rivista anarchica
anno 35 n. 307
aprile 2005


Spagna ’36

Donne libere
di Martha A. Ackelsberg

 

L’esperienza del gruppo Mujeres Libres rivive in un libro pubblicato dalle edizioni Zero in Condotta. Ecco alcuni stralci dall’introduzione.


Nel 1936 un gruppo di donne di Madrid e di Barcellona fondarono Mujeres Libres, organizzazione dedicata a liberare le donne dalla “schiavitù dell’ignoranza, schiavitù in quanto donne e schiavitù come lavoratrici”. Anche se durò meno di tre anni (le loro attività vennero bruscamente interrotte dalla vittoria delle forze franchiste nel febbraio del 1939), Mujeres Libres mobilitò più di 20.000 donne e sviluppò un vasto programma di attività, finalizzate a sviluppare l’empowerment individuale ed allo stesso tempo a costruire un senso di appartenenza comunitaria. Come il movimento anarco-sindacalista spagnolo, di cui queste donne facevano parte, Mujeres Libres riteneva che il pieno sviluppo dell’individualità delle donne dipendesse dalla crescita di un forte sentimento di unione con gli altri. Per questa ragione, e per molte altre, Mujeres Libres rappresenta un’alternativa alla prospettiva individualista che caratterizza i movimenti femministi principali, di quell’epoca e della nostra.
La storia della mia scoperta di queste donne e delle loro attività deve risalire a molti anni e a molti chilometri fa, a ricerche in archivi e a conversazioni con militanti; ma il fatto che arrivassi a comprendere l’importanza delle loro aspirazioni e dei loro traguardi è inseparabilmente legato ai nostri reciproci e progressivi sforzi di comunicazione, nonostante le differenze di cultura, di età, di classe e di ambiente politico che ci separavano. Molte di queste donne mi aprirono le porte delle loro case e condivisero con me il racconto delle loro vite, ed io ho cercato di mettermi nei loro panni e di considerare sia le somiglianze che ci avvicinavano che le differenze che, invece, ci rendevano distanti. Poiché mi ero già occupata delle questioni dell’identità, della differenza, della comunità e dell’empowerment, che hanno alternativamente incoraggiato o indebolito i movimenti per i diritti civili, quelli pacifisti e quelli femministi del mio paese, mi trovo ora nella condizione di apprezzare ancora più profondamente la prospettiva che Mujeres Libres può proporre alle femministe ed agli attivisti sociali di oggi. Questo libro deriva, in parte, dal mio desiderio di fare in modo che la storia di questa organizzazione sia considerata in generale come più accessibile. (…).

Rivista Mujeres Libres n. 11, 1938

Azucena e Enriqueta Fernández

Azucena era nata a Cuba nel 1916, figlia di genitori spagnoli esiliati che rientrando in Spagna dall’esilio nel 1920 la portarono con loro. Quando la vidi per la prima volta era seduta nel suo piccolo salotto, circondata da piante fiorite. Parlò con entusiasmo delle sue esperienze negli anni che precedettero la guerra e della storia della sua famiglia. Azucena ed i suoi sei fratelli e sorelle si erano “nutriti di anarchia…, con il latte di nostra madre”. Suo nonno, Abelardo Saavedra, era stato uno dei primi “operai con coscienza politica” che giravano per i paesi diffondendo l’Ideale anarchico. Venne incarcerato numerose volte e fu mandato in esilio per aver commesso il delitto di insegnare a leggere ai lavoratori stagionali dell’Andalusia. Per questo motivo Azucena e molti dei suoi fratelli erano nati a Cuba.
Ho trascorso molte ore con lei, parlando di cosa avesse significato crescere in una famiglia anarchica e di come vedeva la complicata situazione della donna all’interno del movimento anarco-sindacalista spagnolo. Ma lei insisteva sempre che avrei dovuto parlare assolutamente con sua sorella Enriqueta, la vera militante di Mujeres Libres.
Ebbi l’opportunità di conoscere Enriqueta Fernández Rovira solamente sei mesi più tardi. A quel tempo avevo già scoperto che bastava solo menzionare il suo nome per provocare la stessa reazione in tutte le donne con cui parlavo. “Oh, Enriqueta!”, dicevano con profonda emozione, drizzandosi sulle spalle e stringendo i pugni, cercando di assomigliare ad un pugile che mostra i muscoli (per quanto possa essere possibile in donne già tanto anziane e fragili). E nonostante questa preparazione non ero completamente pronta per il pacato potere della sua presenza.
Ho conosciuto Enriqueta in circostanze che difficilmente potrebbero essere definite favorevoli. Accadde in Francia durante le vacanze di Natale e la sua casetta era messa a soqquadro dalla vivacità dei suoi quattro nipotini.
Trovammo tempo per parlare solo quando questi andavano a dormire o a metà mattinata nel caos della preparazione del pranzo e mentre ci interrompevano per chiederle il permesso di giocare a questo o a quel gioco. E la sua frustrazione per “le cattive maniere” di questi bambini pieni d’energia rappresentava un intervallo agrodolce ai suoi racconti di quando lei stessa veniva considerata “scandalosa” anche dai suoi stessi genitori anarchici quando, all’inizio degli anni Trenta, faceva delle gite in campagna o al mare con i suoi amici, maschi e femmine.
Anche Enriqueta era nata a Cuba, nel 1915, e si era trasferita in Spagna con il resto della famiglia nel 1920. Nella loro casa era usuale vedere militanti anarchici entrare ed uscire quotidianamente e “l’ideale” era una componente normale della conversazione. Secondo molti punti di vista, i suoi genitori rappresentavano due delle diverse tendenze all’interno dell’anarchismo che predominavano nel movimento di quegli anni. Lei me lo spiegò così:

Mio padre era un intellettuale, un anarchico, ma era più pacifista di mia madre. Si sentiva male anche solo al vedere una goccia di sangue. Era rivoluzionario, ma pacifista. Credeva che la rivoluzione doveva prodursi con la cultura e l’educazione. Odiava le armi. Non voleva neppure vederle… non era il suo stile. Era più tranquillo… Mia madre era completamente diversa. Lei era più militante.

Rivista Mujeres Libres n. 6, 19 luglio, due anni dall'inizio della rivoluzione

Enriqueta, Azucena ed i loro fratelli e sorelle impararono in fretta che essere parte di una comunità significava essere disposte a prendersi cura degli altri e a dedicare anima e corpo ad una causa comune. Le idee che condividevano con altre persone – specialmente con i gruppi di giovani di ispirazione anarchica in cui sia Enriqueta che Azucena erano molto attive – stringevano i loro legami come gruppo ma allo stesso tempo li allontanavano da chi non ne faceva parte:

A quei tempi eravamo le puttane, le pazze, perché guardavamo avanti. Ricordo la morte di mio padre, che per me fu molto dolorosa…. Mia madre mi disse: “Piccola, papà non voleva fiori, ma sono io che voglio per lui un mazzo di rose. Portane anche solo una dozzina, per tuo padre.” Andai dalla fioraia e questa mi disse: “Tuo padre è morto e tu vieni qua?” “Che cosa c’entra il mio dolore con il fatto che sono venuta qui? – le dissi – Credi che non provo del dolore per la morte di mio padre?” “Ma non dovresti esserci tu qui, piccola. Avrebbe dovuto venire Juan a cercare i fiori. E poi non porti il lutto.” “No – le risposi – il dolore lo porto dentro, non lo indosso”.

Per Enriqueta e la sua famiglia l’impegno nei valori anarchici esisteva da sempre. La partecipazione dei bambini ai gruppi ed alle attività organizzate dal movimento libertario approfondì l’impegno e lo convertì in un punto importante delle loro vite. La comunità dava loro la forza per affrontare sia le derisioni dei loro vicini che lo scetticismo dei loro stessi genitori sull’opportunità di far andare le ragazze in giro con i ragazzi.
Le veniva permesso di trovare un modo per potersi esprimere, per credere nei loro sogni e per far diventare realtà quanto avevano imparato dai loro genitori ma che loro molto presto avevano fatto proprio. Per il suo continuo impegno nel movimento anarchico Enriqueta venne scelta dalla CNT per un lavoro molto delicato, quello di operatrice nella centrale telefonica di Barcellona durante la guerra. Continuò ad essere attiva nel movimento libertario e nella CNT e con il passare del tempo entrò a far parte di Mujeres Libres.

Agosto 1936, verso il fronte

Pepita Carpena

(...).
Ma non tutti quelli che partecipavano al movimento anarchico avevano dei genitori anarchici. Pepita Carpena, ad esempio, era nata a Barcellona verso la fine del 1919 da una famiglia di classe proletaria che mostrava poco o nessun interesse per le organizzazioni operaie. Venne per la prima volta a contatto con “l’idea” nel 1933 grazie ad alcuni sindacalisti anarchici che assistevano alle riunioni dei giovani nella speranza di mettersi in contatto con possibili nuovi membri.

I compagni della CNT, per fare propaganda, dato che la gente non andava ai sindacati perché era un’epoca di clandestinità, andavano ai balli e dicevano agli uomini, mai alle ragazze: “Dove lavorate? Sapete che c’è un sindacato?” Questi compagni, membri della CNT, dicevano anche: “Il tal giorno c’è un’assemblea”. E siccome mi sono sempre trovata meglio con gli uomini che con le donne, andai con loro. E fu lì dove iniziai a capire che cosa era la CNT.

I primi giorni della rivoluzione sociale nelle strade d'Alcala

Il sindacato della Metallurgia, che la adottò quasi come una mascotte, divenne la sua seconda casa. Quando i suoi genitori iniziarono a proibirle di assistere alle riunioni notturne, pregò suo padre di andare con lei. Dopo aver conosciuto il tipo di persone che erano e come trattavano sua figlia, non le disse più niente. Anzi, al contrario, si vantava con i suoi amici di avere una figlia che stava liberando il proletariato!
Attraverso la sua relazione con i lavoratori del sindacato della Metallurgia, Pepita non tardò ad imparare molte cose sui sindacati e sull’anarco-sindacalismo. La incoraggiarono ad organizzare le giovani che lavoravano con lei come sarte e così fece. Quando il suo padrone la licenziò con un pretesto qualunque, in realtà per le sue attività sindacali, i compagni del sindacato della Metallurgia corsero in suo aiuto e fecero in modo che venisse riassunta. Continuò ad essere attiva sia nella CNT che nelle Juventudes Libertarias all’inizio degli anni Trenta e durante il primo anno di guerra. Quando nei primi giorni del conflitto uccisero il suo compagno al fronte, il sindacato della Metallurgia le pagò un salario affinché potesse continuare a organizzare i lavoratori nello sforzo comune che richiedeva la guerra. Si considera come una persona che ha da sempre sostenuto l’uguaglianza tra uomo e donna e che forse proprio per questo inizialmente si sentiva indifferente alla creazione di una organizzazione specificamente femminile. Ma dopo la sua esperienza nelle Juventudes, non tardò a riconoscere che questa necessità esisteva realmente e riuscì a diventare membro attivo del Comitato Regionale Catalano di Mujeres Libres negli anni 1937 e 1938.
Pepita, più di ogni altra anziana compagna, ha cercato di comunicare con le giovani nonostante le barriere del tempo, della classe sociale e della geografia. È informata sul dibattito femminista contemporaneo, anche se spesso si trova in disaccordo riguardo ai termini con cui è formulato. È archivista e responsabile della succursale di Marsiglia del CIRA (Centro Internazionale di Ricerche sull’Anarchismo), la cui sede principale è a Ginevra. Pepita viaggia spesso per la Spagna e per l’Europa tenendo conferenze sulla rivoluzione e sulle attività di Mujeres Libres. La sua franchezza e la sua buona disposizione a dibattere temi che erano problematici e controversi in Mujeres Libres hanno fatto di lei un’informatrice preziosa ed un’amica speciale. (...).

Martha A. Ackelsberg

 

Martha A. Ackelsberg, Mujeres libres l’attualità della lotta delle donne anarchiche nella rivoluzione spagnola.
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