rivista anarchica
anno 42 n. 371
maggio 2012


dossier Georges Brassens

Quando l’amore se ne va,
è già partito da molto tempo

Uno stralcio dal colloquio tra Georges Brassens, Jacques Brel e Léo Ferré,
a cura di François-Réne Cristiani e Jean-Pierre Leloir

Il 6 gennaio 1969, a Parigi, si incontrarono intorno a un tavolo tra i tre “mostri sacri”. Ne pubblichiamo, per la prima volta in italiano, uno stralcio.

 

Vi sembra di essere diventati adulti?
Brassens – Ahi ahi ahi!
Brel – A me no.
Ferré – A me nemmeno.
Brassens – Siamo rimasti tutti un po' indietro! Per diventare adulti, bisogna prestare il servizio militare, sposarsi, avere dei figli. Bisogna abbracciare una carriera, seguirla, salire di grado. È così che si diventa adulti... Noialtri conduciamo una vita un po' ai margini della vita normale, al di fuori della realtà. Non possiamo diventare adulti.

Forse perché non avete voluto adattarvi al sistema tradizionale?
Brel – O forse non abbiamo potuto!
Brassens – Perché non era nel nostro carattere adattarci a quel sistema, ecco. Non l'abbiamo fatto apposta. Non c'è nessuna vanteria nel dire che si è solitari. Si è così e basta.
Ferré – Si ricollega al bambino-poeta. Quando Brel canta senza ridere, e credendoci, quando dice quella cosa meravigliosa, «accenderò la mia chitarra, ci sembrerà di essere spagnoli», solo un bambino può dire una cosa del genere!
Brel – Certo. In fin dei conti è una questione di temperamento… Tutto sta nel sapere cosa si fa davanti a un muro: ci si passa a lato, ci si salta sopra, o si sfonda?
Brassens – Io, penso!
Brel – Io lo sfondo! Come dire, ho voglia di prendere un piccone…
Ferré – Io lo aggiro!
Brel – Sì ma il punto in comune è che tutti i mesi, istantaneamente, abbiamo voglia di andare dall'altra parte del muro che s'innalza. Questa è l'unica cosa importante, ed è quello che prova che non siamo adulti. Che fa un tipo normale? Costruisce un altro muro davanti, ci mette sopra un tetto e si sistema. È quello che si chiama costruire! [risa].

6 gennaio 1969 – Jacques Brel, Léo Ferré, Georges Brassens
(foto Jean-Pierre Leloir)

Concerti quasi insurrezionali

Tutti voi, in un certo periodo della vostra vita, o ancora oggi, avete flirtato con i movimenti anarchici o libertari. Per Brassens è stato un momento, per Brel un soprannome, per Ferré si tratta di una causa militante ancora oggi, un pretesto per dei concerti quasi insurrezionali…
Ferré – No! Io non sono, non posso essere un militante. Non posso militare per un'idea, qualunque essa sia, perché altrimenti non sarei libero. E credo che Brassens e Brel siano come me, perché l’anarchia è innanzitutto la negazione di ogni autorità, da qualsiasi parte essa venga. All'inizio l'anarchia faceva paura alla gente, alla fine del XIX secolo, perché c'erano le bombe. Poi ha fatto ridere. In seguito, la parola anarchia ha assunto un cattivo sapore in bocca alla gente. E poi, da qualche mese, in particolare da maggio in poi, le cose si sono rimesse al loro posto. Le assicuro che quando pronuncia la parola anarchia, o anarchici, anche sul palco, la gente non ride più, è d'accordo, e vuol sapere di cosa si tratta.
Brassens – L'anarchia è difficile da spiegare… Gli stessi anarchici fanno fatica a spiegarla. Quando ero nel movimento anarchico – ci sono rimasto due o tre anni, facevo Le Libertaire nel '45-'46-'47, e non ho mai rotto completamente, ma in definitiva non milito più come prima –, ciascuno aveva un'idea del tutto personale dell'anarchia. È proprio questo a essere esaltante nell'anarchia: non c'è un vero dogma. È una morale, un modo di concepire la vita, credo…
Brel – … E che accorda la priorità all'individuo!
Ferré – È una morale del rifiuto. Perché se nel corso dei millenni non ci fosse stato qualche energumeno a dire no, qualche volta, saremmo ancora sugli alberi!
Brel – Sono completamente d'accordo con quello che dice Léo. Detto questo, ci sono persone che non si sentono né sole né inadatte, e che trovano collettivamente la loro salvezza.
Brassens – Certamente. Per quanto mi riguarda non disapprovo mai nulla, le persone fanno più o meno quello che vogliono. Io sono d'accordo o non sono d'accordo, tutto qui. Per aver detto questo sono stato spesso rimproverato di non voler rifare la società. Il fatto è che non mi sento capace di farlo. Se avessi delle soluzioni collettive…
Brel – Ma chi, chi ha la soluzione collettiva?
Brassens – C'è chi pretende di averla. Ma nel mondo attuale, non sono in molti che sembrano possederla davvero… [risa] Io non so cosa si debba fare. Se lo sapessi, se fossi persuaso che girando a destra o a sinistra, facendo questo o quello il mondo cambiasse, la sacrificherei, la mia piccola tranquillità! Ma non ci credo poi molto…

Léo Ferré?
Ferré – Io sono meno lirico rispetto a lui…
Brassens – …Tu, Léo, tu sei totalmente disperato!
Brel – C'è un fenomeno d'impotenza che è assolutamente terribile, davvero.

Quindi avete proprio l'impressione di non poter fare nulla?
Brassens – No, io faccio qualcosa per i miei vicini, per i miei amici, nei miei limiti. Penso d'altra parte che valga tanto quanto se militassi in un posto qualsiasi… Non sparare sulla Croce Rossa è una forma di impegno come un'altra.
Ferré – Trovo che Georges, nel suo cuore, militi molto più di me. Perché io non credo più a parecchie delle cose a cui voglio credere.
Brassens – Faccio finta, Léo. Faccio come quando l'amore se ne va. Faccio finta di crederci, e questo lo fa durare ancora un poco…
Ferré – No, no. Quando l’amore se ne va, è già partito da molto tempo.

a cura di François-Réne Cristiani e Jean-Pierre Leloir

traduzione dal francese di Carlo Milani

6 Ho anche qualche pipa

Lei dice che non ha un posto che sente casa sua, è vero?
Be' abito con degli amici, ho comunque una casa...

E appende delle cose alle pareti?
No no, niente

Come mai?
Non metto niente, è tutto nudo, una camera monacale.

Ha davvero una stanza da monaco?
Sì da monaco un po' licenzioso, ma da monaco. Non ho quasi nulla, un tavolo, una sedia, un letto, qualche libro, qualche chitarra e basta. Ho anche qualche pipa...

Pensa che l'arredamento stia negli occhi, ce lo si porti dentro di sé?
Sì non ne ho molto bisogno, me lo creo da solo l'arredamento. Secondo i bisogni, me lo invento, mi dico "là ci starebbe bene un albero" e me lo invento. E quando l'albero mi ha stancato ci metto un'altra cosa al suo posto: un pollo, un cane...

E lo vede davvero?
Lo vedo davvero, sì.