rivista anarchica
anno 43 n. 379
aprile 2013


lettere dal futuro

La vita in differita

di Paolo Pasi



Si sentiva un uomo alla deriva delle sue abitudini, sdraiato su quel divano, mezzo influenzato, incapace di riprendere il telecomando della situazione davanti a uno schermo che non rispondeva agli ordini. Premeva 4, e appariva 8 seguito da un trattino. Tentava di completare la doppia cifra, e di colpo usciva il canale sbagliato. Un predicatore stava illustrando al pubblico gli effetti terapeutici dell'apocalisse.
Schermo piatto, ultratecnologico. Di nessuna utilità. Un apparecchio insidioso. Semplice all'apparenza, difficile da espugnare.
Forse era un problema di pile. Scosse il telecomando come se quel gesto bastasse a infondere l'energia necessaria per rimettere ordine al palinsesto.
C'era sempre il predicatore. Stava entrando nei dettagli.
Non erano le pile. Per anni aveva fatto qualcosa di più che nutrirsi di televisione. L'aveva respirata, amata, vissuta. C'era entrato dentro dalla porta principale. Il suo programma lo aveva consegnato a una nuova vita, a una mutazione necessaria per rinascere in onda. Era diventato personaggio pubblico. C'erano stati altri programmi. Di prima e seconda serata. Mai aveva dimenticato di studiare il nemico, come qualunque guerra impone. Il divano di casa era diventato il suo punto di osservazione sulla televisione degli altri. Scopriva l'idea insidiosa e se ne appropriava. Aveva saputo proteggere la sua intimità da salotto dalle insidie del successo. Mai troppe feste, vita sobria, concentrazione. Aveva costruito la sua strategia bellica coltivando le abitudini di un normale spettatore. Adesso però tutto gli si stava rivoltando contro… Scosse il telecomando con stizza, poi premette i tasti a caso, sempre più violentemente.
Schermo nero. Audio senza immagini.
Gli sembrava d'impazzire, e non capiva se la testa pulsasse più per l'influenza o per il malessere interiore. Stanco, svuotato e rabbioso, si preparò all'offensiva, mentre le immagini si sgretolavano in una strana nebbia televisiva di un canale analogico da tempo scomparso in azione.
Niente era per sempre.
Lui, che era riuscito a tenere testa all'era digitale, stava crollando. Non aveva le forze per alzarsi. Strisciò giù dal divano e toccò il freddo pavimento. Poi continuò a strisciare, ventre a terra, in avvicinamento alla trincea nemica, e cominciò a sparare colpi con il telecomando. Avrebbe piegato la resistenza dell'avversario, costringendolo a retrocedere sul talk show della prima rete. Premette uno, ma non successe nulla. Avanzò ancora di un metro, ormai quasi sotto il televisore, e aprì il fuoco frontale schiacciando di nuovo il tasto.
Lo schermo passò inspiegabilmente al canale 44, dove il predicatore aveva ceduto il posto a una concessionaria di auto.
Tutto ciò era più che irreale. Era una forma perversa di amnesia, una ferita infetta, uno stato di caos, una ribellione antimatematica, uno sfregio alla logica binaria, un attentato a tutte le grandi e piccole celebrità.
Gli veniva da vomitare. Si liberò del telecomando, estenuato, in preda a spasmi di stomaco, e si gettò nel corpo a corpo. Premette i tasti a lato dello schermo, quelli che venivano montati ormai solo per dovere di fabbricazione, completamente inutilizzati ma necessari per le situazioni di emergenza. Come questa.
Nulla. Poi di nuovo la polvere televisiva del canale analogico sgretolato dal tempo.
Le vecchie, sane abitudini. Perdute quelle, si perdeva anche il senso. L'unica salvezza, ora, stava nel silenzio. Avrebbe usato l'opzione estrema, risolutiva, per mettere a tacere quel bastardo. Rannicchiato ai piedi del televisore, ansimante e impaurito, allungò la mano verso la spina e vi si aggrappò. Poi la strappò via dalla presa prima di crollare sul pavimento senza più respiro.
Buio.
Il televisore però continuava a illuminare la stanza. Sullo schermo, adesso, c'era lui in smoking che stava ritirando il Telecomando d'oro, il premio più prestigioso assegnato al personaggio televisivo dell'anno. La sua vita in differita.

Paolo Pasi