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                  Nuove istituzioni e corpi politici  
                  intervista a David Graeber di Andrea Staid 
                 
                  Dopo l'introduzione 
                  sul precedente numero della rivista di questa nuova rubrica 
                  di antropologia e pensiero libertario, ho deciso di pubblicare 
                  un'intervista che ho fatto a David Graeber quando è stato 
                  in Italia a giugno 2012 per presentare il suo Critica della 
                  democrazia occidentale, edizioni Elèuthera e Debito, 
                  del Saggiatore. 
                  Quelle che pubblichiamo sono poche domande-risposte che affrontano 
                  dei temi a me molti cari e penso interessanti per i lettori 
                  di A. 
                  David Graeber è un antropologo e attivista del movimento 
                  libertario Usa, noto soprattutto per la sua partecipazione ai 
                  movimenti di protesta contro Fmi e nel 2012 attivo nel movimento 
                  Occupy Wall Street, di cui rifiuta totalmente l'etichetta di 
                  leader che gli viene attaccata addosso, in passato era anche 
                  stato membro del Iww.
                
 
                   
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                    |   Milano, giugno 2012. David Graeber  | 
                   
                 
                  
                 Caro David dal tuo punto di vista di antropologo e attivista 
                  libertario, ci sono connessioni fra movimenti sociali, pensiero 
                  libertario e antropologia? 
                  Credo che la stessa cosa che mi ha portato alla mia idea politica 
                  è la stessa cosa che mi ha portato a essere un antropologo, 
                  e cioè allargare il senso delle possibilità umane. 
                  Sono cresciuto in una famiglia operaia tendenzialmente radicale 
                  dove si leggeva molto, a un certo punto ho notato che avevano 
                  tanti libri ma quasi nessuno di critica del capitale, non avevano 
                  bisogno di libri che gli dicessero perché il capitalismo 
                  non andava bene però avevano tanti libri di storia, antropologia, 
                  e fantascienza, vivevano dentro al capitalismo dalle 9 alle 
                  17 dopo volevano stare da qualche altra parte, l'antropologia 
                  ci dà un'idea di quel qualcos'altro e ci dà i 
                  pezzi necessari per metterlo insieme. 
                   
                  In Italia e in molti altri paesi sono parecchi anni che 
                  all'interno dei movimenti si sta discutendo sul concetto di 
                  rivoluzione. Qualche anno fa abbiamo organizzato anche a Milano 
                  un convegno di studi per chiarire cosa possa significare oggi. 
                   
                  Dal mio punto di vista la rivoluzione non può essere 
                  vista come la presa del palazzo di inverno, ma deve essere una 
                  rivoluzione del quotidiano che distrugga le relazioni di dominio 
                  tra uomini, animali e natura. Il tutto senza negare la possibilità 
                  di un momento di insurrezione generale ma stando attenti a non 
                  attendere il sol dell'avvenir e cominciando giorno per giorno 
                  a cambiare le nostre vite. Anche perché se non rivoluzioniamo 
                  il nostro quotidiano una volta fatta l'insurrezione non saremo 
                  capaci di costruire il mondo nuovo e ricreeremo un dominio soltanto 
                  con un nome diverso. 
                  Recentemente anche tu ti sei occupato di questo tema, 
                  cosa ne pensi? 
                  Sono totalmente d'accordo con te, recentemente mi sono trovato 
                  vicino alla concezione di Immanuel Wallerstein sulla rivoluzione, 
                  il quale nei sui scritti argomenta che tutte le rivoluzioni, 
                  dalla rivoluzione francese in poi, sono state tutte rivoluzioni 
                  mondiali perché hanno toccato tutto il mondo in qualche 
                  modo. 
                  Sia nei casi come 1789 o 1917 dove delle rivoluzioni hanno con 
                  “successo” preso possesso del potere in un paese, 
                  sia nei casi come il 1848 o 1968 dove non c'è stato quel 
                  “successo”, però sappiamo che una rivoluzione 
                  ha successo quando dopo di essa c'è un profondo cambiamento 
                  nel senso comune politico. 
                  La rivoluzione francese è avvenuta in un solo paese, 
                  ma in realtà ha trasformato l'intera area nord-atlantica 
                  del mondo, le idee che erano considerate assurde prima della 
                  rivoluzione, per esempio se dicevi che il cambiamento sociale 
                  era qualcosa di positivo o che la legittimità dei governi 
                  era garantita dal popolo eri considerato pazzo, o condannato 
                  al carcere. 
                  Trenta anni dopo la rivoluzione francese tutti dovevano almeno 
                  dire di essere d'accordo con quei principi, in modo molto simile 
                  troverai cambiamenti nel senso comune politico dopo qualsiasi 
                  momento di rottura rivoluzionaria. 
                  Nel 1848 scoppiò la rivoluzione quasi contemporaneamente 
                  in cinquanta paesi diversi dalla Valacchia al Brasile. In nessun 
                  paese i rivoluzionari riuscirono a prendere il potere, ma in 
                  seguito, le istituzioni ispirate dalla rivoluzione francese 
                  – i sistemi di istruzione universale, per esempio – 
                  sono stati creati più o meno ovunque. 
                  Possiamo notare che lo stesso modello si riproduce in tutto 
                  il ventesimo secolo. Nel 1917 in Russia, dove i rivoluzionari 
                  sono riusciti a prendere il potere statale, ma quella che Wallerstein 
                  chiama la “rivoluzione mondiale del 1968” è 
                  stata qualcosa di più simile a ciò che è 
                  avvenuto nel 1848: cioè un onda che ha girato dalla Cina 
                  alla Cecoslovacchia, dalla Francia al Messico, che non ha preso 
                  il potere da nessuna parte, ma comunque ha iniziato una trasformazione 
                  enorme nel senso comune. 
                  In un certo senso, però, la sequenza del ventesimo secolo 
                  è stata molto diversa da quella del secolo passato, perché 
                  il sessantotto non è riuscito a consolidare le vittorie 
                  ottenute nel 1917. 
                  In realtà ha segnato il primo passo significativo nella 
                  direzione opposta. La rivoluzione russa naturalmente ha rappresentato 
                  l'apoteosi finale dell'ideale giacobino di trasformare la società 
                  dall'alto. La rivoluzione mondiale del 1968 invece era più 
                  anarchica nello spirito. 
                   
                  In che senso la rivoluzione del '68 è stata più 
                  anarchica? 
                  Nel senso che lo spirito delle idee anarchiche hanno pervaso 
                  molte delle nuove lotte iniziate nel maggio francese: la rivolta 
                  contro il conformismo burocratico, il rifiuto della politica 
                  di partito, il dedicarsi alla creazione di una nuova cultura 
                  liberatoria che consentisse una autentica auto-realizzazione 
                  individuale. 
                  Negli ultimi anni abbiamo visto una sorta di continua serie 
                  di piccoli sessantotto. Le rivolte contro il socialismo di stato 
                  che hanno avuto inizio in piazza Tienanmen e sono culminate 
                  con il crollo dell'Unione Sovietica sono cominciate in questo 
                  modo, anche se sono state rapidamente deviate verso il massimo 
                  recupero capitalista dello spirito di ribellione degli anni 
                  '60, che è stato conosciuto come il “neoliberismo”. 
                  Dopo la rivoluzione mondiale zapatista – da loro chiamata 
                  IV guerra mondiale – iniziata nel 1994 come un mini-sessantotto, 
                  il processo si è fatto così fitto e veloce che 
                  è sembrato quasi istituzionalizzato: Seattle, Genova, 
                  Cancun, Quebec, Hong Kong… E in quanto era davvero istituzionalizzato 
                  il movimento NoGlobal, dato che proprio le reti globali e gli 
                  zapatisti avevano contribuito a crearlo, fu una sorta di piccolo 
                  anarchismo realizzato, basato sui principi della democrazia 
                  diretta decentralizzata e dell'azione diretta. 
                  La prospettiva di dover affrontare un vero e proprio movimento 
                  globale democratico ha spaventato parecchio le autorità 
                  statunitensi (in particolare), che sono andate nel panico. 
                
                   
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                    |   Roma, giugno 2012. David Graeber in sostegno ai condannati 
                  del G8  | 
                   
                 
                   
                  In Italia nel 2001, il governo si è spaventato 
                  e ha represso duramente i giovani che si ribellavano contro 
                  un mondo orribile. Negli Usa hanno usato la stessa ricetta? 
                  C'è naturalmente un antidoto tradizionale alla minaccia 
                  di mobilitazione di massa dal basso, basta iniziare una guerra. 
                  Non importa contro chi sia la guerra. L'importante è 
                  di averne una, preferibilmente, sulla più ampia scala 
                  possibile. In questo caso il governo degli Stati Uniti aveva 
                  il vantaggio straordinario di un autentico pretesto – 
                  un gruppo di islamisti di destra, disordinato e in gran parte 
                  inefficace fino ad allora che, per una volta nella storia, provava 
                  a mettere in pratica una azione terroristica sfrenatamente ambiziosa 
                  e poi effettivamente realizzata. Piuttosto che limitarsi a rintracciare 
                  i responsabili, gli Stati Uniti hanno iniziato a lanciare a 
                  vista miliardi di dollari di armamenti nel nulla. Dieci anni 
                  più tardi, il parossismo risultante dal sovraccarico 
                  imperiale sembra aver minato le basi stesse dell'impero americano. 
                  Quello a cui stiamo ora assistendo è il processo di collasso 
                  dell'Impero. 
                  Allora sembra sensato che la rivoluzione mondiale del 2011 sia 
                  iniziata come una ribellione contro gli Stati satellite degli 
                  Usa, più o meno allo stesso modo in cui le ribellioni 
                  hanno portato al collasso del potere sovietico in Urss sono 
                  cominciate in posti come la Polonia e la Cecoslovacchia. L'ondata 
                  di ribellione si è diffusa in tutto il Mediterraneo, 
                  dal Nord Africa al Sud Europa, e poi, in modo più incerto 
                  in un primo momento, attraverso l'Atlantico a New York. Ma una 
                  volta nata, in poche settimane, è esplosa in tutto il 
                  mondo. 
                  Recentemente dopo le proteste di Occupy e i movimenti che si 
                  sono sviluppati in tutto il mondo ho scritto una email a Immanuel 
                  Wallerstein per chiedergli se si possa parlare ancora di una 
                  rivoluzione mondiale nel 2011 e lui mi ha risposto di sì. 
                  Ora bisogna vedere quanto del cambiamento rimarrà nel 
                  senso comune, questo sta a noi, dobbiamo vedere quanto possiamo 
                  costruire su quella rottura genuina e rivoluzionaria che c'è 
                  stata e cercare di costruire nuove istituzioni e corpi politici 
                  che garantiscano lo spazio entro cui la libertà può 
                  manifestarsi. 
                 Andrea Staid
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