a cura 
                  della redazione 
                   
                  “20 giugno: rifiuta la 
                  scelta, scegli il rifiuto. Astensionismo rivoluzionario”. 
                  La scritta che campeggia sulla copertina di “A” 
                  48 (giugno-luglio 1976) è spiegata all'interno dall'editoriale 
                  di R. Brosio (cioè Roberto Ambrosoli, il padre di Anarchik). 
                  Titolo: “La falsa scelta”. Sommarietto: “Con 
                  l'ingresso dei rivoluzionari nella competizione elettorale 
                  il sistema ha acquistato nuova credibilità. Solo la lotta, 
                  non la scheda, può innescare il processo rivoluzionario 
                  e abolire lo sfruttamento”. E l'occhiello sopra il titolo 
                  affermava: “L'appuntamento non è nelle cabine elettorali”. 
                   
                  A distanza di 37 anni (cui fa riferimento il titolo di questa 
                  rubrica di storica rivisitazione dei singoli numeri di “A”), 
                  rileggendo l'articolo di Ambrosoli certo alcune osservazioni, 
                  la perentorietà di certi toni potrebbero anche apparirci 
                  datate. Ma la sostanza no, quella ci convince ancora e – 
                  pur con lo spirito di apertura e sperimentalismo che ci caratterizza 
                  da tempo – ci sembra utile da riproporre alla riflessione 
                  collettiva, non tanto degli anarchici quanto del più 
                  generale popolo della sinistra, o se preferite, di tutti coloro 
                  che sono impegnati nella trasformazione quotidiana della nostra 
                  società. 
                  Certo, la prospettiva rivoluzionaria e le conseguenti parole 
                  d'ordine (anzi, a dirla tutta, lo stesso concetto di “parole 
                  d'ordine”) esercitano oggi una ben diversa (e inferiore) 
                  presa su settori significativi della società, rispetto 
                  a quel periodo. E in questo calo di “tensione”, 
                  affermare tout court che non il voto, ma la lotta... 
                  può apparire fuori misura rispetto alla sensibilità 
                  sociale e anche all'esistenza stessa di grandi lotte, di cui 
                  francamente si sente un po' tanto l'assenza. 
                  Eppure il meccanismo delle campagne elettorali, l'enfatizzazione 
                  della decisionalità del popolo, le grandi speranze (o 
                  paure) che significativi spostamenti elettorali provocano all'indomani 
                  del voto (si pensi al Movimento 5 stelle, per esempio) sembrano 
                  fenomeni costanti e ricorrenti che, visti a nemmeno troppa distanza 
                  di tempo, lasciano il tempo che trovano e non intaccano – 
                  a nostro avviso – la sostanziale validità (o perlomeno 
                  significatività) della nostra scelta di restare fuori 
                  dal battage elettorale. 
                  Nostra di chi? Noi sappiamo bene che anche tra i collaboratori 
                  della rivista, e in genere tra chi guarda agli anarchici con 
                  interesse e simpatia, non pochi hanno votato, magari turandosi 
                  un po' il naso, con diverse motivazioni, spesso convinti che 
                  sia insensato rinunciare anche a questo strumento per 
                  cercare di modificare un po' le cose, per esempio per allontanare 
                  lo spettro di un ritorno al potere di Berlusconi e dei berlusconidi, 
                  oppure votando Grillo per esternare la propria indisponibilità 
                  ai vecchi giochi del potere. Noi rispettiamo queste scelte, 
                  convinti come siamo che quella anarchica, o meglio, quelle anarchiche 
                  siano opinioni e proposte da offrire sul “libero mercato” 
                  della trasformazione sociale in senso libertario, e (non più) 
                  ricette sicure e programmi infallibili per... 
                  Ma nel “rievocare” questo numero della rivista, 
                  in occasione delle elezioni politiche in cui (tra l'altro) la 
                  sinistra (allora prevalentemente il Pci) ottenne il massimo 
                  dei risultati in tutta la storia repubblicana, ci piace confermare 
                  la sostanziale continuità della nostra proposta di intervento 
                  sociale. E le vicende politico-istituzionali, invero assai poco 
                  nobili e ancor meno “nuove”, di queste settimane 
                  ci fanno pensare che, seppure con una scritta magari diversa, 
                  anche in occasione delle politiche dello scorso febbraio avremmo 
                  potuto proporre una copertina sostanzialmente analoga. 
                   
                  E, che si torni alle urne presto o tardi, ci pare proprio impensabile 
                  che il nostro astensonismo possa cedere il passo a una “partecipazione 
                  critica” al rito elettorale. Spesso abbiamo modo di sottolineare 
                  l'apertura al confronto e al dibattito di questa nostra avventura 
                  editoriale, e più in generale del nostro modo di vivere 
                  l'anarchismo oggi. Ogni tanto, però, non ci dispiace 
                  sottolineare anche la collocazione di “A” nel solco 
                  di un anarchismo critico e anche auto-critico, che sappia ritrovare 
                  nell'attualità (e non nel riferimento alla tradizione) 
                  le ragioni di una propria scelta significativa. Quella di diffidare 
                  delle urne. E di girarci al largo. 
                 
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