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 “informali”  
Leninisti in salsa informale  
di Maria Matteo  
 
La nostra collaboratrice Maria Matteo, della Federazione Anarchica Torinese aderente alla FAI, impegnata nelle lotte sociali in particolare in Valsusa, analizza il documento della FAInformale.  
 
Ci sono le pallottole di piombo, quelle ficcate nelle gambe dell'AD di Ansaldo nucleare dal nucleo “Olga” della FAInformale, e quelle di carta inviate al Corsera per rivendicare il gesto. 
Ci sono le pallottole di piombo, quelle che l'esercito italiano spara ogni giorno in Afganistan, e ci sono le pallottole di carta, quelle che buona parte dei mezzi di informazione hanno sparato contro il movimento anarchico, in particolare quella parte del movimento anarchico che non si sottrae alle lotte sociali, che è in prima fila nei movimenti per la difesa ambientale, contro la guerra e il militarismo, contro le leggi razziste e le politiche securitarie nel nostro paese. 
Il testo di rivendicazione del ferimento di Adinolfi viene pubblicato integralmente dal quotidiano milanese, che decide in tal modo di fare da megafono alla FAInformale. Viene da chiedersi il perché. La risposta è semplice: basta una lettura veloce veloce per capire al volo. 
La lettura del comunicato, dopo le prime righe dedicate alla questione nucleare, ci offre un chiaro esempio di “propaganda con il fatto” in versione riveduta e corretta. Gran parte del documento è un attacco a testa bassa al movimento anarchico nelle sue varie componenti. 
Tutti i quotidiani, i gr e i telegiornali dedicano ampio spazio ad un testo in cui si sostiene che gran parte del movimento anarchico fa proprio un anarchismo “ideologico e cinico, svuotato da ogni alito di vita”. Non solo. Secondo gli informali gli anarchici impegnati nelle lotte sociali “lavorerebbero per il rafforzamento della democrazia”. 
Chi legge ha l'impressione che lo scopo reale dell'azione non fosse tanto un monito ai signori dell'atomo, quanto l'ottenere l'audience adatta a far sapere a tutti la propria opinione sul movimento anarchico. 
L'azione degli anarchici viene relegata a mera attività dopolavorista, “ascoltare musica alternativa” mentre il “nuovo anarchismo” nasce dal gesto di “impugnare la pistola”, dalla scelta della “lotta armata”. Il mezzo obnubila a tal punto il fine che i nostri supereroi da fumetto, che non amano “la retorica violentista ma con piacere” hanno “armato” le proprie mani 
                Azioni dirette, senza delega, concrete e capaci di mostrare che 
                è possibile prendere in mano il proprio destino, lottare 
                contro i giganti dell'atomo e sconfiggerli. 
                 
                   
                  La pratica della libertà 
                 Ogni giorno gli anarchici partecipano alle lotte per difesa 
                  del territorio e per l'autogoverno, contro i padroni per la 
                  realizzazione di margini di autonomia dei lavoratori dalla schiavitù 
                  salariata, contro la guerra e le produzioni militari, per una 
                  società senza eserciti e frontiere, contro il razzismo, 
                  il sessimo, la guerra ai poveri e alle donne. 
                  Gli anarchici, sfruttati tra gli sfruttati, oppressi tra gli 
                  oppressi si battono contro lo stato e il capitalismo con l'obiettivo 
                  di creare le condizioni per abbatterli, mirando a spezzare l'ordine 
                  materiale e, insieme, quello simbolico, consapevoli che non 
                  basta distruggere ma occorre saper costruire. Costruire senza 
                  timore che la casa venga abbattuta, nella consapevolezza che 
                  ogni spazio liberato, anche effimero, diviene luogo di sperimentazioni 
                  dove tanti assaporano il gusto di una libertà che non 
                  è astrazione letteraria ma concreto dar vita ad un ambito 
                  politico non statale. 
                  Azioni che prefigurano sin da ora relazioni politiche e sociali 
                  di segno diverso, che non si limitano al “sogno di un'umanità 
                  libera dalla schiavitù” perché il percorso 
                  di libertà non è un “sogno” ma la 
                  scommessa quotidiana dentro le realtà sociali in cui 
                  siamo forzati a vivere e che vogliamo contribuire a cambiare. 
                  Non da soli. Mai da soli, perché l'umanità è 
                  fatta di persone in carne ed ossa, perché agire in nome 
                  di un'astratta “umanità” è tipico 
                  degli stati, delle religioni, persino del capitalismo che promette 
                  il migliore dei mondi possibili. Non degli anarchici. 
                  La pratica della libertà attraverso la libertà 
                  può essere contagiosa ma non si può certo imporre. 
                  Gli informali rifuggono il “consenso” e cercano 
                  “complicità”. In altre parole se ne infischiano 
                  del fine e pensano solo al mezzo, di fatto rinunciando ad ogni 
                  prospettiva di rivoluzione sociale anarchica. Il loro linguaggio 
                  e la loro pratica sono un cocktail di pratica avanguardista 
                  e retorica estetizzante. Lenin che scrive e parla come Renzo 
                  Novatore in un ripetersi imitativo di schemi che trasformano 
                  le tragedie di ieri nella farsa tragica di oggi. 
                  Ovvio che i media abbiano dato loro ampio spazio, seguendo linee 
                  interpretative a volte divaricate, altre volte intrecciate. 
                  La maggior parte degli organi di informazione ha imbastito teoremi 
                  per mettere in relazione le lotte sociali e la FAI informale, 
                  in un rapporto quasi simbiotico. Bonini su Repubblica 
                  è arrivato a teorizzare una relazione tra la FAI italiana 
                  e quella informale, indicando nel comunicato emesso dalla Commissione 
                  di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana per la 
                  manifestazione degli “indignati” dello scorso 15 
                  ottobre, l'humus teorico in cui affondano le radici gli informali. 
                  Un buon modo per criminalizzare gli anarchici che fanno davvero 
                  paura a chi governa, sfrutta, lucra sulle vite della più 
                  parte degli uomini donne bambini del pianeta. Ci penserà 
                  poi la magistratura ad imbastire accuse e processi che si sommino 
                  ai tanti che colpiscono oggi l'anarchismo sociale. Altri organi 
                  di informazione preferiscono invece ricalcare il testo degli 
                  informali, descrivendo come pacifici, non violenti, inoffensivi, 
                  ufficiali, storici gli anarchici e in particolare quelli della 
                  FAI italiana. 
                  Gli anarchici sono così stretti in una morsa ermeneutica: 
                  da un lato descritti come terroristi o loro supporter, dall'altro 
                  come burocrati rincoglioniti che non possono far male ad una 
                  mosca. Una morsa interpretativa che probabilmente piacerà 
                  a chi si compiace del gesto, vi si appaga in un'estasi esistenziale 
                  in cui il bagliore di un attimo compensa il grigiore di una 
                  quotidianità spesa nell'ombra. “Per quanto lieve 
                  sia questo bagliore – scrivono – la qualità 
                  della vita ne sarà sempre arricchita”. Tra un pacco 
                  postale e una pallottola di piombo potranno crogiolarsi tra 
                  le pallottole di carta che i media pagati da padroni e partiti 
                  vorranno regalare loro. 
                    
                    
                  Fuori 
                  dalle lotte sociali, che cosa resta? 
                 Al di là dell'uso mediatico dell'attentato ad Adinolfi, 
                  resta il dato politico del riproporsi di un avanguardismo armato, 
                  che oltre le seduzioni semantiche, ricalca una parabola da partito 
                  leninista, che culla l'illusione di potersi ergere a guida di 
                  quanti giudicano intollerabile il mondo dove viviamo. Non a 
                  caso al processo per le cosiddette “nuove BR”, persone 
                  lontanissime dall'anarchismo hanno manifestato entusiasmo per 
                  l'impresa informale. Quello che conta è il mezzo non 
                  il fine. Una sorta di trasversalità dell'agire colma 
                  l'apparente distanza dei progetti. 
                  In realtà questa distanza si dissolve allorché 
                  la pratica informale si sviluppa in opposizione alle lotte sociali, 
                  inevitabilmente costrette in quello che gli informali chiamano 
                  “cittadinismo”. Con questo termine bollano le lotte 
                  popolari che in questi anni, con crescente radicalità 
                  organizzativa hanno più volte messo in difficoltà 
                  i governi che si sono succeduti, ledendo gli interessi delle 
                  grandi imprese ed inaugurando pratiche di partecipazione certo 
                  non anarchiche ma sicuramente lontane dalla triste abitudine 
                  alla delega in bianco elettorale. 
                  Fuori dalle lotte sociali cosa resta? Il partito, null'altro 
                  che il partito. Non a caso la FAI informale si dota di una sigla, 
                  sia pure in condominio, riducendo il percorso di affinità 
                  alla pratica di azioni violente. Prescindo dal fatto banale 
                  – anche se grave – che in tal modo gli informali 
                  offrono una sponda ad infinite operazioni repressive basate 
                  su reati associativi. Vado oltre anche al rischio palese che 
                  un giorno o l'altro Stato o fascisti possano usare la sigla 
                  per scopi propri, utilizzando la sponda loro ingenuamente offerta. 
                  Se l'esito è il partito, l'organizzazione che agisce 
                  dove altri non agirebbero, l'organizzazione che si pone in lotta 
                  privata con lo Stato e i padroni, allora quest'esito conduce 
                  direttamente fuori dall'anarchismo. Organizzato o non organizzato 
                  che sia. 
                  L'anarchismo è altrove. L'anarchismo non si impone, ma 
                  si propone. Ogni giorno, giorno dopo giorno, nell'auspicio che 
                  si fa agire concreto che gli sfruttati, se vogliono, possono 
                  fare a meno di chi li sfrutta, che gli oppressi, se vogliono, 
                  possono liberarsi di chi li opprime. È questione di pratica, 
                  di ginnastica della rivoluzione, di sperimentazione del possibile 
                  e del desiderabile, di messa in gioco quotidiana. 
                  Gli informali scrivono “costi quel che costi”, gli 
                  anarchici il prezzo lo pagano ogni giorno. 
                  La situazione politica e sociale che viviamo mostra i chiari 
                  segni di un'involuzione autoritaria su scala globale. Il dispiegarsi 
                  di politiche disciplinari in risposta alle questioni sociali 
                  è segno che il tempo dei compromessi, delle socialdemocrazie 
                  sta tramontando. Un lungo tramonto. Alla fine potremmo dover 
                  fare i conti con il rischio che si impongano regimi decisamente 
                  autoritari, di fronte ai quali la rivoluzione sarebbe l'unica 
                  alternativa. Quel giorno dovremo essere pronti. Forti per le 
                  lotte che abbiamo condotto, per le relazioni di solidarietà 
                  materiale alla crisi che avremo costruito, per la consapevolezza 
                  diffusa che l'anarchia è l'unica alternativa alla barbarie. 
                  Quel giorno Stato e padroni non vorranno rinunciare ai propri 
                  privilegi e spareranno pallottole di piombo. Gli anarchici sociali 
                  non mancheranno certo all'appuntamento, perché sono stati 
                  e continueranno ad essere presenti nelle lotte sociali, le lotte 
                  dove la libertà può divenire orizzonte concreto 
                  per tanti uomini e donne. Quell'orizzonte che fa tanta paura 
                  allo Stato, quell'orizzonte oltre al quale non c'è più 
                  spazio per l'autorità. Per questa ragione oggi leninisti 
                  in salsa informale e giornalisti di regime preparano il terreno 
                  con le loro pallottole di carta. 
                  
                  Maria Matteo 
                 
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