rivista anarchica
anno 41 n. 361
aprile 2011


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

 

La serratura
imbottita

 

Primo tempo

1. Come ogni altro contributo scientifico, una classificazione di qualcosa che si categorizza come pluralità di elementi ha una sua dimensione sociale ineliminabile. La classificazione, detto in soldoni, non può servire solo a chi l’ha fatta. È in ragione di ciò che i criteri che la guidano hanno da essere tutti espliciti e formulati in modo tale che anche altri possano applicarli giungendo ai medesimi risultati. Allorché questi criteri non ci vengono dichiarati e ci troviamo di fronte ad una classificazione bella e fatta, tocca a noi, dunque, risalire al criterio – condividerlo o meno – nel caso, cambiarlo, oppure giustapporgliene un altro affinché la classificazione soddisfi l’esigenza di nuovi scopi.
Facevo questa banale considerazione, di fronte al bar della stazione Brignole di Genova. Un grande cartello aveva attirato la mia attenzione. Si proponeva l’acquisto di quelli che venivano categorizzati come “i nuovi panini del viaggiatore” – non pochi, ben otto – che, invece di essere individuati e individuabili soltanto tramite il loro contenuto – che so: rucola e caprino, oppure hamburger, pomodoro e lattuga – avevano anche ricevuto un nome proprio. Otto nomi propri che, tuttavia, mi ponevano qualche problema, perché se Colombo e Vespucci, Marco Polo e Vasco De Gama, o anche Ulisse e Capitan Nemo potevo anche ritenerli idonei allo scopo – viaggiato hanno, anche se alcuni più nella fantasia che nella realtà storica –, altri due mi lasciavano piuttosto perplesso. Il primo era costituito o prometteva di essere costituito da pane, salame e provola; il secondo da una ciabatta – spero metaforicamente intesa – e da prosciutto cotto.

2. Al chimico tedesco Emil Fischer si deve, fra l’altro, l’idea che gli enzimi siano agenti asimmetrici capaci di riconoscere le molecole cui si devono o si possono legare in base alla configurazione geometrica. Sembrerebbe responsabile, dunque, di una metafora di nuovo conio che, dal 1894 in poi, avrà uno straordinario potere persuasorio in biologia – quella della “chiave” e della “serratura”, dove l’enzima fa la parte della prima e il substrato cellulare fa la parte della seconda.

3. Poco tempo fa, a Milano, transitando faticosamente dalle parti del Cimitero Monumentale non ho potuto fare a meno di notare numerosi manifesti affissi di fresco e, regolarmente, al di fuori degli spazi consentiti. Da questi manifesti apprendevo sulle prime due ordini di informazioni: la prima concerneva la nascita di un Partito che fino a quel momento mi era sfuggito, il Partito Italia Nuova, e la seconda concerneva – entro certi limiti – me stesso: al posto dello slogan, infatti, o al posto di un proclama ridotto in pillole tali da trovar posto in un semplice manifesto, stava un ibrido semiologico costituito da un’immagine – indubbiamente, una serratura – e da un’asserzione – “Tu sei la chiave”.
Da lì avrebbe potuto aver inizio un lungo e tortuoso percorso nel complesso di rappresentazioni che, in lunghi anni, ho elaborato di me – rappresentazioni che, a dire il vero – inetto come sono –, mai mi avevano visto nel ruolo di chiave di alcuna serratura, ma, più che su quanto di esplicito, devo confessare che il mio pensiero è andato dritto e deciso a rilevare un’incongruità che trascendeva di gran lunga il caso in questione. Più che a quanto diceva, il mio pensiero è andato a quanto il manifesto ometteva. Siamo arrivati, da tempo, mi dicevo, al punto in cui l’associazione tra persona – individuo, cittadino – e partito politico non è più compiuta in base a criteri espliciti o comunque esplicitabili. Il sospetto che la scelta di un partito politico non abbia più a che fare con il riconoscimento nel suo programma di un insieme di idee condivise è fondato. Non solo in parlamento, voglio dire – dove il voto a questo o a quello è oggetto di libero mercato, dove palesemente si migra da un partito all’altro in ragione delle risorse rapinabili a titolo personale –, ma anche nella cosiddetta società civile, dove l’interesse individuale o, ahimé ahilui ahinoi ahiloro, ciò che si è portati a ritenere tale ha sicuramente priorità sacra rispetto a proprie convinzioni eventuali sempre procrastinabili.
In quel manifesto mi si invita ad entrare in un nuovo partito, ma – al passo con i tempi (secca dirlo ma credo proprio debba essere detto) –, non mi si propone criterio selettivo alcuno. Entrarci, fare la parte della chiave, aprire quella porta, è tutto ciò che mi si chiede – senza dirmi cosa ci troverò dietro quella porta e, a questo punto, scaturisce d’obbligo la domanda sulla mia o altrui disponibilità ad aprirla, questa porta. Evidentemente, se questa comunicazione mi è stata rivolta – e come è stata rivolta a me è stata rivolta a tutti gli altri –, chi comunica pensa che la mia e l’altrui disponibilità ad aprire una porta senza sapere cosa ci si trova dietro sia enorme. Va da sé che, nel mio caso, si sbaglino – non ho nessuna intenzione di essere chiave per nessuna porta –, ma resta l’inquietante dubbio sulla disponibilità altrui. Dall’altra parte di un’altra porta – spero davvero che si tratti di un’altra porta –, tempo fa, ad attendere le sue chiavi, ci si è trovato un tale che si chiamava Adolf Hitler.

4. Attila, per esempio, quello costituito oggi da pane salame e provola, si è guadagnato il pane – è il caso di dirlo – della memoria altrui più come diserbante a lungo termine piuttosto che come viaggiatore. Implicito, d’accordo, è il fatto che, per distruggere al proprio passaggio occorra passare, e passare è comunque un mettersi in viaggio. Kim, quello costituito da ciabatta e prosciutto cotto e quello ideato da Kipling, lo ricordiamo più per il Grande Gioco dello spionaggio inglese in cui, povero orfanello, avrebbe dovuto spendere i suoi giorni che per l’aver accompagnato nel pellegrinaggio verso Benares l’anziano Lama che, alla fine, lo salverà. Mentre i Vespucci e i Vasco De Gama, insomma, possono essere posti in relazione facilmente con il viaggio – e così pure gli altri –, Attila e Kim li associamo al viaggio non senza qualche difficoltà. Per riuscirci occorre scovare nessi non del tutto appariscenti, indagare nell’enciclopedia implicita in ciascuno di noi, averci un’idea delle rispettive storie che ai due, di riffe o di raffe, sono state affibbiate. Il semantologo del panino del viaggiatore, insomma, ha fatto ricorso ad un criterio che, anche se teoricamente ineccepibile – un viaggio non lo si nega a nessuno, anche Madre Teresa di Calcutta, Tina Pica o Gimondi avrebbero potuto andar bene –, non essendo immediatamente condiviso dai potenziali utilizzatori della classificazione che ne risultava, selezionava troppo, o, al limite, troppo poco.

5. Oltre all’omissione di qualsiasi dichiarazione d’intenti, non solo il nome, comunque – “Italia Nuova” – ma anche i colori della serratura – un rosso ed un verde che con il bianco di quel vuoto dove avrei dovuto infilarmi in quanto chiave assemblavano la bandiera italiana – dicevano parecchio e, soprattutto, dicevano a sufficienza. Per me. Il nome del nostro Paese, l’aggettivo già di per sé screditante – perché una novità va sempre posta in rapporto a ciò che verrebbe a sostituire e in caso contrario rimane puro orpello retorico – e i colori della nostra bandiera vanno a costituire un insieme non privo di storia – di una storia che, emanando dal patriottismo e dalle trame di chi sul patriottismo ha speculato –fino ad ora, non ha mai portato a niente di buono e a niente di buono, ferme restando le premesse, non potrà mai portare in futuro.
Pertanto, come ho evitato tutti e otto i panini del viaggiatore alla stazione di Genova – ed ho preferito la fame –, così eviterò certamente di infilarmi in quel buco, perché – rimettiamola in termini di biologia – come molecola, nel corso della mia evoluzione, ho imparato a riconoscere quanto può risultare dannoso per l’organismo di cui faccio parte. Una riottosità mia che spero vada a vantaggio dell’immunità collettiva.

Secondo tempo

1. Trovo poi un volantino, appeso sulla saracinesca di un’edicola. Ha un titolo: “E se davvero…I sogni son desideri di felicità ?”. Vi si parla dell’improvvisa consapevolezza di un dodicenne, che, giunto a “vedere il mondo con occhi che sanno vedere le differenze”, chiede alla madre “perché” anche lui non dovrebbe avere “le stesse possibilità” dei suoi amici, che non riceve risposta, che ha scoperto l’articolo 3 della Costituzione italiana, quello che “garantisce a tutti i cittadini pari dignità sociali” e che, ahilui, constata come, per quanto lo riguardava, quell’articolo era stato violato. A questo punto, io lettore mi chiedo quale affronto l’ignoto estensore del volantino abbia dovuto subìre, ma, nel testo del volantino, non lo trovo. Le comunicazioni zoppicanti mi preoccupano sempre – spesso nascondono qualcosa, qualcosa d’altro oltre all’inettitudine di chi le ha fatte.
C’è un’aggiunta in rosso, di un autore ulteriore – uno che, con qualche difficoltà di ordine grammaticale, mi invita ad andare a vedere in rete quel che concerne tal Armando Siri che, allora, sembrerebbe essere il dodicenne in questione.

2. Ci vado. Di filmini youintubati ce n’è a iosa, mentre del dodicenne non c’è più traccia. C’è questo Armando Siri, invece, definito “imprenditore e giornalista” che annuncia di candidarsi a sindaco di Milano e di aver fondato allo scopo il Partito Italia Nuova. Lo vedo e lo ascolto. Dietro quella porta di cui io sarei la chiave, allora, c’è uno che propone una “monocrazia virtuosa”, l’elezione di un Capo dello Stato eletto direttamente dal Popolo – uno che riassuma nella sua persona tutti i poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario – e che una volta eletto comandi fino ai settantacinque anni suonati. Ricordando vecchie porte, vecchie serrature e vecchie – tragiche – chiavi, c’ero andato vicino. Costui, infatti, tranquillo e beato, suadente, dice che “non dobbiamo preoccuparci della dittatura” – roba vecchia – e che dobbiamo “guardare al futuro”. Che era già sufficientemente fosco senza di lui.

Felice Accame

Nota
Per il ruolo svolto da Fischer nella storia della biologia molecolare, cfr. G. Corbellini, Le grammatiche del vivente, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 53-54.