rivista anarchica
anno 42 n. 372
giugno 2012



a cura di Marco Pandin

 

 

La mê lenghe e sune il rock

“…A qualsiasi latitudine la musica non è solo una forma di espressione, ma si può considerare altresì come uno specchio delle altre manifestazioni culturali di un territorio, di una comunità, di un’epoca e di più epoche, della sedimentazione e della sovrapposizione di linguaggi, espressioni e tradizioni. Nella musica, cantata, suonata e ballata, si trovano diverse testimonianze e eredità delle contaminazioni culturali, linguistiche e storiche che hanno segnato il Friuli e lo hanno fatto così com’è. Ritmi, suoni e melodie fanno emergere con forza il suo essere “altro”: il sud del nord, il nord del sud, l’est dell’ovest, l’ovest dell’est…”

Ecco un libro che la grande parte di noi potrà leggere solo a metà. Non perché “La mê lenghe e sune il rock” (ed. Informazione Friulana, 2011, prezzo non indicato) racconti una storia noiosa, tutt’altro, quanto perché le prime cento-e-passa pagine sono scritte in lingua friulana, parlata da ben oltre mezzo milione di persone ma poco diffusa al di qua del Livenza. La traduzione italiana corrispondente occupa le cento pagine successive, e sono pagine stracariche di informazioni, particolari e ragionamenti che un appassionato di musiche come me s’è divorato in relativa fretta e con gioia. Mi sono portato il libro sempre con me in borsa per due settimane buone, l’ho letto appena trovavo una mezz’ora tranquilla, l’ho letto in treno e in pausa mensa, la sera invece della televisione e prima di dormire. L’ho letto e riletto, avidamente, su e giù ad accarezzare le pagine e a far sudare le mani sulla copertina. Non vi nascondo che sono stato molto presto spinto dalla curiosità a ficcare il naso nella prima parte, a lavorare di memoria col suono delle voci di tanti amici e compagni, così misteriosamente straniere ed altrettanto meravigliosamente familiari. Tanti dei nomi raccontati qui dentro, da Lino Straulino a Loris Vescovo, dagli FLK agli Arbegarbe agli Inzirli, li avete già incontrati qua dentro, ve ne ho parlato: sarebbe stato difficile per me aver fatto a meno anche di solo uno di loro.
Ma il libro non è l’enciclopedia della musica friulana coi nomi e le date messi in ordine, con le belle liste dei dischi e delle canzoni, chissenefrega. Per fare il lavoro Marco Stolfo, l’autore, si è occupato di tutt’altro: è riuscito a raccogliere i fili, forse non tutti ma di certo tantissimi e comunque tutti importanti. Marco riesce a raccontare il suono del Friuli anche a chi non lo ha mai ascoltato o lo ha ascoltato poco, e ci riesce spiegando tutto con calma: usa una scrittura semplice e lineare, evita accuratamente la pedanteria e ogni tanto non teme le ripetizioni e il già detto poche pagine prima, così da tenere la comunicazione a livello orizzontale e l’attenzione viva. Il fuoco dell’attenzione è tutto concentrato sulle persone: l’autore accende luci dove a volte non te le aspetti, sceglie le parole giuste per descrivere movimenti, viaggi e incontri e imprevisti che poi si sono concretizzati in un grumo di frasi, un testo, una canzone, un disco. Ne viene fuori un libro che racconta le canzoni attraverso le motivazioni di chi le canta, senza prestare troppa attenzione alle differenze di genere espressivo.
Il grosso delle storie si concentra negli ultimi venti-trent’anni, ma la linea del tempo nel libro ha un’importanza relativa, anzi spesso, in quel gioco di ripetizioni a cui accennavo prima, c’è un susseguirsi di rimandi, di ispirazioni, di tracce sotterranee, un continuo bilanciamento tra tradizione e innovazione, tra senso estremo di conservazione e spirito distruttore/dissacratore. Ad esempio, qui si racconta degli anni Sessanta e Settanta attraverso il mercato delle cassette di cori e formazioni folk che porta aria di radici nelle case degli emigrati friulani all’estero, e della canzone melodica e cantautorale che a volte è diventata prova di resistenza alla modernizzazione e al pericolo della perdita d’identità. Significativo il passaggio, nel decennio successivo, dalla canzone “verticale” a quella “orizzontale” grazie a Giorgio Ferigo ed al Povolâr Ensemble: orizzontale perché finalmente “contemporanea, contaminata e in grado di utilizzare la lingua per tutti gli argomenti e in prospettiva con ogni linguaggio musicale”, per dirla con Stefano Montello degli FLK. Ma per fortuna (di tutti) il Friuli non ha muri di cemento e filo spinato tutt’intorno e confini impermeabili, e negli anni Ottanta è stato travolto dal punk divenendo un importante laboratorio sociale. In quegli anni il Friuli conosciuto da tutti come terra di caserme e fabbriche è una zona creativa in ebollizione: inizia le trasmissioni Radio Onde Furlane, si attiva il Great Complotto a Pordenone, tra le primissime autoproduzioni discografiche italiane esce nel 1981 “Challenge” che vede coinvolti due gruppi friulani (ed uno trevigiano), e poi Eu’s Arse, Detonazione, Upset Noise, Soglia del Dolore, Warfare, Fottutissima Pellicceria Elsa, Nagasaki, la fanzine Nuova Fahrenheit e l’etichetta indipendente Nuclear Sun Punk, il Gruppo Sociale della Bassa Friulana… per arrivare al CSA di via Volturno, alla magnifica rivista Usmis e poi agli Inzirli, a Musiche Furlane Fuarte e piano piano ai visionari Trastolons, al sorprendente DJ Tubet e agli intrecci di oggi...
Intrecci che si ramificano, corrono in cielo a incontrare altri fili, altre musiche, altri ragionamenti, altri voli. Parte sostanziosa del libro, quella finale, racconta analogie e affinità tra le musiche friulane e quelle che si sono sviluppate in altre zone di minoranza linguistica ed etnica: certe storie proprio come quelle friulane sono storie di ragazze e ragazzi sardi, occitani, ladini, corsi, albanesi, tirolesi, frisoni, bretoni, catalani, baschi… Questo può spiegare il blues di Fabian Riz da Cormons che suona e canta assieme ai Frontiera che vivono sulle montagne che stanno proprio lontane dall’altra parte delle Alpi verso la Francia (guardateveli su YouTube: verranno i brividi a quelli che avevano vent’anni negli anni Ottanta e si nutrivano di punk anarchico). Questo può spiegare “Tu tramontis”, canzone di protesta del Settecento che trova parole friulane e sarde insieme per esplodere nel silenzio di normalizzazione del millennio nuovo.
Un libro di rivelazioni, una ricerca fatta con gli occhi e le orecchie spalancate e con addosso una curiosità insaziabile. C’è anche un’appendice sonora e rumorosa: al libro è allegato un cd antologico da consumare con attenzione e rispetto.

Informazioni: Radio Onde Furlane, via Volturno 29 33100 Udine,
www.ondefurlane.eu
e-mail: info@ondefurlane.eu

Giorgio Ferigo

 

Solar Ipse

Prima non l’ho fatto, e forse per nessun motivo veramente valido. Insomma, sono mesi che mi ripropongo di segnalarvi la fanzine Solar Ipse, immaginata e stampata a Trieste da Loris Zecchin col sostegno di collaboratori vari. Ne sono usciti sinora quattro numeri, i primi due si chiamavano Xerox Militia ed erano un tot di pagine fotocopiate spillate insieme come si faceva una volta, il terzo e quarto numero poi sono stati stampati seriamente. Se già sfogliando un numero di una normale rivista musicale che si trova in edicola come Blow Up un ultracinquantenne come me si sente a disagio, disorientato dalla moltitudine di uscite discografiche e dal moltiplicarsi esponenziale delle etichettature e dei sottogeneri, Solar Ipse è una finestra che si spalanca sull’abisso. In quattro uscite e quasi trecento pagine complessive mi sono ritrovato nel mezzo di un vortice di nomi e riferimenti sotterranei dei quali per grande parte nemmeno sospettavo l’esistenza. Con sorpresa, scopro che parte della roba finita nelle playlist di Loris e compagni mia figlia, quasi diciannovenne, pare masticarla quotidianamente sul suo lettore mp3 (con rinnovata sorpresa, e con grande soddisfazione, scopro poi che le fanze sono sparite dal mio tavolo e stazionano in camera sua, in movimento tra sopra il tavolo e appena sotto al letto: buon segno).
Solar Ipse è fatta per grande parte di interviste, fa parlare i ragazzi che suonano: chiede risposte, vuole sapere e non si accontenta di una grattatina alla superficie. Mi colpisce positivamente la disinvoltura con cui vengono accostate espressioni musicali distanti, mi colpisce altrettanto positivamente come tanta gente giovane che suona adesso possa trovare motivi di ispirazione e curiosità nei musicisti che le generazioni precedenti ritenevano sbagliati o comunque inadatti (per dire, una volta quelli che suonavano la chitarra ascoltavano Jimi Hendrix ed Eric Clapton, certo non John Fahey né Fred Frith). Mi colpisce infine ritrovare pezzi di passato, un passato recente anche un po’ mio, in forma di figli di e nipoti di che suonano, scrivono, ragionano, si sbattono e soprattutto non si rassegnano né si fermano. Come sono sorpreso, come sono confuso, come sono felice. Mandategli quello che potete, sostenete questa iniziativa, fategli sentire che ci siete.
Contatti:
loriszecchin@gmail.com.

Marco Pandin
stella_nera@tin.it

Luna e un Quarto

“Duemila papaveri rossi”
2 cd con libretto

I due cd contengono 37 canzoni di Fabrizio de André
interpretate da musicisti e gruppi indipendenti.
Una iniziativa a sostegno di "A" delle Edizioni stella*nera.

Una copia 15 euro

Per saperne di più e per acquistarlo online clicca qui

Paola Sabbatani e Roberto Bartoli
“Non posso riposare”
cd+dvd

Un cd e un dvd, dodici canzoni da ascoltare e un documentario realizzato da
Mario Bartoli e Giangiacomo De Stefano (Va.C.A. Vari Cervelli Associati).
Una co-produzione Editrice Bruno Alpini, Aparte e stella*nera.

Una copia cd+dvd 15 euro

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