|  
 politica 
                  
                La “non partecipazione” istituzionale 
                  
                di Andrea Papi 
                    
                I veri cambiamenti che la gente si aspetta per migliorare le proprie condizioni di vita hanno poco o niente a che fare con le elezioni. Come sempre. 
                 
                  Quando uscirà questo articolo 
                  le elezioni si saranno già svolte e se ne conosceranno 
                  i risultati. Ma è facile profezia sostenere che non porteranno 
                  a cambiamenti sostanziali, mentre i rituali d'insediamento, 
                  consunti e logori, si svolgeranno con più o meno ostentato 
                  entusiasmo da parte dei protagonisti del momento. In sostanza 
                  nulla di nuovo sotto il sole, ma anche sotto la luna e le altre 
                  stelle. Più lor signori, coi loro ciarlieri codazzi di 
                  comprimari e cicisbei, si affannano a parlare di “cambiamenti”, 
                  come in questa campagna elettorale, e più le cose del 
                  politicantismo in auge rimangono saldamente piazzate nei loro 
                  supercorazzati alvei di sempre. 
                  Al momento in cui scrivo la campagna di voto impazza. I potenziali 
                  “clienti” elettori, concepiti gaberianamente come 
                  fossero “polli d'allevamento”, sono sistematicamente 
                  presi d'assalto dall'imbonimento mediatico, bombardati con spot, 
                  talk-show, “notizie shock”, annunci a sorpresa dei 
                  vari “piazzisti del seggio”, duelli televisivi poco 
                  cavallereschi, tutti gli “specchietti per le allodole” 
                  insomma che la creatività più o meno prolifica 
                  dei vari contendenti/propagandisti riesce a mettere sul tappeto. 
                  Idee poche, quasi nessuna, programmi facilmente iperbolici raramente 
                  comprensibili e moltissime promesse, favorite dalla crisi in 
                  atto che ha aumentato la necessità di soddisfare i bisogni. 
                  La lotta è tra chi ha maggiori capacità di apparire 
                  convincente. Che importanza può avere in un tale bailamme 
                  se ciò che dicono ora corrisponderà poi a ciò 
                  che saranno in grado di fare? Una volta finita la baldoria tanta 
                  logorroica loquacità reclamizzante sarà dimenticata 
                  nel giro di poco tempo, tutti presi come saremo dai problemi 
                  di sempre, più da quelli che verranno. Tanto poltrone 
                  e posti saranno già stati assegnati e distribuiti nello 
                  scacchiere istituzionale. 
                  Ciò che voglio dire è che dovremmo essere sufficientemente 
                  disincantati da aver ormai capito che dal sistema/metodo elettorale, 
                  proprio per come è strutturato e concepito, non ci si 
                  può aspettare nulla di meglio di quello che già 
                  c'è. Se, nonostante decenni di esperienza consolidata, 
                  qualcuno continua a credere che un eventuale cambiamento auspicato 
                  possa passare attraverso le elezioni, ci penserà poi 
                  l'andamento delle cose a disilludere i troppi ostinati illusi. 
                  Non è difficile prevedere che le novelle speranze saranno 
                  infrante, un'altra volta come tutte le precedenti. Ce lo suggerisce 
                  la stessa impostazione strutturale se guardata nella sostanza 
                  delle sue sfaccettature.
                
   
                   
                   Nessun potere  di controllo 
                
  È falso, per esempio, che il voto elettorale corrisponda 
                  a un'effettiva partecipazione dal basso, come invece viene continuamente 
                  decantato da chi ne ha bisogno per procacciarsi consenso. Ci 
                  sarebbe partecipazione vera se in qualche modo fosse uno strumento, 
                  anche minimo, per partecipare alle decisioni che ci riguardano 
                  direttamente prese dai politicanti. Col voto gli elettori possono 
                  solo delegare il potere decisionale all'oligarchia eletta, la 
                  quale agirà al nostro posto e sulle nostre teste, mentre 
                  attraverso una conta di maggioranza non si fa altro che stabilire 
                  chi potrà governare, in definitiva chi comanderà. 
                  Col suffragio elettorale si eleggono i capi che hanno il potere 
                  d'imporre le leggi cui tutti, elettori o no, dobbiamo sottostare. 
                  L'assenza concreta di partecipazione è dimostrata in 
                  modo lampante dal fatto che chi vota sarà poi del tutto 
                  escluso anche da ogni possibilità di controllo sulle 
                  decisioni che verranno prese e sulla loro applicazione. Secondo 
                  costituzione e per legge l'elettore si deve limitare ad esprimere 
                  le sue preferenze, demandando a coloro che sceglie, se saranno 
                  parte della maggioranza, il potere in bianco di decidere per 
                  tutti gli altri, mentre gli eletti non devono avere alcun mandato 
                  vincolante potendo decidere a propria discrezione, tanto è 
                  vero che si divertono a promettere senza poi mantenere gli impegni. 
                  Non dovendo avere un mandato, per legge non sono tenuti a rispettare 
                  le promesse che fanno spinti dalla sola intenzione di convincere 
                  per estorcere consenso. 
                  Questo meccanismo elettorale, proprio per come è concepito, 
                  fa comprendere che nella realtà delle cose gli eletti 
                  in parlamento sono rappresentanti solo di nome. Per rappresentare 
                  veramente dovrebbero essere incaricati sia di dire sia di fare 
                  ciò che pensano e decidono gli elettori che li delegano. 
                  Non può essere rappresentanza vera quella che si fonda 
                  sul presupposto di votare sulla fiducia nella speranza che i 
                  prescelti siano brave persone, senza poi neanche avere la minima 
                  possibilità d'intervenire mentre svolgono il “mandato”. 
                  Così di fatto si eleggono dei capi, che decideranno senza 
                  né consultare né tener conto del punto di vista 
                  e della volontà di base. Il re comandava legittimato 
                  da dio, i governi della “non-democrazia parlamentare” 
                  attuale comandano col consenso dei cittadini, ridotti ahimé 
                  a sudditi. Eppure quando nel medioevo si concepì la rappresentanza 
                  politica fu pensata, giustamente, come delega con mandato vincolante. 
                  Come si sa, le democrazie parlamentari fondano il loro mandato 
                  sul principio di maggioranza, in base al quale nell'assunzione 
                  di una decisione da parte di un gruppo prevale l'opzione che 
                  ha raccolto la maggioranza di consensi. È il punto più 
                  controverso e particolarmente opinabile. Maggioranza è 
                  il 50 per cento più uno. Siccome però è 
                  difficile raggiungerla hanno inventato la maggioranza relativa, 
                  cioè chi ha più voti anche se non raggiunge il 
                  fatidico 51 per cento. Guardiamo per esempio l'assegnazione 
                  delle percentuali di voto, attribuite considerando solo i voti 
                  che si sono espressi. La percentuale ufficializzata non corrisponde 
                  affatto a quella reale. Se, per esempio, fra astensioni schede 
                  nulle e bianche di fatto un buon 40 per cento non ha votato, 
                  la percentuale attribuita si riferisce solo al 60 per cento 
                  che ha espresso il proprio voto. Così il 30 per cento 
                  ufficiale nella realtà corrisponde invece ad un 17 per 
                  cento circa. In nome della maggioranza, viene assegnato a una 
                  vera minoranza il compito e la responsabilità di decidere 
                  per tutti, anche di chi non vorrebbe. Dov'è la rappresentanza? 
                  Dov'è il rispetto della volontà popolare, considerata 
                  unica sovrana secondo costituzione? 
                  In verità è una vera e propria truffa. La tecnologia/meccanismo 
                  istituzionale, legittimata dalle loro leggi, serve solo per 
                  giustificare un'assegnazione di potere, lontana dalla gente 
                  e impostata per escludere l'insieme dei cittadini dai livelli 
                  elitari della politica, mentre viene presentata come espressione 
                  della volontà popolare. Ma dopo decenni di pratica di 
                  gestione del potere partitocratrico la sfiducia sull'operato 
                  degli eletti ha raggiunto livelli elevati, proprio perché 
                  è apparso con grande e sistematica evidenza come non 
                  serva in alcun modo ad esprimere una volontà generale 
                  dal basso, come invece vorrebbe l'originario principio democratico. 
                  Come ho mostrato più sopra, sono proprio le modalità 
                  strutturali applicative l'elemento principe che serve a concretizzare 
                  il distacco totale tra gli eletti e gli elettori. Il popolo 
                  da una parte e dall'altra i suoi governanti e i suoi dirigenti 
                  politici. Sembra studiato appositamente per conservare l'esistente 
                  e non permettere cambiamenti reali nell'andamento generale. 
                  Chiunque scenda nell'arena della politica istituzionale e si 
                  presenti per partecipare, al di là delle migliori intenzioni, 
                  deve essere consapevole che si va ad invischiare in meccanismi 
                  e intrecci in mezzo ai quali riuscirà a districarsi con 
                  grande difficoltà, trovandosi facilmente impossibilitato 
                  a realizzare ciò che ha in animo. I dispositivi procedurali 
                  del potere legislativo ed esecutivo, perché è 
                  di questo che stiamo parlando, sono luogo di gestione del potere, 
                  di voluto esercizio del comando politico, non momenti di confronto 
                  ed espressione delle volontà dei cittadini. Sono pensati 
                  per mantenere ed esercitare l'egemonia del comando, non per 
                  perderla. Chiunque vi è ammesso e vi ha adito si trova 
                  coinvolto in un gioco cui non può né riesce a 
                  sottrarsi, cui non può non sottostare. 
                   
                  Ventate  di freschezza? 
                  È perciò impossibile che da un tale luogo possano 
                  prendere forma i veri cambiamenti che la gente si aspetta per 
                  migliorare le proprie condizioni di vita 
                  Per gli stessi motivi risulteranno illusorie anche le istanze 
                  di coloro che si presentano ammantati di un'aura nuova, vantando 
                  e propagandando, purtroppo con troppa autoreferenzialità, 
                  metodologie innovative, se non addirittura rivoluzionarie. Quasi 
                  ad ogni elezione si presentano formazioni nuove che si propongono 
                  di portare un'aria innovativa, convinte di riuscire a trascinare 
                  il parlamento e le istituzioni esistenti in un vortice rigenerante, 
                  in grado di apportare quei cambiamenti strutturali ritenuti 
                  indispensabili per dare un'impronta modernizzatrice e per ridare 
                  forza e fiato alla società intera. Per quanto animate 
                  dalle migliori intenzioni, una volta entrate nel gorgo della 
                  pratica parlamentare ordinaria, le forze potenzialmente innovative 
                  vengono sistematicamente risucchiate e normalizzate dalla forza 
                  annichilente della gestione istituzionale del potere. È 
                  storia! 
                  Anche questa elezione del 2013 non fa eccezione. Sono più 
                  d'una le nuove liste, sia a destra che a sinistra che al centro, 
                  tre poli che in Italia non sono mai tramontati a dispetto dell'artificioso 
                  bipolarismo con cui ci hanno afflitto nell'ultimo quasi ventennio. 
                  Una vivacità attivistica irruente, a dimostrazione del 
                  sommovimento che sta mettendo in subbuglio la politica istituzionale, 
                  sempre più in crisi e sempre più incapace di dare 
                  risposte soddisfacenti ai problemi sociali che essa stessa contribuisce 
                  a sollevare. Ma mentre a destra e al centro, in verità 
                  con molte differenze di forma e ben poche di senso, il tema 
                  che sembra agitare vecchi e nuovi gira attorno alla ormai esausta 
                  lagna del “buon governo”, a sinistra sembrano tutti 
                  appassionati a rispolverare, con riverniciature più o 
                  meno autentiche e credibili, classiche tematiche del libertarismo 
                  come la partecipazione democratica diretta e il controllo dal 
                  basso, purtroppo inserite in contesti e in strutture che di 
                  libertario hanno ben poco, se non quasi nulla. 
                  Nelle tre novità collocabili a sinistra troviamo delle 
                  differenze di base che però alla fin fine confluiscono 
                  tutte nello stesso troncone della condivisione sociale. “La 
                  rivoluzione civile” di Ingroia, erede dell'Idv dipietrista, 
                  sembra soprattutto intenzionata a riportare l'onestà 
                  nella politica di palazzo, volendo al contempo una giustizia 
                  che si realizzi attraverso la partecipazione popolare. Sel di 
                  Vendola, messi ormai in secondo piano gli originari laboratori 
                  della politica, luoghi di dibattito e di partecipazione sociale 
                  che avrebbero voluto coinvolgere le persone nei processi di 
                  elaborazione decisionale, sembra ormai tutto spostato verso 
                  la politica di coalizione col Pd per diventare forza di governo. 
                  Il M5stelle di Grillo, novità assoluta, ha come referente 
                  il web e realizza il confronto democratico attraverso gli strumenti 
                  della comunicazione informatica, svolgendo dibattiti e assemblee 
                  via internet: “minaccia” di voler entrare in parlamento 
                  per aprirlo come una scatoletta, per guardarci dentro fino a 
                  renderlo del tutto trasparente. 
                  Per noi sono più interessanti delle “novità” 
                  di destra e di centro perché si muovono attorno alle 
                  tematiche della partecipazione diretta dal basso, anche se, 
                  purtroppo, sono tutte e tre presi dal problema di agganciare 
                  la partecipazione dal basso ai livelli di potere, lo stesso 
                  potere strutturalmente intatto che è responsabile della 
                  situazione sociale disastrata che tutti dicono di voler combattere. 
                  Un tentativo che ai nostri occhi alla fin fine non può 
                  che risultare demagogico ed apparire finto, dal momento che 
                  i luoghi deputati a prendere le decisioni che contano sono il 
                  parlamento e le strutture del potere tradizionale, non certamente 
                  le assemblee popolari o i laboratori di dibattito o la fruizione 
                  del web. Al di là della loro attuale volontà, 
                  se non vorranno scomparire nei sotterranei del palazzo, una 
                  volta diventati onorevoli o senatori anch'essi non potranno 
                  che fare politica come ogni politicante che si rispetti. 
                 Andrea Papi  |