete mai viste le immagini?) che a montarci sopra, per stupidità 
                  o per dovere, perché a combattere davvero ci vanno solo 
                  gli imbecilli, gli esaltati e i poveracci. Ho molto rispetto 
                  per la morte di chiunque, sia chiaro. Me la cavo meno nel rispetto 
                  nei confronti dei governanti che lanciano il sasso e nascondono 
                  la mano. La responsabilità della scelta è poca 
                  cosa se di essa non si pagano le conseguenze. 
                  Quest'anno, all'università, farò un corso per 
                  spiegare ai miei studenti come i modi, i tempi, le armi e le 
                  strategie siano cambiate dalla prima guerra mondiale a oggi. 
                  La sostanza tuttavia è sempre rimasta la stessa. E non 
                  si tratta di una saggissima legge universale, capace di sopravvivere 
                  al tempo in virtù della sua immortale verità. 
                  Piuttosto, è un gioco da bambini. Un gara di centimetri, 
                  cioè: facciamo a chi ce l'ha più lungo. Lo so, 
                  è un discorso greve e poco femminile. Ma sono sicura 
                  che dev'essere ben più greve, e di certo poco femminile, 
                  trovarsi malauguratamente a vivere in un paese che a un certo 
                  punto viene etichettato come una minaccia per la sicurezza internazionale. 
                  E pertanto campo di battaglia. 
                  Quest'anno spiegherò ai miei studenti come si sia evoluta, 
                  e non per il meglio, la nozione di eroismo. Ed è interessante, 
                  perché si è passati dalla forza muscolare e fuori 
                  tempo e luogo di Capitan America, con la sua ridicola calzamaglia 
                  e il suo amor di patria recalcitrante, tenero e demodé, 
                  alla scaltra presunzione dell'ideatore di Argo, che nel film 
                  omonimo riesce a turlupinare generici arabi come se fossero 
                  ritardati. Niente muscoli, ma la forza irresistibile di un'intelligenza 
                  tutta occidentale. Il fardello dell'uomo bianco: da Kipling 
                  in avanti, forse, il colore è cambiato, ma la sostanza 
                  dell'operazione resta la stessa. L'occidente a quello che è 
                  meglio. L'occidente è evoluto e civilizzato. L'occidente 
                  è persino magnanimo e interviene solo a fin di bene. 
                  Come in Vietnam. A Serajevo. In Afghanistan, Iraq, Iran. 
                  Siria. 
                  Quest'anno concluderò il mio corso con un silenzio. Una 
                  volta spiegati i modi e i tempi delle rappresentazioni della 
                  guerra, si può solo tacere. Perché, come diceva 
                  Vonnegut, non c'è mai niente di sensato da dire su un 
                  massacro.
                
  Nicoletta Vallorani
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