rivista anarchica
anno 39 n. 343
aprile 2009


dossier sul pacchetto sicurezza e dintorni

Un soldato per ogni bella donna
di Ma.Ma.

Il ginocidio è una realtà quotidiana: non manca giorno che non sia diffusa la notizia di uomini che ammazzano le donne a loro vicine.

 

Stiamo scivolando dentro un baratro e, man mano che si va avanti, la velocità aumenta. Chi punta i piedi rallenta un po’ ma niente più.
Ultimo atto il decreto “antistupro” emanato dopo una campagna mediatica tutta giocata su alcuni gravi episodi, selezionati con cura nelle pagine di “nera”, per mettere in evidenza la pericolosità dell’immigrato povero, clandestino, ignorante e, quindi, un po’ bestia. Attenzione. Non nego che molti immigrati vengano da culture dove l’immaginario patriarcale investe sul piano simbolico e materiale le relazioni tra uomini e donne, segnandole profondamente. Camminare per strada e incontrare donne con il capo, il collo, le braccia coperte, infagottate in abiti informi, circondate da tre o quattro bambini urlanti mi da fastidio. Sono la negazione fisica di anni di lotte per conquistare, metro dopo metro, gli spazi dove i nostri corpi femminili potessero camminare liberamente senza essere nascosti agli sguardi predatori dei maschi che leggevano in una coscia scoperta l’invito alla violenza. Sono simbolo della sottomissione, a volte imposta, a volte accettata come inevitabile retaggio culturale. Conosco per averlo sperimentato lo sguardo sprezzante e superiore di chi sa di avere il diritto “naturale” al dominio: vi riconosco il nemico e so come combatterlo, mentre la sottomissione femminile, specie quella che non si riconosce come tale ma si fa orgogliosa rivendicazione di identità di gruppo, mi mette in imbarazzo, mi fa incazzare.
Di lì il passo verso il razzismo è breve, brevissimo, una china pericolosa. Fortuna che la memoria viene in soccorso e sostiene, facendo muro contro la tentazione del pregiudizio. Basta un’occhiata all’album di famiglia, basta uno sguardo alle immagini delle contadine di un secolo fa, ingonnate sino ai piedi, il capo coperto da fazzoletti neri che si chiudevano sul mento, circondate da sei, sette , dieci, dodici figli e figlie. Il patriarcato segna il femminile come una ferita profonda, non rimarginata, dove l’impasto tra violenza e servitù volontaria, segna un universo dove non c’è spazio per l’innocenza, dove oppressori e oppresse sono avvolti in una ragnatela insidiosa, dove lo spazio tra la complicità e l’oppressione è impalpabile.
La violenza è espressione del patriarcato non una sua aberrazione: se c’è patriarcato, se c’è arroganza di genere, c’è anche violenza. Una violenza che anche quando si fa stupro non è mai violenza sessuale ma violenza sessuata, che non esprime un desiderio ma la sua negazione, poiché lo scopo è la dominazione, l’umiliazione, la manifestazione del disprezzo, l’annullamento dell’autonomia.
Non a caso lo stupro è corollario di tutte le guerre: violare le donne del nemico significa privarlo di una sua proprietà, mettere a repentaglio la stirpe, renderne indegne le figlie. In quanti paesi le vittime di stupro vengono uccise, bandite, imprigionate? Le donne pagano due volte: subiscono la violenza e il marchio che l’accompagna indelebilmente. Oggetti e non soggetti sono rovinate dallo stupro, non più degne del ruolo di mogli e madri. Merci andate a male, da scartare. Da noi tutto questo è storia recente, eliminata dai codici da anni di lotte, che rischiano di venire cancellate da una risacca profonda, una risacca che si esprime nella volgarità dei fascisti e leghisti di governo ma ha le sue radici nel cuore stesso delle nostre relazioni sociali.
Il ginocidio è una realtà quotidiana: non manca giorno che non sia diffusa la notizia di uomini che ammazzano le donne a loro vicine. Qualche volta fanno fuori anche i figli e non sempre hanno la buona grazia di togliersi a loro volta di torno, rivolgendo contro di se la pistola o il coltello.
Solo i casi più gravi di abusi salgono alla ribalta dei media, ma la violenza in casa nei confronti di donne, bambini e bambine è molto più diffusa di quella in strada, pure al centro dell’allarme sociale e delle pelose attenzioni del governo.
In Europa l’assassinio da parte di parenti, partner, ex partner, conoscenti è tra le principali cause di morte per le donne.

L’ultima: i CIE

Il decreto antistupro emanato dal governo a fine febbraio è un tassello della re-iscrizione dell’universo femminile all’interno di un immaginario patriarcale, che vuole le donne deboli, incapaci di autodifesa, proprietà da tutelare contro i maschi predatori stranieri. L’immagine polemologica è rafforzata dalle parole del presidente del consiglio dei ministri e delle ministre, Silvio Berlusconi, che ha dichiarato che ci vorrebbe “un soldato per ogni bella donna”. Basta un breve giro tra le cronache, spesso sepolte o nascoste degli ultimi anni, per rabbrividire: le imprese dei “nostri” militari all’estero sono lì a testimoniare che cosa fanno i soldati italiani alle donne degli “altri”.
L’immagine della ragazza somala denudata, legata a gambe larghe sul retro di un camion e stuprata con un razzo illuminante dai parà della Folgore, in missione umanitaria nel corno d’Africa, è lì a testimoniare la brutalità degli eserciti contro le donne.
Chi legifera in difesa delle donne, già legifera contro ciascuna di noi, racchiudendoci nello stereotipo dell’eterna minore da tutelare. Quando i corpi delle donne sono il pretesto per accelerare l’iter di alcune tra le norme più pericolose e razziste del pacchetto sicurezza, diviene chiaro che la posta in gioco non è la libertà femminile ma la guerra contro gli immigrati poveri, che occorre mantenere sotto un tallone di ferro, se si vuole che lavorino senza alzare la testa.
Di qui l’istituzionalizzazione delle ronde e l’estensione della reclusione nei CIE, Centri di Identificazione e Espulsione, da due a sei mesi. Se a questo si aggiunge il rinnovo del pattugliamento dell’esercito in numerose città si ha la chiara percezione che la libertà femminile, così come quella di tutti, non è certo l’obbiettivo di chi fa leva sulle emozioni suscitate da alcuni stupri per spingere ulteriormente l’acceleratore della guerra contro gli immigrati, guerra che lascia sullo sfondo lo scontro sociale, per mantenere ben aperto il fronte della guerra tra poveri.
Il percorso della libertà femminile è altrove. Lo è sempre stato. In questi anni la libertà femminile di strada ne ha fatta tanta. Abbiamo imparato a camminare e a difenderci da sole. Senza legge. Libere.
Le leggi, tutte le leggi, persino quelle considerate “conquiste”, non fanno altro che imbrigliare, anche quando pretendono di tutelare. Specie quando pretendono di tutelare. Persino la legge sull’aborto non lo permette ma lo regolamenta, non apre la strada alla libera scelta ma ne definisce i confini.
Si fa leva sulla paura. La paura è l’arma potente che serra le porte delle case, facendone prigioni volontarie, la paura stringe le ginocchia e rende corti e rapidi i nostri passi, la paura chiude gli occhi e rinfocola il pregiudizio, la paura serve solo chi vuole una società di guerra. Una società di soldati e belle donne: una società basata sullo stupro.

Ma.Ma.