rivista anarchica
anno 39 n. 348
novembre 2009


lettere

 

Botta.../Votare. perché no?

Tempo fa (anni fa) su questa stessa rubrica qualcuno vi accusò di “real-cinismo da ultima spiaggia” . Bene, all’epoca ho condiviso l’accusa, ma in senso opposto a quello che traspariva dallo scritto dell’accusatore, per me infatti il vostro “real-cinismo da ultima spiaggia” era una qualità positiva. Una qualità che permetteva (e permette ancora oggi) a un gruppo di diversi di sopravvivere facendo un bel giornale, stimolando e contribuendo a mantenere il dibattito e offrendo ua sponda a chi (soprattutto ragazzi) cerca qualcosa di diverso da leggere e un posto per comunicare. Oggi però, alle soglie dei 50 anni, guardandomi attorno, sono spesso preda del desiderio di passare dal real-cinismo alla disperazione. Tra alti e bassi mi dichiaro anarchico da circa 36 anni, ho letto di tutto, ho conosciuto un sacco di gente, ho fatto attività con le persone e le organizzazioni più diverse, però adesso mi sento come se mi trovassi in una galleria di cui non si vede l’uscita (e forse non c’è).
Continuo a leggere Umanità Nova ed “A” e talvolta mi chiedo cosa pensino realmente coloro che ci dedicano il proprio tempo. Avere maturato una sensibilità libertaria, credere di avere capito come sarebbe giusto vivere, avere fatto almeno culturalmente la scelta anarchica e poi, guardandosi attorno, rendersi conto che con questa umanità, in questa epoca storica ed in questa porzione di mondo la nostra proposta non potrà essere realizzata è frustrante. Per quanto mi riguarda la presa d’atto dell’impossibilità di realizzare il mio ideale non è stata il primo passo per cambiare convinzioni, tutt’altro, sono sempre più ribelle ed insofferente e sempre più convinto che il consorzio umano stia vivendo nel modo sbagliato, però in me c’è stato un cambiamento, dalla progettualità sono passato alla resistenza . Sì, resistenza, perché solo questo possiamo fare, insieme, da soli o con altri diversi da noi. E una resistenza come si deve deve essere a tutto campo, per questo non mi è piaciuto il modo in cui Andrea Papi ha risposto al giovane Ignazio Leone di Treviso.
Andrea (che conobbi tanti anni fa all’Arco della Pace) ha fatto il volpone ed ha avuto gioco facile a difendere un astensionismo aprioristico perché l’interlocutore aveva parlato dell’opportunità di votare “partiti perlomeno proletari” senza rendersi conto che così facendo è entrato nel tunnel della delega in quanto ha operato una scelta su basi tematiche (insomma, se votiamo perché sentiamo che il programma di un partito ci è affine (affine poi?) praticamente è come se ci rassegnassimo, rinunciassimo alle nostre ipotesi sociali e decidessimo che piuttosto che niente è meglio delegare a chi ci dispiace di meno).
Se invece l’invito al voto (che anch’io a volte ho fatto) fa parte della strategia resistenziale e ha l’unico scopo di costruire attorno a noi l’ambiente meno ostile possibile in cui continuare ad operare allora le cose cambiano. Altrimenti perché tanti anarchici avrebbero combattuto la resistenza antifascista ben sapendo che dopo comunque non ci sarebbe stata l’anarchia ma una democrazia liberale di stampo occidentale? Lo hanno fatto perché non tutti i poteri sono uguali e non tutti i sistemi sono autoritari allo stesso modo. Dato “0” al fascismo e “10” all’anarchia noi stiamo vivendo attorno al “5” ed è evidente a chiunque che ciò è preferibile al “4”, al “3”, eccetera e che questo “5” è da tutelare mentre cerchiamo di andare verso il “10”. E’ di nuovo “real-cinismo da ultima spiaggia”? Può darsi. Comunque questo voglio dire: astenerci o no dal voto, partecipare alle lotte con chi è diverso da noi, insomma fare le nostre scelte quotidiane, dovrebbe avvenire in modo laico e non preconcetto. Detto questo io continuo a non riconoscere il potere di lor signori, continuo a ritenerlo illegittimo e a difendermi da esso con ogni mezzo a mia disposizione. Solitamente non voto perché mi viene il vomito, ma a volte ho scelto di partecipare a consultazioni elettorali per contrastare poteri costituiti che mi facevano più schifo ancora. Resistenza, appunto.
Ciao a tutti.

Corrado Olivotto
(Aosta)

 

... e risposta/Votare, perché no

Carissimo Corrado,
mi devi scusare se non mi ricordo di te (ho dei problemi di memoria coi nomi) anche se, come scrivi, ci siamo conosciuti tanti anni fa all’Arco della Pace.
Ti ringrazio comunque sia di questo ricordo sia di ciò che scrivi, perché denotano che la comunicazione non si esaurisce. Sappi che ti capisco e ti sono vicino al di là di ciò che puoi pensare. Capisco quel senso di disperazione che denunci di sentire alla soglia dei tuoi cinquant’anni. Capisco il tuo bisogno di sentirti “resistente”, anche se non ho capito bene a che cosa. Immagino, e non ci vuole molto, che sia al mondo attuale per come ci appare e ci si presenta, appunto disperante. Ma la resistenza, che, me lo concederai, inequivocabilmente richiama a quella contro il regime fascista, fu una scelta ben precisa contro un nemico ben identificabile, che trovò nelle sue fila dagli anarchici ai liberali, fin qualche monarchico. Qui, oggi, di identificabile in tal senso c’è ben poco, se non addirittura nulla, se non un angosciante sentore d’insoddisfazione diffusa, non tanto per un regime o una qualche struttura, ma per un sistema e un modo di pensare (o non pensare che dir si voglia) che non ci permette di trovare realizzazione se non tentando, quasi sempre a vuoto, di contrastarlo. Personalmente penso che una resistenza vera sia ben altra cosa, a meno che non si voglia intendere di resistere psicologicamente per necessità di sopravvivenza.
Ciò che non capisco è perché il mio sarebbe un astensionismo preconcetto. Forse lo potrebbe essere se il mio fosse un pre/giudizio ideologico. Ma non lo è. Ignazio Leone contestava un mio precedente articolo con argomenti che non condivido. In quell’articolo avevo scritto a chiare lettere che ritengo sbagliato giudicare o no se uno o una è anarchico/a sulla base del fatto che vada o no a votare. La partecipazione al voto è una scelta di adattamento personale alle condizioni imposte del presente ed ognuno giudica da se stesso il proprio operato e il suo senso. Già questo mi sembra escluda ogni pre/giudizio o atteggiamento preconcetto. Ma il fatto di non giudicare non significa che in proposito non abbia un parere, un punto di vista, e che non abbia il diritto di dichiararlo polemizzando con chi la pensa diversamente, senza per questo essere oppresso dalla convinzione che il mio possa o debba essere il punto di vista più giusto. Ogni convinzione, soprattutto in un percorso di libertà, è sempre suscettibile di ravvedimento. Almeno da parte mia la polemica non è intesa come tenzone in cui si vince o si perde, ma sereno confronto di idee.
Ma entriamo brevemente in merito ai contenuti. Ciò che ribadisco, e non perché sia convinto che il mio sia l’unico vero comportamento anarchico da seguire (ognuno decide secondo coscienza), è che le ragioni addotte, seppur in modi diversi sia da Leone sia da te (ma suppongo anche da tanti altri compagni), sono talmente deboli e fragili, da un punto di vista del rigore politico, che non riescono a trovare una sufficiente base di sostegno accettabile. Poi uno può anche dire che non gli interessa questa debolezza e che fa lo stesso così perché lo soddisfa o perché non trova altre maniere. Perfettamente legittimo! Ma se permetti è cosa ben diversa da una scelta politica solida e coerente con dei presupposti solidi, che fra l’altro viene proposta. Ed io non sto contestando la scelta, ma le ragioni addotte, più come occasione di dibattito rivolto a tutti che di attacco a chi le adduce, per i quali continuo ad avere rispetto e considerazione.
Leone sosteneva di votare, anche se non mi sembrava molto convinto, perché comunque trovava giusto sostenere forze politiche “proletarie” e perché la democrazia è meglio della dittatura. A lui ho già risposto sul perché non sono d’accordo e non sto a ripetermi. Tu invece sostieni, se ho ben capito, che ogni tanto, non sempre, vai a votare per contrastare poteri costituiti che mi facevano più schifo ancora, o con l’unico scopo di costruire attorno a noi l’ambiente meno ostile possibile in cui continuare ad operare. Ti chiedo subito: «Ci sei riuscito?» «Hai raggiunto lo scopo per cui senza grande convinzione sei andato a votare?» A giudicare da ciò che affermi all’inizio della tua lettera non sembra proprio. …adesso mi sento come se mi trovassi in una galleria di cui non si vede l’uscita (e forse non c’è).
Ti rispondi da solo ed è questa la migliore risposta polemica verso le tesi, non opportuniste, ma di opportunità politica, di votare pur continuando a sentirsi anarchici. Allora mi sento di dirvi, rivolto a tutti quei compagni e quelle compagne che vivono lo stesso travaglio, se ve la sentite continuate pure ad andare votare. È un problema vostro. Però almeno fatelo con la consapevolezza che non risponde mai alle giustificazioni che adducete per farlo. Io aggiungo che non può che essere così, perché la tecnologia istituzionale del voto e la struttura e la cultura politica che lo sorreggono e lo coltivano non possono che rendere impossibile ciò che in cuor vostro pensate sia possibile. Per un superamento dello stato di cose presente ci vuole ben altro e lo si trova, se ci si riesce, nel sociale al di fuori delle istituzioni conservative che ci opprimono.

Andrea Papi

 

Un bel libro di Nicolas Walter

Ciao,
sono un abbonato. Mi è piaciuta molto nell’ultimo numero l’intervista a Diego Camacho, perché non sapevo – sono ignorante – che prima del golpe franchista si fossero formati dei comitati di base che riuscirono ad applicare l’autogestione, e quindi se vogliamo almeno un po’ di anarchismo. E non sapevo, manco a dirlo, delle comunità autonome sorte in Castiglia nel ‘500.
Per non rischiare di comprare una boiata, vorrei sapere se potete consigliarmi un libro che approfondisca l’argomento, la storia delle comunità autonome spagnole del ’36-’39. In Internet non ho trovato nulla, se non “Il ministro anarchico” di Abbate, ma io vorrei qualcosa che parlasse in generale della rivoluzione e di cosa facessero gli anarchici, possibilmente con la descrizione dei protagonisti, non vorrei un libro che si incentrasse solo su un personaggio.
Cambiando argomento, ho condiviso “Una riflessione sul movimento”, la lettera di Dario Scella. Vi chiedo se ormai sia troppo tardi per un mio parere, immagino che abbiate chiuso il numero di ottobre.
Infine, è stato bello vedere “A” alla Freedom Bookshop (ho trascorso l’estate a Londra). Lì ho trovato un bel libro, “About anarchism” di Nicolas Walter; non so se ne avete già parlato, casomai se interessa potrei fare una recensione, qualcosa come “Un libro per i principianti dell’anarchismo”. È un testo molto chiaro – se si conosce l’inglese...non so se c’è anche in italiano – che oltre a spiegare, per chi non ne sa nulla o vuole rispolverare la memoria, i principi dell’anarchismo, tiene aperta la questione, e questo secondo me è il maggior pregio: da una parte, l’anarchismo non è un blocco teorico e pratico omogeneo, dall’altra l’autore non nasconde che i principi anarchici sono ben lontani dall’essere attuati, e quindi dobbiamo considerare l’anarchismo come una sorta di evoluzione dell’umanità. Oddio, il libro non l’ho ancora finito, forse questa è una mia interpretazione (ed è la mia convinzione). E poi, dimenticavo, il libro è stato pubblicato per la prima volta giusto 40 anni fa, ma è attualissimo, cioè fa capire come i principi anarchici non invecchino ma anzi sembrino sempre più “profetici”.

Scusate il pappone,
a presto.

Daniele Ferro
(Voghera – Pv)

 

 

 

I nostri fondi neri

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