rivista anarchica
anno 40 n. 355
estate 2010


Una vita per l’ideale
di Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci

Quarantasei anni vissuti intensamente, tra piazze e aule di tribunali (come imputato o come avvocato), in carcere e in esilio, in 4 continenti (anche nelle Americhe e in Africa), a fare conferenze, dirigere riviste, incontrare sovversivi, scrivere poemi, testi di canzoni e opere teatrali, organizzare sindacati e… Fino alla morte, sull’amata isola d’Elba.

 

Una famiglia di patrioti borghesi

Pietro Gori nasce a Messina alle tre pomeridiane del 14 agosto 1865, come risulta dall’estratto dell’atto di nascita. Il padre Francesco Gori, nato nel 1823, ufficiale di artiglieria dell’esercito regio con alle spalle un’esperienza nelle guerre risorgimentali, non nasconde le sue simpatie mazziniane, sembra che all’alba della Prima Guerra d’Indipendenza fosse stato iscritto alla Giovine Italia. Da ufficiale dell’esercito piemontese prima e italiano poi seppe guadagnarsi due medaglie al valor militare nella battaglia di Castelfidardo (18 settembre 1860) e nel successivo assedio di Ancona contro le truppe papaline. La scelta militare del padre di Pietro è sicuramente determinata dalla tradizione familiare. La sua famiglia originaria dell’Isola d’Elba, ha avuto il nonno Pietro ufficiale della Vecchia Guardia di Napoleone I. Una scelta che lo ha portato a seguire l’imperatore da Marengo ad Austerlitz, dall’esilio all’Elba a Waterloo.

Francesco Gori, ritratto ad olio del pittore
N. Orlandi, Buenos Aires 1901
(Fondo Gori – Rosignano Marittimo)

Giulia Lusoni, la madre di Pietro, è nata nel 1840 ed è discendente di una famiglia benestante di Rosignano Marittimo.
All’anagrafe Pietro è registrato con i nomi di Ernesto, Antonio, Giuseppe, Cesare e Augusto. Tre anni dopo, la famiglia costretta a peregrinare da una città all’altra dello stivale per gli impegni del padre, accoglie la nascita della sorella Berenice, comunemente chiamata Bice, che nasce ad Ancona il 29 gennaio 1868 e che rimarrà sempre legata da un profondo sentimento fraterno al fratello Pietro.

Giulia Lusoni Gori
(Fondo Gori – Rosignano Marittimo)

Non conosciamo molto della fanciullezza di Pietro, sappiamo che il padre intorno alla metà degli anni Settanta dà le proprie dimissioni dall’esercito e ritorna in Toscana, stabilendosi a Rosignano Marittimo. Il giovane Pietro, che probabilmente fin da piccolo è stato seguito nella sua formazione scolastica con attenzione, come si addiceva all’epoca per una famiglia medio borghese, dopo le scuole primarie viene iscritto al Ginnasio Niccolini di Livorno. La scelta di mandare a Livorno Pietro non è casuale. Il Ginnasio Niccolini, fondato nei primi anni post unitari, è una scuola prestigiosa, sia per il corpo docente sia per gli alunni. Tutta la borghesia livornese, compresa la comunità ebraica, inviava i propri figli a questa scuola. Pietro si iscrive al primo anno del ginnasio nel 1880 e tutto il suo curriculum studiorum è contrassegnato da ottimi voti soprattutto nelle materie letterarie e in filosofia (1). Allo stato attuale degli studi si sa poco delle sue passioni e interessi di questo periodo, alcune fonti riferiscono di una sua adesione ad una “Associazione Monarchica” dalla quale viene espulso per imprecisate “indelicatezze”. Lo stesso Gori ricorda di quel periodo: “Da ragazzo […] ho battuto parecchie volte le mani alla marcia reale; che seria professione di fede politica! Mio dio, sì, ho perpetrato qualche rugiadoso telegramma al re” (2).
La Livorno dell’epoca era una città in forte crescita economica, con un porto e dei cantieri navali – quelli della famiglia Orlando – che attiravano un numeroso e vivace proletariato. La città si era distinta durante le rivolte contro i Lorena e nel mazziniano Francesco Domenico Guerrazzi aveva trovato una forte guida. Non mancavano garibaldini che avevano seguito il Generale dei Due mondi in diverse imprese, come i fratelli Sgarallino e, ovviamente, dai tempi della Comune di Parigi esisteva un forte nucleo di internazionalisti. È probabile che in questa fase adolescenziale Pietro abbia avuto i suoi primi approcci con la politica in senso lato. Nel giugno 1885 prende il diploma liceale con ottimi voti e decide di iscriversi all’Università di Pisa nel noto corso di laurea di giurisprudenza. In autunno si trasferisce nella città della Torre pendente dove lo accoglie una comunità vivace culturalmente e politicamente e non solo per la presenza degli studenti universitari, che vantano i propri eroi caduti nella battaglia di Curtatone e Montanara del 29 maggio 1848. Accanto ad un forte nucleo di mazziniani e garibaldini nel corso degli anni si è radicata una robusta componente internazionalista.

Bice Gori
(Fondo Gori – Rosignano Marittimo)

L’ateneo di Pisa all’epoca era un centro di élite, con circa 600 studenti iscritti in media per anno di cui un quarto frequenta la facoltà di giurisprudenza. A guidare lo studio legale c’è un gruppo di docenti autorevoli come Francesco Carrara, che insegna diritto e procedura penale e Francesco Buonamici, che ha la cattedra di storia del diritto romano. Accanto ai due insigni giuristi ci sono altri professori come Carlo Francesco Gabba, Lodovico Mortara, Filippo Serafini, Davide Supino e Giuseppe Toniolo. La formazione culturale, scientifica e giuridica del giovane Gori si abbevera alla scuola classica ma ben presto inizia una svolta verso quella positivista che allora era in ascesa. Lo stesso Gori ricorderà, un decennio dopo, questa esperienza in un articolo dedicato a Francesco Carrara nel decennale dalla sua morte avvenuta a Lucca il 15 gennaio 1888. In questi anni Gori incontra altri studenti che avranno vicende biografiche importanti come il pisano Nello Toscanelli che diventerà un esponente liberale di spicco e deputato in parlamento o Enea Noseda che avrà una brillante carriera di magistrato ma la chiuderà ingloriosamente ricoprendo alti incarichi durante il regime fascista. In particolare un altro studente, Luigi Molinari originario di Mantova, stringerà con Gori un’amicizia duratura e condividerà con lui, oltre la professione di avvocato – si laurea nella stessa sessione del nostro Pietro – la scelta anarchica.

Studenti laureandi in giurisprudenza a Pisa (luglio 1889),
Pietro Gori è il secondo seduto a terra
da sinistra in prima fila
(Fondo Gori – Rosignano Marittimo)

Pensieri ribelli

L’ambiente universitario è sicuramente stato l’incubatore nel quale il giovane Gori si è formato sul piano culturale e scientifico ma sono gli ambienti popolari di Livorno e Pisa che lo tengono a battesimo politicamente come ci ricorda Virgilio Salvatore Mazzoni, un altro noto anarchico originario di Livorno ma pisano d’adozione e suo coetano: “[…] la di lui evoluzione verso le dottrine libertarie incominciò dopo la frequenza alle conferenze di Livorno ed alle veglie goliardiche del caffè dell’Ussero a Pisa ove gli studenti chiassosi si frammischiavano volentieri agli operai studiosi e a non pochi vecchi militi dell’Internazionale: fra i quali Oreste Falleri, Enrico Garinei, Raffaello Parenti, Teodoro Baroni e altri molti” (3). La conferma dei ricordi di Mazzoni viene anche da quelli di Amedeo Boschi, livornese della classe 1871, che scrive: “Venne un giorno all’Ardenza a far propaganda delle nuove idee un giovane studente in legge che prese a parlare con una colorita eloquenza e con argomenti veramente persuasivi. Era Pietro Gori, divenuto poi un valente avvocato e un propagandista anarchico di fama internazionale. Alle sue conferenze accorrevano le folle, attratte dalla sua parola dolce e suadente, entusiasmate dalla sua oratoria, anche se non afferravano pienamente i concetti profondi o se li comprendevano soltanto vagamente. Io fui ben presto conquiso dalla propaganda di Pietro Gori. Gli divenni, oltreché compagno, amico e fu amico intimo della mia famiglia” (4).
L’anarchismo in Toscana alla metà degli anni Ottanta non ha perso in forza e radicamento nonostante la svolta politica di Andrea Costa, che ha intrapreso una strada possibilista per un socialismo “legalitario”. Errico Malatesta, ritornato in Italia all’inizio del 1883, ha scelto come sede delle proprie attività proprio Firenze dove ben presto ha fatto uscire il periodico «La Questione sociale» (1883-1884). Non è testimoniato al momento nessun rapporto fra Malatesta e Gori in questo periodo, sicuramente però il giovane avrà sentito parlare del leader del movimento anarchico italiano e delle sue intransigenti concezioni politiche, che successivamente saranno fatte proprie dallo stesso Gori. Certamente, in quel torno di tempo, legge e usa per la propaganda il Fra contadini scritto e pubblicato da Malatesta a Firenze nel 1884. Ne sono testimonianza gli stessi ricordi di Gori che scrive riferendosi ai compagni elbani: “Voi, antichi compagni rosei della mia puerizia, oggi precocemente invecchiati dal lavoro, sedevate intorno al fuoco. Io vi leggevo un opuscolo di propaganda anarchica – il dialogo fra Beppe e Giorgio, di mirabile semplicità” (5).
Si può ipotizzare che Gori abbia fatto la sua scelta di campo nell’inverno 1885/1886 al momento in cui frequenta il primo anno di corso all’Università di Pisa. Come ci riporta Boschi nella sua testimonianza Gori è già in grado di tenere conferenze nel 1886 e anche nell’ambiente studentesco si fa notare divenendo in breve tempo segretario dell’Associazione Studentesca. A nome di quest’ultima all’inizio del 1888 organizza una commemorazione di Giordano Bruno. Nell’ottobre del 1887 invia una corrispondenza al «Corriere dell’Elba» nella quale si presenta come studente in legge e collaboratore dei giornali «Riforma», «Tribuna» e «Telegrafo». Successivamente, sempre sullo stesso periodico, viene data la notizia che Gori è diventato il presidente della Società Operaia di S. Ilario. La polizia inizia a sorvegliarlo e le autorità capiscono che si trovano di fronte ad un giovane spigliato con una vivace intelligenza (6). La stretta sorveglianza poliziesca accompagnerà Gori per tutta la vita, assumendo a volte proporzioni kafkiane. Gori, grazie alle sue doti oratorie e nonostante la giovane età inizia a tenere conferenze e incontri con altri gruppi regionali tanto che quando il movimento decide di far uscire la terza serie de «La Questione sociale», Malatesta nel frattempo ha dovuto rifugiarsi in Argentina per sfuggire ad una condanna, lo affida proprio al giovane universitario e ai gruppi pisani. Il 1889 è un anno cruciale non solo perché è l’anno nel quale Gori conclude i suoi studi universitari ma perché è in quel periodo che le autorità, di fronte all’ascesa carismatica del militante anarchico, cercano di bloccarne l’attività costringendolo a difendersi nel primo processo della sua storia.
Gori, nei mesi in cui cerca di sostenere l’uscita del nuovo giornale, mette insieme i testi delle sue prime conferenze e nel maggio fa uscire un opuscoletto firmato con l’anagramma Rigo, col titolo di Pensieri ribelli, stampato a Pisa dalla tipografia il “Folchetto”. Il pamphlet riscuote un buon successo grazie anche all’inaspettata pubblicità procuratagli dal sequestro, ordinato dalle autorità il 12 maggio 1889, e dal successivo processo – il primo della lunga serie subita da Gori – cui è sottoposto l’autore per alcune affermazioni contenute nell’opuscolo (7). Il processo si apre il 20 novembre 1889 e la stampa locale e regionale segue l’evento: nel collegio di difesa compaiono molti compagni di studi universitari di Gori, ma il nome di maggior spicco è quello del deputato radicale e futuro esponente socialista Enrico Ferri. La presenza del deputato, che ha già difeso in un celebre processo i contadini della bassa mantovana per le agitazioni agrarie di qualche anno prima, non è casuale. Ferri è arrivato a Pisa invitato dall’Università a tenere la cattedra di sociologia criminale e Gori lo conosce bene avendo ampiamente utilizzato i suoi testi per la preparazione della tesi di laurea.
Le autorità imbastiscono il processo sottolineando il carattere “sovversivo” dell’opuscolo che contiene “concetti ed espressioni offensive le inviolabilità del diritto di proprietà, provocanti l’odio tra le varie classi sociali, attaccanti l’ordinamento delle famiglie e la religione di stato” ma, nonostante il tentativo di addossare a Gori gravi accuse i magistrati inquisitori non riescono a sostanziare i reati contestati e la difesa ha buon gioco e il giovane militante libertario viene assolto. Un folto pubblico ha seguito il processo manifestando a più riprese la propria simpatia per l’imputato. Il pamphlet illustra i principi del comunismo anarchico che Gori ha il merito di esporre con semplicità ed efficacia. Dopo aver sostenuto l’origine ingiusta della proprietà privata – frutto del furto quotidiano del lavoro degli operai, autorizzato dalle leggi a vantaggio di pochi sfruttatori – ed aver denunciato l’oppressione dominante nell’“attuale società” – consentita da istituzioni come l’autorità, la patria, la famiglia, Gori auspica una “società nuova” basata sulla proprietà comune, sul lavoro “liberato” e sul noto principio “da ciascuno secondo le proprie forze, a ciascuno secondo i propri bisogni”. Coniugando l’aspirazione libertaria ad una formazione culturale positivistica Gori, non senza un’ombra di millenarismo, conclude annunciando “l’alba radiosa” in cui “cadranno le mostruose decrepite istituzioni del presente, e l’organismo della grande famiglia umana rifiorirà spontaneamente secondo le leggi immutabili della natura”. Su questi temi continuerà a tenere numerose conferenze, in questi mesi, in molti paesi della costa tirrenica toscana e all’Isola d’Elba.

Copertina della prima edizione di “Prigioni
e Battaglie”, Milano, F. Fantuzzi, 1891
(Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Un nuovo leader

Gori, nel frattempo, a giugno ha sostenuto gli ultimi esami e il 5 luglio 1889 consegue la laurea in giurisprudenza discutendo una tesi di sociologia criminale dal titolo La miseria e i delitti. La lettura della tesi, che verrà pubblicata nel 1907 in sei parti sulla rivista «Il Pensiero» con il titolo Pauperismo e criminalità, dimostra che lo studente Gori ha già una notevole padronanza della materia che gli permette di polemizzare con lo stesso Ferri, citando con disinvoltura sia autori classici, sia contemporanei. Inoltre, durante la preparazione della tesi è entrato in corrispondenza con Filippo Turati che gli invia alcuni libri e opuscoli di diritto. La discussione della laurea avviene con una commissione presieduta dal professore Davide Supino e in sintesi la sua esposizione, nell’alveo della cultura giuridica positivista, consiste nell’affermare che il delitto è la conseguenza di una patologia sociale che ha le sue radici nella miseria e che solo il cambiamento della condizione economica delle classi subalterne, cioè l’instaurazione di una nuova società, potrà far scomparire questa piaga che affligge l’umanità.
Quanto il ventiquattrenne neo laureato sia ormai una personalità conosciuta e affermata nel milieu pisano-livornese lo dimostra la sua partecipazione ai cenacoli frequentati da artisti e letterati (tra i quali Mascagni, Pascoli – da poco assunto come professore al Liceo Niccolini dove Gori si era diplomato –, Marradi, Sabatino Lopez e, talvolta, Carducci). Gori in queste frequentazioni conosce Carlo Della Giacoma, direttore della banda del 38° fanteria, a cui affida proprio nell’anno della laurea un manoscritto, Elba, scene liriche in 3 atti, per comporne la partitura musicale. E sarà proprio la banda militare ad eseguire, l’anno seguente in piazza, il primo atto della nuova opera. In questa opera giovanile Gori dimostra una sensibilità e una passione per la letteratura, la poesia e la commedia che lo caratterizzerà per tutta la vita tanto da essere definito, per il successo di alcune sue canzoni e di alcune opere teatrali, il “poeta dell’anarchica”.
Il suo ruolo di leader politico è confermato dalla manifestazione e dallo sciopero di lavoratori che si tiene a Livorno in occasione del 1° maggio 1890. In quel giorno Gori tiene una conferenza di fronte alla solita folla di lavoratori, al termine della quale viene promosso un corteo che viene ben presto sciolto dalle autorità. La presenza di Gori, come sappiamo, non è occasionale; già nelle settimane precedenti ha tenuto altre conferenze e con i gruppi anarchici locali, alleati per la circostanza con alcuni circoli repubblicani intransigenti e socialisti, ha organizzato lo sciopero del 1° maggio. Sempre gli anarchici hanno fatto uscire in questo ultimo periodo due numeri unici dal titolo esemplificativo «Sempre avanti!...» con alcuni supplementi; in quello del 6 aprile compare la poesia Inno socialista a firma di Rigo, come abbiamo già visto anagramma di Gori (8). L’agitazione che coinvolge i lavoratori delle principali industrie e cantieri della città, che ha caratteristiche rivendicative e politiche, si protrarrà per diversi giorni con manifestazioni di piazza e corredo finale di scontri tra “la folla varia di operai, di marinai, di studenti” e “gli assoldati di polizia”. Gori con altri 15 operai è arrestato a metà maggio e condotto in tribunale, accusato di “ribellione ed eccitamento all’odio fra le diverse classi sociali” nonché indicato come l’organizzatore dello sciopero preparato per “la prima pasqua del lavoro”. Il dibattimento, che la stampa battezza “processo Gori”, è condizionato dai pregiudizi della corte e dalle testimonianze dei poliziotti. Nonostante le scarse prove, i giudici emettono una condanna esemplare nei confronti di Gori, un anno di reclusione, e di altri 5 imputati condannati a varie pene. La condanna di Gori, che nei mesi seguenti sarà annullata dalla Cassazione per inesistenza di reato, fece trascorrere al militante libertario diversi mesi in carcere. Gori poco prima del processo cerca invano di convincere Filippo Turati a difenderlo ma senza successo (9). La lettera che invia all’avvocato socialista milanese con la richiesta di patrocinio della sua difesa è importante perché dimostra, anche in questo caso, come Gori cerchi di fare del suo caso e quello dei suoi compagni di sventura un avvenimento nazionale. Rinchiuso nel carcere di Livorno e poi in quello di S. Giorgio a Lucca, viene liberato il 10 novembre 1890. Durante la carcerazione scrive una raccolta di poesie che darà alla stampa l’anno successivo per la Biblioteca popolare socialista di Flaminio Fantuzzi. Nei due volumetti con il titolo di Prigioni e battaglie, che riscuotono un certo successo di pubblico, già si delinea l’immagine del “buono e forte cavalier” dell’Ideale nel contrasto tra il “bel sogno luminoso” e “la orrenda spira/d’un fato inesorabile e crudel”. Libero dalle “catene” Gori raggiunge Milano e poi il Canton Ticino per partecipare, il 4, 5 e 6 gennaio 1891, all’Osteria dell’Ancora di Capolago, insieme con altri noti esponenti dell’anarchismo italiano, Malatesta, Galleani, Merlino e Cipriani, al congresso di costituzione del Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario.

Pietro Gori, Ettore Croce, Giovanni Borghetti e
Eduardo Milano, esuli nel 1895
(Archivio IISG – Amsterdam)

A Milano a combattere i “legalitari”

Dopo Capolago, Gori decide di stabilirsi a Milano, dove, prima di aprirne uno proprio, lavora nello studio di Filippo Turati. Il suo obiettivo è – secondo la questura – quello di “organizzare a Milano il Partito Anarchico sfasciato dai processi del 1889 e 1890”. Obiettivo che Gori raggiunge, sempre a parere della polizia, infiltrandosi “in varie associazioni, nella classe operaia, nelle conferenze, nelle dimostrazioni e manifestazioni pubbliche, prendendo un po’ in ogni dove la parola”, diventando “l’anima del Partito anarchico milanese”. Grazie al suo frenetico attivismo e alle sue doti di propagandista il movimento libertario riprende rapidamente consistenza. L’ascendente di Gori sia su militanti maturi, come Fantuzzi e Panizza, passati attraverso l’esperienza del Partito Operaio Italiano, sia su giovani operai è comunemente visto come la causa del rilancio dell’anarchismo milanese. Nell’agosto 1891, in qualità di rappresentante della Federazione cappellai del lago Maggiore, partecipa, sempre a Milano, al Congresso Operaio Italiano che vede la nascita del Partito dei Lavoratori Italiani ed attorno a lui si coagula la minoranza anarchica che tenta, con scarso successo, di contrastare la linea di Turati. Non perde occasione, inoltre, di tornare in Toscana a mantenere i rapporti con i gruppi e i compagni e a svolgere la sua attività prevalente di propagandista.

Durante l’anno la polizia non cessa di sottoporlo ad un’assidua vigilanza e in più di un’occasione lo trascina in carcere. In una di queste circostanze, come Gori stesso ricordò anni dopo (10), scrive un’opera teatrale in tre atti dal titolo Gente onesta, lavoro che lo stesso Gori definì “non opera di fini artistici, ma di ribellione alle accidie del carcere, ed al lievito venefico che esso sprigiona negli animi, capace di ben più atroci misfatti”. L’opera doveva poi essere rappresentata la prima volta in un teatro di Milano nel 1894 ma la censura mutilò il testo obbligando l’autore a recedere dal proposito di rappresentarlo in pubblico, limitandosi ad una messa in scena in privato presso i locali dell’Arte Moderna di Milano (11).
Nel dicembre dello stesso anno dà vita al periodico «L’Amico del popolo», un piccolo foglio che i continui sequestri portano alla chiusura dopo appena 6 numeri. “L’Amico del popolo cade, non vinto, ravvolto nelle pieghe della propria bandiera” (12). Al periodico seguirà una serie di numeri unici – dei 27 menzionati da Sandro Foresi (13) ne abbiamo rintracciati solo 5 – uno dei quali successivo alla partenza di Gori per Lugano. Sempre nel ’91 Gori collabora anche al «Sempre avanti!» di Livorno, a «Il Grido dell’operaio» di La Spezia e a «La Plebe» di Firenze. Parallelamente alla sua attività di agitatore coltiva la passione per lo studio traducendo, nel 1891, per la Biblioteca popolare socialista di Flaminio Fantuzzi Il Manifesto del partito comunista di K. Marx e F. Engels. Una traduzione criticata da Turati, che iniziava sempre più a vedere in Gori un fiero antagonista delle proprie posizioni politiche (14). Le ripetute denunce e la sua reale o presunta influenza in tutte le manifestazioni potenzialmente “sovversive” fanno sì che in una nota riservata del Ministero degli Interni a tutti i Prefetti del Regno (22 novembre 1891) venga sottoposto a “speciale sorveglianza” per il suo carattere “audace” e per il suo “ingegno svegliato”. Il 4 aprile 1892, nella sede del Consolato operaio di Milano, Gori tiene una conferenza dal titolo Socialismo legalitario e socialismo anarchico, nella quale chiarisce le posizioni critiche dell’anarchismo nei confronti del socialismo cosiddetto “autoritario”, nel tentativo, ormai senza speranza, di contenere i progressi dei “legalitari” in vista del congresso nazionale delle organizzazioni operaie e socialiste. Durante il congresso, svoltosi a Genova il 14 agosto 1892, difende, insieme con Luigi Galleani e agli operaisti, le posizioni intransigenti della “corrente anti-parlamentare” contro la linea di quelli che definisce “socialisti democratici”, che, abbandonata la Sala Sivori e riunitisi separatamente, “sotto i pergolati della Società Carabinieri Italiana”, danno vita al Partito dei Lavoratori Italiani poi Partito Socialista Italiano. Negli anni tra il 1892 e il 1894 l’attività di Gori si esplica su diversi fronti: poeta, avvocato, propagandista. Pubblica il poemetto Alla conquista dell’Avvenire (1892) e il 3° volume di Prigioni e battaglie. Patrocina in più occasioni diversi compagni milanesi, tra cui Sante Caserio, e partecipa, in qualità di difensore, a processi come quello di Viterbo a Paolo Schicchi (maggio 1893). Continua nel frattempo la sua incessante attività di conferenziere, sia nel capoluogo lombardo (affrontando anche temi come la disoccupazione e la condizione femminile) sia in altre località italiane. Il 1° maggio 1893 è nel “gran quadro verde della campagna di Pisa, col saluto lontano delle Alpi Apuane!...” (15). Il 5 giugno seguente tiene ad Ancona una conferenza dal titolo Obbiezioni all’anarchia dichiarando che il vero socialismo non può che corrispondere al comunismo anarchico. Nell’agosto partecipa al congresso dell’Internazionale socialista a Zurigo e ne viene espulso insieme con Amilcare Cipriani. Il 1° novembre svolge a Mantova nell’Anfiteatro Virgiliano una conferenza dal titolo Uguaglianza e libertà dichiarando che l’anarchia è vita, moto, procedere infaticabile, incessante e se socialismo vuol dire uguaglianza anarchia vuol dire libertà. Agli inizi del 1894 fonda la rivista «Lotta sociale», subito sequestrata, nel cui primo numero inizia la pubblicazione della Sociologia criminale. Il 1° maggio 1894, reduce da un’altra breve carcerazione, è alla Spezia dove a causa del divieto delle autorità, Gori e gli operai spezzini “presero imbarco sopra i battelli preparati, all’improvviso, e andarono a far la commemorazione in alto mare – ultimo rifugio della libertà nella patria di Dante e di Garibaldi” (16).

Comizio di Pietro Gori a Porto Azzurro (LI) 20 settembre 1905
(Fondo Gori – Rosignano Marittimo)

La bufera reazionaria

Alla fine del 1893 in tutta la Sicilia si accendono moti di rivolta contro il rincaro delle farine. Crispi, tornato al governo, reprime con estrema energia le agitazioni dei contadini siciliani. Ai primi del gennaio del 1894 in Sicilia viene decretato lo stato d’assedio con pieni poteri dati al generale Morra di Lavriano, i Fasci dei lavoratori vengono sciolti e sono istituiti i tribunali militari che mettono sotto processo centinaia di lavoratori.
A metà gennaio giungono al governo e alla corona altre notizie di rivolte che fanno temere il peggio. A Carrara è stato proclamato per il 13 gennaio 1894 uno sciopero generale in solidarietà con i lavoratori di Sicilia e di protesta contro lo stato d’assedio ivi proclamato. Ben presto però le manifestazioni degenerano in aperta rivolta con barricate, blocchi stradali, taglio dei fili del telegrafo e assalto a diverse armerie e uffici del dazio. Si formano bande armate che al grido “Viva la Sicilia, viva la rivoluzione!” ingaggiano scontri violenti con le forze dell’ordine. Iniziano a contarsi i morti e i feriti tra i rivoltosi e la polizia, e Crispi decide di proclamare lo stato d’assedio a Carrara e di nominare commissario straordinario il generale degli alpini Nicola Heusch. L’arrivo della truppa riporta l’ordine nelle contrade della città ma con un costo umano altissimo: difatti oltre ai morti e ai feriti si contano circa 600 arresti tra i cavatori, molti dei quali dichiaratamente anarchici. Il tribunale di guerra si mette all’opera comminando pene severissime e le carceri e il domicilio coatto si riempiono di carrarini. Il governo però ha bisogno di un capro espiatorio per dimostrare la tesi del complotto pianificato e lo trova nell’avvocato Luigi Molinari di Mantova, amico di Gori, che sul finire del 1893 ha tenuto delle conferenze di propaganda nella zona di Carrara.
Il 31 gennaio del 1894 Molinari viene condannato, senza prove, a 23 anni di galera e a tre di segregazione cellulare. In tutto il paese si alza un grido di protesta contro l’enormità della condanna. In seguito, la sentenza sarà riformata e la pena ridotta a sei anni e mezzo. Una campagna di protesta della stampa democratica sottrarrà poi Molinari dalla segregazione e una successiva amnistia nel settembre 1895 lo restituirà alla libertà.
Il governo Crispi è soddisfatto dell’azione repressiva; altre notizie giungono a tranquillizzare il capo di gabinetto. Il 30 gennaio a Napoli viene arrestato – su delazione di una spia, l’“anarchico” Giovanni Domanico – Francesco Saverio Merlino, da oltre dieci anni imprendibile leader degli anarchici che, a suo tempo, era stato condannato a quattro anni di carcere, insieme con Malatesta e altri compagni, e poi a ulteriori sette anni.
Dopo i numerosi processi di Carrara e l’arresto di Merlino gli anarchici rimangono sempre nel mirino delle autorità. Il 6 aprile inizia a Chieti presso la Corte d’Assise il processo contro l’editore anarchico Camillo Di Sciullo, direttore del periodico «Il Pensiero». Pietro Gori difende l’imputato che alla fine risulterà assolto. A Genova si svolge un processo contro un gruppo di 35 anarchici liguri e piemontesi fra i quali Luigi Galleani, Eugenio Pellaco, il pittore Plinio Nomellini e altri. Difensori sono l’infaticabile Pietro Gori e Giovanni Rosadi. Luigi Galleani viene condannato a tre anni di carcere, Pellaco a 16 mesi e gli altri a pene minori.
Gori è instancabile nella difesa dei compagni, non perdendo occasione di “processare” a sua volta la società borghese e “liberticida” e offrendo un modello di arringa politica che verrà usato a scopi di propaganda con la pubblicazione delle sue più note “difese”.
Alla repressione indiscriminata alcuni anarchici rispondono con una resistenza disperata, fatta di attentati e gesti terroristici. Ora si apre una nuova stagione di conflitti e tensioni, a volte artatamente preordinata e confezionata dalle forze dell’ordine che hanno tutto l’interesse a dimostrare che gli anarchici sono solo dei “sanguinari nemici della nazione, della famiglia e dell’ordine” ed è dunque necessario prendere provvedimenti eccezionali per combatterli. La reazione del movimento dimostra sicuramente una notevole forza di resistenza, che però ne provoca l’isolamento dalle masse e dalle altre forze politiche. È lo stesso Malatesta ad accorgersi di questa grave crisi e segnalarla all’attenzione dei compagni con un articolo, Andiamo fra il popolo pubblicato originariamente su «Il Grido degli oppressi» di New York il 17 marzo 1894 e poi ripreso dal giornale di Ancona «L’Art. 248».
Al contrario di ciò che Malatesta pensa e desidera, una piccola parte del movimento si fa trascinare nella logica del colpo su colpo e questi mesi sono caratterizzati da una serie impressionante di attentati che culminano il 16 giugno in quello di Paolo Lega, un anarchico originario di Lugo in provincia di Ravenna, contro lo stesso primo ministro Francesco Crispi. L’attentatore, condannato a oltre vent’anni di carcere, morirà dopo appena un anno e mezzo nella colonia penale agricola di San Bartolomeo in provincia di Cagliari. Nel frattempo accade un altro grave episodio che alimenta la caccia agli anarchici. A Lione, il 24 giugno, il presidente della Repubblica francese, Sadi Carnot viene ucciso dal giovane anarchico italiano Sante Jeronimo Caserio, fornaio originario di Motta Visconte in provincia di Milano. L’anarchico, arrestato, viene successivamente processato e condannato a morte a mezzo di decapitazione. A questi episodi se ne aggiungono altri di minore risonanza, come quello dell’uccisione, da parte dell’anarchico Oreste Lucchesi, del direttore del quotidiano «Il Telegrafo» Giuseppe Bandi, autore di numerosi articoli contro gli anarchici, avvenuto a Livorno il 1° luglio. Processato l’anno seguente con i suoi sei complici, Lucchesi sarà condannato a 30 anni di galera.
La stampa moderata e reazionaria si scaglia, ancora una volta, contro gli anarchici con una campagna violenta che spesso rasenta il linciaggio. Ne fa le spese, ad esempio, Pietro Gori. Dopo l’attentato di Caserio, Gori viene indicato dalla stampa, in particolare dai periodici «La Lombardia» e «La Sera», quale mandante dell’“efferato delitto”. Gori si difende come può ma alla fine è costretto a riparare in Svizzera, sottraendosi ad una sicura condanna (gli saranno, infatti, comminati 5 anni di domicilio coatto) e ad alcune minacce anonime di morte. L’8 luglio 1894, anticipando di pochi giorni l’approvazione da parte del Parlamento delle leggi eccezionali volute da Crispi, Gori parte per Lugano con la sorella Bice.

Numero dedicato a Gori de
«Il Pensiero», 16 gennaio 1911 (Archivio
fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

L’esule

A Lugano Gori, espulso preventivamente dalla Francia per timore che intendesse assumere la difesa di Caserio, diventa ben presto il polo d’attrazione degli esuli anarchici. Secondo la polizia ticinese: “entrano a casa Gori in media da 20 a 30 persone al giorno. […] Ogni giorno arrivano nuovi compagni”. Anche sotto l’aspetto pubblico la presenza di Gori diventa sempre più inquietante: mette in scena al Teatro Rossini il suo atto unico Ideale, assume la difesa di alcuni anarchici italiani, rilascia interviste ed invia corrispondenze alla stampa. Agli attacchi dei giornali francesi e della stampa conservatrice ticinese nei confronti di colui a cui si addebita il “traviamento” di Caserio si aggiungono le pressioni delle autorità italiane, il misterioso attentato subito da Gori nel settembre, il continuo andirivieni di anarchici tra l’Italia e il Canton Ticino. Tanto basta per indurre le autorità federali a decretare l’espulsione di un primo gruppo di 18 indesiderabili, cui seguirà un secondo. Gori, con altri 17 italiani, tra cui Milano, Baracchi, Redaelli, i due Bonometti, Borghesani e l’immancabile spia Domanico, viene prima arrestato alla fine di gennaio (mentre è in carcere compone Il canto degli anarchici espulsi, meglio nota come Addio a Lugano) (17) e, dopo breve detenzione, accompagnato alla frontiera con la Germania. Dalla Germania, passando per Bruxelles, dove conosce Augustin Frédéric Adolphe Hamon e Elisée Reclus. Dell’incontro Gori ci ha lasciato una testimonianza vivace nel necrologio che scrisse per la scomparsa del geografo francese su «Il Pensiero» nel numero del 16 luglio 1905: “Era nell’inverno rigidamente glaciale del 1894-1895, quando l’uragano della reazione crispina, – che aveva trovato modo di sollevare contro di noi in onde burrascose perfino le tranquille acque repubblicane dei laghi elvetici, – ci aveva cacciati verso il nord e fatti cadere (eravamo in quindici, espulsi dalla Svizzera) nella capitale belga.
Nella Maison du Peuple, dove eravamo andati in cerca di altri compagni, che dovevano averci preceduto, ci incontrammo con Eliseo Réclus, che era venuto a chercher les camarades chassés de la libre Suisse (com’ei diceva).
Fummo con lui, che era particolarmente affettuoso con i giovani, – caratteristica comune a quasi tutti i più grandi maestri della scienza, – e andammo insieme a casa sua (una casetta linda, che ricorda curiosamente quella di Guglielmo Froment, in Parigi di Zola) e vi trovammo tutto il confort morale, di cui più abbisognavamo in quell’ora triste, in cui ci si cacciava da tutte le parti, mentre non sapevamo neppure dove avremmo potuto essere l’indomani”.
Dopo la modesta refezione, però piena di allegria, ch’egli ci offrì, il buon vecchio, – sostenendo con Hamon, che era della comitiva, una discussione accalorata e riboccante di humour, – ci si rivelò in tutto l’ardore della sua vecchia fede, ringiovanita ad ogni nuova prova. […]
Mentre il vecchio maestro parlava, con fede d’un cuor nobile che non invecchia mai, e con la mente penetrante che vede più lontano della oscurità dell’ora presente, io osservavo con legittimo orgoglio di un fratello minore, quella magnifica testa leonina, dalla grande aureola immacolata della venerabile canizie, e vedevo nella pallida fronte dei giovani operai, miei compagni d’esilio, la nobile soddisfazione di appartenere, spiritualmente, alla famiglia di questi precursori gloriosi della scienza e dell’idea”.

Nei mari del Nord

Successivamente Gori si trasferisce ad Amsterdam, dove si lega in amicizia con Domela Nieuwenhuis, per poi approdare ai più sicuri lidi inglesi. A Londra, come narrerà nell’articolo Tra fucinatori di bombe, apparso ne «L’Avvenire sociale» del 5 giugno 1902, entra in relazione con i principali esponenti dell’anarchismo internazionale, da Kropotkin a Louise Michel, da Charles Malato a Sebastien Faure. Kropotkin e Michel, insieme a Stepniak, li incontra nella casa del grande pensatore russo, nella cittadina di Bromley, poco distante da Londra. All’appuntamento con Kropotkin Gori è accompagnato da Elisée Reclus e da un gruppo di compagni italiani. Gori ci ha lasciato una ricca testimonianza dell’incontro poliglotta, infatti, intorno al tavolo della cena si raccolse un cenacolo di rivoluzionari dove si sentiva parlare russo, francese, inglese e meneghino (18). A Londra Gori, tra i tanti rivoluzionari, naturalmente incontra il solito Errico Malatesta, e collabora a «The Torch» (19), pubblicando – nel marzo 1895 – un lungo pezzo su Sante Caserio, nel quale spiega come “il grande amore che Caserio sentiva per l’umanità oppressa, si convertì in odio contro i tiranni della terra”. Il 18 marzo celebra l’anniversario della Comune a Milton Hall, impressionando per il suo talento oratorio Georges Clemenceau, e il 1° maggio parla, a fianco di Kropotkin, Malatesta, Louise Michel, alla “imponente massa di popolo” radunata in Hyde Park. Dopo un imbarco come marinaio su di un piroscafo nei mari del Nord, nel luglio si dirige alla volta degli Stati Uniti, dove inizia un lungo viaggio di propaganda, durato circa un anno, viaggiando dall’Atlantico al Pacifico, tenendo centinaia di conferenze e cantando anche le proprie canzoni, accompagnandosi con la chitarra. A Paterson contribuisce alla nascita del periodico «La Questione sociale». L’11 novembre 1895 commemora a Chicago i “cinque martiri”, alla fine di gennaio 1896 è a S. Francisco, dove il 15 marzo nella “Bersaglieri Hall” tiene la notissima conferenza Il vostro ordine e il nostro disordine. Nel marzo (a Barre, nel Vermont) pubblica il bozzetto sociale in un atto Primo Maggio e lo rappresenta per la prima volta a Paterson, improvvisandosi anche attore. Da quel momento il bozzetto si diffonde in Italia e nei gruppi anarchici sparsi lungo le rotte dell’emigrazione, diventando uno dei testi più rappresentati del teatro sociale, mentre l’Inno cantato sull’aria del coro del Nabucco accompagna per trent’anni le manifestazioni operaie, a gara con l’Inno dei lavoratori di Turati. Poco prima di ripartire per Londra a Paterson nel New Jersey, città di industrie tessili dove vive una forte comunità di lavoratori immigrati italiani, tiene una conferenza dal titolo Scienza e religione, nella quale afferma che la “guerra alla religione, al clericalismo, interessa dunque immensamente la classe operaia, la quale ha tutto da guadagnare col progredire della scienza e del pensiero libero, a danno della secolare antagonista della luce e della verità”.
Alla fine di luglio è nuovamente a Londra, per partecipare al III Congresso dell’Internazionale operaia e socialista (27 luglio-1° agosto) su mandato di alcuni sindacati italiani del Nord America. Dopo l’esclusione degli anarchici rappresentanti gruppi politici, Gori rimane con i pochi delegati di associazioni sindacali, Francesco Cini, Malatesta e Fernand Pelloutier, il quale rappresenta la Federazione delle Camere del Lavoro italiane, e con loro firma un documento di protesta “contro il tentativo di monopolizzazione del movimento operaio internazionale da parte dei socialdemocratici”. Subito dopo il Congresso Internazionale è colpito da una grave malattia e viene ricoverato al National Hospital di Londra, dove è assistito da Louise Michel, di cui ricorderà più tardi “gli occhi grigi pieni d’infinita dolcezza anche tra i lampi dello sdegno umano”. L’interessamento dei compagni e dei parlamentari Bovio e Imbriani, che fanno pressione sulle autorità, permettono a Gori di ritornare in Italia con l’obbligo però di risiedere all’isola d’Elba.

Ritorno in patria

Nel dicembre del 1896, trasferitosi a Rosignano Marittimo presso la famiglia, riprende i contatti con il movimento anarchico, che, dopo la caduta di Crispi e il ritorno di Malatesta in Italia, sta riorganizzandosi su base nazionale. Tornato a Milano, alla fine di aprile 1897, in libertà condizionale per adempiere a quella che ritiene la missione degli anarchici, “sentinelle perdute di questo esercito infinito di tutte le speranze e di tutte le angosce” (20), da un lato invita ad una campagna unitaria con i partiti popolari per la difesa del “diritto costituzionale” (21), dall’altro ribadisce il ruolo dei socialisti libertari “nel folto della contesa fra capitale e lavoro, anche sulla base delle organizzazioni per arti e mestieri” (22). A Pisa nel dicembre partecipa alle manifestazioni anticlericali in onore a Giordano Bruno, parlando al comizio finale al velodromo Stampace accanto ad Andrea Costa. Nel 1898 in occasione dell’inaugurazione del monumento commemorativo delle Cinque giornate a Milano tiene un acclamato discorso che è poi assunto come uno dei capi di accusa durante il processo in contumacia intentatogli davanti alla Corte marziale dopo i moti del “caropane” di Milano del maggio 1898. Il 5 febbraio 1898 difende gli operai e i contadini di Campiglia Marittima che hanno partecipato alle agitazioni popolari d’inizio d’anno e sempre nel medesimo anno di fronte alla Corte d’Assise di Casale Monferrato patrocina con successo un gruppo di operai socialisti e anarchici di Carrara. Principale protagonista della campagna per la libertà d’associazione e contro l’articolo 248, che vede l’adesione anche di molte sezioni delle Trades Unions britanniche, dell’Indipendent Labour Party, della Socialist Democratic Federation e del London Trades Council, siede ad Ancona tra i difensori della redazione de «L’Agitazione» (Malatesta, Smorti, Felicioli e compagni), che segue il processo con un supplemento quotidiano dal 21 al 30 aprile. E proprio in questa occasione conosce Luigi Fabbri, al quale si deve il resoconto processuale.

Pietro Gori [1900 circa]
(Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini, Pisa)

Nella terra del tango

A causa delle agitazioni per il caro pane e delle successive azioni repressive del governo Gori è costretto ancora una volta ad emigrare. A Marsiglia si imbarca per l’America del Sud, mentre le autorità italiane lo condannano a 12 anni di galera. L’America meridionale, ed in particolare l’Argentina, era sempre stata una meta agognata da Gori. Fin dal suo iniziale apprendistato politico aveva mantenuto rapporti epistolari con anarchici emigrati che già allora lo avevano invitato a raggiungerli (23). Inviti, che tra il 1896 e il 1897 si erano fatti insistenti tant’è che lo stesso Gori in una lettera rispondendo ad un nuovo sollecito dei compagni così si esprimeva: “Se la malvagia imbecillità dei governanti italiani non volesse trattenermi relegato in questo paese (…) a quest’ora avrei già risposto, accettando gli urgenti e cordiali inviti per un pellegrinaggio per l’ideale attraverso le città e i paesi dell’Argentina” (24).
Il movimento anarchico argentino nell’ultimo decennio del secolo XIX ha consolidato la propria presenza non solo nei settori popolari dei grandi centri urbani ma anche tra i ceti intellettuali provenienti dalla media borghesia. Tale diffusione è rafforzata dal diffondersi di pratiche sindacali derivate dall’esperienza francese e dal radicamento della rete dei periodici, dei circoli e delle case del popolo d’impronta libertaria che costituiscono una “contro società in divenire” contrapposta ai modelli borghesi. Nella capitale argentina la comunità italiana è tra le più numerose e al suo interno i libertari hanno un peso e una tradizione importante che si concentra intorno ad alcuni periodici e case editrici fra cui quella di Fortunato Serantoni.
Gori giunto a Buenos Aires, dopo aver fatto tappa a Madera, Santos e Rio de Janeiro, si inserisce subito in un ambiente in cui era tutt’altro che sconosciuto, visto che già due anni prima «L’Avvenire» si era augurato il suo arrivo per “far uscire moltissimi operai dall’indifferenza” in cui erano sprofondati. L’attività argentina di Gori è multiforme: da un lato tiene una lunga serie di conferenze davanti ad ogni tipo di pubblico; dall’altro lavora come avvocato (tanto da aprire un “consultorio jurídico” con Arturo Riva, un avvocato anarchico), giurista, criminologo, studioso e, occasionalmente, come docente universitario. La prima conferenza argentina la tiene nel Circolo della Stampa il 26 giugno 1898 su “La funzione storica del giornalismo nella società moderna”. Poco dopo svolge una seconda conferenza al teatro Doria dove parla di fronte a 2.000 persone entusiaste. Si può dire che “la voce di Gori si udì in tutti gli ambienti sociali e in tutti gli angoli dell’Argentina, sia in locali operai che in grandi teatri, in italiano o in spagnolo” (25).
Gori inizia subito a collaborare con i giornali anarchici argentini ed in particolare con la rivista «Ciencia Social», una rivista culturale e scientifica che annovera tra i suo collaboratori le più prestigiose firme internazionali del movimento libertario.
Una particolare attenzione Gori dedica all’organizzazione operaia nonché a quella degli anarchici, fondate sulla “morale della solidarietà” in opposizione al “dogma individualista”, e scontrandosi perciò con le frange più radicali dell’individualismo locale che lo attaccano con estrema violenza verbale e non solo. Pochi giorni dopo il suo arrivo a Buenos Aires, in una conferenza organizzata dagli edili, alcuni individualisti, scontenti dei propositi di Gori, alla fine salirono in gruppo sul palco e tentarono di aggredirlo. Questi, indignato, li affrontò e li invitò a partecipare a un pubblico dibattito “di controversia”. L’appuntamento ebbe luogo il 21 agosto nel teatro Iris di Barracas con il titolo “La morale solidaria nella lotta e nella vita sociale, in opposizione al dogma individualista”.
Ma l’attivismo di Gori è straripante. Ne «L’Avvenire» pubblica articoli teorici, analisi sulla situazione della classe operaia europea, incitamenti all’organizzazione, polemiche con gli individualisti e i socialisti, poesie, canzoni, opere teatrali (Primo maggio, Proximus tuus, Ideale, Senza Patria, Gente onesta). Dopo il regicidio e il famoso attacco di Giovanni Bovio agli anarchici, con l’articolo Anarchico, discuti. Giù il coltello!, dà alle stampe a Buenos Aires La nostra utopia, che può essere considerata la sintesi del suo pensiero politico. L’ideale anarchico inteso come “l’ascensione accelerata e trionfale della vita dell’individuo, nelle multiformi sue attitudini; la armonia con l’innalzamento di tutte le vite che formano il tessuto organico della società” è inserito in un processo evolutivo che si fonda da un lato sull’ineluttabile sviluppo della tecnica, dall’altro sulla lotta quotidiana di “falangi sempre più coscienti di lavoratori, sul terreno pratico delle conquiste economiche strappate al capitale dalla resistenza e dalla solidarietà operaia”. La conquista della libertà, non in “virtù della scheda”, ma in “quella della stampa, del comizio, [della] forza suprema della logica, della persuasione”, passerà attraverso l’evento rivoluzionario, “mezzo inevitabile di trasformazione proporzionata ai nostri ideali, e corrispondente al processo accelerato della evoluzione moderna, in cui i fatti sociali son troppo distanti dai bisogni e dalle aspirazioni generali per non far prevedere le scosse brusche, che il nuovo ordine di cose dovrà produrre nel sovrapporsi a quello che già si sta screpolando”. Una rivoluzione, in definitiva, “necessaria” nel quadro dell’inarrestabile corso della storia: “La evoluzione delle idee, trascinate dai fatti e rischiarate da una coscienza nuova della vita, muove rapidamente per mille alvei alla fiumana vigorosa che di tutte le correnti raccoglie gl’impulsi e le energie”. Nel novembre 1898 pubblica, dirige e coordina la rivista «Criminologia moderna», sulle cui pagine espone la sua teoria “ambientale” del delitto accanto a contributi di Cesare Lombroso, Guglielmo Ferrero, Adolfo Zerboglio, Scipio Sighele, Augustin Hamon, Pio Viazzi, Napoleone Colajanni (26). Nel 1899 inizia lungi giri di conferenze per il paese, recandosi anche in Uruguay, Brasile e in seguito, nel 1901, in Patagonia, Cile (ritornando in Argentina per la via della cordigliera), Paraguay. Il 25 novembre 1900 tiene al Teatro Iris di Buenos Aires una conferenza dal titolo La donna e la famiglia, dove presenta un approccio originale alla questione dell’emancipazione femminile: “le donne, – negli usi e nelle leggi, – sono asservite alla tirannia del sesso maschile” e “l’emancipazione della donna sarà sempre vacua affermazione verbale se ad essa non porrà mano la donna medesima” (27).
Nel 1901 parte per esplorare le sorgenti del Paraná, accompagnato per una parte del viaggio da Cesare Pascarella. La sua attività di propaganda attrae all’anarchismo numerosi lavoratori e intellettuali e contribuisce “a hacer del anarquismo una ideologia atractiva y moderna” (28). Uno dei giovani che rimasero impressionati da Gori fu Alberto Ghiraldo che, con il nome di Ruggero Aicardi, lo descrive in uno dei suoi romanzi: “Un uomo straordinario, propagandista di alte idee sociali, di un rivoluzionarismo allarmante, ma che era ascoltato con rispetto da tutti gli ambienti per l’ammirevole forma con cui le esprimeva. (…) Figura superba, modi distinti, dialettica brillante e un’inflessibilità a tutta prova. Era un oratore, oratore per eccellenza; sentiva la voluttà della parola e viveva nella tribuna (…). Attore consumato, dominava ogni segreto dell’oratoria e i suoi discorsi erano affascinanti opere d’arte che egli levigava giornalmente con la passione dell’orafo” (29).
Particolarmente rilevante il contributo di Gori alla nascita della Federación Obrera Regional Argentina, costituita nel maggio 1901. Solo grazie alle sue doti di mediatore e alla sua concezione unitaria del movimento operaio si riesce ad evitare lo scontro frontale tra anarchici e socialisti, segno questo dell’importanza attribuita da Gori all’unità del movimento operaio organizzato. Sua infatti la mozione, approvata a maggioranza, che si riserva di accettare , in particolari casi, il “juicio arbitral”, come suoi sono i documenti in favore di una “enérgica agitacion” per la protezione del lavoro femminile e minorile e sullo sciopero generale che, pur “base suprema de la lucha economica entre capital y trabajo”, rimane una delle possibili e non immediate opzioni. Accusato di eccessiva moderazione, Gori illustrerà, poco dopo, ai suoi compagni non solo la necessità di conciliare le opposte tendenze, ma definirà la lotta sindacale una “lucha de transacciones continuas” e soprattutto, di fronte alle inquietudini suscitate dalla questione dell’arbitrato, distinguerà nettamente il piano dei principi anarchici da quello dell’attività rivendicativa quotidiana. Nel settembre seguente infatti, in occasione dello sciopero dei ferrovieri del Ferrocarril Sud, Gori e Montesano riescono ad ottenere un accordo con il direttore inglese e il mediatore del governo che è, di fatto, una vittoria operaia. In Sud America Gori matura una concezione che può definirsi protosindacalista. Se fin dai primi anni Novanta Gori aveva sempre considerata importante la presenza e l’azione libertaria all’interno delle società operaie, l’esempio di Pelloutier, conosciuto a Londra, e della sua Féderation des Bourses du Travail, lo induce ad individuare negli organismi orizzontali la cellula di una nuova organizzazione sociale.
Il 12 gennaio del 1902, due giorni prima di partire, tiene l’ultima conferenza nel teatro Victoria rimasta a lungo impressa nella memoria degli intervenuti, e ritorna in Italia, agevolato da un’amnistia, per motivi sia familiari, sia di salute

Il “cavaliere dell’ideale”

Il suo arrivo a Genova suscita notevole entusiasmo tra gli anarchici: “Noi non siamo corrivi alle idolatrie, ma pure non possiamo esimerci dal manifestare il nostro giubilo per la venuta, o meglio il ritorno, del compagno nostro Pietro Gori, tra noi”, scrive «L’Avvenire sociale» il 12 febbraio 1902. Il rientro in patria significa per Gori la ripresa dell’attività di conferenziere, pubblicista e avvocato. Invitato da circoli anarchici, Camere del Lavoro, leghe di resistenza tra il 1902 e il 1904 Gori gira l’intero paese (Roma, Firenze, Milano, Spezia, Ancona, Pisa, Carrara, Torino, Imola, Napoli, la Sicilia, ma anche molte località minori) suscitando ovunque entusiasmo per la sua “parola alata”. Il 1° maggio è a Roma dove nella mattinata tiene un comizio e nel pomeriggio una conferenza alla festa campestre libertaria dal titolo Aspettando il sole. Pochi giorni dopo il 6 maggio, sempre nella Capitale, svolge un’altra conferenza nella sala della Lega di Resistenza dei Pittori dal titolo Gli anarchici sono socialisti? Il 2 giugno in occasione del ventesimo anniversario della scomparsa di Giuseppe Garibaldi partecipa a Caprera, in rappresentanza di una ventina di Camere del lavoro italiane, alle commemorazioni ufficiali con un discorso nel quale definisce l’eroe dei due mondi un “poeta dell’azione” che amava la spada “solo quando essa lampeggiava per una idea di giustizia”.
All’inizio di ottobre a Corato in provincia di Bari rievoca la figura dello scrittore francese Émile Zola, scomparso il 29 settembre.
L’anno successivo su invito di Luigi Fabbri assume la condirezione della rivista quindicinale «Il Pensiero», alla quale collaborerà soprattutto con studi di sociologia criminale. In realtà, se è vero che Gori avrà sempre un ruolo secondario nella redazione del periodico, la sua funzione non è puramente esornativa, ma testimonia la profonda affinità tra lui e Fabbri nella concezione di un anarchismo organizzato, profondamente radicato nelle realtà operaie, lontano dalle esasperazioni individualistiche e frutto non più della necessità storica ma del progressivo evolvere della coscienza dei produttori verso il “lavoro redento”. Ancora nel 1903 continua il suo peregrinare nei borghi italiani portando la parola degli anarchici. Il 26 aprile è a Terni a sostenere un contraddittorio con Nicola Barbato, che si svolge al Teatro comunale, su Autoritari e libertari nel socialismo.
A settembre è a Viareggio per partecipare alle onoranze al poeta inglese Percy Bysshe Shelley. L’occasione è di quelle che piacciono al nostro Gori. Un cenacolo di artisti e liberi pensatori si riunisce solennemente con larga partecipazione di popolo in un rituale laico a ricordare il cantore del Prometeo liberato. All’iniziativa partecipano molti intellettuali e artisti come il pittore Plinio Nomellini, il poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi e il giovane scultore Corrado Spadaccini (30).
Il 18 ottobre parla a Genova, al Politeama Alfieri gremito all’inverosimile di lavoratori, sul tema Guerra alla guerra! Il 27 novembre, mentre Pietro Gori è impegnato in un tour di conferenze in Romagna, muore a Rosignano Marittimo Giulia Lusoni, la madre, dopo una lunga malattia (31). A gennaio del 1904 torna nella sua città natia, Messina, su invito della locale Camera del lavoro per una conferenza di protesta contro l’ennesimo eccidio proletario compiuto dalle forze dell’ordine a Giarratana. L’incontro si svolge al Teatro di Villa Mazzini il 18 gennaio con grande concorso di pubblico, il tema In difesa della vita è una condanna dei metodi “antiproletari” del governo Giolitti, che si ripeteranno durante l’anno provocando a settembre il primo sciopero generale. Nel 1904 effettua un viaggio in Egitto e in Palestina di cui relazionerà in una brillante conferenza, Dalla terra dei Faraoni al paese di Gesù, tenuta all’Associazione della Stampa in Roma e che diventerà uno dei temi dei suoi tour propagandistici. Tuttavia le sue precarie condizioni di salute lo costringono a più riprese a soste più o meno lunghe all’Elba. La redazione de «Il Pensiero» nel numero del 16 settembre dà notizia della malattia di Gori affermando che egli è “gravemente malato da più di due mesi e mezzo” e solo recentemente si è ripreso trasferendosi per la sua convalescenza a S. Ilario (32).

Passaggio dei funerali di Gori a Piombino (LI), 9 gennaio 1911
(Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)


Il mal sottile

Nel novembre 1905 partecipa al convegno sindacalista organizzato da Ottavio Dinale a Bologna intervenendo sulla vexata quaestio dei rapporti tra sindacato e partiti politici, sostenendo, come aveva già fatto in Argentina, l’estraneità dell’organizzazione sindacale alle lotte politiche e la necessità dell’unità operaia. In quei mesi interviene anche a sostegno dell’amico Fabbri nella polemica ingaggiata con il tipografo Baraldi sulla proprietà della rivista «Il Pensiero» (33).
Nella prima metà del 1906 attua un capillare giro di conferenze “scientifiche e libertarie” in Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia dove nel Salone Massimo della Camera del lavoro, il 1° aprile tiene una brillante conferenza a beneficio delle vittime del disastro minerario di Courrieres dal titolo Le vittorie e le sconfitte del lavoro e della vita. Il tour di conferenze deve però essere interrotto improvvisamente per il riacutizzarsi della malattia.
Alla fine dell’anno Gori è colpito da un grave lutto familiare: a Pisa il 28 dicembre, dopo una “breve e violenta malattia”, muore il padre Francesco (34).
Impossibilitato, a causa di un intervento chirurgico, a partecipare al Congresso anarchico italiano di Roma nel giugno 1907, è attivo nell’agosto successivo nelle agitazioni che si verificano all’Isola d’Elba per la morte di tre operai ed il ferimento di molti altri per lo scoppio di un altiforno e agli inizi del 1908 presenta alla Corte di Lucca opposizione al proscioglimento dei “potenti padroni degli alti forni” con l’arringa In difesa delle vittime del lavoro. Nello stesso anno è tra gli animatori dei grandi scioperi dei minatori di Capoliveri.
Gori rimarrà profondamente turbato dalla notizia del disastroso terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 e dedicherà “alla città che mi fu madre ed alla sua rinascita” un componimento poetico dal titolo In morte di Messina (35).
Nel 1909 tenta di intraprendere un nuovo giro di conferenze, ma la malattia lo costringe all’inattività. In una lettera a Nella Giacomelli scrive: “Ma io son dannato, ormai, ad essere un naufrago della vita vera, della lotta ritempratrice, in questa mia sconsolata zuffa con le insidie del male...” (36).
L’ultima sua battaglia, nonostante sia sfibrato dalla malattia, Gori la conduce per salvare Ferrer dalla condanna capitale. Dal suo rifugio di S. Ilario all’Isola d’Elba – dove è costretto a causa delle precarie condizioni fisiche – manifesta a più riprese la sua preoccupazione per il destino di Ferrer inviando lettere e, compatibilmente con i suoi problemi di salute, partecipando a manifestazioni e conferenze, sempre più preoccupato per l’evoluzione sfavorevole del processo e per la campagna reazionaria e repressiva in atto in Spagna. “Difendendo la vita, e la integrità personale di Francisco Ferrer e dei suoi compagni, contro la risorta inquisizione che ne strazia i corpi, per dannarli alla morte, non è il libertario od i rivoluzionari che si difendono; ma è la esistenza stessa dei più alti principii di libertà e di giustizia che sono ormai il patrimonio insopprimibile della convivenza umana” (37). Con queste parole Pietro Gori, il 2 ottobre 1909, conclude una lettera destinata ai promotori del Comizio “pro Ferrer” di Roma mentre pochi giorni dopo ne manda un’altra a Paolo Schicchi (38) in occasione dell’iniziativa organizzata a Pisa per il 10 ottobre dall’Associazione Razionalista, in cui ribadisce l’importanza di questa comune battaglia (39). In un’intervista rilasciata a «Il Giornale d’Italia» del 12 ottobre, Gori parla di Ferrer: “Egli è un idealista, ed un apostolo nel senso più moderno della parola […]. Egli ha profuso molto del suo, nella propaganda dei principi razionalisti. È un libero pensatore, ma non un vacuo mangiapreti. Libertario nella concezione di un migliore domani sociale – è soprattutto un credente nella forza trionfale della ragione e della scienza. Si potrebbe chiamare un tolstoiano del razionalismo, se egli non avesse al suo attivo il senso della modernità. Ma ha certo col grande filosofo russo comune una grande fede nella virtù educatrice delle idee” (40). Il 13 ottobre 1909 Ferrer è giustiziato. In tutto il mondo si alza un grido di protesta e l’Europa è attraversata da un’onda di agitazioni che si trasforma in un moto anticlericale violento spontaneo che per tre giorni sconvolge buona parte della penisola italiana.
Un mese dopo la morte dell’educatore catalano a Portoferraio, nell’Isola d’Elba, in un teatro gremito all’inverosimile Pietro Gori commemora Ferrer, in quella che sarà la sua ultima apparizione pubblica (41). I cronisti dell’epoca ci hanno lasciato diverse testimonianze di questo evento che coinvolge emotivamente le masse operaie, soprattutto minatori, legate profondamente all’avvocato dei “diseredati”, al “cavaliere dell’ideale”, che ha la sensibilità per cogliere gli umori e le aspirazioni di quel popolo che attende l’ora del riscatto. E in questo scenario la figura di Ferrer, si lega ad un altro mito vivente, quello di Gori (42): “Alla fine [della conferenza di Gori] egli si ebbe una calorosa ovazione e forti strette di mano. Le bande intonarono l’inno dei lavoratori. All’uscita del teatro venne formato un lungo corteo che fra lo sventolio dei bene auguranti rossi labari e al suono degli inni popolari percorse le principali vie della città. Nelle ore pomeridiane le associazioni dei vari Comuni elbani prima di lasciare Portoferraio vollero recarsi con musiche e bandiere sotto l’abitazione dell’avv. Pietro Gori il quale acclamato dall’enorme onda di popolo, parlò nuovamente ringraziando ed inneggiando alla bellezza della terra elbana e al lavoro fonte di benessere e di civiltà umana” (43).
Gori nei mesi successivi è subissato di richieste, che provengono da comitati e gruppi anarchici di varie località, perché scriva epigrafi da immortalare nelle lapidi commemorative di Ferrer. È la sua ultima fatica di militante libertario.
Il 13 marzo 1910 al teatro “La Pergola” di Firenze viene rappresentata, con un buon successo di pubblico l’opera teatrale di Gori, Calendimaggio, musicata dal maestro Giuseppe Pietri (44).

L’8 gennaio 1911 alle ore 6,30 Gori muore a Portoferraio, ove si è rifugiato per cercare di trovare sollievo per la sua malattia, fra le braccia della sorella Bice e quelle dell’operaio anarchico di Piombino Pietro Castiglioli. La salma viene trasferita da Portoferraio a Piombino via mare e poi con il treno a Rosignano, dove viene tumulata. I funerali si protraggono per ben per tre giorni, durante i quali migliaia di lavoratori da tutta la Toscana si fermano per porgere al poeta dell’anarchia l’ultimo commosso e profondamente sentito estremo saluto.
Attilio Deffenu, giovane d’origine sarda studente di giurisprudenza a Pisa, allora idealmente vicino al sindacalismo rivoluzionario poi interventista, presente al funerale di Gori scrive queste addolorate parole ad un amico: “Ho ancora l’anima oppressa d’angoscia, sanguinante. La morte di Pietro Gori, del poeta dell’anarchia, che anarchico fu nel senso più bello, più aristocratico della parola, significa la perdita di uno dei più coraggiosi, dei più grandi per mente e cuore fra quanti militi la causa della rivoluzione, della redenzione degli oppressi e degli sfruttati ha mai avuto. I funerali, che furono celebrati nel cuore della notte, riuscirono imponenti” (45).
Al cordoglio popolare si unisce il coro dei giornali, anarchici ma non solo, che lo descrivono come il “cavaliere errante”, “l’apostolo”, “il luminoso arcangelo” dell’anarchia. L’8 gennaio diventa una data da celebrare e, anno dopo anno, fino al fascismo il ricordo di Gori viene perpetuato da cerimonie commemorative, poesie, conferenze, articoli rievocativi e molti paesi e città, soprattutto della Toscana, ma anche dell’Umbria e del Lazio, affiggono epigrafi a lui dedicate, al “poeta gentile insaziabile sempre/di Giustizia e Verità”.

Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci

Note

  1. Per tutte le notizie riguardanti il percorso degli studi sia liceali che universitari rimando ai rispettivi documenti conservati presso gli archivi del Liceo classico Niccolini di Livorno e quelli dell’Università di Pisa.
  2. Cfr. P. Gori, Come perpetrai i miei primi delitti, «Il Pensiero», 16 marzo 1907, p. 90.
  3. Cfr. V.S. Mazzoni, Pensieri e ricordi ed opere di P. Gori, Pisa, Tip. Cursi, 1922, pp. 12-13.
  4. Cfr. A. Boschi, Ricordi del domicilio coatto, Torino, Seme anarchico, 1954, p. 9.
  5. Cfr. P. Gori, Pagine di vagabondaggio, La Spezia, Cromo-Tipo La Sociale, 1912, p. 7.
  6. Per tutti i documenti d’archivio citati prodotti dalle autorità si fa riferimento a quelli conservati in aspi, Ispez. ps, b. 935 categ. 21/10, Gori Pietro anarchico.
  7. Successivamente, sempre nella stessa città, l’opuscolo verrà ristampato altre due volte nel 1910 e nel 1920.
  8. Rigo, Inno socialista, «Sempre avanti!...», 6 aprile 1890, p. 3.
  9. Cfr. Lettera di P. Gori a F. Turati del 27 [giugno 1890] in Filippo Turati e i corrispondenti italiani, vol. 1 (1876-1892), a cura di M. Punto, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2002, pp. 436-438.
  10. Cit. dalla Prefazione alla prima ed. italiana dell’opera stampata da F. Serantoni nel 1905, pp. 3-4.
  11. Citato dalla recensione pubblicata in «Il Pensiero» 1° maggio 1905, p. 143.
  12. ([P. Gori], Al popolo, «L’Amico del popolo», 23 gennaio 1892.
  13. Cit. da S. Foresi, La vita e l’opera di Pietro Gori nei ricordi di Sandro Foresi, cit. p. 9.
  14. Cfr. Lettera di F. Turati a M. Rapisardi del 1 marzo 1891 in Filippo Turati e i corrispondenti italiani, vol. 1 (1876-1892), cit., pp. 509-510.
  15. Cit. P. Gori, Pagine di vagabondaggio, «Il Pensiero», 1 dicembre 1907, p. 40.
  16. Ibidem.
  17. Saggi di letteratura di delinquenti e d’anarchici in Conto-reso del Dipartimento di Giustizia. Anno 1895, Bellinzona, Tipografia e litografia cantonale, 1896, pp. 86-89.
  18. Cit. in Pagine di vagabondaggio, «Il Pensiero», 1° maggio 1906, pp. 139-140.
  19. «Torch. A revolutionary journal of anarchist-communism». Il giornale viene pubblicato tra il 1894 e il 1895.
  20. P. Gori, All’opera, «L’Agitazione», 4 giugno 1897.
  21. P. Gori, Per la libertà, ivi, 16 luglio 1897.
  22. P. Gori, Postilla alla polemica, ivi, 4 novembre 1897.
  23. Sul numero unico «Venti settembre» di Buenos Aires del 20 settembre 1889 si legge nella piccola posta una risposta dei compagni che rivolgendosi a Gori, in riferimento alla sua ipotesi di trasferimento in Argentina, gli chiedono “Quando sei deciso far questa passeggiata?”.
  24. Cfr. Lettera di Gori ai compagni del 26 marzo 1897 in Hojeando papeles viejos. Dos cartas de Pietro Gori, suppl. quincenal de la Protesta, 30 abril 1930, pp. 131-133.
  25. Cfr. G. Zaragoza, Anarquismo argentino (1876-1902), Madrid, ed. de la Torre, [1995], p. 236.
  26. La rivista verrà pubblicata dal novembre 1898 all’agosto del 1900. In totale usciranno venti numeri. N. Colajanni vi pubblica nel n. 19 del giugno 1900 un interessante articolo su La Mafia. Sus causas y su historia.
  27. P. Gori, La donna e la famiglia. Conferenza, Roma, Il Pensiero, 1906.
  28. Cfr. G. Zaragoza, Anarquismo argentino (1876-1902), cit., p. 244.
  29. A. Ghiraldo, Humano ardor, Madrid, Compañía Ibero-Americana de publicaciones, 1930, p. 143.
  30. Cfr. G. Del Guasta, Le onoranze a Shelley, «L’Arno», 19 settembre 1903.
  31. Cfr. La Redazione, Il nostro lutto, «Il Pensiero», 10 dicembre 1903, p. 145.
  32. Cfr. «Il Pensiero», 16 settembre 1904, p. 254.
  33. Si v. la lettera di P. Gori pubblicata nell’inserto speciale “Agli amici e lettori del Pensiero”, 1-16 dicembre 1905.
  34. Cfr. Il nostro lutto, «Il Pensiero», 16 gennaio 1907, pp. 17-18.
  35. Cfr. P. Gori, In morte di Messina: ritmi e rime, Castrocaro, Tipografia Moderna, 1909.
  36. Lettera di Pietro Gori a Nella Giacomelli in «La Protesta umana», 23 febbraio 1909.
  37. Lettera di P. Gori ai promotori del Comizio pro Ferrer e Compagni di Roma, S. Ilario 2 ott. 1909 in P. Gori, Per la vita e in morte di Francisco Ferrer, Roma, Libreria editrice libertaria, 1910, pp. 8-9.
  38. Paolo Schicchi (1865-1950) militante anarchico siciliano. In gioventù ha conosciuto i rigori delle carceri spagnole e ha diretto nel 1891 «El Porvenir anarquista» pubblicato a Barcellona. Schicchi residente a Pisa in questi anni è particolarmente impegnato nella campagna “pro Ferrer”. Tiene comizi e partecipa a manifestazioni in diverse località della Toscana.
  39. Lettera di P. Gori…, cit., pp. 11-14.
  40. Ibidem, p. 17.
  41. All’iniziativa partecipano le associazioni di Portoferraio: Sez. del Libero Pensiero G. Bruno, Loggia Massonica Luce dell’Elba, Pubblica Assistenza Laica Croce Verde, Società di Mutuo Soccorso, Società fra gli Alti Forni, sez. Repubblicana, quella socialista e i gruppi anarchici; Rio Elba: Lega di resistenza fra minatori ed affini e la sez. socialista; Portolongone: Lega di resistenza fra minatori; Rio Marina: sez. giovanile PSI, Lega di resistenza fra marinai; Capoliveri: Corpo musicale G. Bruno; Piombino: sez. repubblicana, Pubblica Assistenza Laica; Livorno: Loggia Massonica Scienza e Lavoro.
  42. Le storie di Ferrer e di Gori si intrecciano fin dai primi anni dopo la morte di entrambi. In molte località accanto alla targa commemorativa dell’educatore catalano c’è quella dell’avvocato dei diseredati e viceversa. Casi emblematici sono ad esempio quelli di Rosignano Martittimo dove le due lapidi, poste sul medesimo edificio, si trovano una accanto all’altra e Colle Val d’Elsa (SI) dove tra gennaio e febbraio del 1921, quasi contemporaneamente, vengono inaugurati due marmi.
  43. Cfr. P. Gori, Per la vita e in morte di Francisco Ferrer, op. cit., p. 36.
  44. Si veda la recensione sull’opera Calendimaggio di Pasquale Binazzi su «Il Pensiero», 1-16 aprile 1910, pp. 111-113.
  45. Lettera di A. Deffenu a Francesco Cucca del 10 gennaio 1911 in A. Deffenu, Epistolario 1907-1918, a cura di M. Ciusa Romagna, Cagliari, Editrice sarda Fossataro, 1972, p. 49.