rivista anarchica
anno 37 n. 327
giugno 2007


anarchismo

La “revisione critica” di Berneri
di Stefano d’Errico

 

Si è tenuto ad Arezzo, lo scorso 5 maggio, un convegno di studi su Camillo Berneri.
Tra i relatori, Stefano D’Errico, segretario nazionale dell’Unicobas Scuola. Pubblichiamo qui le pagine iniziali del suo libro Anarchismo e politica. Nel problemismo e nella critica all’anarchismo del ventesimo secolo, il “programma minimo” dei libertari del terzo millennio, in uscita per le Edizioni Mimesis.

 

A quasi vent’anni dalla caduta del muro di Berlino e dalla tragicomica fine del socialismo “surreale”, l’opera di questo intellettuale militante scomparso settant’anni fa, più unico che raro nel panorama libertario “classico” per le sue prese di posizione insieme “apocrife” ed illuminanti, assume una valenza universale, utile non solo agli anarchici, bensì a tutti quanti abbiano finalmente chiaro che il rinnovamento della sinistra non può essere mera riedificazione di facciata, pena la definitiva scomparsa del complessivo movimento d’emancipazione dalla scena del panorama politico.
Ed è proprio dalla “crisi della politica” che deriva l’attualità del pensiero di Camillo Berneri. Da quella richiesta forte, e sempre meno eludibile, di una trasformazione della mistificazione della delega assoluta di potere in partecipazione cosciente ed attiva, in decentramento federalista ed in democrazia diretta. Dalla spinta ad invertire l’incipit fondamentale dell’organizzazione umana, nel passaggio dei modi della rappresentanza, per dirla con Berneri, dal “sono governati” al “si governano” (1). In poche parole, dalla necessità di una riconversione etica della politica.
Anche se la cosa emerge con fatica, è sempre più netto ed istintivo il rifiuto della autonomia della politica: il fine non giustifica i mezzi, sono bensì questi ultimi a determinare automaticamente i risultati della politica.
È un concetto che gli anarchici hanno sempre ripetuto. Naturalmente, non si tratta certo di una “religione” dell’etica. Semplicemente, una società abituata al dominio sarà impossibilitata a sviluppare i germi dell’autogestione.
Eppure, la sinistra, ad iniziare dalla componente marxista – proprio perché condizionata dal “Machiavelli del socialismo” – ha sempre fatto orecchie da mercante. Ancora scorgiamo il Sisifo del socialismo autoritario ripercorrere pedissequamente le stesse strade, nonostante la storia abbia dimostrato largamente come ogni forma esplicita di dittatura sia funzionale unicamente a riprodurre la servitù economica e morale.
Ma siamo anche giunti alla mutazione genetica: abbiamo visto i post-comunisti attraversare il guado dall’autoritarismo bolscevico al neo-darwinismo sociale in stile liberista, chiudendo il cerchio del ritorno alla farsa di una democrazia formale e dichiaratamente diseguale sotto il profilo economico. Nulla di strano, la cosa ha una sua linearità. Lo strumento-guida di questa transizione, ciò che accomuna tali sistemi, è la ragion di stato: «La formula leninista “i marxisti vogliono preparare il proletariato alla rivoluzione mettendo a profitto lo Stato moderno” è alla base del giacobinismo leninista come del parlamentarismo e del ministerialismo social-riformista» (2).



La questione della politica

Cionondimeno esiste nel mondo una domanda di anarchismo – più o meno consapevole – alla quale non corrisponde “offerta” adeguata. Quel che resta del movimento libertario non riesce da tempo ad esser presente a se stesso a causa della marginalizzazione indotta da un dottrinarismo ossificato.
Berneri rincorre, “stana” e svela, caso per caso ed argomento per argomento, quella sorta di coazione a ripetere che ha infine reso quasi impotente un movimento che invece contiene forse i più adeguati “anticorpi”, pratici ed ideali (certamente i più drastici), prodotti nel tempo dall’umanità per contrastare il dominio in tutte le sue forme.
Ma sbaglierebbe chi pensasse a Berneri semplicemente come ad un “dissacratore” della tradizione anarchica. Il suo approccio è semmai contrario ed inverso e denota l’impegno consapevole di operare uno screening fra ciò che di vivo, vitale ed “immortale” è in essa contenuto e quanto invece, da elemento secondario, congiunturale e tattico è, per un gioco “inerziale”, assurto impropriamente al rango di principio. Per lui, i principi non escludono la politica: sono semmai quanti negano la politica a confondere gli elementi tattici con le questioni di principio. Berneri vuole: “un anarchismo idealista ed insieme realista, un anarchismo, insomma, che innesta verità nuove al tronco delle sue verità fondamentali, sapendo potare i suoi vecchi rami.
Non opera di facile demolizione, di nullismo ipercritico, ma rinnovamento che arricchisce il patrimonio originale
” (3). Di concerto ritenne perciò necessario combattere i “tabù” dei dottrinari, la fobia e l’ideologismo della “degenerazione”: “(...) e non pianteremo più meli perché molte mele hanno il baco? Ogni cosa che è nel mondo ha il proprio baco. Tutto sta nel saperlo levare. Preoccuparsi eccessivamente delle degenerazioni possibili, conduce ad un errore comune a molti tra noi: alla negazione assoluta” (4).
La generalizzazione negativa è un arbitrio logico” (5).
Il compito che coscientemente s’impose fu quello di demolire le costruzioni incerte edificate sotto l’influenza di pratiche “rituali”. Per questo, la lettura di Berneri è più che propedeutica al ritrovamento di un anarchismo in grado di agire a tutto campo, orgoglioso delle proprie radici ed altamente “competitivo” rispetto agli avversari, “conservatori” o “progressisti”. Ciò è possibile perché Berneri lavora al tempo stesso ad una nuova epistemologia anarchica, affinché l’azione ed il pensiero libertario vengano restituiti alla propria dimensione naturale: per un anarchismo sempre pronto a mettersi in discussione, mai chiuso rispetto alla verifica della prassi, aperto a previsione e revisione. Capace quindi di rispondere alle sfide, di reinventarsi e soprattutto di esprimere progettualità.
L’antipatia per il programma non dovrebbe contraddistinguere i rivoluzionari, è invece tipica di chi non vuole realmente cambiare lo stato delle cose: “Il gradualismo del socialismo legalitario e statolatra è parallelo all’antipatia, evidentissima nel Kautsky, per qualsiasi piano di ricostruzione economica in senso socialista. Che l’ingranaggio sociale sia così complicato che nessun pensatore possa indagarne tutti i mali e prevederne tutte le possibilità, è evidente; ma se il divenire sociale, assommando ed elidendo le forze in infiniti e svariati modi non permette progetti completi né previsioni definitive, ciò non toglie che sia necessario al socialista poggiare su di un programma pratico, sì come allo scienziato è necessaria la luce di un’ipotesi” (6).
Berneri rifiuta e combatte il diktat ideologico che vieta agli anarchici l’elaborazione di un progetto e che impedisce loro di agire anche sul piano tattico: “Mezzo: l’agitazione su basi realistiche, con l’enunciazione di programmi minimi” (7).
Naturalmente non si tratta di mero “progettismo”: “Ma occorre distinguere: vi sono programmi che sembrano voler dare la sintesi del domani storico come deterministico calcolo di quel che sarà quel domani e questi sono i programmi detti realistici mentre non sono che deterministici; mentre vi sono programmi che pur calcolando grosso modo il gioco delle forze statiche e di quelle dinamiche non dimenticano che la probabilità di certe risultanti è tanto più alta quanto più la volontà di rinnovamento ha forzato i limiti progressivi” (8).
Berneri, prima di tutto, indica la necessità di conquistare al movimento libertario un’attitudine politica in grado di affermare l’alterità dei principi etici senza negarsi alla realtà. Capace di portare frutti immediati senza derogare dalla strada maestra della liberazione, coniugando utopia e storia: “L’anarchismo è il viandante, che va per le strade della storia, e lotta con gli uomini quali sono e costruisce con le pietre che gli fornisce la sua epoca” (9).
La cosa è fondamentale, visto che l’assenza di un programma condanna altrimenti l’anarchismo ad agire di rimessa rispetto alle condizioni determinate dagli avvenimenti e soprattutto “in coda” agli altri movimenti politici: senza un progetto, anziché indipendenza, si mostra sudditanza.
Camillo Berneri


Ma gradualismo non è riformismo

Berneri non fu mai un massimalista: “A mio parere, il non esercitare un diritto perché è concesso dallo Stato, non creare una situazione migliore dell’attuale perché se ne vorrebbe una migliore di quella conseguibile, vale fossilizzare la nostra azione politica” (10). Tantomeno fautore in politica della demagogia del “più uno”: “Per la smania di essere più a sinistra di tutti non dobbiamo assecondare il Partito Comunista nei suoi errori estremisti, oltre che per il nostro principio di non volere imporre il comunismo, anche perché mentre il Partito Comunista farebbe macchina indietro sul terreno economico, si gioverebbe della nostra collaborazione insurrezionale ed espropriatrice per costruire e rinsaldare la propria dittatura” (11).
Berneri additò compiutamente la differenza, non solo tattica, fra gradualismo intransigente e riformismo concertativo: “Vi è un possibilismo ingenuo come vi è un estremismo ingenuo. Tutto sta non nell’essere possibilisti od estremisti bensì nell’essere rivoluzionari intelligenti” (12). A sinistra, l’errore sta nello statalismo marxista, vera e propria forma di revisionismo negativo, incline al compromesso nella socialdemocrazia e nel leninismo alla riedificazione autoritaria (e per questo socialmente e moralmente iniquo): “L’ibrido connubio del rivoluzionarismo apocalittico e del gradualismo determinista che era in Marx si perpetuò nella socialdemocrazia. Dal primo derivò la trascuratezza verso i problemi dell’economia di transizione, dal secondo il riformismo” (13).
Il nostro non si fermò certo a vaghi proclami “millenaristi” relativi ad automatiche “palingenesi sociali”: indagò sulla diversità strutturale che intercorre fra le istituzioni proprie della società civile e le categorie imposte dallo stato, ipotizzando la leva del contrasto fra le prime e le seconde al fine di una strategia di liberazione e di ricostruzione rivoluzionaria. Per lui, l’anarchia “non è semplicemente il non-Stato bensì un sistema politico a-statale, ossia un insieme di autonomie federate” (14). E ancora: “Un organismo qual è lo Stato odierno può essere demolito, ma alla sua ossatura fa riscontro tutto quel sistema di fasci muscolari e nervosi, che sono i servizi pubblici. Questi vanno organizzati, ed essendo, sia per la loro natura funzionale, sia per l’organizzazione che ha loro data la necessità accentratrice dello Stato, degli organismi eminentemente nazionali, al di sopra del villaggio, della città, della regione, dovrà pulsare un sistema di centri direttivi, che nella vita di una nazione sono quello che nella vita organica degli animali superiori sono il cervello, il cuore, i gangli nervosi.
Le società primitive, le città dell’epoca dei Comuni, il villaggio contadino, la cittadina di provincia della Spagna, possono realizzare delle forme più o meno integrali di quell’anarchismo solidarista, extra-giuridico a-statale caro al Kropotkin, ma la metropoli odierna, ma la nazione che ha un ritmo di vita economica internazionale debbono affrettarsi a saldare le fratture prodotte dalla fase insurrezionale, perché la vita non si arresti; come il chirurgo deve affrettarsi a passare dal bisturi all’ago, quando si accorge che il cuore del paziente rallenta il proprio ritmo
” (15).

Stefano d’Errico
Segretario nazionale Unicobas Scuola

Note

  1. C. Berneri, La concezione anarchica dello Stato, inedito incompiuto del 1926, conservato presso Archivio Famiglia Berneri – Aurelio Chessa (ABC), Reggio Emilia, pubblicato per la prima volta a cura di Pietro Adamo, Camillo Berneri. Anarchia e società aperta. Scritti editi e inediti, M&B Publishing, Milano 2001.
  2. C. Berneri, La dittatura del proletariato e il socialismo di Stato, da “Guerra di Classe”, Barcellona 5/11/1936. Oggi in P. C. Masini, A. Sorti, Pietrogrado 1917 Barcellona 1937. Scritti scelti di Camillo Berneri, Sugar Editrice, Varese 1964.
  3. C. Berneri, Anarchismo e federalismo. Il pensiero di Camillo Berneri, da “Pagine libertarie”, Milano 20/11/1922. Oggi in P. C. Masini, A. Sorti, Pietrogrado 1917..., op. cit.
  4. C. Berneri, Sovietismo, anarchismo e anarchia, da “L’Adunata dei Refrattari”, N. Y. 15/10/1932. Oggi in P. C. Masini, A. Sorti, Pietrogrado 1917..., op. cit., ivi pubblicato con il titolo Il Soviet e l’Anarchia.
  5. C. Berneri, La concezione anarchica dello Stato, op. cit.
  6. C. Berneri, La socializzazione, da “Pensiero e Volontà”, Roma 1/9/1924. Oggi in P. C. Masini, A. Sorti, Pietrogrado 1917..., op. cit.
  7. C. Berneri, Per un programma d’azione comunalista, manoscritto del 1926 rimasto inedito sino al 1964. Oggi in P. C. Masini, A. Sorti, Pietrogrado 1917..., op. cit.
  8. C. Berneri, Come vedo il movimento giellista, da “L’Adunata dei Refrattari”, N.Y. 4/4/1936. Oggi in P. Adamo, Camillo Berneri. Anarchia e società aperta…, op. cit.
  9. C. Berneri, Sovietismo, anarchismo e anarchia, op. cit.
  10. C. Berneri, Per finire, su Compiti nuovi dell’anarchismo, da “L’impulso”, Livorno 1955, già apparso insieme ad interventi di altri sotto il titolo comune Revisionismo elettorale nell’anarchismo, su “L’Adunata dei Refrattari”, New York 27/6/1936, poi in P. Adamo, Anarchia e società aperta, op. cit.
  11. C. Berneri, Città e campagne nella rivoluzione italiana, da “Lotta umana”, Parigi, 8 e 22/3/1928. Oggi in P. C. Masini, A. Sorti, Pietrogrado 1917..., op. cit.
  12. C. Berneri, Come vedo il movimento giellista, op. cit.
  13. C. Berneri, La socializzazione, op. cit.
  14. C. Berneri, Come vedo il movimento giellista, op. cit.
  15. C. Berneri, Sovietismo, anarchismo e anarchia, op. cit.


Camillo Berneri
Scritti scelti

Introduzione di Gino Cerrito
Prefazione, bibliografia e biografia di Camillo Berneri a cura di Gianni Carrozza

edizioni Zero in Condotta
pagg. 320, euro 20,00
L’antologia che viene presentata può essere definita la più completa antologia di scritti berneriani, Ma perché presentarla oggi nel settantesimo anniversario della sua morte?
Occorre fare un passo indietro per comprendere il modo in cui Berneri è stato conosciuto e vissuto dal movimento anarchico.
Durante la sua vita, la quasi totalità dei suoi scritti appare sui giornali anarchici.
La sua fama di intellettuale militante comincia a diffondersi nella prima metà degli anni ’20, ma la maggior parte dei suoi scritti circola sull’onda della diaspora anarchica ed antifascista italiana nel mondo, anche se non avrà quasi mai la possibilità di fare una pubblicazione veramente “sua” che esprima una visione d’insieme, una visione del mondo. Ci proverà, tra mille difficoltà, nel fuoco dell’azione, in Spagna, con «Guerra di Classe», ma l’esperienza sarà interrotta dalla sua morte.
La presente antologia, dunque, pur non colmando i vuoti e le insufficienze, è un passo importante che il pubblico italiano non aveva ancora a disposizione. Essa rappresenta l’ultimo tentativo in ordine di tempo di ridare la parola allo stesso Berneri, con una scelta ampia di scritti pubblicati quando era vivo, che spazia su tutti gli aspetti della sua produzione politica e permette di farsi un’idea della consistenza del suo lavoro.
Se dovessimo segnalare al lettore qualcosa che caratterizza più di tutto il pensiero di Berneri, potremmo dire che la sua scelta rivoluzionaria è critica viva, è desiderio di non accontentarsi dell’esistente, è una spinta ad andare più lontano a partire dalla concretezza delle difficoltà che ci troviamo davanti.

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