rivista anarchica
anno 43 n. 384
novembre 2013


religiosità

Per una religione anarchica?

di Peter Lamborn Wilson
con nota a margine di Federico Battistutta


Noto soprattutto per il suo libro sulle Taz (Zone temporaneamente autonome), l'anarchico statunitense, meglio noto con lo pseudonimo Hakim Bey, si occupa qui di anarchismo e religione e auspica il superamento del tradizionale ateismo professato dalla grande maggioranza degli anarchici.


Si dice spesso che noi anarchici “crediamo che gli esseri umani siano fondamentalmente buoni” (proprio come il saggio cinese Mencio). E però alcuni di noi mettono in dubbio il concetto di bontà intrinseca e rifiutano il dominio di altre persone proprio perché non ci fidiamo dei bastardi.
È poco intelligente fare generalizzazioni a proposito di “credenze” anarchiche, visto che molti di noi sono atei o agnostici, mentre altri potrebbero essere persino cattolici. Ovviamente alcuni anarchici amano indulgere nello sgradevole e inutile esercizio di scomunicare i compagni che professano una fede differente.
Per quanto mi riguarda, questa tendenza da parte di gruppuscoli antiautoritari di denunciare ed escludere l'altro mi ha sempre colpito come una pratica piuttosto cripto-autoritaria. Mi è sempre piaciuta l'idea di una definizione di anarchismo abbastanza ampia da coprire quasi tutte le varianti di una sorta di dogma acefalo, ma che nonostante tutto costituisce in qualche modo un “fronte unito”; una specie di “unione di egoisti”, per dirla con Stirner.
Questo ombrello dovrebbe essere sufficientemente ampio da coprire gli “anarchici spirituali” tanto quanto la maggior parte dei materialisti inflessibili.
Come è noto, Nietzsche fondò il suo progetto sul “nulla”, ma finì per abbozzare una sorta di religione senza morale e persino senza dio: “Zarathustra”, “vincere”, “l'eterno ritorno”, eccetera. Nei suoi ultimi “biglietti della follia” (Wahnbriefe) inviati da Torino, pare eleggere se stesso quale anti-messia di questa fede, firmandosi “Dioniso il Crocifisso”.
Si scopre che anche l'assioma “nulla” richiede un elemento di fede, e può condurre verso un certo tipo di esperienza spirituale o addirittura mistica: l'eretico auto-definito si limita a proporre un credo differente. La morte di Dio è misteriosamente seguita dalla rinascita di dèi: le divinità pagane del politeismo.
Così Nietzsche propone la ri-paganizzazione del monoteismo quando parla come Cristo-Dioniso; per la verità, si tratta di un progetto lanciato già nel Rinascimento da eretici e neopagani quali Giorgio Gemisto, detto Pletone, e Giordano Bruno, quest'ultimo bruciato sul rogo dal Vaticano nel 1600 in Campo de' Fiori a Roma.

Somiglianza tra anarchismo e taoismo?

Questo stesso compito, ovvero la ri-paganizzazione del monoteismo, è stato brillantemente portato avanti dagli schiavi africani che hanno creato la santería, il vodoo, il candomblé e molte altre religioni, nelle quali i santi cristiani vengono identificati o sincretizzati con divinità pagane. Per esempio, Chango è santa Barbara; Oggun, dio della guerra, è l'Arcangelo Michele, ma può anche essere considerato Marte, il dio romano della guerra (si veda Miguel A. De La Torre, Santería, Wm. B. Eerdmans Publishing Company, 2004).
I santi sono “maschere” per gli spiriti degli oppressi, ma non sono semplici travestimenti. Molti santeristas sono cattolici e pagani al tempo stesso, cosa che ovviamente fa ammattire la Chiesa!
Come ha detto il mio amico antropologo Jim Wafer nel suo The taste of blood (Il sapore del sangue), queste fedi del Nuovo Mondo non sono esattamente “oppio dei popoli” (anche tenendo presente la maniera curiosamente positiva e leggermente malinconica in cui Marx usò quella frase), ma piuttosto aree di resistenza contro il potere maligno. Infatti in queste religioni Dioniso può essere Gesù, o Obbatala Ayagguna, in un deliberato delirio di panteismo in cui nulla dipende dalla mera convinzione perché la concreta trance di possessione da parte dei santos (Orishas, Loa) permette a tutti i presenti di vedere, toccare e perfino essere gli dèi stessi. (Una volta, in un bar di Recife, a Wafer è stato offerto un drink da uno sconosciuto che gli ha rivelato di essere una divinità minore amante del rum).
Inoltre, altro aspetto nietzschiano, questi culti valorizzano la magia al di sopra della morale, e credono in dèi anche per queer, ladri, streghe, giocatori d'azzardo e così via.
Oscar Wilde è stato il primo a notare la profonda somiglianza fra l'anarchismo e il taoismo, che strutturalmente è una congerie acefala di sette politeiste pagane, con una tendenza all'eterodossia e all'affermazione di valori sociali non-autoritari.
Ovviamente alcune forme di taoismo, come di qualsiasi altro sistema pagano, sono state profondamente complici con lo stato; le potremmo chiamare ortodossie: in questo senso, sono precursori del monoteismo. Ma lo spirito pagano include sempre anche un elemento anarchico, una resistenza paleolitica allo stato-chiesa e alle sue gerarchie. Il paganesimo crea semplicemente nuovi culti, o riprende quelli antichi rimasti sotterranei: culti che sono e devono essere eretici dal punto di vista del pensiero dominante (Per esempio, l'antico paganesimo europeo è “sopravvissuto” sotto forma di stregoneria medievale, e così via).

Peter Lamborn Wilson

Le varie tipologie di anarchismo spirituale

Nella Roma classica, i culti misterici ellenistici orientali, i sincretismi magici greci, egiziani, babilonesi e persino il pantheon indiano con i suoi rituali, minacciarono l'ordine tradizionale imperiale. In realtà, uno di questi culti, un'eresia ebraica, è riuscito a rovesciare il paganesimo classico.
Ho il sospetto che una dialettica analoga può essere vista all'opera nel XXI secolo negli Stati Uniti, con il loro complesso imperium, il loro sessanta per cento di cittadini che frequenta le chiese, i loro panem et circenses elettronici, la loro coscienza basata sul denaro, eccetera.
Una massa di “culti misterici” orientali e new age continua a proliferare e a metamorfosarsi, generando nel suo complesso una sorta di eterodossia popolare e pagana, una congerie di sette, alcune delle quali intrinsecamente pericolose per l'autorità centrale e per la patologica tecnocrazia capitalista. In realtà le varie tipologie di anarchismo spirituale potrebbero essere citate qui come parte dello stesso spettro.
Propongo che i culti fascisti e fondamentalisti non debbano essere confusi con le tendenze spirituali non autoritarie rappresentate dall'autentico neo-sciamanesimo, da spiritualità psichedeliche o enteogene, dall'americana “religione della Natura”, affine al pensiero di alcuni anarchici come Thoreau, che presenta molti punti in comune con i mitemi condivisi con la Green Anarchy, il primitivismo, il tribalismo, la resistenza ecologica, le attitudini dei nativi americani nei confronti della natura, e anche con festival quali il Rainbow e il Burning Man.
Qui nelle Catskills, dolci montagne nello stato di New York, abbiamo avuto di tutto: da Krishnamurti al Dalai Lama, dal chassidismo al comunismo, il buddismo, l'agricoltura postindustriale e Slow Food, le comuni hippy degli anni sessanta: induismo dotto in salsa Tim Leary, wiccanesimo druidico, sufi e yogin; un paesaggio maturo per il sincretismo e l'universalismo spirituale, pronto a diventare un altro “distretto bruciato” (burnt-over district: senza più alcun fedele da convertire; dal Secondo grande risveglio spirituale della seconda metà dell'ottocento, nella parte occidentale dello Stato di New York, ndt) di entusiasmi mistici per la rivoluzione verde, se solo qualche scintilla avesse acceso la fiaccola: o almeno si poteva sognarlo.
Nel contesto della credenza che mi sto figurando vorrei introdurre il concetto di illuminazione profana di Walter Benjamin. Benjamin si domanda come si possa garantire l'esperienza spirituale anche al di fuori del contesto di “religione” o persino di “fede”.
In parte marxista, in parte anarchico e in parte cabalista, Benjamin ha riportato d'attualità la vecchia ricerca del romanticismo tedesco di una ri-paganizzazione del monoteismo “con ogni mezzo necessario”, comprese l'eresia, la magia, la poesia, l'hashish... La religione ha rubato e soppresso il “sacramento efficace” amministrato dagli antichi sciamani, dai maghi e dalle donne sagge; la rivoluzione deve ripristinarlo.
Di recente, l'idea di una sinistra storica romantica e persino occultista ha guadagnato ampi consensi e non ha più bisogno di essere difesa. La statua di Bruno in Campo de' Fiori dove è morto rimane un'icona per i liberi pensatori e i ribelli di Roma, che continuano ad addobbarla di fiori rossi. L'alchimista Paracelso si schierò con i contadini nella loro rivolta contro la nobiltà luterana.
Una lettura emersoniana del romanticismo tedesco, e in particolare di Novalis, potrebbe interpretare i Frammenti come seme e frutto della Rivoluzione. William Blake si presenta come l'unto eretico e radicale. Il Romanticismo francese di sinistra, e l'occultismo, danno vita a un Charles Fourier, a un Nerval e a un Rimbaud. Si deve tener conto di questa antica tradizione di “rivoluzione romantica” quando si considera la possibilità di una spiritualità anarchica.

Spazi segreti di resistenza

I mistici affermano che ogni credo è illusorio; solo l'esperienza garantisce la certezza, dopo di che la mera fede non è più necessaria. Possono arrivare a difendere la (auto)liberazione mistica o spirituale contro l'oppressione della religione organizzata. Blake chiede a tutti di creare il proprio sistema e di non essere schiavo di qualcun altro; soprattutto non della chiesa. E Gerard de Nerval, che aveva un'aragosta di nome Thibault come animale domestico, con la quale passeggiava nei giardini del Palais Royal a Parigi abbigliandola con un nastro di seta blu, accusato di essere senza religione rispose: “Che cosa? Io, uno senza religione? Ma quando mai, ne ho ben diciassette!”.
In conclusione: qualsiasi sistema di credenze liberatorio, anche il più libertario (o libertino), può essere ribaltato, capovolto fino a diventare un dogma rigido: anche l'anarchismo, come dimostra fra l'altro il caso del tardo Murray Bookchin. Viceversa, anche nella più religiosa delle religioni il naturale desiderio umano di libertà può ritagliarsi spazi segreti di resistenza, come testimoniano i Fratelli del Libero Spirito o alcune sette di dervisci.
In questo processo le definizioni appaiono poco importanti; più importante è coltivare ciò che Keats chiamava la “capacità negativa”, che si potrebbe glossare come la capacità di cavalcare l'onda di liberazione a prescindere dalla forma esteriore che può assumere.
Per tornare negli anni cinquanta, quest'onda si sarebbe potuta scorgere nel beat zen, che oggi purtroppo sembra essere scomparso; oggi potrebbe essere il neopaganesimo o l'ermetismo verde. Proprio come l'anarchismo oggi ha bisogno di superare e il suo culto storico per il “Progresso”, così penso anche che potrebbe trarre beneficio da un allentamento, da uno scioglimento del suo ateismo da XIX secolo e dalla riconsiderazione della possibilità, per quanto ossimorica possa sembrare, di una “religione anarchica”.

Nota: in memoria di Franklin Rosemont, vorrei aggiungere che il genere di anarchismo ermetico proposto qui era quello che caratterizzava l'ultimo Breton e il tardo surrealismo in generale. Vorrei anche ricordare il grande libro del poeta arabo Adonis su Sufismo e surrealismo. E infine vorrei raccomandare l'edizione di Harvard di Sull'hashish di Walter Benjamin. A volte si ritorna al vecchio, deliberato squilibrio dei sensi... A volte l'oppio dei popoli è... oppio.

Peter Lamborn Wilson
Giorno di San Nicola, 2009 (6 dicembre 2009, ndt)
traduzione dall'inglese di Karlessi


Per una religione anarchica?
Una nota a margine

Esistono scrittori di un solo libro, la cui fortuna è legata a un titolo specifico, il quale – crucialità o alchimia del tempo! – appare nelle librerie con sorpresa e tempestività, raccogliendo esigenze e istanze a cui il momento presente sembra alludere: è questo il caso di Hakim Bey e del volumetto che ha per titolo Taz – Zone temporaneamente autonome, uscito agli inizi degli anni novanta. Dopo questo libriccino, piccolo ma esplosivo e con una scrittura debordante tra l'erudito e il divertito, sono usciti altri testi a firma Hakim Bey, senza però riuscire a raccogliere gli apprezzamenti (e le critiche) di Taz. In seguito si scoprì che Hakim Bey era il nom de plume di un intellettuale americano, Peter Lamborn Wilson. Pacifista, obiettore di coscienza durante la guerra del Vietnam, nel 1968 lasciò gli Stati Uniti per viaggiare: Marocco, Turchia, Libano, Iran, Pakistan, India, Nepal, per stabilirsi in Iran, sino all'arrivo del khomeinismo. Forse non tutti sanno che in quegli anni il nostro autore acquisisce un discreto pedigree accademico: a Teheran entra far parte dell'Accademia Imperiale Iraniana di Filosofia, divenendo redattore della rivista dell'accademia e direttore delle pubblicazioni in lingua inglese della medesima istituzione. Risale a quegli anni anche la collaborazione con la rivista italiana Conoscenza religiosa fondata e diretta da Elémire Zolla, con interventi incentrati soprattutto sullo studio di correnti ereticali islamiche. Anzi, rileggendo oggi alcuni di quegli articoli scopriamo che proprio la nozione di Zona temporaneamente autonoma risulta anticipata ed è quindi connessa a quella – da noi ovviamente sconosciuta – di qiyamat (la “grande resurrezione” che conduce all'abrogazione delle norme religiose e dei poteri vigenti), elaborata a suo tempo da una corrente eretica shita. Come dire: tout se tient!
Di eresie Peter Lamborn Wilson si è poi continuato ad occupare, contribuendo in questo modo ad acquisire una conoscenza più ampia del multiverso islamico, rispetto a quegli approcci (Oriana Fallaci docet) che appiattiscono l'islam sul fondamentalismo.
L'articolo in questione, invece, apparso qualche anno fa sulla rivista americana Fifth Estate si interessa del rapporto tra religione e anarchia, scommettendo sulla possibilità di una prospettiva anarchica così ampia e inclusiva da poter accogliere al suo interno tanto “gli inflessibili materialisti” che “gli anarchici spirituali”; laddove con questa espressione ci si riferisce a un sentire che avverte non più rinviabile e perciò imprescindibile coniugare fino in fondo religione e libertà. Questo ci sembra essere un buon punto di avvio per ogni futura discussione sul tema.
A partire da qui entriamo nel merito di alcuni motivi presenti nell'articolo. Di uno in particolare: vi è un'enfasi posta da Peter Lamborn Wilson alla dimensione estatica (nel testo si parla di spiritualità enteogena, letteralmente: “che ha Dio al suo interno”) su cui merita soffermarsi. Se è vero che le religioni posseggono tutte una componente visionaria e se è altrettanto vero che tutti noi abbiamo in qualche modo bisogno di visioni, di un nuovo modo di percepire la relazione tra i viventi che non si riduca a quella offerta dal sapere razionale e analitico, dal mondo della tecnica e dal sistema di produzione e circolazione degli oggetti (con William Blake: “se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all'uomo come in effetti è, infinito”), è pure vero che il fatto religioso non è riducibile a uno stato di coscienza alterato, a un trip felicemente cosmico, come sembra di cogliere nell'articolo; in questo modo la ricerca religiosa finirebbe oggi, a sua volta, sussunta nella logica spettacolare e mercantile (vedi ad esempio il fenomeno new age). Semmai la visione deve ricondurci a una percezione più intensa, raffinata e critica della quotidianità, a una sorta di epifania della vita quotidiana. Proviamo a spiegarci. Giocando ancora con l'etimologia, la parola religione rinvia alla possibilità collegare (re-ligare) l'essere umano con ciò che lo trascende (Dio, il divino, ecc.), ma ciò passa attraverso un processo – tutto immanente, quindi anche sociale, politico – di inclusione e ricomposizione di ciò che consideriamo come opposti (quello che Niccolò da Cusa chiamava coincidentia oppositorum): lo spirituale e il materiale, il maschile e il femminile, il sociale e il personale, l'umano e l'animale, il culturale e il naturale, ecc. E su questo piano una religiosità anarchica ha molto da dire. Tutto ciò detto in maniera fin troppo breve. Da qui si tratta di partire.


Federico Battistutta