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 lettere dal futuro 
                  
                La vita in differita 
                  
                di Paolo Pasi 
                 
                   
                  Si sentiva un uomo alla deriva 
                  delle sue abitudini, sdraiato su quel divano, mezzo influenzato, 
                  incapace di riprendere il telecomando della situazione davanti 
                  a uno schermo che non rispondeva agli ordini. Premeva 4, e appariva 
                  8 seguito da un trattino. Tentava di completare la doppia cifra, 
                  e di colpo usciva il canale sbagliato. Un predicatore stava 
                  illustrando al pubblico gli effetti terapeutici dell'apocalisse. 
                   Schermo 
                  piatto, ultratecnologico. Di nessuna utilità. Un apparecchio 
                  insidioso. Semplice all'apparenza, difficile da espugnare. 
                  Forse era un problema di pile. Scosse il telecomando come se 
                  quel gesto bastasse a infondere l'energia necessaria per rimettere 
                  ordine al palinsesto. 
                  C'era sempre il predicatore. Stava entrando nei dettagli. 
                  Non erano le pile. Per anni aveva fatto qualcosa di più 
                  che nutrirsi di televisione. L'aveva respirata, amata, vissuta. 
                  C'era entrato dentro dalla porta principale. Il suo programma 
                  lo aveva consegnato a una nuova vita, a una mutazione necessaria 
                  per rinascere in onda. Era diventato personaggio pubblico. C'erano 
                  stati altri programmi. Di prima e seconda serata. Mai aveva 
                  dimenticato di studiare il nemico, come qualunque guerra impone. 
                  Il divano di casa era diventato il suo punto di osservazione 
                  sulla televisione degli altri. Scopriva l'idea insidiosa e se 
                  ne appropriava. Aveva saputo proteggere la sua intimità 
                  da salotto dalle insidie del successo. Mai troppe feste, vita 
                  sobria, concentrazione. Aveva costruito la sua strategia bellica 
                  coltivando le abitudini di un normale spettatore. Adesso però 
                  tutto gli si stava rivoltando contro… Scosse il telecomando 
                  con stizza, poi premette i tasti a caso, sempre più violentemente. 
                  Schermo nero. Audio senza immagini. 
                  Gli sembrava d'impazzire, e non capiva se la testa pulsasse 
                  più per l'influenza o per il malessere interiore. Stanco, 
                  svuotato e rabbioso, si preparò all'offensiva, mentre 
                  le immagini si sgretolavano in una strana nebbia televisiva 
                  di un canale analogico da tempo scomparso in azione. 
                  Niente era per sempre. 
                  Lui, che era riuscito a tenere testa all'era digitale, stava 
                  crollando. Non aveva le forze per alzarsi. Strisciò giù 
                  dal divano e toccò il freddo pavimento. Poi continuò 
                  a strisciare, ventre a terra, in avvicinamento alla trincea 
                  nemica, e cominciò a sparare colpi con il telecomando. 
                  Avrebbe piegato la resistenza dell'avversario, costringendolo 
                  a retrocedere sul talk show della prima rete. Premette uno, 
                  ma non successe nulla. Avanzò ancora di un metro, ormai 
                  quasi sotto il televisore, e aprì il fuoco frontale schiacciando 
                  di nuovo il tasto. 
                  Lo schermo passò inspiegabilmente al canale 44, dove 
                  il predicatore aveva ceduto il posto a una concessionaria di 
                  auto. 
                  Tutto ciò era più che irreale. Era una forma perversa 
                  di amnesia, una ferita infetta, uno stato di caos, una ribellione 
                  antimatematica, uno sfregio alla logica binaria, un attentato 
                  a tutte le grandi e piccole celebrità. 
                  Gli veniva da vomitare. Si liberò del telecomando, estenuato, 
                  in preda a spasmi di stomaco, e si gettò nel corpo a 
                  corpo. Premette i tasti a lato dello schermo, quelli che venivano 
                  montati ormai solo per dovere di fabbricazione, completamente 
                  inutilizzati ma necessari per le situazioni di emergenza. Come 
                  questa. 
                  Nulla. Poi di nuovo la polvere televisiva del canale analogico 
                  sgretolato dal tempo. 
                  Le vecchie, sane abitudini. Perdute quelle, si perdeva anche 
                  il senso. L'unica salvezza, ora, stava nel silenzio. Avrebbe 
                  usato l'opzione estrema, risolutiva, per mettere a tacere quel 
                  bastardo. Rannicchiato ai piedi del televisore, ansimante e 
                  impaurito, allungò la mano verso la spina e vi si aggrappò. 
                  Poi la strappò via dalla presa prima di crollare sul 
                  pavimento senza più respiro. 
                  Buio. 
                  Il televisore però continuava a illuminare la stanza. 
                  Sullo schermo, adesso, c'era lui in smoking che stava ritirando 
                  il Telecomando d'oro, il premio più prestigioso assegnato 
                  al personaggio televisivo dell'anno. La sua vita in differita. 
                 Paolo Pasi  |