rivista anarchica
anno 40 n. 356
ottobre 2010


socialismo libertario

Riscoprendo Merlino
di Gianpiero Landi

Non il Mago, ma Francesco Saverio, militante anarchico in gioventù socialista in età matura, avvocato e pensatore, acuto critico del marxismo, tra i precursori del “socialismo liberale” o “libertario”. Sono appena usciti gli atti di un convegno di studi su di lui, tenutosi a Imola nel 2000.
Qui pubblichiamo l’introduzione di uno dei promotori del convegno.

Questo volume contiene le relazioni e gli interventi del Convegno di studi su La Fine del Socialismo? Francesco Saverio Merlino e l’anarchia possibile, promosso e organizzato dalla Associazione “Arti e Pensieri”, svoltosi nella Sala delle Stagioni a Imola il giorno 1 luglio 2000. Il fatto di dare alle stampe gli Atti di un Convegno, quasi 10 anni dopo che esso si è tenuto, rende probabilmente necessaria qualche spiegazione. Non si tratta tanto di giustificare un ritardo anomalo, per il quale comunque il curatore si assume onestamente le sue responsabilità, quanto piuttosto di rispondere alla domanda se l’operazione editoriale abbia – dopo tanto tempo – ancora senso. Noi crediamo di sì, e riteniamo che i materiali che proponiamo al lettore conservino intatta gran parte della loro validità. Ci spingiamo anzi fino a pensare che mai come ora, in un’epoca come la nostra caratterizzata – almeno per quanto riguarda l’Italia e l’Europa – da una crisi della sinistra che sembra epocale e irreversibile, la riflessione sul pensiero politico di F. S. Merlino e più in generale sui caratteri e le prospettive del Socialismo, avviata dal nostro Convegno, sia apparsa tanto attuale e necessaria.
Il Convegno di Imola – il primo e finora anche l’unico che sia stato dedicato specificamente a Francesco Saverio Merlino – cadeva esattamente settant’anni dopo la morte, avvenuta il 30 giugno 1930, di questa straordinaria figura di militante e di pensatore politico. Merlino si spense a Roma, dimenticato e solo – se si fa eccezione per i familiari – in quell’Italia fascista che certo non poteva apprezzarlo e capirlo e che sembrava incarnare alla massima potenza, in modo perfino grottesco ma nondimeno tragico, tutto ciò contro cui egli aveva combattuto per tutto il corso della sua esistenza. Il fascismo lo aveva lasciato in pace nei suoi ultimi anni, ma aveva continuato a sorvegliarlo fino alla fine dei suoi giorni, analogamente a quanto stava facendo – in maniera molto più stretta e ossessiva – nei confronti di Errico Malatesta, il compagno di tante battaglie il cui percorso biografico si era intrecciato più volte con quello di Merlino.
La coincidenza delle date, per quanto gradita agli organizzatori, non deve però fare pensare a un semplice loro adeguarsi al rituale degli anniversari. In effetti, alla Giornata di studi si è arrivati dopo una lunga gestazione, con riflessioni e discussioni che si sono prolungate per alcuni anni. L’organizzazione del Convegno su Merlino si colloca all’interno di un progetto politico e culturale di ricerca e di approfondimento delle radici storiche e dell’attualità del socialismo libertario, che all’epoca il gruppo di compagni e amici che aveva dato vita all’Associazione “Arti e Pensieri” stava portando avanti, tra Bologna e alcune altre città dell’Emilia Romagna. Un momento particolarmente significativo di questo percorso di ricerca era stato rappresentato dal Convegno su Andrea Caffi, svoltosi a Bologna nel novembre del 1993, organizzato appunto dalla Associazione “Arti e Pensieri” in collaborazione con la Biblioteca Libertaria “Armando Borghi” di Castel Bolognese, i cui Atti sono stati poi pubblicati a distanza di qualche anno (Andrea Caffi, un socialista libertario, a cura di G. Landi, Pisa, Edizioni BFS, 1996).
Procedendo in questa ricerca era pressoché inevitabile arrivare a confrontarsi prima o poi con la figura di Saverio Merlino. Come Caffi, in modo diverso ma con ancora maggiore spessore teorico e soprattutto con maggiore organicità, Merlino è stato sicuramente uno dei maggiori interpreti del socialismo libertario. Dopo avere aderito verso il 1875 all’Internazionale antiautoritaria, egli fu per circa vent’anni un protagonista di primissimo piano del movimento anarchico italiano e internazionale. Svolse all’epoca una instancabile attività di militante e di organizzatore rivoluzionario, a cui affiancò lo studio e la elaborazione di opere che misero in luce la sua solida preparazione culturale e le non comuni qualità di teorico. Dal 1884 visse in esilio in Inghilterra, con frequenti viaggi e periodi di permanenza in altri paesi europei e negli Stati Uniti. A questa fase della sua vita risalgono opere come Socialismo o monopolismo? (1887), L’Italie telle qu’elle est (1890), e gli opuscoli Necessità e basi di un accordo (1892) e L’individualismo nell’anarchismo (1893). Nel 1894 rientrò clandestinamente in Italia, ma venne arrestato e dovette trascorrere in carcere due anni per scontare una vecchia condanna. Giunse a maturazione in questo periodo un processo di ripensamento e di revisione ideologica che lo portò nel 1897 a distaccarsi dal movimento anarchico, nel corso di una lunga e celebre polemica con Malatesta.
Stabilitosi definitivamente a Roma, sviluppò le sue nuove idee elaborando una concezione originale e organica del socialismo libertario. Risalgono a quegli anni le sue opere maggiori Pro e contro il socialismo (1897), L’utopia collettivista e la crisi del “socialismo scientifico” (1898), Formes et essence du socialisme (1898) e l’importante «Rivista Critica del Socialismo » che uscì per tutto il 1899 sotto la sua direzione.
Precursore e protagonista di primo piano della crisi e revisione del marxismo di fine Ottocento, fu interlocutore apprezzato di personaggi come Bernstein in Germania e Sorel in Francia, ma si attirò pure gli attacchi spesso velenosi di interpreti ortodossi del marxismo come Antonio Labriola e Leonida Bissolati. Alla fine del 1899 si iscrisse al PSI, ma nel partito rimase sempre un isolato e dovette sostenere una dura polemica con Turati. Deluso, dopo il 1907 lasciò il partito e si ritirò a vita privata, dedicandosi alla sua professione di avvocato. Tornò a occuparsi di politica nel primo dopoguerra, riavvicinandosi agli anarchici che ospitarono vari suoi scritti nei loro giornali, senza peraltro mai nascondere alcune ragioni di dissenso. La comune opposizione al bolscevismo e al fascismo rendeva del resto secondarie in quel periodo molte distinzioni. Pubblicò in quegli anni Fascismo e democrazia (1924) e Politica e Magistratura dal 1860 ad oggi in Italia (1925). Solo nel 1948 apparve postuma, a cura di Aldo Venturini, l’opera Il problema economico e politico del socialismo.
Per inciso, il Convegno di Imola è stato dedicato proprio ad Aldo Venturini, intellettuale di valore e discepolo di Merlino, infaticabile studioso e divulgatore degli scritti del suo Maestro per tutto il periodo successivo alla II Guerra mondiale, fino alla sua morte avvenuta nel 1995. Venturini, amico personale di alcuni degli organizzatori che hanno avuto il privilegio di frequentarlo a Bologna nei suoi ultimi anni, è stato anche oggetto di una relazione specifica nel corso della Giornata di studi.
Francesco Saverio Merlino

Istanze teoriche diverse

A giudizio di chi scrive, Merlino negli anni della sua maturità è approdato a una propria originale e organica concezione del socialismo che conservava i tratti fondamentali degli ideali giovanili libertari e egualitari, riformulati ad un livello più problematico e coerente. Pensatore e teorico originale e di notevole spessore culturale, egli ci appare in grado di fornire ancora oggi spunti di riflessione e proposte di soluzione su alcuni nodi teorici e politici di estrema rilevanza. Con estrema lucidità egli mette a fuoco i problemi economici e politici di una società socialista, delinea in modo convincente le forme che dovrebbe assumere una tale società, e fornisce un contributo essenziale alla ricerca di una strategia per realizzare queste forme.
Per molte persone, ancora oggi, Merlino rimane soprattutto il coraggioso difensore di Gaetano Bresci, il brillante avvocato di tanti anarchici e antifascisti perseguitati. Il suo contributo di pensatore e di teorico è stato a lungo trascurato e svalutato nella storiografia e nella cultura italiana, complice probabilmente la difficoltà di inquadrarlo e di incasellarlo in una precisa corrente e in una tradizione ideologica e politica del movimento operaio. Perché Merlino è indiscutibilmente un pensatore di confine, uno spirito inclassificabile. Come ha scritto Giampietro “Nico” Berti nella sua fondamentale biografia di Merlino, apparsa nel 1993, “la definizione forse più calzante di questo pensatore è di essere l’“incrocio ideologico del socialismo”. Ciò perché nessuno più di lui ha riassunto, nella storia del pensiero socialista – negli anni cruciali della svolta revisionista di fine secolo – le istanze teoriche più diverse e disparate, mantenendo nello stesso tempo un raro equilibrio fra esse che quasi mai sconfinò nell’eclettismo”. [G. Berti, Francesco Saverio Merlino. Dall’anarchismo socialista al socialismo liberale (1856-1930), Milano, Franco Angeli, 1993, pp. 11-12]. È importante questo giudizio finale di Berti, soprattutto se si considera che al sospetto o all’accusa di eclettismo si deve probabilmente uno dei motivi principali che hanno impedito finora un pieno apprezzamento del pensiero merliniano nella storiografia.
Anche se la percezione della statura di Merlino come teorico e come pensatore è venuta gradatamente crescendo nel corso degli anni, la sua importanza non è stata ancora riconosciuta unanimente in modo adeguato. Ci piace ricordare in proposito che più di un secolo fa il sociologo Emile Durkheim, un nome che rappresenta qualcosa nella storia della cultura, esaminando criticamente il libro di Merlino Formes et essence du Socialisme apparso in Francia nel 1898, intitolava significativamente il suo intervento La nouvelle conception du socialisme.
Berti, che ha presentato la relazione introduttiva al Convegno di Imola e che di Merlino è oggi indiscutibilmente il più autorevole biografo, lo ha definito in alcune occasioni “il più grande teorico socialista che abbia avuto l’Italia”, chiarendo che egli considera Antonio Labriola e Gramsci come i maggiori pensatori di un filone diverso e distinto, quello comunista. Sappiamo che il giudizio non è affatto scontato, il dibattito sull’importanza del pensiero merliniano è ancora aperto, al Convegno erano presenti autorevoli storici che avevano e hanno in proposito opinioni diverse, e quindi la discussione si prospettava – e in effetti è stata – stimolante e vivace.
Proprio la pluralità degli approcci, con la partecipazione di studiosi e ricercatori con diverse competenze (storici delle idee e dei movimenti sociali, economisti, sociologi, filosofi del diritto e della politica), facenti riferimento ad aree culturali e politiche le più diversificate – dall’anarchismo classico a quello più problematico e “revisionista” (nel senso merliniano) di alcuni degli organizzatori, dal marxismo al liberalsocialismo, dal socialismo democratico al liberalismo classico con punte anarco-capitaliste –, è stata la migliore garanzia di un dibattito aperto e a tutto campo, oltre che qualificato e di alto livello.
Approfondire la conoscenza di un personaggio a lungo trascurato, illuminare meglio aspetti e momenti della sua biografia e della sua lunga attività di militante e di studioso di scienze sociali, valutare l’importanza del pensiero e della produzione teorica: tutto ciò è senz’altro di notevole interesse sul piano storiografico, ma non esauriva le ragioni e gli scopi di questo Convegno, che erano più vasti e ambiziosi.
Chi scrive è convinto da tempo che Merlino meriti di essere ripreso e studiato soprattutto per la modernità della sua analisi e per la sorprendente attualità delle sue proposte politiche. Tra i teorici del socialismo dell’Ottocento e della prima metà del Novecento – il termine socialismo va qui inteso nella sua accezione più ampia – Merlino è uno dei pochi che abbiano retto all’usura del tempo, e che abbiano ancora delle cose da dirci.

Concretezza e realismo

Noi viviamo in un’epoca in cui tante certezze ideologiche si sono sgretolate e in cui la sinistra da tempo si interroga su se stessa, sui propri valori fondanti e sul suo futuro. In questo contesto – per chi non si rassegna all’esistente e continua a ritenere che il capitalismo non sia il migliore dei mondi possibili – diventa sempre più necessario e urgente, anche se non sufficiente, rivisitare criticamente il passato alla ricerca di punti di riferimento da cui ripartire. Merlino, tra i suoi contemporanei, è uno dei pochi che ancora ci può aiutare a pensare. Senza pretendere ovviamente di trovare in lui la soluzione a tutti i problemi, magari anche a quelli emersi soltanto in questi ultimi anni o decenni.
In Merlino è presente un’esigenza fortissima di concretezza e un realismo che si coniugano però a una tensione, che potremmo definire utopica, verso una trasformazione dell’esistente nella direzione del massimo possibile di libertà e di giustizia sociale. È chiaro che in questo contesto si attribuisce al termine utopia una valenza positiva. Solo la capacità di immaginare una realtà diversa consente di non appiattirsi sull’esistente e di superarlo, a patto naturalmente di proporsi obiettivi compatibili con la natura umana e di individuare mezzi praticabili e congruenti con gli obiettivi che ci si propone.
Merlino è ancora oggi interessante e – per quanto ci riguarda – ci intriga per questa sua tensione tra concretezza e utopia. La concretezza lo porta a indagare i problemi sociali con realismo e capacità critica, senza accontentarsi di molte delle soluzioni – che ai suoi occhi appaiono semplicistiche o errate – prospettate dall’anarchismo tradizionale e dalla socialdemocrazia della sua epoca. L’utopia, che poi non è altro che la volontà mai venuta meno di trasformare sul serio in modo radicale la società, gli impedisce di acquietarsi in una piena accettazione della liberaldemocrazia e del capitalismo.
Di qui il suo “riformismo rivoluzionario”, una autodefinizione merliniana che noi riteniamo vada presa assolutamente sul serio, e che indica una strategia basata su di un vasto e organico movimento di riforme dal basso che deve investire tutti i settori della società nessuno escluso, mutandone gradatamente la natura e la qualità fino a che l’essenza del socialismo – che per Merlino non è altro che l’affermazione di una nuova idea della giustizia – non informi definitivamente i rapporti sociali. La rivoluzione, in questo processo, resta sullo sfondo ma non viene negata, ciò che il Merlino della maturità rifiuta è solo la concezione catastrofica e palingenetica della rivoluzione stessa. Ma forse, più che di rivoluzione (termine che ormai evoca, a torto o a ragione, appunto il “totalmente altro”, accompagnato spesso peraltro da orribili bagni di sangue), sarebbe preferibile parlare di una trasformazione profonda e radicale della realtà sociale, con un ricorso molto limitato ed estremamente circoscritto all’uso della forza in casi estremi.
La modernità e l’estrema attualità del pensiero merliniano emergono anche in campo economico, con il suo schierarsi – in un’epoca come la sua caratterizzata nella sinistra europea dall’egemonia del mito collettivista – a favore di un socialismo di mercato che oggi definiremmo autogestionario. Per Merlino il problema fondamentale in campo economico è impedire la creazione di ogni forma di monopolio. La produzione deve restare nelle mani dei lavoratori, singoli o associati in forma cooperativa, riducendo al minimo o eliminando ogni forma di sfruttamento. Il mercato, dotato di tutti i correttivi che si rendano necessari per evitare storture del sistema, deve continuare come regolatore della produzione e dei consumi. I profitti e le rendite vanno socializzati e utilizzati per il mantenimento dei servizi di pubblica utilità e per la redistribuzione del reddito ai più svantaggiati, nonché per assicurare a tutti uguali condizioni di partenza. È legittimo chiedersi se il tendenziale egualitarismo in un sistema del genere, che contempera i criteri della giustizia retributiva e quelli della giustizia distributiva, possa effettivamente reggersi a lungo, e se non si ricreerebbero prima o poi – per effetto della accumulazione dei capitali e per la passività di molti lavoratori – le premesse per un ritorno del capitalismo e per la creazione di nuove disuguaglianze. È legittimo chiederselo ed è sensato considerare quella del socialismo di mercato una sfida, una strada lungo la quale esistono insidie e il cui esito positivo non è garantito. D’altra parte quello che è ormai certo è che – dopo tutte le esperienze del Novecento e il clamoroso fallimento del “collettivismo burocratico” nei paesi retti da regimi sedicenti comunisti – ogni altra strada per arrivare a un autentico socialismo appare impraticabile. A Merlino va riconosciuto il merito di averlo previsto con largo anticipo.
Ritengo che sia chiaro a questo punto che la nostra interpretazione del pensiero di Merlino – anche del Merlino della maturità, dopo il suo abbandono del movimento anarchico – è in aperto dissenso con ogni interpretazione di tipo moderato che ci abbia dato la storiografia fino a questo momento.
Aprendo i lavori del Convegno dicevamo che ritenevamo soprattutto importante cogliere l’occasione, fornita dalla presenza di tanti qualificati studiosi di diverso orientamento politico e ideale, per approfondire la questione del rapporto tra Merlino e il socialismo liberale. È noto che alcuni tra i più autorevoli studiosi di Merlino, in particolare Aldo Venturini e Nico Berti (ma si potrebbe citare anche Pier Carlo Masini), hanno visto nel pensatore napoletano un precursore e anzi il vero fondatore del socialismo liberale, prima e con maggiore spessore teorico di Aldo Rosselli. In occasioni e tempi diversi anche Nicola Tranfaglia e Norberto Bobbio hanno riconosciuto in Merlino un precursore del socialismo liberale. L’autore di questa introduzione ha avuto occasione in passato di esprimere il proprio parziale dissenso nei confronti di tale interpretazione, soprattutto in riferimento alla biografia merliniana di Berti, di cui costituisce una delle tesi di fondo. È indubbio che in Merlino si trovano anche alcuni spunti e anticipazioni del socialismo liberale, e rilevare questo fatto è legittimo e opportuno. Io credo però che il pensiero di Merlino sia caratterizzato da una tale radicalità che rinchiuderlo nell’ambito di quella corrente risulti difficile e sostanzialmente fuorviante. Mi sembra preferibile continuare a definirlo un “socialista libertario”, che è poi anche il termine che Merlino stesso usava per se stesso. La questione non è evidentemente solo terminologica.

Socialismo libertario

Aggiungo alcune considerazioni personali, che non coinvolgono necessariamente gli altri organizzatori del Convegno. Ritengo da tempo che tra l’anarchismo tradizionale e il socialismo liberale esista uno spazio dello spettro politico in cui si sono mossi e si muovono personaggi e tendenze che almeno in parte presentano caratteristiche proprie autonome e originali rispetto alle due correnti ideali e politiche contigue, con le quali peraltro quei personaggi e quelle tendenze condividono anche tanti valori comuni. Questo spazio, dove finora storicamente non si è coagulato un vero e proprio movimento politico organizzato di un certo rilievo, è appunto il socialismo libertario. Ma non è questa ovviamente la sede per approfondire questa tematica.
Ci si aspettava anche che, nel corso della nostra Giornata di studi, venisse definitivamente riconosciuto – e acquisito nella storiografia italiana come un dato ormai assodato e incontrovertibile – dopo i contributi pionieristici di Masini e di Venturini e la più recente ricostruzione di Berti, l’importantissimo ruolo esercitato da Merlino nella “revisione del marxismo” di fine Ottocento, come precursore in Europa e come interprete di primo piano, con caratteri di originalità, di quel lontano dibattito. Dispiace che purtroppo, per altri impegni sopraggiunti, siano venuti a mancare al Convegno gli interventi molto attesi di due tra i relatori più prestigiosi e qualificati, Luciano Pellicani (il quale ha comunque inviato in seguito una relazione scritta per gli Atti) e Nicola Tranfaglia, che sicuramente avrebbero potuto portare un contributo di notevole interesse su questa come su altre questioni. In ogni caso, ben due relazioni presentate a questo Convegno, quella di Bruno Bongiovanni e quella di Paolo Favilli, riguardavano in qualche modo questo tema. Giudicherà il lettore – come del resto nel caso di tutti gli altri argomenti affrontati dai vari relatori – se lo abbiano trattato in modo convincente.

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Ritengo opportuno, prima di concludere questa presentazione e lasciare la parola ai relatori, provare a spiegare perché a questo Convegno sia stato dato il titolo La morte del Socialismo? Francesco Saverio Merlino e l’anarchia possibile. In questo modo risulterà ancora più chiaro, fin dall’inizio, il particolare punto di vista degli organizzatori della giornata di studi.
Nel 1897 Merlino pubblicava il suo testo teorico più importante attribuendogli il titolo Pro e contro il Socialismo. Nel libro egli si interrogava su cosa il socialismo fosse, in un momento in cui esso si manifestava come una delle grandi correnti della storia contemporanea e sembrava veramente destinato a vincere e affermarsi ovunque. Il problema, diceva Merlino, non è se prevarrà, ma “come”, in quali forme. Oggi, dopo più di cento anni, a conclusione del secolo forse più sanguinoso e tragico dell’intera storia umana, quelle illusioni sembrano lontanissime, il socialismo appare sconfitto forse definitivamente e ci si interroga con fondate ragioni addirittura sulla sua eventuale morte. Di qui quella domanda, La morte del Socialismo?, tanto attuale ma che richiama per assonanza o contrasto anche il titolo del libro di Merlino.
Per quanto ci riguarda, vorremmo anche sommessamente tentare di dare la nostra risposta a quella domanda. Noi riteniamo che il socialismo attraversi sì una grave crisi, ma che non sia necessariamente morto. Morto (ed è un bene che sia così) è il socialismo autoritario di derivazione marxistaleninista, che ha dato vita a un sistema oppressivo e totalitario negatore delle più elementari libertà, e che alla distanza si è rivelato perdente anche dal punto di vista dei risultati economici rispetto al sistema capitalistico. Il fatto che nel corso del Novecento quel tipo di socialismo abbia attratto le correnti maggioritarie del movimento operaio in molti paesi, può trovare spiegazioni razionali ma costituisce a nostro avviso una delle tragedie della storia. La fine ingloriosa di quei sistemi e di quella ideologia ha purtroppo gettato un discredito sullo stesso termine socialismo. Neppure la socialdemocrazia europea – in larga misura erede della socialdemocrazia tedesca criticata acutamente da Merlino alla fine dell’Ottocento – ha dato buona prova, ed oggi si trova quasi ovunque in difficoltà.
Ma il socialismo vero è un’altra cosa. Citando Merlino, potremmo dire che esso consiste nella “aspirazione al benessere generale, all’eguaglianza delle condizioni, alla sistemazione dei rapporti sociali”, e in quanto tale ci appare insopprimibile e riteniamo che troverà modo di manifestarsi ancora, magari in forme diverse dal passato. A maggiore ragione oggi e nel prossimo futuro, di fronte all’arroganza di un capitalismo senza più freni, creatore di nuove diseguaglianze e nuove povertà, distruttore dell’ambiente e fonte costante di instabilità e insicurezza, che a loro volta danno alimento a pericolose derive autoritarie e a pulsioni razziste e xenofobe.

Socialismo o barbarie

Di socialismo c’è ancora bisogno, anche perché l’alternativa è la barbarie (lo aveva già lucidamente intuito Rosa Luxemburg circa un secolo fa). Barbarie che infatti si va sempre più diffondendo nel mondo contemporaneo, anche se molti sembrano non rendersene conto. D’altra parte, è innegabile che il socialismo stesso vada rifondato. Merlino ci può aiutare, con la sua fondamentale distinzione tra essenza e forme del socialismo, e soprattutto con la sua critica al marxismo e al collettivismo. L’identificazione tra radicalismo politico e marxismo condanna i radicali alla sconfitta, o comunque a realizzazioni storiche molto distanti dalle aspirazioni ideali di partenza. Ma non meno importante è la critica di Merlino all’anarchismo. La “revisione necessaria” da lui proposta rappresenta – agli occhi di chi scrive –, una delle poche risposte convincenti alle aporie e alle “impasse” teoriche e pratiche dell’anarchismo tradizionale, senza comportare la rinuncia ai valori di fondo del libertarismo. Il fascino e l’attualità di Merlino derivano dal fatto che egli tra i primi – a nostro giudizio con un certo successo – ha cercato e delineato i caratteri di una “anarchia possibile”. Di qui discende l’utilità e la necessità di misurarsi, ancora oggi, con il suo pensiero.

Gianpiero Landi