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 alternative. 1  
Quando sai che le chiavi di casa stanno sotto il vaso  
di Valentina Volonté  
 
Ovvero: esiti imprevisti del progetto «Il mio villaggio. 
Per una politica dei quartieri e del quotidiano», Cronaca di vita, teorie ed esperienze tra Milano, Lione...  
 
                
                   
                    Questo articolo è una visione 
                        parziale e personale di un'esperienza che vivo con compagne 
                        e compagni italiani, francesi, svizzeri... da ormai qualche 
                        anno. È una storia piccola che mi accompagna e 
                        che mi ha portato a focalizzare meglio alcuni nodi della 
                        mia azione politica nei territori. Le voci riportate in 
                        corsivo provengono da un questionario distribuito a chi 
                        è attivo nel progetto. 
                       V.V. 
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                  Tutto nasce per me dalla necessità 
                  di essere mobile. Mobile fisicamente e mentalmente. Sempre più 
                  mi è necessario creare una rete di salvataggio autonoma 
                  che possa essere in grado di sostenerci, amplificare, moltiplicare 
                  i nostri percorsi di autogestione. Perché sempre più 
                  mi sento lontana dalle scelte imposte; sempre più, anche 
                  le millantate certezze ci si sgretolano davanti. Investire sulle 
                  persone è la strada che mi interessa. 
                  Il mio villaggio è la metafora di una vita non parcellizzata, 
                  in uno spazio a misura delle nostre gambe, dove è possibile 
                  incidere direttamente sulle nostre vite. Per questo ci sta bene 
                  l'aggettivo possessivo davanti: quando ti senti di appartenere 
                  e riconosci in un luogo la tua storia c'è la spinta per 
                  organizzarti. «Si diventa cittadini del mondo a condizione 
                  di appartenere a un luogo» (1). 
                
                   
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                    Milano 
                        2011. Scambi di pratica e pensieri  | 
                   
                 
                 
                    Un po' 
                  di storia. Tentativo di dipanare la matassa 
                 Maggio 2008. Un gruppo di milanesi si sposta a Lione per scoprire 
                  il quartiere della Croix Rousse e incontrare le realtà 
                  locali alternative. Quando proposi ad Alex, un caro amico croix-roussiano, 
                  di pensare a 4-5 giorni di visite e incontri nel quartiere Croix-Rousse, 
                  nessuno dei due sospettava il potere generativo di questa esperienza! 
                  In effetti quel gruppo di persone che si conoscevano poco o 
                  niente si è messo in gioco a 360°. Ci muovevamo inizialmente 
                  ispirandoci a un concetto poco elaborato di turismo alternativo. 
                  Da subito però ci è stato chiaro che stavamo facendo 
                  autoformazione. Viaggi di autoformazione: è così 
                  che abbiamo cominciato a chiamarli dall'anno seguente, dando 
                  il nome « il mio villaggio» al progetto e introducendo 
                  le nozioni di territorio e di quotidiano in questa storia. 
                  La volontà forte veniva da un gruppo nato all'interno 
                  del collettivo dell'associazione Scighera (2) 
                  di Milano e dal desidero di spingere sull'acceleratore rispetto 
                  ai tanti discorsi emersi durante il congresso «Ri-volta 
                  la carta, pratiche di autogestione e di libera organizzazione» 
                  (3) svoltosi quell'anno in Torchiera (4). 
                  L'idea del Mio villaggio – certo non nuova – era 
                  creare sapere condiviso sul nostro saper fare ma anche sul nostro 
                  saper essere in situazioni autorganizzate; per farlo volevamo 
                  spostarci, visitare, incontrare, prendere le distanze dal nostro 
                  quotidiano, tessere e trovare luoghi, collettivi, persone complici. 
                  Bisogno di ossigeno da una Milano sempre più soffocante 
                  dalla quale è difficile staccarsi... Ci inventammo quindi 
                  questo progetto per rispondere in primo luogo a una nostra esigenza 
                  vitale e avere un passe-partout per entrare a casa degli altri. 
                  Maggio 2010: eccoci al secondo viaggio dei milanesi a Lione. 
                  Durante questi giorni incontrammo Lau et Toff dell'associazione 
                  di educazione popolare Crefad (5). Con loro 
                  si organizzarono due viaggi di lionesi a Milano e due di milanesi 
                  a Lione. Con altri gruppi andammo poi anche 2 volte alla Plaine 
                  di Marsiglia per il carnevale autogestito, contatto nato da 
                  un'altra storia fortemente intrecciata a questa: gli incontri 
                  internazionali di canto popolare e sociale che riuniscono vari 
                  cori italiani e stranieri (tra cui Le voci di mezzo di Milano). 
                  Nello stesso mese la Croix-Rousse (dove io mi ero nel frattempo 
                  trasferita e dove Andrea, un altro milanese viveva da circa 
                  un anno) venne invitata come quartiere ospite alla festa del 
                  quartiere Grottes a Ginevra. 
                  Settembre 2010. Grazie ai contatti presi a Ginevra, la Scighera, 
                  il ludobus della cooperativa Alekoslab e il coro delle Voci 
                  di mezzo vengono invitati al festival autogestito della Croix-Rousse-Vogue 
                  la Galére. (6) 
                  A maggio 2012 sarà la Scighera a essere invitata alla 
                  festa del quartiere Grottes a Ginevra con la sua rete artistica 
                  dei pesci piccoli. Recentemente un'attivista di Lione originaria 
                  di Brema ha aperto una nuova via verso Brema. Così descrive 
                  la voglia che le rimane attaccata dopo il viaggio a Milano nel 
                  2011: «a casa mia c'è una piccola meraviglia 
                  e voglio mostrartela, come in un incantesimo politico» 
                  (Ginevra-Grottes riunione della rete, ottobre 2011). 
                
                  
                    E se 
                  dalla nostra finestra vedessimo il mare? 
                 Guardo dalla finestra di un palazzo di Piazza Schiavone, quartiere 
                  Bovisa, Milano, in un mattino di novembre: paesaggio desolante, 
                  piazza grigia, gasometro, parco giochi di plastica «oasi» 
                  per bambini. Dov'è la bellezza? Ci avevamo mai veramente 
                  pensato, che forse il luogo dove stiamo ci influenza molto di 
                  più di quanto la nostra volontà affermata e creatrice 
                  non faccia? 
                  Intorno a questa semplice domanda, cominciammo noi di Scighera 
                  in particolare a farcene delle altre talmente a portata di mano 
                  da sembrare banali: che ne è della nostra quotidianità, 
                  dei gesti che automaticamente fanno parte della nostra vita, 
                  fare la spesa, bere un bicchiere, salutare il vicino? Che ruolo 
                  hanno nella nostra azione politica? Non ci sentiamo forse divisi, 
                  parcellizzati in tempi e luoghi? Abitare un luogo e agire politicamente 
                  in e per quel luogo che cosa aggiunge o toglie al nostro modo 
                  di autorganizzarci? Queste domande le chiudiamo in valigia e 
                  le rimettiamo sul tavolo, insieme al vino rosso buono che offriamo 
                  ai nostri ospiti. Si tratta di un lento percorso di autoconsapevolezza 
                  vissuto in collettivo, fatto di piccole scoperte e piccoli dettagli. 
                  Nel Maggio 2010 intitolammo il viaggio alla Croix-Rousse Semi 
                  di alternativa. Percorsi individuali e crescita collettiva sul 
                  terreno fertile del quartiere. Quei giorni andammo ad ascoltare 
                  diverse testimonianze di persone che avevano scelto quel quartiere 
                  per vivere e creare la loro esperienza alternativa. E visitammo 
                  anche il quartiere della Guilliotère dove da diversi 
                  anni si istallano persone con progetti collettivi interessanti, 
                  per guardare la Croix-Rousse da un altro punto di vista cittadino. 
                  Da questi incontri trasparivano chiaramente alcuni elementi 
                  dell'azione nel territorio di questi individui e gruppi : spontaneità 
                  – che quasi sfiora l'inconsapevolezza – dell'essere 
                  in uno spazio geografico e comunitario; tradizione e stratificazione 
                  di alcuni modi di essere nel tempo; rivendicazione aperta dell'identità 
                  croix-roussiana; delusione, rigetto e quindi abbandono di questo 
                  luogo... Senza entrare nei dettagli, ciò che importa 
                  dire è che il tema del «qui» non poteva essere 
                  anodino ed era fondante sia nell'iscrizione temporale che nel 
                  presente, nel quotidiano, nell'ora. Se per la Scighera il quartiere 
                  era uno spazio (ancora una volta) da costruire con le nostre 
                  volontà e passione politica e ancora troppo poco di bisogno 
                  concreto, di necessità, lì era già il terreno 
                  di gioco del quotidiano, delle relazioni, dell'ordinario. 
                  Il movimento squatter delle Grottes negli anni '70-'80, l'onda 
                  di giovani artisti e alternativi che nello stesso periodo occupava 
                  le case sulle Pentes della Croix-rousse, l'immaginario legato 
                  alle lotte degli operai della seta (i Canuts), il mare che mitiga 
                  il clima ma non la creatività alla Plaine, sono ingredienti 
                  – tanto per fare degli esempi – che un abitante 
                  di quei quartieri può utilizzare per creare e sperimentare 
                  modi di azione e trasformazione. Facendolo si inserisce in un 
                  continuum, un insieme di storie e di storia che troviamo 
                  nelle scritte sui muri, nel modo di camminare per strada, di 
                  utilizzare lo spazio pubblico. Cioè in pratiche di invenzione 
                  del quotidiano, con elementi ordinari, non eclatanti, quasi 
                  banali. 
                  Questi elementi generano però ancora dei progetti interessanti 
                  e un modo di vivere il quartiere come uno spazio del collettivo. 
                  Non si tratta di una tradizione soffocante: questo passato lascia 
                  grandi spazi di creazione in un «qui» (il territorio) 
                  e nell' «ora» cioè nel quotidiano che si 
                  stratifica e si fa storia attraverso l'azione autorganizzata. 
                  E questo è attribuibile al fatto che queste storie creano 
                  un immaginario. Poco importa la veridicità degli avvenimenti, 
                  non ci interessa fare gli storici, ma osservare quanto questo 
                  passato smuove un immaginario rivoluzionario e la voglia di 
                  autorganizzarsi. 
                  Un «qui» e un «ora» che chiamiamo «il 
                  mio villaggio» come metafora di un modo di appropriarsi 
                  di un territorio come spazio delimitato, di appartenenza, di 
                  negoziazioni, capace di strutturare le condizioni pratiche dell'esistenza 
                  di un individuo o di un collettivo sociale e di informare in 
                  cambio questo individuo o collettivo sulla(e) propria(e) identità. 
                  «Un quotidiano che si inventa attraverso mille modi di 
                  bracconaggio» (7). 
                  Si torna a casa con la voglia di «fare quartiere» 
                  e con la voglia di guardare con occhi diversi il nostro luogo 
                  di vita e di azione. La Scighera non si trovava alla Bovisa 
                  per una storia con questo quartiere ma per una semplice opportunità 
                  avuta nel 2006 di uno spazio abbastanza grande per quello che 
                  si aveva in testa di fare. Fare della Bovisa «il mio villaggio» 
                  era una sfida da prendere con il giusto entusiasmo... 
                   
                  «L'entusiasmo per alcune esperienze incontrate nei 
                  viaggi genera una forte spinta a cambiare in meglio la Scighera, 
                  a rivederne meccanismi forse troppo consolidati. Si scopre che 
                  spesso le realtà incontrate hanno problemi analoghi, 
                  si imparano metodi diversi per affrontarli. Inoltre i contatti 
                  creati nel corso dei viaggi stanno creando una rete internazionale 
                  di artisti che potrebbe cominciare a produrre frutti molto interessanti 
                  per quanto riguarda la programmazione degli eventi. Il mio villaggio 
                  ha contribuito a far conoscere l'esperienza della Scighera ben 
                  oltre i confini nazionali.» 
                   
                  «Il mio villaggio credo ci costringa sempre di più 
                  a non essere autocentrati e autoreferenziali.» 
                   
                  «Ha portato una nuova forma di azione, arricchito le 
                  altre, ci ha fatto incontrare e lavorare con nuova persone e 
                  realtà, dare una migliore visibilità locale alla 
                  nostra associazione e rendere più grazioso il nostro 
                  quotidiano». 
                   
                  «Di sicuro, insieme al fatto che per la prima volta vivo 
                  in un vero «quartiere», ha contribuito a farmi apprezzare 
                  e promuovere il quartiere stesso come unità di vita e 
                  posto adatto a conoscersi e fare delle belle storie e vivere 
                  bene, mentre prima avevo sempre visto nella città il 
                  solo lato «anonimato e guerra per la sopravvivenza», 
                  che pure in realtà mi affascina ancora molto. In ogni 
                  caso, ha contribuito a insegnarmi a considerare il mio quartiere 
                  come casa mia, piuttosto che tutta la città una casa 
                  squattata di cui non ho le chiavi. Mi ha anche fatto riflettere 
                  e apprezzare meglio il modo di vivere «alternativo» 
                  conviviale e comunitario che ho in realtà sempre cercato 
                  di mettere in pratica senza farmi troppe domande.» 
                
                   
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                    Lione 
                        2009. Canzoni il primo maggio  | 
                   
                 
                  
                    Per 
                  una trasformazione collettiva del nostro quotidiano 
                 Di esiti ce ne sono stati, contraddittori, belli visibili, 
                  altri stanno nella prospettiva di ognuna e ognuno, ancora come 
                  sogni... Le Taz (8) in Piazza Schiavone, 
                  le parate in quartiere, il corso di teatro popolare «Ascolto 
                  il tuo cuore città» per citarne alcuni. Più 
                  di tutto importa sentirsi in cammino, avere aperto una finestra 
                  su di un mare che non c'è e che per arrivare dovranno 
                  passare delle ere geologiche. 
                  Certamente la Bovisa non raggiunge gli standard di vivibilità, 
                  convivialità, spontaneità che abbiamo visto alla 
                  Plaine di Marsiglia, alla Croix-Rousse di Lione o alle Grottes 
                  di Ginevra e non c'è (a differenza dei quartieri citati) 
                  un'alta concentrazione di realtà autorganizzate e alternative 
                  che aumenta quindi la possibilità di legami affinitari. 
                  Quindi che facciamo vedere ai nostri ospiti? 
                  La vicina Torchiera è fuori dal quartiere, alcuni dei 
                  soggetti con i quali Scighera collabora da anni, non stanno 
                  in quartiere... Certo c'è la cooperativa edilizia, esempio 
                  di libera organizzazione, la sede dell'Anpi, il circolo, il 
                  Rino e la Franca, memoria storica della Bovisa operaia... ma 
                  manca un legame affinitario profondo... come lo facciamo l'incantesimo 
                  politico?? 
                  Dietro la nebbia il retro di Milano. Alla ricerca del villaggio 
                  che non c'è. Il titolo del viaggio, nel febbraio 
                  2010, dei lionesi a Milano. Il fatto di ricercare cosa mostrare, 
                  mi ha permesso personalmente per la prima volta di vedere io 
                  stessa delle cose. Però l'anno successivo con il viaggio 
                  “La testa nella luna e i piedi per terra: piccole utopie 
                  di territorio”, dopo discussioni e rinunce, la scelta 
                  di Scighera fu quella di andare a cercare altrove, privilegiando 
                  la rete cittadina al territorio, facendo della rete basata sull'affinità 
                  e allargata alla città, il suo territorio. 
                  È chiaro che se la ipotesi di fondo è che il territorio, 
                  il quartiere, il mio villaggio sono un'unità interessante 
                  per permettere una trasformazione collettiva del nostro quotidiano, 
                  stavamo facendo una deviazione su una strada secondaria. Forse 
                  non siamo a caccia di risposte, ma di domande... «Il quartiere: 
                  una buona scala per trasformare, creare, inventare i nostri 
                  quotidiani?» Una risposta a mio avviso interessante sta 
                  nelle replica di un'attivista del progetto: «Non è 
                  una cattiva domanda, ma contiene un po' troppo la risposta. 
                  Sarebbe più interessante cercare altre domande che domandano 
                  di più, più stimolanti. La nozione di villaggio 
                  non è tanto per me un'unità territoriale ma un 
                  modo di abbracciare l'altro con le sue differenze e somiglianze, 
                  una specie di avvicinamento per incontrarsi.»  
                   
                  Il mio villaggio, unità spaziale, comincia ad andare 
                  stretto al alcuni... 
                  È indicativo che l'idea di locale che il mio villaggio 
                  porta con sé, anche se un locale internazionale, accompagnandosi 
                  alla necessità dell'affinità, ci porti a spostare 
                  lo sguardo sempre più in là rispetto al luogo 
                  dove siamo ora. Il mio villaggio diventa così in parte 
                  un pretesto per l'incontro perdendo un po' dell'idea iniziale 
                  del territorio come laboratorio di sperimentazione alla nostra 
                  portata (cioè non essere possibili prede di un potere 
                  centrale mortifero, agire nel piccolo, creare nicchie creatrici 
                  e contaminanti...) e di collaborazione con gli abitanti, interpellati 
                  in quanto abitanti, prima che di ogni altra identificazione, 
                  su dei bisogni comuni. Un'idea insomma di forme di cooperazione 
                  in un'ottica di trasformazione sociale tra chi abita un luogo 
                  come prima fonte di appartenenza. Questo allontanamento da questa 
                  idea, sebbene ricchissimo di spunti e riflessioni, può 
                  essere un po' rischioso a mio avviso, perché ci porta 
                  in maniera un po' esclusiva nel terreno della relazione interpersonale 
                  e interculturale e meno su quello della politica del quotidiano. 
                  Il mio villaggio rischia di perdere di potenza rispetto al cambiamento 
                  concreto del nostro luogo di vita. Questa «deriva» 
                  può essere forse un passaggio obbligato per ritornare 
                  al quartiere e ai suoi abitanti, cioé all'idea di comunità 
                  basata sul luogo e in un secondo tempo sull'affinità? 
                  Ce lo chiediamo. 
                  È importante dire che Il mio villaggio non è una 
                  rete di realtà e soggetti libertari. Ognuno porta la 
                  sua storia. Però dal mio punto di vista, il carattere 
                  politico del Mio villaggio sta proprio nel fatto di non voler 
                  ricercare a tutti i costi un'appartenenza apertamente libertaria, 
                  ma di scovarne i tratti un po' ovunque, nelle forme di resistenza 
                  al dominio e nelle forme di creazione di alternative sociali. 
                  Oggi ancora di più rigettiamo l'idea di intervenire a 
                  un livello macro della società, per alimentare invece 
                  una rete sempre più forte di connessioni tra «pesci 
                  piccoli»su scala internazionale. Crediamo nella rete di 
                  mutuo-aiuto che può nascere dalle persone e dai loro 
                  progetti, senza l'illusione di garanzie istituzionali. In questi 
                  anni le collaborazioni sono nate da incontri casuali, altre 
                  volte da volontà specifiche, tutte legate dalla stessa 
                  necessità di cambiamento e trasformazione del mio villaggio, 
                  qualcosa che è alla nostra portata. 
                  Non solo una rete di persone e progetti, ma anche di case, divani, 
                  colazioni al bar, aperitivi in terrazza, canzoni e libri... 
                  come in ogni scambio umano, ma che acquista un «meta»senso: 
                  sai che lo fai dentro a un sistema che porta dei valori e non 
                  è il couch surfing, non dormo e basta sul tuo 
                  divano, partecipo a un'idea diversa dei rapporti umani e del 
                  loro farsi società. 
                   
                  «Mentre scrivo sto a Berlino; vivo a Lione e lavoro 
                  al Kotopo un bar associativo dove per la prima volta sono entrato 
                  durante un viaggio di scigherini in primavera. Il mio villaggio 
                  è per me una rete in continuo cambiamento di persone 
                  e cose che mi interessano, a livello personale (per la mia vita) 
                  e generale (per l'idea di evoluzione politica e sociale che 
                  sogno per il mondo intero); e poi, e questo mi riguarda più 
                  direttamente, è il sogno di poter creare un luogo di 
                  vita come ho sempre sognato, non in un posto ma in tanti posti 
                  (tutti i posti del mondo), di poter essere tra amici (coi quali 
                  conoscere, pensare e creare un mondo che mi/ci piaccia) in ogni 
                  posto, come ad esempio ora che scrivo di questo e intanto, allo 
                  stesso tavolo, in una casa collettiva alla periferia di Berlino, 
                  giovani tedeschi discutono delle emozioni che hanno provato 
                  nelle attività della loro associazione nell'ultimo anno. 
                  Il fatto di sentirmi parte di una rete multiforme, internazionalista 
                  e multi-linguista, senza una localizzazione statica (anche in 
                  senso politico) è per me «il mio villaggio», 
                  il villaggio nel quale voglio vivere!»  
                
                   
                     | 
                   
                   
                    La 
                        testa nella luna e piedi per terra. Viaggio milano  2011 
                        manifesto su di un muro della Bovisa  | 
                   
                 
                  
                    Nel 
                  segno dell'educazione popolare 
                 Non è un caso che molte persone che ruotano attorno 
                  al mio villaggio provengano dal mondo dell'educazione e della 
                  formazione. Abbiamo incontrato e apprezzato l'universo contraddittorio 
                  e variegato dell'educazione popolare francese, che i compagni 
                  e compagne del Crefad ci hanno fatto conoscere. La denominazione 
                  stessa pone parecchi interrogativi sulla sua origine e la sua 
                  posizione in una prospettiva libertaria. 
                  È proprio dall'incontro/scontro tra questa storia profondamente 
                  radicata nella società francese e lo sguardo portato 
                  dal nostro gruppo riguardo agli stessi temi, che c' è 
                  stato e continua a esserci un bel rimescolamento di carte. I 
                  temi in questione: l'approccio al socio-culturale, una generica 
                  formazione nell'ambito dell'educazione all'autonomia in prospettiva 
                  libertaria, un percorso nei centri sociali autogestiti, un rapporto 
                  distante con lo Stato e le sue articolazioni (si veda l'articolo 
                  «fare opera di emancipazione» 
                  in questo numero di A). «L'educazione popolare, più 
                  che un movimento o la designazione di spazi dove dovrebbe essere 
                  all'opera, è un modo di essere: apprendimento, sviluppo 
                  dello spirito critico, responsabilizzazione, riflessione etica, 
                  per tutti e da tutti, per tutta la vita, ovunque. Siamo convinti 
                  che sia più interessante il percorso, il camminare che 
                  cercarsi un posto nella società, che sia vitale creare 
                  le nostre condizioni di emancipazione di fronte alle costrizioni 
                  sociali, culturali, politiche e morali che ci vengono imposte 
                  e che ci imponiamo. Siamo coscienti dei meccanismi che frenano 
                  o complicano questo modo di fare, ed è per questo che 
                  abbiamo bisogno di metodi e d'immaginare dei mezzi per agire.» 
                  (9) 
                  Scoprire progetti collettivi, incontrare altre persone con percorsi 
                  e origini diverse: in che modo gli altri, altrove, in contesti 
                  politici e sociali diversi, associano i loro obiettivi ai loro 
                  mezzi? 
                  Capire meglio le interazioni tra le azioni, il luogo di vita, 
                  le condizioni di vita là dove ci spostiamo e qui dove 
                  viviamo. Quali pensieri accompagnano l'azione? Stiamo andando 
                  nella direzione di uno scambio di pensiero e di metodi piuttosto 
                  che di pratiche. Non si può trattare solo di cercare 
                  modelli da riprodurre, ma di sviluppare la propria capacità 
                  di pensare l'azione. La dimensione autoformativa sta qui: nel 
                  sapere che ci si sta formando, nel mettersi in una postura riflessiva 
                  rispetto alla propria capacità di pensare e di apprendere. 
                  Nel costruire un discorso e una narrazione sulla propria azione. 
                  Il mio villaggio cerca di creare questo contesto spazio-temporale 
                  della riflessione/riflessività che pero é azione 
                  perché allo stesso tempo tesse una rete. 
                   
                  È inverno, fa un freddo cane, sono le 11 di sera. Scendo 
                  dal treno alla Stazione di Genève Cornavin. Ho il tempo 
                  di bere una birra alla Buvette de Cropettes. Non ho avvertito 
                  Sam che arrivavo stasera, ma so che le chiavi di casa stanno 
                  lì sotto il vaso di fiori. Quanto c'è di rivoluzionario 
                  in questo? 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    Lione 
                        2011. Mani che cucinano. Momenti di convivialità  | 
                   
                 
                  
                    Voci 
                  del villaggio 
                 Il mio villaggio mi ha lasciato l'incontro con esperienze 
                  associative simili alla mia, ma anche di azioni dirette e rivendicazioni 
                  senza mediazioni (soprattutto il carnevale della Plaine a Marsiglia, 
                  ma anche la parata con il Crieur Public alla Croix Rousse), 
                  da una parte mi hanno confermato la situazione di estrema difficoltà 
                  che viviamo in Italia, a Milano, rispetto a queste cose, soprattutto 
                  a causa della burocrazia cieca e repressiva che da noi strangola 
                  ogni barlume creativo. Dall'altra mi hanno convinto che gran 
                  parte del nostro immobilismo è dovuto a mancanza di coraggio 
                  e creatività, ad un'accettazione eccessivamente supina 
                  della situazione. Per questo mi sono dedicato molto alla creazione 
                  di un gruppo informale di azione diretta, lo sciame, e di eventi 
                  come gli aperitivi autogestiti e le TAZ, che spero possano evolvere 
                  in qualcosa di più visibile e determinante. Anche se 
                  rimango dell'idea che la dimensione territoriale debba essere 
                  circoscritta al quartiere. 
                   
                  Percepisco il «Mio Villaggio» come un ponte fra 
                  varie oasi. Ponte che permette l'incontro, la contaminazione, 
                  lo scambio e quindi la crescita delle oasi che vengono messe 
                  in contatto, collegate.  
                  Il «mio villaggio» offre la possibilità 
                  alle persone che vi partecipano di auto-formarsi, di costruire 
                  su misura delle proposte culturali, umane e politiche. Il mio 
                  villaggio porta un'attenzione particolare al territorio inteso 
                  come spazio dove si svolge l'azione quotidiana delle persone, 
                  i loro rapporti sociali, il loro agire politico: rimette in 
                  discussione il tema del «Vivere un luogo».  
                   
                  Grazie al «Mio Villaggio», lo spazio dove attuare 
                  la progettazione si espande e apre nuovi orizzonti di senso: 
                  l'incontro fra realtà e persone di territori diversi 
                  avviene tramite affinità elettive e reciproca curiosità, 
                  aspirazione ad accogliere contaminazioni, in un modo non forzato 
                  bensì spontaneo e entusiasta e quindi estremamente efficace. 
                   
                   
                  Un senso di possibilità e vicinanza con realtà 
                  e contesti 'formalmente' diversi;la sensazione che, pur agendo 
                  e partendo da contesti politici e culturali diversi, si possono 
                  mischiare le carte e gli sguardi. mi ha aiutato a dare contorni 
                  più netti alle specificità italiane e alle nostre 
                  reazioni. Un bisogno sempre maggiore, impellente, di vivere 
                  lo spazio pubblico come mio, di agire gesti che me lo fanno 
                  appartenere (dagli aperitivi informali di sciame, alle mazurke 
                  clandestine..) una prova tangibile di ampliamento dell'orizzonte. 
                   
                  Un sogno. L'idea che attraverso pratiche di azioni quotidiane 
                  radicate in un territorio all'interno di macrosistemi cittadini, 
                  si possano diffondere conoscenze, strumenti politici diretti, 
                  modalità espressive culturali e artistiche, al fine di 
                  creare un'importante rete internazionale di scambi. Il mio villaggio 
                  dunque è sì un luogo fisico circoscritto in un 
                  macrosistema, ma è anche un villaggio. 
                   
                  Valentina Volontè 
                  info ilmiovillaggio@gmail.com 
                  www.ilmiovillaggio.org 
                 Note
                 
                  -  Francoise Choay, L'utopie aujourd'hui c'est retrouver le 
                    sens du local, revue Urbanisme, p.2 
                  
 - Associazione culturale, progetto collettivo intorno a uno 
                    spazio osteria/sala culturale a Milano www.scighera.org 
                     
                  
 - http://ri-voltalacarta.noblogs.org/ 
                  
 - Cascina occupata autogestita a Milano dal 1992 
                  
 - Centro di ricerca, studio e formazione all'animazione e 
                    allo sviluppo, associazione di educazione popolare in rete 
                    con 9 associazioni e cooperative in Francia http://www.reseaucrefad.org/ 
                  
 - http://voguelagalere2011.blogspot.it/ 
                  
 - Certeau, M. de, 1980, L'invention du quotidien 1. Arts 
                    de faire, Paris, Union générale d'éditions; 
                    trad. it. 2001, L'invenzione del quotidiano, Roma, 
                    Edizioni Lavoro. p.6 
                  
 - Zone temporaneamente armoniche, momenti di riappropriazione 
                    di Piazza Schiavone con musica, canti, ciclofficina, baratto... 
                  
 -  Tratto da un testo interno al Crefad. 
  
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