lager 
                  Triangolo nero: dagli asociali al Porrajmos 
                  di Marco Rossi 
                    
                La persecuzione dei rom e dei sinti sotto 
                  il regime nazista è stata parte di quella più 
                  generale contro gli asociali. Ma ha avuto anche caratteristiche 
                  specifiche, che è bene conoscere. Perché anche 
                  oggi... 
                 
                
                   
                      
                        Il tiranno parla il linguaggio della 
                          legge, non ha altro linguaggio. 
                          Egli ha bisogno dell'«ombra» delle leggi.
                          (G. Deleuze)   | 
                   
                 
                 
                  Il meccanismo di discriminazione 
                  che, sotto il nazismo e gli altri regimi fascisti europei (in 
                  particolare Romania, Croazia e Italia), portò all'internamento 
                  generalizzato e allo sterminio di circa mezzo milione di rom 
                  e sinti ha avuto una premessa – ancora meno conosciuta 
                  del Porrajmos – nella politica di persecuzione 
                  attuata contro i cosiddetti soggetti Asoziale che poi, 
                  nei lager, furono contraddistinti dal triangolo nero cucito 
                  sulla casacca dei prigionieri. 
                  Gli asociali, infatti, furono – assieme agli oppositori 
                  politici – le prime vittime del sistema concentrazionario 
                  nazista, anche se questo poté contare su una serie di 
                  precedenti misure di polizia e decreti legislativi in vigore 
                  ben prima dell'avvento di Hitler al potere. Infatti, fu durante 
                  la Repubblica socialdemocratica di Weimar che vennero approvati 
                  e attuati gravi provvedimenti di individuazione, controllo e 
                  coercizione su alcuni settori emarginati o marginali della società, 
                  tanto che – secondo lo storico tedesco Wachsmann – 
                  «la criminologia di Weimar e la prassi penale contribuirono 
                  a forgiare la politica nazista». 
                  Già nel 1920 Alfred Hoche, psichiatra, e Karl Binding, 
                  uomo di legge, avevano pubblicato un piccolo libro, intitolato 
                  Il permesso di annientare vite indegne di essere vissute, 
                  destinato a fornire il fondamento medico e giuridico per la 
                  soppressione dei soggetti “deboli”. Nel 1926 venne 
                  promulgata una prima Legge “per fronteggiare zingari, 
                  vagabondi e oziosi”, quindi nel 1929 ne seguì un'altra 
                  “per la lotta contro la nocività degli zingari” 
                  che, anche nelle parole, anticipò la legge varata dai 
                  nazisti nell'agosto 1933, “per la protezione della popolazione 
                  dalle nocività di zingari, vagabondi e oziosi”. 
                  Nello stesso 1929 la Commissione statale contro il crimine aveva 
                  anche deciso l'estensione a tutta la Repubblica del servizio 
                  di polizia con compiti specifici di informazione sugli zingari 
                  (Zigeunerpolizeistelle), già attivo nel distretto 
                  di Monaco di Baviera fin dal 1899 sotto la direzione dello zelante 
                  funzionario statale Alfred Dillman. Questo ufficio, nel 1905, 
                  aveva completato la schedatura di 3?350 zingari o “girovaghi 
                  assimilabili agli zingari”, prelevandone, a partire dal 
                  1911, anche le impronte digitali. 
                  Parallelamente al rilevamento e all'adeguamento del quadro normativo 
                  per poter realizzare, nella formale legalità, i progetti 
                  liberticidi e razzisti propri del nazismo, fu avviata sin dal 
                  febbraio 1933 (subito dopo l'incendio del Reichstag) la creazione 
                  dei primi campi di concentramento di Stato. 
                  Il 28 febbraio 1933 fu infatti emanato un decreto a firma del 
                  presidente del Reich, Paul von Hindemburg, “per la protezione 
                  del popolo e dello Stato” che, richiamandosi all'art. 
                  48 della costituzione, stabiliva «misure protettive contro 
                  gli atti di violenza comunista che mettono in pericolo la sicurezza 
                  dello Stato». Oltre che prevedere l'applicazione della 
                  pena di morte per alcuni reati (incendio doloso, esplosione, 
                  sabotaggio, insurrezione, alto tradimento, sequestro di persona 
                  con finalità politiche) e alla sospensione dei principali 
                  diritti liberali (opinione, stampa, associazione, riunione), 
                  era introdotta l'applicazione sistematica della “custodia 
                  preventiva” (Schutzhaft), misura di sicurezza derivante 
                  dalla legislazione penale prussiana. 
                   
                    Arbeit 
                  macht frei
                
  Questa misura venne collegata alla legge “per la riduzione 
                  della disoccupazione” approvata nel 1924, dal precedente 
                  governo socialdemocratico, per erogare forme di assistenza a 
                  disoccupati, invalidi, anziani, ex-prostitute, donne sole con 
                  figli. In realtà questo provvedimento prevedeva – 
                  al di fuori delle norme di diritto civile regolanti i rapporti 
                  di lavoro – la concessione di un reddito di sussistenza 
                  (appena 10 centesimi giornalieri), di un vitto minimo e un alloggio 
                  in baraccamenti, eufemisticamente chiamati Case del lavoro, 
                  in cambio di duro lavoro “volontario” per lo Stato. 
                  Così, paradossalmente, lo stesso slogan di tale intervento 
                  assistenziale, il tristemente famoso “Arbeit macht frei” 
                  (dal titolo di un romanzo ottocentesco di Lorenz Diefenbach) 
                  posto all'ingresso di molti “campi di lavoro”, venne 
                  fatto proprio dall'apparato nazista che rilevò quasi 
                  integralmente la pre-esistente struttura burocratica. Al personale 
                  addetto fu chiesto di continuare ad esercitare la funzione di 
                  sorveglianza, controllo e schedatura mentre, parallelamente, 
                  fu creato un organismo con compiti di esame biologico-razziale 
                  degli emarginati “assistiti”. 
                  Non di meno venne ereditato il sistema di schedatura personale 
                  con annessi archivi, già avviato dagli uffici del lavoro 
                  e dalle centrali di polizia durante la Repubblica di Weimar, 
                  che di fatto rappresentò il primo ingranaggio per il 
                  funzionamento totalitario dello Stato di polizia hitleriano. 
                  Negli anni successivi tale meccanismo venne perfezionato con 
                  la fotosegnalazione e il prelievo delle impronte digitali per 
                  adulti e bambini al fine di individuare le “mele marce” 
                  da selezionare ed eliminare. 
                  Altrettanto significativo appare il fatto che numerosi alti 
                  funzionari di polizia che avevano fatto carriera durante la 
                  Repubblica di Weimar furono prontamente confermati per servire 
                  il Terzo Reich e il Führer come, ad esempio, Arthur Nebe, 
                  già dirigente della polizia investigativa di Berlino 
                  e in seguito generale delle SS, oppure Heinrich Müller, 
                  ex funzionario della polizia politica bavarese, fautore della 
                  schedatura di ogni cittadino, nominato capo della Gestapo dal 
                  1935 al 1945. La misura coercitiva della custodia preventiva 
                  venne inizialmente applicata a due principali categorie di cittadini 
                  tedeschi: quella dei “sovversivi” e quella degli 
                  “asociali” (e, tra questi, gli zingari), indicati 
                  dalla propaganda come “estranei alla comunità”. 
                  La definizione della prima categoria è possibile desumerla 
                  dalle esplicite dichiarazioni di due capi nazisti: «Sovversivo 
                  è chiunque si oppone al popolo, al partito e allo Stato, 
                  ai loro principi ideologici e alle loro azioni politiche» 
                  (R. Heydrich); «Tutti coloro che sono considerati sovversivi 
                  saranno impiccati: chiunque tenga comizi contro il regime e 
                  cerchi di diffondere notizie vere o false sui campi di concentramento» 
                  (H. Himmler). 
                   
                    Le chiromanti 
                  zingare, un pericolo
                  Per quanto riguarda la seconda categoria, quella degli asociali, 
                  i confini appaiono ben più labili e, sulla base delle 
                  disposizioni diramate dai diversi organi polizieschi, comprendeva 
                  indistintamente vari soggetti ritenuti inclini a delinquere, 
                  non-integrati o ribelli sociali quali, ad esempio, gli “individui 
                  colpevoli del reato di violazione del domicilio” (ossia 
                  gli occupanti abusivi di case), i “pagatori morosi di 
                  alimenti” (ossia chi faceva la spesa senza pagare), i 
                  “perturbatori del traffico stradale” (ossia chi 
                  attuava blocchi stradali) e i colpevoli di “resistenza 
                  alle forze dell'ordine” (ossia chi reagiva alle violenze 
                  naziste). 
                  Le misure coercitive vennero quindi affiancate all'insistente 
                  campagna di regime tesa a far avvertire come una minaccia e 
                  un'offesa per la comunità ogni individuo che si sottraeva 
                  alla fatica, che non conosceva la dignità del lavoro, 
                  che ostacolava la produzione non sottostando alle sue regole. 
                  Tra il 1936 e il '39, da una concezione più o meno tradizionale 
                  dei “nemici pubblici da reprimere”, il ricorso sistematico 
                  alla custodia preventiva venne esteso a tutti i soggetti sospettabili 
                  – dal punto di vista dell'ideologia nazionalsocialista 
                  – di condurre comportamenti devianti rispetto a categorie 
                  di ordine e moralità, sino a sconfinare (per quanto riguarda 
                  rom e sinti) nella vera e propria selezione biologica-razziale. 
                  Infatti, dopo controverse valutazioni, si giunse a ritenere 
                  l'“asocialità zingara” non un comportamento 
                  deviante ma un dato genetico; infatti, come ha scritto l'antropologo 
                  Leonardo Piasere, «se gli zingari erano pur sempre di 
                  origine ariana, come si riconosceva, essi erano talmente degenerati 
                  dopo gli incroci con gli asociali europei da essere diventati 
                  essi stessi degli asociali da estirpare». 
                  Il 17 giugno 1936, Himmler ottenne anche il comando della polizia 
                  criminale, la famigerata Kripo, e nel 1937, con l'istituzione 
                  dell'Ufficio centrale di polizia criminale del Reich a Berlino, 
                  sarebbe stata condotta “la lotta alla piaga zingara” 
                  e ai cosiddetti asociali – per lo più destinati 
                  all'annientamento – tanto che questi nei primi campi di 
                  concentramento divennero la maggioranza degli internati, superando 
                  per numero gli oppositori politici antinazisti. 
                  Nel solo marzo 1937 furono incarcerati circa 2000 “delinquenti 
                  abituali e di professione” e “criminali antisociali 
                  corruttori della moralità pubblica”. Secondo quanto 
                  precisato dalla circolare del 14 dicembre 1937, firmata dal 
                  ministro degli Interni Wilhelm Frick, in materia di “prevenzione 
                  della criminalità”, e dalle norme applicative del 
                  decreto “riservato” del 4 aprile 1938: «Vanno 
                  considerati asociali gli individui che si comportano nei confronti 
                  della collettività in modo non costituente di per sé 
                  un reato, ma che tuttavia rivela la loro incapacità di 
                  adattamento [...] individui che dimostrano di non voler adattarsi 
                  alla naturale disciplina dello Stato nazionalsocialista, per 
                  esempio mendicanti, vagabondi (zingari), prostitute, alcolizzati 
                  affetti da malattie contagiose, in particolare da malattie veneree, 
                  che si sottraggono alle misure delle autorità sanitarie 
                  [...] che hanno privatamente rifiutato in due occasioni offerte 
                  di lavoro senza seri motivi o, avendo accettato un lavoro, lo 
                  hanno abbandonato dopo breve periodo senza validi motivi». 
                  Secondo tale logica produttivista, nel gennaio del 1938, Himmler 
                  dette ordine di intensificare la campagna “contro gli 
                  oziosi”, culminata nel giugno seguente con la “Aso-Aktion, 
                  settimana di pulizia zingara”. Tra il 12 e il 18 di quel 
                  mese, seguendo le direttive di Heydrich per l'arresto di «vagabondi; 
                  mendicanti, anche se hanno fissa dimora; zingari o persone che 
                  girano alla zingaresca; ruffiani; persone che hanno precedenti 
                  per resistenza, lesioni, violazione di domicilio, ecc. e che 
                  non vogliono inserirsi nell'ordine della Comunità del 
                  popolo», furono rastrellati migliaia di asociali, anche 
                  ebrei, destinati ai lavori forzati nell'ambito del piano quadriennale 
                  di Göring e, in gran parte, deportati nel lager di Buchenwald, 
                  dove in autunno furono trasferiti anche 1420 zingari già 
                  segregati a Dachau. 
                  Nel gennaio del 1939, il colonnello Greifelt dello stato maggiore 
                  SS, nel presentare l'impiego forzato dei “renitenti al 
                  lavoro” (Arbeitsscheu) al servizio dell'economia 
                  di guerra, ebbe a dichiarare che «più di 10?000 
                  di questi asociali stanno ora subendo un trattamento di educazione 
                  al lavoro, in campi di concentramento adatti allo scopo». 
                  Sulla base delle indicazioni diramate dalle diverse autorità 
                  di polizia, la categoria degli asociali venne allargata anche 
                  a persone “colpevoli” di comportamenti coniugali 
                  o sessuali irregolari (compresi i propagatori di pubblicazioni 
                  oscene), con particolare accanimento nei confronti delle lesbiche 
                  alle quali non veniva riconosciuto neppure il diritto di essere 
                  associate agli omosessuali (Homo), contraddistinti dal triangolo 
                  rosa. 
                  Tra gli asociali furono comprese anche le chiromanti zingare, 
                  per le quali nel novembre 1939 la Kripo ordinò l'arresto 
                  per timore che, in tempo di guerra, le loro profezie turbassero 
                  la serenità del popolo tedesco. 
                   
                    Anche 
                  in Italia...
                  Inoltre, va ricordato come un certo numero di anarchici, comunisti 
                  e sindacalisti furono, per le loro attività fuorilegge, 
                  inseriti tra gli asociali e contrassegnati col relativo triangolo 
                  nero (invece che con quello rosso degli oppositori politici). 
                  Il primo campo di concentramento “istituzionale” 
                  dove furono sottoposti a custodia preventiva sovversivi e asociali 
                  fu quello di Dachau, ricavato da una fabbrica di munizioni ed 
                  esplosivi ormai dismessa presso l'omonima cittadina, a 15 km 
                  da Monaco. 
                  Pochi giorni dopo l'inaugurazione – il 22 marzo 1933 – 
                  alla presenza di Göring, il campo passò sotto il 
                  controllo delle SS, ovviamente alle dipendenze di Himmler che, 
                  dal 1° aprile, sarebbe divenuto anche comandante della polizia 
                  politica della Baviera. 
                  Il primo gruppo di prigionieri risultò composto da una 
                  sessantina di militanti di sinistra. Nel 1933, tra marzo e dicembre, 
                  il numero degli internati risulta essere stato di 4?821, nel 
                  1934 sarebbe quindi salito a 6?811, di cui circa 350 “renitenti 
                  al lavoro”, anche se in questi primi due anni di attività 
                  del campo non esisteva ancora un sistema di registrazione attendibile. 
                  Il triangolo nero, oltre che agli asociali generalmente di nazionalità 
                  tedesca (nel 1941 erano 110?000 quelli prigionieri nei lager), 
                  venne attribuito anche ai detenuti russi non rientranti nella 
                  categoria dei prigionieri di guerra. 
                  Invece, per i rom e i sinti, tra il 1937 e il '38, allorché 
                  la loro discriminazione venne precisata in base a criteri prevalentemente 
                  razziali, con la conseguente esigenza di realizzare, anche nei 
                  lager, «la separazione definitiva della stirpe gitana 
                  dalla stirpe germanica» (H. Himmler), venne introdotta 
                  la specifica categoria degli Zigeuner, segnalata dal 
                  triangolo marrone, a cui vennero assimilati anche “negri” 
                  e “meticci”, mentre i “nomadi non-zingari” 
                  furono presumibilmente distinti dal triangolo grigio. 
                  Nell'Italia fascista, il termine “asociali” fu recepito 
                  ed utilizzato dopo il 1938 soprattutto per indicare i rom e 
                  i sinti, come attesta un articolo firmato da Guido Landra, direttore 
                  dell'Ufficio studi e propaganda sulla razza, pubblicato in “La 
                  difesa della razza” del 5 novembre 1940: «Essi si 
                  presentano dolicocefali, con viso allungato, colorito bruno, 
                  naso leggermente convesso, occhio a mandorla quando sono soltanto 
                  di razza orientale, altrimenti presentano anche leggermente 
                  i caratteri delle razze europee con cui si sono mescolati. [...] 
                  È quindi necessario diffidare di tutti gli individui 
                  che vivono vagabondando alla maniera degli zingari e che ne 
                  presentano i sopra ricordati tratti somatici. Si tratta di individui 
                  asociali, differentissimi dal punto di vista psichico dalle 
                  popolazioni europee e soprattutto da quella italiana di cui 
                  sono note le qualità di laboriosità e attaccamento 
                  alla terra». 
                  Parole, pregiudizi, logiche che, se allora furono la premessa 
                  all'internamento e all'uccisione, oggi ci riportano alle discriminazioni 
                  attuali e alla necessaria resistenza umana di ogni giorno. 
                   
                  Marco Rossi
                
 Intervento presentato a Livorno il 14 aprile 
                  2012 all'incontro promosso dal Centro Mondialità Sviluppo 
                  Reciproco nell'ambito del progetto RomAntica Cultura - 2° 
                  Corso per operatori volontari diretto al supporto e all'inclusione 
                  della comunità rom e sinti. 
                 
                   
                      
                        Per 
                        saperne di più 
                        
                        - Wolfgang Sofsky, L'ordine del terrore. Il 
                          campo di concentramento, Laterza, Bari, 1995;
                          
 - Wachsmann Nikolaus, Le prigioni di Hitler. 
                          Il sistema carcerario del Terzo Reich, Mondadori, 
                          Milano, 2008;
                          
 - Sergio Bologna, Nazismo e classe operaia 1933-1993, 
                          Manifestolibri, Roma, 1996;
                          
 - Enzo Collotti, L'Europa nazista. Il progetto 
                          di un nuovo Ordine europeo (1939-1945), Giunti, 
                          Firenze, 2002;
                          
 - Gustavo Ottolenghi, La mappa dell'inferno. 
                          Tutti i luoghi di detenzione nazisti 1933-1945, 
                          SugarCo, Gallarate (Va), 1993;
                          
 - Gustavo Ottolenghi, Arbeit macht frei. Le 
                          industrie del Terzo Reich che sfruttarono la mano d'opera 
                          coatta dei prigionieri dei campi di concentramento (1933-1945), 
                          SugarCo, Gallarate (Va), 1995;
                          
 - Circolo Pink (a cura del), Le ragioni di un 
                          silenzio. La persecuzione degli omosessuali durante 
                          il nazismo e il fascismo, Ombrecorte, Verona, 2002;
                          
 - Leonardo Piasere, I rom d'Europa. Una storia 
                          moderna, Laterza, Bari, 2004;
                          
 - Guenter Lewy, La persecuzione nazista degli 
                          zingari, Einaudi, Torino, 2000;
                          
 - Marco Paolini, Ausmerzen. Vite indegne di 
                          essere vissute, Einaudi, Milano, 2012;
                          
 - Paolo Finzi, Asociali. E sottouomini, 
                          in A forza di essere vento. Lo sterminio nazista 
                          degli zingari, Editrice A, Milano, 2006;
                          
 - Marco Rossi, Asociali e renitenti al lavoro 
                          nella Germania nazista, in AA.VV., Piegarsi vuol 
                          dire mentire, Zero in Condotta, Milano, 2005.
                          
  
                          
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