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                A piedi nudi nel soggiorno 
                  
                di Paolo Pasi 
                 
                  Fu un sogno meraviglioso. Era 
                  il più grande e talentuoso ballerino di tiptap di tutti 
                  i tempi. Pur senza avere una precisa percezione del tempo, gli 
                  era sembrato di ballare per ore su un palcoscenico davanti alla 
                  buia platea, ammutolita e ammirata. I passi armonici e cadenzati 
                  calavano sulla musica con scioltezza e obliquo trasporto. Era 
                  passato dallo swing al boogie woogie, si era perfino cimentato 
                  in una successione di spaccate che avevano scandito il crescendo 
                  dell'orchestra... Indossava frac e cilindro, e il classico bastone 
                  con pomello bianco accompagnava il ritmo della sua danza forsennata. 
                   Tiptap 
                  tiptap clic clac tacco punta punta tacco... 
                  Musica e ritmo erano stati così contagiosi da resistere 
                  perfino al risveglio. E in effetti, non appena mise i piedi 
                  giù dal letto, notò un paio di scarpe che non 
                  aveva mai visto prima: nere, lucide, e sotto le estremità 
                  delle suole due placche metalliche. Nessun dubbio, scarpe da 
                  tiptap. 
                  Sto ancora sognando, pensò. 
                  Cacciò il primo, faticoso sbadiglio della giornata prima 
                  di concentrarsi ancora su quell'angolo di incongruenza che gli 
                  stava appannando il risveglio. Le scarpe erano ancora lì. 
                  Concrete, tangibili, desiderose di essere messe alla prova. 
                  Le indossò e attese qualche secondo. Il ballo riprese 
                  forma, ma questa volta lui non stava dormendo. Era come se il 
                  sogno gli avesse lasciato un'impronta di miracolosa realtà... 
                  “Perdio, so ballare davvero!” si sorprese a esclamare 
                  davanti allo specchio, ammirando l'insolita scioltezza delle 
                  gambe, la sicurezza artistica dei passi cadenzati, la magia 
                  del tiptap che attraversava il suo corpo, il pigiama a strisce 
                  come un frac, l'ombrello utilizzato come bastone. 
                  Tiptap tiptap tacco punta punta tacco... 
                  Era in grado di ballare su qualunque musica potesse immaginare. 
                  Swing, rock'n'roll, funk, rap. Proprio come nel sogno. Era un 
                  regalo, un talento inespresso scoperto all'improvviso. Lui, 
                  cinquantenne, era diventato di colpo un grande ballerino di 
                  tiptap, e proprio nel bel mezzo di una crisi di orientamento 
                  esistenziale... Un vero colpo di fortuna. 
                  Come potrò metterlo a frutto? pensò. 
                  Tiptap clic clac... 
                  Ballò verso la cucina strascicando i piedi, fermandosi 
                  ogni tanto, riprendendo la danza come un'invocazione. 
                  Dovrò prima convincere qualcuno a vedermi, contattare 
                  i teatri, fare audizioni e provini... Ma dove?  
                  Guardò fuori dalla finestra. L'aria mattutina era plumbea, 
                  satura dei colori del cielo, la strada già avvelenata 
                  dalle striature grigie del traffico. Non certo il palcoscenico 
                  ideale. Tutto stava nel guardare oltre. 
                  È il prezzo dell'arte, constatò mentre 
                  con mano tremante si versò il caffè nella tazzina. 
                  Era più che emozionato. Quasi fuori controllo. 
                  Rimettersi in gioco da zero, ripartire a rotta di collo senza 
                  curarsi di mutui, alimenti familiari, relazioni obbligate con 
                  i colleghi. Il più grande ballerino di tiptap di tutti 
                  i tempi... Ce l'aveva nel sangue, lo sentiva nelle gambe e nei 
                  piedi. Un dono naturale come il respiro. 
                  Roteò sul proprio corpo e arrivò in spaccata davanti 
                  al televisore. Lo accese, poi lo spense e ritornò alla 
                  posizione di partenza con una scivolata elegante. Si sentiva 
                  leggero e immortale, permeato di puro presente musicale. 
                  Drin. Drin. Drin. 
                  Qualcuno insisteva al campanello. Andò ad aprire e si 
                  ritrovò davanti la faccia ingrugnita dell'inquilino del 
                  piano di sotto. 
                  “Buongiorno, ha bisogno di qualcosa?” gli chiese. 
                  “No, ma dico... le sembra normale tutto questo chiasso 
                  alle otto e mezza del mattino?” 
                  “Veramente sono quasi le nove...” 
                  “Ma che importa? Lei sta facendo un gran baccano” 
                  disse quello spazientito. 
                  “Non capisco” obiettò lui. “Stavo solo 
                  ballando” 
                  “Ma va?” commentò l'altro. “Pensavo 
                  a una crisi epilettica... Senta, mi faccia un favore... la smetta 
                  o mi vedrò costretto a chiamare l'amministratore di condominio” 
                  Per tutta risposta, senza neppure deciderlo, trascinato anzi 
                  da un impulso irresistibile, si produsse in una figura spettacolare 
                  e ricominciò a ballare sul pianerottolo, richiamando 
                  l'attenzione di altri inquilini. 
                  “Ma chi è qual pazzo lì? Sarà mica 
                  il Braglia?” disse il primo. 
                  “Beh, dicono che ha appena perso il lavoro... si sarà 
                  ammattito” aggiunse il secondo. 
                  “Però è bravo” rintuzzò il 
                  terzo. 
                  “Ma fa troppo casino...” obiettò il quarto. 
                  “Eppure ci sa fare, è vero!” replicò 
                  la quinta, perché era una donna. 
                  “Non ce ne frega un cazzo. Dacci un taglio, zio” 
                  minacciò un giovane corpulento e straripante nella sua 
                  tuta borchiata. “C'ho i bambini che dormono...” 
                  Lui reagì con prontezza all'inevitabile imbarazzo: “Chiedo 
                  scusa per il disturbo, ma volevo farvi sapere che stasera, diciamo 
                  intorno alle ventuno, ci sarà un grande spettacolo nel 
                  nostro cortile. Mi esibirò infatti nel ballo del...” 
                  “Falla finita! Non siamo al circo! Dobbiamo andare a lavorare, 
                  noi” interruppe il ragionier Colzi, del terzo piano. 
                  “Si vergogni, alla sua età!” 
                  Lui si fermò all'improvviso per guardare in faccia quella 
                  vecchia rancorosa in vestaglia e bigodini che stava gridando 
                  allo scandalo, appollaiata al corrimano della scala. 
                  Alla sua età? Che significava? Aveva solo 50 anni, e 
                  poi erano le gambe che contavano. L'importante era che non perdessero 
                  il ritmo nonostante gli sgambetti quotidiani e le corse inutili 
                  verso i luoghi di lavoro. No, non lo avrebbe più permesso. 
                  Non si sarebbe fatto defraudare così del suo talento. 
                  “Scusatemi. Arrivederci.” 
                  Si congedò dal pianerottolo con un sorriso smorzato, 
                  appesantito nei piedi, il passo in triste arretramento verso 
                  il soggiorno, l'andatura di nuovo goffa, innaturale. La sua 
                  prima audizione era stata una disfatta. 
                  “Alla sua età...” 
                  Sentì la voce della vecchia perdersi nella tromba delle 
                  scale e chiuse la porta. Era un pubblico ancora impreparato. 
                  Probabilmente non aveva raggiunto il livello di saturazione 
                  boccheggiante, o semplicemente vi si era assuefatto. 
                  Lui invece aveva superato da un pezzo il livello di guardia. 
                  Ecco la differenza. Sentì tuttavia che sarebbe stata 
                  questione di poco. Lo swing aveva lenito le ferite mortali della 
                  Grande Crisi del '29. Il tiptap aveva imposto il vorticoso ritmo 
                  del ballo sulle macerie del fallimento. Per come la vedeva lui, 
                  i tempi erano di nuovo maturi. Confidava nell'attesa. 
                  Impara l'arte e mettila da parte, pensò. 
                  Tolse le scarpe miracolose e si accorse che le gambe rispondevano 
                  ancora. Poi ricominciò a ballare. A piedi nudi nel soggiorno. 
                Paolo Pasi  |