rivista anarchica
anno 43 n. 379
aprile 2013





I concerti di Fabrizio

a cura di Marco Pandin

L'Italia era ricca di grandi autori di canzoni, naturalmente, da Gino Paoli a Luigi Tenco, a Bindi, a Gaber; tutta gente antagonista nei confronti delle insulsaggini musicali correnti, ma che partecipava comunque spesso ai rituali a volte scontati del professionismo canoro. In Italia insomma non mancavano davvero le belle canzoni, ma Fabrizio fu in questo contesto il primo e l'unico a essere, prima che il termine diventasse una moda, underground. [...] Fabrizio rifiutava in blocco le moine dell'industria discografica, i suoi passaggi obbligati, le regole non scritte dello show business. Non andava in televisione, non rilasciava interviste, si faceva fotografare con evidente malavoglia, addirittura non faceva concerti...”

Francesco De Gregori1


Il cofanetto Fabrizio De André
I concerti
che raccoglie,
in 16 cd più un libro,
i live inediti del cantautore

Quest'anno a natale niente regali a nessuno, m'ero messo a tuonare, come tutti gli anni già da novembre. E invece no: ho saputo di questa uscita e dopo un po' di tira e molla mi sono fatto l'autoregalo scassinando il salvadanaio delle emergenze, così il prezzo elevato per i miei standard più che un deterrente è stato solo un rallentamento tecnico (regalo di natale fatto a gennaio). Ammetto di non avere speso mai prima così tanti soldi per dei cd. Questi, vabbé, sono sedici. Ma soprattutto dentro c'è Fabrizio De André, e un Fabrizio De André per buona parte inedito: soltanto alcune delle registrazioni dal vivo qui raccolte erano già state pubblicate (quelle del tour 1978-79 con la Pfm). In passato erano già state diffuse alcune registrazioni dei tour de Le nuvole del 1991 (il 2cd Concerti) e di Anime salve del 1997-98 (i due volumi postumi In concerto, i concerti al teatro Brancaccio del 13 e 14 febbraio 1998 documentati anche in videocassetta e dvd), ma con scelte diverse. Anche le registrazioni del concerto alla Philipshalle di Düsseldorf del 24 aprile 1982 giravano su bootleg da quasi trent'anni (L'indiano era stato pubblicato contemporaneamente anche in Germania e in Austria, e dieci date della coda invernale del tour 1982 si erano tenute tra Vienna e Zurigo).
In una parola, difficile resistere. In due parole: molto difficile. Sono riuscito ad assistere ad un suo concerto solo una volta e mezza nella vita (mezza a Mestre con la Pfm nel 1979 – ero entrato a spintoni tardi per uscirne piuttosto deluso prima della fine –, e a Napoli al concerto per “A” e Umanità Nova), finora sono sopravvissuto benone solo con i ricordi e le registrazioni dal vivo recuperate e scambiate, ma... Ne varrà la pena? Non sarà una trappola? Non sarà una spesa eccessiva? Per risposta – nell'ordine – un sì e due no: sono riuscito a sciacquare via gli scrupoli piuttosto in fretta e mi sono comprato il malloppone. Sono soddisfatto? Sì. Ed anche, in ordine sparso: spiazzato, sorpreso, stanco, perplesso, sconcertato (potrei continuare) per questo Fabrizio così diverso dalla versione ufficiale. La mia curiosità musicale – nonostante l'udito che se ne sta andando – è sempre vorace, comunque ci ho messo più di un mese ad ascoltare e riascoltare tutto. Anche se le canzoni alla fine sono sempre quelle e si conoscono tutte, serve attenzione: non è roba da sprecare, da sentire distrattamente facendo dell'altro. Un tesoro enorme da scoprire un pezzetto alla volta: un tuffo al cuore dopo l'altro per chi ha vissuto almeno un concerto, e una gioia sconfinata per chi invece non ha potuto esserci. Non mi sembrava il caso di fare una disquisizione dettagliata e puntuale per ciascun tour, per cui raccolgo di seguito solo alcune mie impressioni ed osservazioni sparse sui primi due cd. Il resto aggiungetelo voi.

Nel 1976 al palazzetto dello sport di Siena ero talmente ubriaco che pur essendo seduto mentre mi chinavo per prendere la bottiglia dell'acqua mi sono ritrovato in terra insieme alla sedia. Il pubblico è scoppiato in una risata gigantesca e io ricordo che rialzandomi ho avuto la presenza di spirito di dire: 'È un giochetto che faccio tutte le sere per far divertire la gente'; e su questa bugia pietosa mi ricordo che il pubblico applaudì...”

Fabrizio de André2

Nel primo cd c'è proprio quella serata del 15 marzo 1975: il concerto alla Bussola di Viareggio. Il primo vero e proprio concerto davanti a un pubblico, De André lo tiene a trentacinque anni d'età e a quindici anni abbondanti dal debutto discografico: nel frattempo aveva già pubblicato una ventina di singoli e una decina di album, aveva tradotto Bob Dylan, Georges Brassens e Leonard Cohen (che nel corso della serata ripropone tutti). La registrazione del concerto è amatoriale, verosimilmente presa da audience, chiaro che dev'essere stata sottoposta – come le altre qui raccolte – a un trattamento cosmetico, ma è un lavoro superlativo fatto con cura artigianale e pazienza d'altri tempi, col massimo rispetto e tutto l'amore possibile. Mi impressiona il rumore di fondo della registrazione: un ambiente di chiacchiere, di bicchieri e bottiglie che si toccano, le sedie trascinate, la gente venuta per esserci – e, azzardo, non per essere – e che molto presto comincia a fregarsene di quelli sul palco e di quei pochi che vogliono invece ascoltare.
La setlist è organizzata alternando i successi a certi momenti più difficili, canzoni queste che si dimostrano assolutamente inadatte a essere proposte in quel contesto. Si inizia con la Canzone dell'amore perduto (con dei coretti tipicamente à la New Trolls, infatti lì sul palco a suonare ci sono un paio di loro e altri musicisti dello stesso giro) che la gente riconosce e applaude e per cui è disposta a spendere qualche briciola d'attenzione, per poi cambiare presto idea già dalla successiva Nancy. Sergio Bernardini, organizzatore del concerto, spazza la Bussola in Via della Povertà: è l'unica deviazione di rilievo rispetto alla versione incisa su disco. Spesso, nei concerti successivi (vedi le testimonianze piuttosto facilmente reperibili in rete) il testo della canzone è modificato in una sorta di Inferno musicale brulicante dei politici del tempo. Fabrizio canta con quella sua voce miracolosamente tenuta ferma dall'alcool Le Passanti, e poi Oceano, Amico fragile, Il testamento di Tito. Se chiudo gli occhi rimbomba in testa una frase che scriverà quindici anni dopo, forse pensando a questa serata: “...ci guardarono cantare per una mezz'oretta, poi ci mandarono a cagare”.
“Quel debutto lo ricordo come un incubo” – confida Fabrizio a Cesare G. Romana – “De Gregori mi rimbrottò duramente perché mi vendevo a un pubblico di ricchi, e probabilmente aveva ragione. Ma io quello che guadagnavo lo davo in parte a chi dicevo io, e così mi mettevo l'anima in pace”3.
Ad un certo punto della serata, Faber avverte il pubblico: “C'è un grosso problema, è il fatto che io fino ad oggi non abbia mai preparato delle canzoni da cantare in pubblico. Non me le ero neanche studiate a memoria, a me importava scriverle, poi registrarle in sala di registrazione. Può darsi benissimo che di qualche canzone io mi sia addirittura dimenticato le parole...”. Non è vero: è solo una cattiveria. Marinella, come una Cenerentola sorpresa dalla sfortuna a mezzanotte e cinque, ritorna a essere quella che era, prima che Faber le cambiasse il destino e prima di finire ai vertici della hit parade: “Prima con una carezza ed un bacino, poi si passò decisi sul pompino / e sotto la minaccia del rasoio fosti costretta al biascico e all'ingoio”. È uno sputo in faccia, tirato allo specchio e alla platea. La gente può solo ridere, a bocca aperta, senza capire che De André non è un oggetto di lusso. Una Canzone del Maggio gettata nel vuoto, a quella gente sbagliata. L'avrebbe sprecata anche più avanti, offrendola alle orecchie di quelli dell'Autonomia.

[...] Cantautore impegnato ma non troppo. Borghese di nascita, di adozione e di intenti, rifiutava di esibirsi in pubblico fino a quando le vendite dei suoi dischi hanno subito un tracollo: allora si è esibito alla Bussola prima di confrontarsi con tutti coloro che avevano sprecato tempo ad ascoltar le sue lagne...”4

Nel cd numero due è raccolta la versione offerta in concerto di Storia di un impiegato ricostruita attraverso due concerti successivi, verso la fine del tour 1975-76. L'album era uscito quasi tre anni prima e non s'erano ancora spenti i fuochi delle discussioni che aveva acceso: la rivoluzione del 1968 nel nostro paese stentava ad arrivare, ora sappiamo quanto si adoperarono gli apparati dello stato per accumulare quel ritardo. De André era oggetto di attenzione da parte della questura e dei servizi segreti già da dopo i fatti di piazza Fontana, sospettato dapprima di essere un “simpatizzante delle Brigate Rosse” e poi di aver reso la sua casa a Tempio Pausania un covo di extraparlamentari di sinistra.
Durante la conferenza stampa di presentazione del progetto, Dori Ghezzi racconta sorridendo che “Fabrizio e la Pfm capivano il senso della contestazione e volevano calmare le acque. Lui scese addirittura in mezzo ai contestatori, dando loro ragione. E quando cantò Amico fragile cambiò la strofa da 'E poi seduto in mezzo ai vostri arrivederci, mi sentivo meno stanco di voi' in 'E poi seduto in mezzo ai vostri ...vaffanculo!'”.

13 settembre 1991 – Fabrizio De André in concerto
in piazza degli Scacchi a Marostica (Vi)

Non ci sono poteri buoni, aveva tentato di convincerci. Durante il concerto alla festa dell'Unità di Modena del 29 agosto 1975 qui ampiamente documentato, nell'introdurre Via della Povertà Fabrizio commentava amaramente con “Non è cambiato niente, non cambierà niente...” le recenti elezioni in cui il Pci aveva ottenuto un consenso vastissimo, però non sufficiente a scalzare dal potere la Democrazia Cristiana. Nel corso di un'intervista pubblicata dal Mucchio Selvaggio nel settembre 1992, De Andrè diceva che “Il '68 è stato una rivolta spontanea e il fatto che non sia riuscita forse è un bene, se è vero che il grosso problema di ogni rivoluzione è che, una volta preso il potere, i rivoluzionari cessano di essere tali per diventare amministratori...”.
Storia di un impiegato è un'opera su cui ci si è scontrati e schierati, fatta a pezzi e ricostruita – ognuno a proprio modo – in mille discussioni e dibattiti. De André velleitario e qualunquista, venduto e sfanculato, profeta anarchico e visionario bestemmiatore, poeta da antologia e da beatificazione. Un disco odiato e frainteso, che mischia assieme politico e privato ben prima del tempo in cui farlo venisse sdoganato a pratica di moda. Un disco contestato in pubblico eppure ascoltato di nascosto e tenuto stretto al cuore, pensato e realizzato in un momento perfettamente sbagliato. Non ci sarebbe stato mai un “momento giusto” per quelle canzoni nel nostro paese, neanche dopo quarant'anni.

Marco Pandin

Note

  1. da “Come un'anomalia” a cura di Roberto Cotroneo (ed. Einaudi, 2000)
  2. da “I concerti” (a cura di Giancarlo Pierozzi, Stefano Barzan ed altri, ed. Sony, 2012)
  3. da “Amico fragile” (ed. S&K, 1999)
  4. da “Libro bianco sul pop in Italia” (ed. Arcana, 1976)