|   Barcellona. 
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                  Criminalizzare e reprimere 
                  di Steven Forti e Valeria 
                  Giacomoni 
                    Barcellona, 29 marzo. Una manifestazione, 
                  scontri, repressione. 
                  Ma questa volta il gioco si fa duro: la polizia, i mass-media, 
                  la magistratura. E monta la campagna del governo catalano di 
                  destra contro gli “estremisti” italiani, i No.Tav, 
                  ecc.. 
                 
                   
                  La prima pagina del quotidiano 
                  catalano La Vanguardia del giorno di pasqua ci regala un titolo 
                  sorprendente: Le violenze verificatesi a Barcellona durante 
                  la manifestazione dello sciopero generale del 29 marzo avrebbero 
                  un'origine anarcoitaliana. E ancora: Giovani forgiati 
                  nel movimento No TAV guidano la corrente “antagonista” 
                  catalana. 
                  È questa la quanto meno fantasiosa tesi di un giornalista 
                  che nell'articolo stesso ammette l'assoluta mancanza di prove 
                  a riguardo, ma ugualmente si impegna a portare avanti la sua 
                  tesi; che tende a creare una leggenda urbana e ad incolpare 
                  dei violenti scontri qualche gruppo straniero organizzato e 
                  non considerarli come una dimostrazione del malessere della 
                  società catalana. 
                  Ancora più disarmante è la connessione diretta 
                  con il movimento No TAV e la Val di Susa, di cui normalmente 
                  non si parla sui quotidiani spagnoli e tanto meno in prima pagina. 
                  Credo sia interessante seguire il filo del discorso di Enric 
                  Juliana, vicedirettore de La Vanguardia, che si propone di giustificare 
                  quest'affermazione. 
                 
                   I vetri rotti di Barcellona portano ad una meravigliosa 
                    valle alpina chiamata Val di Susa. C'è un filo quasi 
                    invisibile che unisce i recenti episodi di violenza nella 
                    capitale catalana prima pagina nei principali giornali in 
                    tutto il mondo lo scorso 30 marzo- con la valle più 
                    occidentale del Piemonte, scenario di un duro conflitto per 
                    il tracciato del treno di alta velocità tra Torino 
                    e Lione. 
                     
                    La Val di Susa, passaggio obbligato tra Torino e Chambéry, 
                    città originaria dei Savoia, la dinastia che riuscì 
                    ad unificare l'Italia nel 1861. Terra di gente dura. Montanari. 
                    Che nel 1871 videro la perforazione del tunnel del Frejus, 
                    opera strategica voluta dal conte Camillo Benso di Cavour, 
                    factotum dell'Unità d'Italia, in cui per la prima volta 
                    vennero usati i martelli pneumatici. Terra di partigiani. 
                    Lottarono contro i tedeschi e parteciparono alla liberazione 
                    di Torino nel 1945. Gente sulle sue, che non vede di buon 
                    occhio la perforazione di un nuovo tunnel che permetta il 
                    passaggio del treno di alta velocità e di lunghi convogli 
                    merci tra la grande regione metropolitana Torino-Milano, Lione 
                    e Barcellona (se andasse in porto il corridoio mediterraneo). 
                    La prima manifestazione di protesta avvenne diciassette anni 
                    fa. Il movimento No TAV nacque nel 1985. 
                      
                 
                  
                  Anarchici 
                  importati? 
                 Dunque, Juliana ci offre delle pennellate di storia italiana 
                  passando dall'Unità alla Seconda guerra mondiale al presente 
                  e scomodando addirittura i Savoia per portare avanti la sua 
                  tesi. I partigiani sarebbero gli antenati del movimento No-Tav? 
                  Aver lottato contro i nazisti è un motivo per considerare 
                  la zona come culla di ribelli? Il vicedirettore del più 
                  longevo quotidiano catalano continua poi affermando: 
                 
                   Nella prima fase, era un movimento di montanari ed ecologisti 
                    che metteva in discussione l'utilità sociale dell'alta 
                    velocità ferroviaria. La resistenza dimostrata nei 
                    suoi atti di protesta ha rapidamente attirato l'attenzione 
                    dei movimenti no global, protagonisti della drammatica battaglia 
                    campale di Genova nel luglio 2001. Nel 2006 ci furono dei 
                    tentativi di boicottare i Giochi Olimpici Invernali di Torino, 
                    che alla fine non ebbero seguito. Ci si giocava molto. Torino 
                    si sta emancipando dalla fabbrica automobilistica Fiat e dalla 
                    dinastia Agnelli, specchiandosi su Barcellona. Le Olimpiadi 
                    invernali furono un successo, e il No TAV continuò 
                    a guadagnare adesioni, fino a diventare il simbolo anti-Berlusconi 
                    più radicale. 
                 
                 Come ben sottolinea il sociologo Manuel Delgado, che ha risposto 
                  nel suo blog all'articolo di Juliana, la nascita della leggenda 
                  urbana degli anarchici italiani a Barcellona è paragonabile 
                  a quella dei ladri di organi o dell'autostoppista fantasma (!), 
                  e ricorda che questo spauracchio era già stato sbandierato 
                  in precedenza: nel 2005, proprio La Vanguardia, accusò 
                  alcuni italiani di vandalismo per dei fatti occorsi nel quartiere 
                  di Gràcia, mentre nel 2006, Convergencia i Uniò, 
                  partito allora all'opposizione, arrivò addirittura a 
                  stimare la cifra approssimativa di anarchici italiani che, con 
                  la complicità dei socialisti, avrebbero seminato il caos 
                  a Barcellona: 200. 
                  Delgado ricorda anche che la ciudad condal non ha mai dovuto 
                  importare anarchici dato che è da oltre un secolo e mezzo 
                  che ne produce senza sosta. E definisce il resto dell'articolo 
                  ridicolo e in alcuni momenti indignante, come quando si sostiene 
                  che la responsabilità degli scontri del G8 di Genova 
                  fu del movimento no global e non delle forze dell'ordine, come 
                  hanno spiegato molto bene Agnoletto e Guadagnucci nel recente 
                  L'eclisse della democrazia. È anche discutibile considerare 
                  i giochi olimpici invernali come un successo e soprattutto paragonare 
                  il cambiamento subito dalla Barcellona del '92 con l'impatto 
                  delle Olimpiadi di Torino 2006. 
                 
                   Il No TAV raccoglie lo scontento giovanile in Italia. I 
                    suoi manifesti riempiono gli atri dell'università torinese. 
                    È un movimento concentrico in cui i più radicali, 
                    venuti da tutto il paese, hanno guadagnato peso e protagonismo. 
                    Gli scontri con la polizia sono sempre più violenti, 
                    fino al punto di preoccupare il fiscale di Torino, Gian Carlo 
                    Caselli, l'uomo che volle processare Giulio Andreotti per 
                    presunta associazione mafiosa. Caselli ha avvertito che potrebbe 
                    essere in corso una situazione simile a quella che, trent'anni 
                    fa, diede vita al terrorismo delle Brigate Rosse. 
                    Aria di anni '70, senza la forzata competizione leninista 
                    per l'avanguardia rivoluzionaria. Nell'era di internet, tutto 
                    è liquido e sfocato. I manifesti ora sono interattivi. 
                    Il dirigismo leninista cede il passo alla negazione anarchica, 
                    la cui verità si costruisce con l'azione. Propaganda 
                    con i fatti. Se il capitalismo fa soffrire la gente, il capitalismo 
                    deve soffrire (...) Componenti del No TAV italiano hanno attraversato 
                    il tunnel del Fréjus ed invece che andare verso Lione, 
                    hanno puntato verso Barcellona, città vetrina con accesso 
                    diretto alla copertina del “Financial Times”. 
                    Basta dare fuoco ad una barricata nella centrale via Balmes. 
                    In Val di Susa bisogna farne di rumore e far perdere la pazienza 
                    al fiscale Caselli – famoso simpatizzante del vecchio 
                    PCI – per arrivare a perforare il tunnel dei mass media 
                    internazionali. 
                      
                 
                  
                  La 
                  sovversione alpina 
                 Lo stesso 8 aprile La Vanguardia pubblica altri due articoli 
                  tesi a rafforzare questa lettura faziosa della situazione politica. 
                  Eusebio Val, il corrispondente in Italia del giornale proprietà 
                  del potente grupo Godó, utilizzando le dichiarazioni 
                  rilasciate dal magistrato Caselli, mette in allerta le istituzioni 
                  e l'opinione pubblica dell'“alta aggressività del 
                  movimento No TAV” che potrebbe diventare “il luogo 
                  di nascita di gruppi estremisti” che “sommati al 
                  crescente malessere a causa della crisi” può “degenerare 
                  in nuove forme di terrorismo”. Da qui i riferimenti alle 
                  Brigate Rosse, accompagnati da un avvertimento: “l'Italia, 
                  che soffrì sulla sua pelle ogni tipo di terrorismo [...] 
                  è molto attenta al fine di evitare il pericolo di ripetere 
                  le amare esperienze del passato”. E pochi giorni dopo, 
                  il 13 aprile, lo stesso Val torna sull'argomento con un articolo 
                  di una pagina intera dedicato al movimento No TAV in Val di 
                  Susa. Il titolo ancora una volta è più che esplicito: 
                  “La subversión alpina”. Esponendo le ragioni 
                  della lotta No TAV, considerate comunque come legittime, Val 
                  introduce un collegamento con l'articolo di Juliana per ribadire 
                  al lettore l'origine degli scontri dello sciopero generale a 
                  Barcellona: “La componente anarchica del No TAV, con ramificazioni 
                  che sono giunte ai recenti tafferugli in strada a Barcellona, 
                  è diventata una seria minaccia all'ordine pubblico per 
                  il governo tecnico di Mario Monti”. 
                  Cerchiamo di capire le ragioni di questa insistenza. Le spiegazioni 
                  offerte da Juliana sono a dir poco vergognose: 
                 
                   Dai Giochi Olimpici del 1992 Barcellona è una città 
                    mitica per i giovani italiani. Mare, allegria, cultura e libertà. 
                    La città Erasmus. Barcellona, città in cui gli 
                    italiani (contando anche gli argentini con passaporto italiano) 
                    sono oggi una delle minoranze nazionali più numerose. 
                    (…) C'è un'origine anarcoitaliana nei recenti 
                    eventi di Barcellona che riporta ai No TAV della Val di Susa 
                    e alla violenza che devastò il centro di Roma lo scorso 
                    ottobre, poco prima della caduta del governo Berlusconi. Negli 
                    incidenti registrati a Barcellona nell'ultimo anno c'è 
                    sempre stato qualche italiano tra gli arrestati. E lo scorso 
                    29 marzo non è stata l'eccezione. Due giovani italiani 
                    sono nella lista dei feriti a causa dell'azione dei Mossos 
                    d'Esquadra. 
                 
                 È ben diverso arrestati o feriti dalla polizia! Ma 
                  per portare avanti la sua tesi, basta che di italiani si parli! 
                  Con un semplice sillogismo Juliana collega il movimento No TAV, 
                  gli scontri di Roma del 15 ottobre e quelli di Barcellona. Non 
                  si accenna al fatto che il 29 marzo è stata la prima 
                  volta che i Mossos d'Esquadra, la polizia autonoma catalana, 
                  ha usato i gas lacrimogeni a grande scala per sgomberare le 
                  piazze e dei numerosissimi feriti per l'uso dei proiettili di 
                  gomma. Due ragazzi hanno perso un occhio ed entrambi sono italiani. 
                  Tutt'altro che una novità, purtroppo: ne è testimonianza 
                  l'Associació Stop Bales de Goma fondata da Nicola Tanno, 
                  un altro ragazzo italiano che nel 2010 perse un occhio a causa 
                  dell'uso dei proiettili di gomma da parte dei Mossos d'Esquadra. 
                  Ma Juliana continua nel suo delirio e ammette addirittura che 
                  di prove non c'è neanche l'ombra: l'unica cosa sicura 
                  è che ci sono italiani a Barcellona. E che forse si portano 
                  dietro l'influenza di Malatesta... 
                
                   Italiani al comando della guerriglia urbana di cui parla 
                    il Conseller de Interior Felip Puig? Non c'è nessun 
                    dato obiettivo che permetta sostenere quest'affermazione. 
                    È presente a Barcellona un influente nucleo anarchico 
                    italiano, affiancato da giovani greci e latinoamericani con 
                    la stessa ideologia. Questo è tutto. C'è un'irradiazione. 
                    Probabilmente il loro bagaglio teorico è superiore 
                    a quello degli “okupas” locali. Con in testa la 
                    mitica figura di Errico Malatesta, l'anarchismo non è 
                    mai morto in Italia. E molti anni fa l'anarchismo individualista 
                    lasciò la sua impronta a Barcellona. 
                    L'antagonismo ricompare nel sud d'Europa, ravvivato da una 
                    crisi spaventosa. Ha trovato a Barcellona una gran vetrina, 
                    un malessere giovanile in fase crescente ed una contraddizione 
                    politica che probabilmente entusiasmerebbe Malatesta: la forza 
                    politica incaricata dell'ordine pubblico catalano questiona 
                    o mette in discussione – democraticamente – lo 
                    status quo spagnolo. Creando tensione nell'ordine pubblico 
                    catalano, si irrigidisce tutta la catena delle contraddizioni 
                    interne spagnole. Mentre la polizia e i sindacati, ognuno 
                    a modo suo, annullano il movimento del 15-M nella città 
                    di Madrid (la manifestazione di massa del 29 marzo in Puerta 
                    del Sol è stata una vittoria simbolica di Comisiones 
                    Obreras e UGT sugli Indignados che danno pochi segni di vita 
                    nella capitale), l'antagonismo a Barcellona sfida la Generalitat, 
                    i sindacati e la sinistra riformista (sprofondata in una notevole 
                    confusione intellettuale). Il 2,3 e 4 maggio, vertice della 
                    Banca Centrale Europea a Barcellona. Proprio quel che ci voleva. 
                 
                 Juliana non è l'unico a prevedere i prossimi scontri, 
                  come se desse un appuntamento: anche il conseller Puig in una 
                  conferenza stampa subito dopo lo sciopero generale ha affermato 
                  che i tafferugli non erano altro che la preparazione dello sciopero 
                  mondiale del 15 maggio. Non saranno le loro provocazioni e i 
                  loro provocatori, di cui sì ci sono chiare prove in ogni 
                  manifestazione, a creare un calendario di scontri? 
                  Si parla invece del movimento degli Indignados (15-M), che ha 
                  mosso masse pacifiche, come qualcosa di ormai spazzato via. 
                  E qual è stata la risposta delle istituzioni a queste 
                  mobilitazioni pacifiche? Silenzio, indifferenza. L'unica reazione 
                  è stata la repressione in piazza. Non si vuole ammettere 
                  che una situazione di malessere sociale genera violenza. È 
                  la violenza servita ogni giorno sulle tavole degli spagnoli 
                  con licenziamenti e riforme che li facilitano, tagli alle scuole 
                  e sanità pubbliche, e la tensione di non arrivare a fine 
                  mese, che si riversa nelle strade. E una repressione spropositata 
                  e una criminalizzazione di gruppi specifici sono le uniche soluzioni 
                  adottate dalle istituzioni. 
                   
                  Questi articoli formano parte di una serie che tende a creare 
                  allarme nell'opinione pubblica e a spaventare con la minaccia 
                  del terrorismo: una vera e propria campagna di criminalizzazione 
                  dei nuovi movimenti sociali che contestano le politiche neoliberali 
                  in Spagna e in Italia ben orchestrata da La Vanguardia che tende 
                  ad appoggiare i tentativi di riforma del codice penale proposti 
                  dal tandem PP-CiU all'inizio di aprile, come “conseguenza” 
                  degli scontri del 29 marzo. Il ministro dell'Interno spagnolo, 
                  Jorge Fernández Díaz, in perfetta sintonia con 
                  il suo omologo catalano, Felip Puig, ha proposto cambi notevoli 
                  alla legge riguardante l'esercizio della libertà di riunione 
                  e manifestazione. Si tratta di un vero e proprio ritorno al 
                  franchismo, con la criminalizzazione delle proteste civili: 
                  la resistenza passiva verrebbe considerata un reato di “attentato 
                  contro l'autorità”, punibile dunque con una pena 
                  di due o più anni di carcere, e lo stesso varrebbe per 
                  chi convoca attraverso internet una manifestazione considerata 
                  “violenta”. 
                  
                 
                  Com'è 
                  possibile che un giudice... 
                 Una campagna iniziata già il 31 marzo, quando lo stesso 
                  Juliana aveva messo in relazione la violenza degli “incontrollati” 
                  con il passato italiano vicino e lontano. Lodando l'intransigenza 
                  e la fermezza della DC e del PCI e condannando i tentativi di 
                  trattative – considerati postmoderni e relativisti – 
                  stabiliti dal PSI “amico di Silvio Berlusconi” e 
                  della “estrema sinistra sessantottina” e “squisita”, 
                  il vicedirettore de La Vanguardia arriva addirittura a tirare 
                  fuori il cadavere di Aldo Moro dal bagagliaio della R4 parcheggiato 
                  in via Caetani. Nelle parole di Juliana, “in Italia esistono 
                  già indizi secondo cui dal nuovo humus violento [...] 
                  presto nasceranno azioni terroriste”. Dunque, “di 
                  fronte alla violenza che può essere la culla di un nuovo 
                  terrorismo, intransigenza o vigliacco relativismo”. Insomma, 
                  nessuna trattativa con i violenti, ma solo politiche di ordine 
                  pubblico che, ricorda ancora Juliana, furono il punto debole 
                  della Generalitat catalana durante la Seconda Repubblica spagnola. 
                   Un'analisi 
                  che pare aver già trovato riscontro in parte della magistratura 
                  spagnola, visti i riferimenti fatti proprio all'articolo di 
                  Juliana dal giudice che ha negato la libertà a due dei 
                  ragazzi arrestati il 29 marzo a Barcellona. Come è possibile 
                  che un giudice tenga in conto le opinioni non documentate di 
                  un giornalista nel giustificare la permanenza in carcere di 
                  due ragazzi? 
                  Soffermiamoci ancora un momento su La Vanguardia dell'8 aprile. 
                  Oltre agli articoli di Juliana e Val, in uno degli editoriali 
                  si evidenzia come Barcellona sia diventata la culla di una nuova 
                  violenza carente di un'ideologia ben strutturata, figlia della 
                  globalizzazione e della crisi economica e con il modus operandi 
                  della guerriglia urbana sullo stile del G8 di Genova. Si afferma 
                  che “dentro il magma barcellonese di gruppi radicali” 
                  ci sono persone di tutti i tipi: “Dall'okupa ideologizzato 
                  all'emarginato sociale, passando per neoanarchici italiani, 
                  delinquenti ostinati, declassati volontari o a causa della crisi, 
                  utopisti di ogni tipo ed obbedienza e giovani disoccupati senza 
                  alcun orizzonte.” Una combinazione facilmente manipolabile 
                  “disposta a convertirsi in carne di cannone di azioni 
                  violente e a proteggere chi ha il compito di alzare barricate, 
                  lanciare cocktail molotov e attaccare la polizia, e dare fuoco 
                  a negozi, vetrine e bidoni dell'immondizia”. Notando che 
                  “è evidente che questi gruppi non rappresentano 
                  Barcellona e, logicamente, non possono guastare la sua immagine 
                  internazionale”, l'editoriale si chiude chiedendo l'intervento 
                  delle autorità e degli stessi cittadini. 
                  L'intervento non si è fatta attendere: il 20 aprile, 
                  in un atto ufficiale, il commissario generale dei Mossos d'Esquadra, 
                  rivolgendosi ai membri di quelle che ha definito “guerriglie 
                  urbane”, ha affermato: “Possono nascondersi dove 
                  vogliono, perché li troveremo. Che sia in una caverna 
                  o in una cloaca, che è dove si nascondono i topi, o in 
                  un'assemblea, che non rappresenta nessuno, o dietro il banco 
                  di un'università”. 
                  E pochi giorni dopo, la Generalitat di Catalogna ha aperto una 
                  pagina web pubblicando fotografie di persone partecipanti alla 
                  manifestazione affinché i cittadini possano aiutare le 
                  forze dell'ordine nell'identificazione di quelli che vengono 
                  considerati i “violenti”. Una modalità già 
                  adottata negli Stati Uniti, che unisce l'inquietante denuncia 
                  del tuo vicino con i metodi interattivi del televoto... le immagini 
                  delle persone identificate nella web vengono oscurate ed appare 
                  la scritta “identificato” come negli annunci immobiliari 
                  appare la scritta “venduto”... Neoliberalismo all'ennesima 
                  potenza, insomma. Criminalizzare, reprimere e vendere, questo 
                  sembra lo slogan. 
                  
                  Valeria Giacomoni e Steven Forti 
                 
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