rivista anarchica
anno 43 n. 378
marzo 2013


Africa

Niente di nuovo sul fronte maliano

di Paolo Soldati


L'intervento militare della Francia in Mali è il primo caso di uso della forza nello scenario internazionale da parte della presidenza Hollande.
Quali sono le vere ragioni di questa scelta e quali le possibili conseguenze?


La Francia è di nuovo in guerra. Senza grandi sorprese infatti, prima del previsto e contrariamente all'idea iniziale di limitarsi solo ad un appoggio tecnico alle truppe africane dell'Ocde che sarebbero dovute intervenire sotto mandato dell'Onu, la Francia ha deciso di intervenire unilateralmente con tutta la sua potenza militare sul terreno. Truppe francesi stanno combattendo contro i radicali islamici che da più di un anno hanno occupato la regione semi-desertica del nord del Mali.
Le giustificazioni sono le solite: salvare il governo amico del Mali, sostenere la democrazia del paese, combattere gli islamisti di Al Queida, proteggere i circa 6500 cittadini francesi presenti sul territorio maliano. Dietro questa propaganda soporifera in realtà ci sono altri obiettivi. Interni ed esterni.
Hollande è stato criticato da tutte le parti per la sua politica da pacioccone un po' provinciale. Una politica molle, senza decisioni forti in difesa dei ceti meno abbienti, dei lavoratori: la classica politica socialdemocratica fatta, sul piano economico, di piccole concessioni agli uni e agli altri. Senza la volontà di cambiare radicalmente l'assetto economico. Un colpo al cerchio, uno alla botte. Più forti i colpi alla botte piena di povera gente, leggeri quelli al cerchio dei ricchi. Il suo slogan di campagna “Un presidente normale” gli è stato rinfacciato fino alla nausea, soprattutto dalla destra, che lo accusava di non avere né le capacità decisionali né la statura (!) di Sarkozy.
La sua quota di popolarità è caduta in un pozzo fermandosi per ora al 35 per cento, cioè, grosso modo, l'elettorato del partito socialdemocratico del quale è stato a lungo segretario nazionale. Una delle più basse della storia della quinta repubblica, nemmeno Sarkozy, è mai sceso cosi in basso.
Immediatamente dopo il primo attacco aereo sul “fronte” islamico che divideva il nord del paese dal sud, la classe politica, unanime, lo ha acclamato, riconoscendo finalmente in lui un vero presidente. La capacità di mandare altri a farsi ammazzare – nel nostro caso per un governo mafioso – conferisce lo status di “uomo di stato”. Perfino i Le Pen (padre e figlia) si sono gargarizzati la gola dando il loro pieno ed intero sostegno a Hollande, il che è tutto dire considerando l'odio viscerale che i due – e i loro militanti frontisti – nutrono per qualsiasi sfumatura, non dico di rosso, ma nemmeno di rosa.
Dunque oggi Hollande ha assunto pienamente il suo status di presidente. Niente di sorprendente per noi anarchici. Nel momento in cui il fossato tra ricchi e poveri si divarica sempre di più un intervento guerrafondaio serve a creare un'unità di facciata – tutti uniti dietro l'esercito –, serve a rilucidare l'immagine della Francia a farla ridiventare, agli occhi degli sciocchi, quella di una potenza mondiale da tempo in difficoltà. Non da ultimo, l'intervento militare francese serve a fare sfoggio della capacità tecnologica dell'industria bellica francese. Gli aerei da caccia Dassault sono in prima linea anche per mostrare ai potenziali acquirenti le loro capacità di distruzione.
Il Rafale, l'aereo da caccia Dassault, non ha mai trovato uno sbocco sul mercato internazionale e tutti i presidenti francesi si sono fatti in quattro per poterne vendere almeno un esemplare all'estero. Il problema è che sono estremamente cari e ogni tanto si schiantano. Recentemente il Brasile e gli Emirati Arabi li hanno scartati e si sono orientati verso apparecchi americani. A proposito, chi è Dassault? Serge Dassault è senatore del gruppo Ump, grande amico di tutti i nomi importanti della destra, in particolare dei presidenti di destra e, ultimamente, grande amico di Sarkozy. Serge è proprietario tra l'altro del giornale di destra “Le Figaro”, testata totalmente impegnata nella difesa dei privilegi di una piccola ma ricchissima parte della popolazione. “Le Figaro” non è un giornale d'opinione, è uno strumento militante a sostegno della politica di destra (a volte destra estrema) nel panorama editoriale francese. E Serge Dassault vi firma spesso articoli velenosi. Uno dei suoi figli, Olivier, è deputato all'assemblea nazionale. Questa penetrazione nelle ruote del potere non scandalizza nessuno.

I “nuovi liberatori”

Hollande ci dice che la sua decisione di intervenire in Mali è a sostegno del governo democratico. Difesa sì, ma di un governo corrotto e golpista. Nel momento in cui il nord del paese era invaso da circa 5000 militanti islamici, l'esercito non ha trovato di meglio che fare un colpo di stato e mettere un colonnello sulla sedia presidenziale, senza muovere un dito per difendere le popolazioni di Tombouctou, Gao ecc., terrorizzate dagli invasori e costrette a subire la Shari'a.
Allora perché Hollande ha deciso di inviare le truppe dei reparti d'élite? Il governo francese interviene in realtà per difendere gli interessi francesi. Parecchi stati della regione si sono trovati, in passato, sotto il giogo della colonizzazione francese e tutti i governi francesi si sono sempre considerati a casa loro, malgrado le lotte sfociate nell'indipendenza. Insomma, quella che qui in Francia si chiama la “Franciafrica” e che ha portato a scandali memorabili – qualcuno della mia età si ricorderà, ad esempio, dei diamanti dati da Bokassa all'allora presidente Giscard d'Estaing.
Nel Mali sono presenti le più grandi imprese del CAC 40, da Bouygues a Vinci nel settore minerario aurifero a Total nel settore petrolifero ecc. Total ha ambizioni sul nord del paese, ricco di petrolio e di materie prime. Difesa degli interessi francesi all'interno del Mali dunque, ma anche il timore che una destabilizzazione di questo paese tocchi con un effetto a cascata il Niger e la Mauritania. La politica energetica nucleare francese infatti è completamente dipendente dall'uranio estratto da Areva nella vicina Repubblica del Niger. Un'interruzione dell'approvvigionamento di questo metallo metterebbe in serie difficoltà sia la filiera delle centrali nucleari “civili” che quella militare. La Mauritania è seduta su un mare di petrolio che ovviamente attira i cupidi sguardi delle imprese occidentali e in particolare francesi (vedi Total).
La popolazione maliana oggi vede nelle truppe francesi i nuovi liberatori, i telegiornali ci mostrano donne e bambini acclamare, con le bandiere tricolori, i soldati francesi che vanno al fronte. La presenza di queste truppe ha cancellato dalle memorie la violenza del passato coloniale e le lunghe guerre di liberazione, il recente scriteriato intervento in Libia, il saccheggio delle risorse e la recente politica di rinvii forzati di cittadini maliani espulsi con i charter, ammanettati, dal territorio francese.
Per ora la Francia, malgrado la retorica, è abbastanza sola in questa operazione, vedremo se altri paesi, in particolare gli Stati Uniti e l'Inghilterra, si muoveranno al suo fianco dopo la tragica conclusione della vicenda degli ostaggi in Algeria. In ogni caso questa solitudine mette in luce in modo lampante chi ha le mani sul malloppo. E parlando di mani, sapendo che una sola bomba telecomandata costa 300˙000 Ä, chi si frega le mani sono le imprese del complesso militar-industriale, Dassault, Thales, Matra e tante altre, che vedono nelle guerre il mezzo per arricchirsi rapidamente, e dietro loro i milioni di anonimi azionari che vedono il prezzo delle loro azioni aumentare... Niente di nuovo per noi anarchici.
Comunque vada a finire questa guerra (lampo, insabbiamento nelle montagne del nord, altri sequestri ed attentati) sono convinto che Hollande sarà il prossimo Nobel per la pace e parlando di pace la colomba bianca, quella con il ramo d'ulivo nel becco, mi sembra abbia qualche difficoltà nel prendere il volo.

Paolo Soldati
soldati.paolo@wanadoo.fr